Storia medievale - La riforma della Chiesa

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Testo

La riforma della Chiesa

L’acuirsi del contrasto tra l’esigenza di riforma e l’indirizzo del papato era legato alle condizioni di disordine e di instabilità in cui versava lo Stato ecclesiastico dopo il trasferimento della sede pontificia ad Avignone. Nel mondo cattolico si diffuse l’opinione che il ritorno della sede pontificia a Roma avrebbe potuto creare condizioni favorevoli alla riforma e contrastare i fenomeni di corruzione che aveva cominciato a diffondersi nella corte pontificia.
Riguardo la riorganizzazione dello Stato, erano gli strati popolari della città a sentirne maggiormente l’esigenza, che comportava la sottomissione della nobiltà. Assente il pontefice, l’iniziativa partì da un movimento guidato dal popolano Cola di Rienzo. Divenne studioso di storia antica ed esperto conoscitore del materiale archeologico che Roma gli offriva. Apparve sulla scena politica dopo che un moto popolare abbattè il Senato e costituì il governo dei tredici boni homines, rappresentati dalle corporazioni. Fu poi inviato al governo di Roma ad Avignone per esporre al papa Clemente VI le ragioni del mutamento e deplorare lo stato di anarchia in cui viveva la città. Roma non aveva governo, viveva una situazione di guerra civile.
Malgrado la difficoltà di qualche prelato della Curia egli fu accolto da Clemente VI e tornò a Roma con la carica di notaio della Camera Municipale. Preparò la congiura antinobiliare che lo portò al potere di tribuno e col consenso di una larga parte del popolo romano. La costituzione era improntata a uno spirito fortemente ostile ai nobili e ispirata al profondo desiderio di ristabilire l’autorità pubblica, la sicurezza, la pace. Si orientarono così anche il programma d’azione del suo governo. L’opera di Cola si estese al di là di Roma, e ai territori del ducato romano. L’esercito dei nobili fu vinto da quello popolare, alle porte di Roma nel 1347.
Aspirazione a una più vasta azione politica che ebbero l’adesioni di uomini come il Petrarca, si accompagnò a quest’opera suscitando contro il tribuno una reazione di risentimento e di resistenze dei nobili. L’ostilità del pontefice fu decisiva, il cui inviato venne a Roma a coordinare le forze degli avversari di Cola. Il tribuno fu abbandonato. Roma mancava di una nuova forza dirigente, di un ceto borghese capace di far da sostegno efficiente. Cola si rifugiò tra un gruppo di Spirituali in Abruzzo, si recò poi presso l’imperatore Carlo IV. Il programma universalistico si era sovrapposto al disegno di riorganizzazione “democratica” dello Stato romano. La missione presso l’imperatore si concluse con l’invio di Cola prigioniero ad Avignone. A Roma l’anarchia era ripresa e si invocava la liberazione dell’ex tribuno dall’Italia.
Venne eletto Innocenzo VI, il quale si pose come primo compito quello di ristabilire l’autorità nello Stato ecclesiastico. L’esigenza da cui era sorto il movimento di Cola di Rienzo la riconobbe legittima anche se su un diverso piano politico. Quindi fu inviato in Italia il cardinale Albornoz, il quale riuscì a far riconoscere l’autorità pontificia dalle molte signorie che si erano formate nello Stato ecclesiastico. Cola di Rienzo rientrò a Roma e fu nominato senatore. Ma cadde vittima di un moto suscitato da famiglie nobili. Albornoz proseguì la propria opera fissando nelle “costituzioni egidiane” le norme che regolavano la vita dello Stato e che furono approvate da una assemblea generale di rappresentanti della nobiltà, dei Comuni e del clero.L’ordinamento delineato lasciava larga autonomia ai signori locali.
Si crearono così le condizioni per il ritorno della sede papale a Roma. Urbano V fece il primo passo andando a Roma, ma respinto poi dalle pressioni francesi ad Avignone.
Con il successore Gregorio XI il trasferimento a Roma fu definitivo. Ma Petrarca si immaginava risultati ben diversi.
Fu eletto un italiano, arcivescovo di Bari, che prese il nome di Urbano VI. I cardinali francesi insieme a uno spagnolo si riunirono e dichiarata nulla l’elezione perché avvenuta sotto minaccia popolare, elessero un nuovo papa, Clemente VII e fissò la sua residenza ad Avignone.
Il mondo cristiano si divise: alcuni stati( Francia, Napoli, Scozia, Pastiglia, Aragona, Navarra, Portogallo) riconobbero il papa avignonese, altre quello romano (Inghilterra, impero, Polonia, Ungheria, Fiandre, Italia centro- settentrionale).
Questa frattura diede ulteriore incremento alle tendenze riformatrici. La critica delle nuove correnti religiose investì anche i dogmi, i principi fondamentali del cattolicesimo. John Wycliff,professore di Oxford, elaborò una dottrina che dai tradizionali motivi della povertà evangelica e dall’affermazione che l’opera della Chiesa deve svolgersi su un piano spirituale, negò completamente la gerarchia ecclesiastica e l’autorità del pontefice, i sacramenti, il culto dei santi e della Madonna, le indulgenze e la confessione. Secondo lui queste istituzioni non trovano conferma e giustificazione nella Bibbia. Egli si adoperò per la conoscenza diretta e la diffusione della bibbia. Condannate dalla Chiesa, le sue idee si diffusero tra i ceti popolari formando il movimento dei Lollardi, antica associazione religiosa fiamminga col quale furono chiamati i gruppi di “poveri predicatori” costituiti da Wycliffe. Nonostante la condanna ecclesiastica e l’ostilità del sovrano e dei nobili, il movimento potè svilupparsi anche per l’appoggio della Camera dei Comuni, che riuscì a impedire la persecuzione per un certo periodo. Ma dal 1401,anno nel quale Enrico IV emanò uno statuto, i Lollardi furono duramente perseguitati. Poi furono protagonisti di una sommossa che fu repressa. Le idee di Wycliffe penetrarono nella coscienza religiosa del popolo inglese e contribuirono a preparare il terreno per la Riforma protestante.

La Chiesa attraversò una grave crisi. Dubbi e perplessità sulla struttura monarchica dell’organismo ecclesiastico e sulla secolare linea di sviluppo si accentuarono. La Chiesa fece quindi ricorso al concilio, assemblea dei rappresentanti della cristianità.
Contemporaneamente la Chiesa subiva le conseguenze della crisi economica, alla quale si aggiunse il fiscalismo pontificio che suscitava insofferenza nei possessori di benefici ecclesiastici e nella massa dei lavoratori da questi dipendenti. Le rivolte contadine coinvolgevano anche le grandi proprietà ecclesiastiche. Gli stessi beneficiali accusavano il fiscalismo della Curia pontificia. Lo sconvolgimento religioso, morale ed economico era profondo.
Il concilio si riunì a Pisa. Deposti i due papi di Avignone e di Roma, fu eletto Alessandro V, ma i due antagonisti non riconobbero le decisioni conciliari e ci fu la contemporanea presenza di tre papi. Venne convocato un nuovo concilio a Costanza nel 1414. La divisione del papato fu superata con la deposizione di Giovanni e l’elezione di un nuovo pontefice, Martino V. il concilio affrontò i temi della lotta contro le eresie e della riforma della Chiesa. La riforma veniva invocata, ma non ci fu una precisa indicazione dei rimedi. Il problema si complicò dal crescente peso degli interessi nazionali, che si manifestarono nella stessa organizzazione conciliare. Ci fu una convergenza di opinioni riguardo l’affermazione della superiorità del concilio sul papa. L’assemblea proclamò che il concilio riceveva il potere direttamente da Cristo.
Martino V era contrario alle teorie conciliari. Ma si aprì un nuovo concilio a Basilea, caratterizzato da una scarsa partecipazione di prelati. La lotta si chiuse con la vittoria del papato, grazie anche all’equilibrio tra la Chiesa e gli Stati attraverso convenzioni che regolarono in particolare le nomine ai benefici ecclesiastici.
Il clero francese, nel quale prendevano maggiore consistente le tendenze all’autonomia della Chiesa nazionale, impose un regolamento ecclesiastico che dava al re larghi poteri nella concessione dei benefici.

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