storia germania

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Testo

STORIA

Il territorio compreso tra il Reno e L’Oder fu abitato fin da tempi molto remoti da gente dedite soprattutto alla caccia. Delle culture paleolitiche si sono trovate numerose tracce: i reperti acheuleani e clactoniani raccolti a Mackleeberg presso Lipsia, l’industria musteriana di Ehringsdorf e di Neandertal, nonché le stazioni preistoriche di Mauern e delle grotte di Vogelherd, in cui è stata messa in luce una sequenza stratigrafica che giunge fino a epoca molto più recente; un’eccezionale successione di culture si è individuata anche a Lauterach nel Württemberg.
Del periodo mesolitico la località più famosa è Ofnet, che testimonia usanze funebri.
Grande diffusione ebbero in tutto il territorio le culture neolitiche, in relazioni alle quali si segnarono le stazioni preistoriche di Aichbühl, Eberstadt, Flonborn, Hinkelstein e Roesen. Nell’Età del Bronzo primeggiano le culture dei tumuli e dei campi d’urne. I tempi preistorici si concludono anche in Germania con l’Età del Ferro che vede l’espandersi della civiltà di Hallstatt.
Le prime descrizioni d’insieme della Germania e dei popoli che la abitavano, dovute a storici o geografi greci e romani, non risalgono oltre il primo secolo dell’era cristiana. Per il periodo precedente, le scarsissime notizie, offerte esclusivamente dalla epigrafia e dall'archeologia, permettono a stento di riconoscere alcune aree di cultura materiale e linguistica: di popolamento germanico nella parte settentrionale del paese, area che fra l’Età del Bronzo e il V secolo a.C. tese progressivamente a estendersi dalla Danimarca e dalle fra il Weser e l’Oder fino a raggiungere la Bassa Slesia, la Turingia e il bacino del Reno; di popolamento celtico nella parte meridionale, dove sono numerose e imponenti le tracce dell’Età del Ferro celtica.
I germani che conservarono un altissimo grado di mobilità, a partire dal III secolo a.C. ripresero a muoversi verso le regioni del sud e del sudovest, in parte respingendo i celti, in parte sommergendone i pochi insediamenti. Alcune tribù si spinsero fino ai territori dell’Italia settentrionale e delle Gallie, che Roma stava progressivamente sottomettendo al suo controllo: i Teutoni vennero fermati dagli eserciti di Mario presso Aix-en-Provence e i Cimbri presso Vercelli (102-101 a.C.), mentre pochi decenni dopo Ariovisto, che con i suoi Suebi avevano tentato di insediarsi sulla riva sinistra del Reno, venne sbaragliato e ricacciato da Cesare (58 a.C.).
Fino ai secolo IV e V d. C. i tentativi dei Germani di penetrare in Gallia o in Italia furono pochi, così come, fu limitata e parziale la penetrazione di Roma nei territori germanici. Il progetto di una Germania romana fino all’Elba, delineatosi dopo la conquista delle Gallie e sostenuto con vigore nei primi anni del principato, conobbe qualche successo con la conquista dei territori a sud del Danubio e la creazione delle provincie della Rezia (15 a.C.), del Nordico ( 16 a.C. ) e della Pannonia (10 d.C.), ma si esaurì in seguito alla disfatta di Varo nella selva di Teutoburgo (9 d.C.) e alle gravi perdite subite da Germanico presso Idistaviso (15 d.C.).
Il Reno e il Danubio segnarono per secoli i confini tra mondo romano e mondo germanico ( con l’eccezione del territorio compreso fra i corsi superiori dei due fiumi, gli Agri Decumates, occupato alla fine del I secolo e tenuto fino al 254 soprattutto allo scopo di ridurre la lunghezza del confine e non per una vera e propria colonizzazione ).
Fra il IV e il VI secolo i territori tedeschi furono il luogo di una gigantesca ondata di migrazione di popoli. I Germani orientali, stanziati fra la Russia meridionale e la Penisola Balcanica, spinti da un peggioramento del clima e dalla pressione di popoli orientali, come gli Unni, si riversarono verso occidente, non più in sporadiche incursioni a scopo di saccheggio, ma alla ricerca di terre e di nuovi insediamenti.
Per molti di questi popoli, come i Vandali, i Suebi e varie tribù di Goti, i territori fra l’Elba e il Reno non furono più che un luogo di rapido transito, tappa di un più lungo percorso, e nell’ondata che dilagava verso occidente, sospinsero o trascinarono le altre popolazioni germaniche che incontravano sul loro cammino; altri popoli vi si fermarono per brevi periodi, come i Burgundi, che nei primi decenni del V secolo fondarono un loro regno sul Meno; altri si unirono con le tribù dei germani occidentali, il cui insediamento si stabilizzò man mano che il fenomeno delle grandi migrazioni si attenuava.
Su tutte le popolazioni di origine germanica si delineò, la supremazia dei Franchi, che dal basso Reno si erano rivolti verso l’attuale Francia, occupandone una gran parte e costituendo un forte regno; in seguito avevano esteso la loro egemonia anche sui territori fino all’Elba e al Danubio. Soltanto i Sassoni riuscirono a mantenersi per lungo tempo indipendenti e poterono essere sottomessi solo con una serie di sanguinose guerre che si prolungarono per decenni (772-804: del 802 è la Lex Saxonorum che ne accoglieva le antiche consuetudini). Contemporaneamente alla conquista, i Franchi promossero l’evangelizzazione delle popolazioni tedesche, che era già stata avviata da singoli missionari, come Colombano e Bonifacio: interi popoli, e in particolare le classi nobili, venivano battezzati in massa e in brevissimo tempo furono costituiti numerosi vescovadi e vennero fondati i primi grandi centri monastici, che restarono per secoli centri di vita religiosa e di cultura. I territori tedeschi entrarono a far parte del Sacro Romano Impero di Carlo Magno (800 d. C.).
Fu nel corso delle guerre combattute fra i successori di Carlo che si delineò per la prima volta uno stato tedesco, autonomo e comprendente, in un organismo politico unitario, tutte le popolazioni germaniche a oriente del Reno: il regno detto “dei Franchi orientali”, riconosciuto dal trattato di Verdun (843) a Ludovico il Germanico, nipote di Carlo, l’anno successivo a quel giuramento di Strasburgo che, per la sua redazione bilingue, costituisce la prova dell’esistenza di una nazionalità tedesca autonoma e distinta all’interno del mondo franco, nonostante le interne differenze di costumi, consuetudini e in parte anche di lingua che ancora si riscontravano tra le antiche popolazioni.
Ma i Carolingi regnarono ben poco in Germania e la dinastia finì con la morte di Ludovico il Fanciullo (911). Convertita al cristianesimo a abbracciato il sistema feudale, la Germania adottò il principio dell’elettività alla corona regia e tra i maggiori feudi ( Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera, Lorena, ) fu quella di Sassonia che prevalse nella corsa al trono. I grandi re sassoni (5 dal 918 al 1025), la elevarono al primo posto tra le potenze di quel tempo.
L’inizio fu peraltro brillante: all’energico Enrico I succedette Ottone I il Grande, cui si inchinò, per la potenza delle armi, gran parte dell’Europa ( Italia compresa ) e che nel 962 cinse a Roma la corona del Sacro Romano Impero. La chiesa si sottopose alla sua autorità col Privilegium Othonis. Poi lentamente, iniziò la decadenza: le forze non furono pari alle ambizioni; il regno era travagliato da insurrezioni interne frutto di concezioni particolaristiche tipiche del tempo e la pretesa universalità, connessa alla corona imperiale, portò i re di Germania, nella loro qualità di imperatore, prima all’epoca di Ottone III (893-1002), al conflitto con le forze particolaristiche di Roma, e più tardi alla lotta, ben più grave, col papato, il quale rigenerato dagli ordini monastici appoggiati dallo stesso Enrico III di Franconia (1039-1056), ambiva esso pure al dominio universale.
Così si originò quella “guerra delle investiture” che spossò entrambi i contendenti a vantaggio delle forze rappresentate sia dai feudatari sia dalle città, dove il nascente ceto borghese prendeva un tipo di governo che rasentava la piena indipendenza. Il regno di Germania si logorò in queste lotte che divamparono ancora più violenta sotto i sovrani della dinastia degli Hohenstaufen: Federico I Barbarossa (1152-1190), Enrico VI (1190-1197) e Federico II (1212-1250).
Alla morte di quest’ultimo, la Germania precipitò nel caos: durante questo interregno (1250-1273) i sovrani eletti non ebbero alcun potere effettivo e furono le forze locali che, in contrasto perpetuo tra loro, governarono un paese che non aveva più un’unità neppure formale e anzi minacciava di dissolversi, suscitando l’apprensione dei papi, timorosi di un’egemonia francese in Europa. Infine venne eletto Rodolfo d’Asburgo (1273), il quale inaugurò una via nuova che venne poi seguita dai suoi successori.
Lungi dal rincorrere l’inafferrabile segno del dominio universale, egli riuscì a usare le forze dell’impero per costituirvi un vario dominio familiare: il ducato d’Austria, sottratto con le forze di tutta la Germania a Ottocaro II di Boemia, divenne un feudo della sua famiglia (1282), che di colpo si innalzò nel firmamento dei feudatari tedeschi. Lo imitò Enrico VII di Lussemburgo (1308-1313), il quale se tentò ancora una volta, inutilmente la carta dell’impero universale, riuscì a ottenere per la propria famiglia il regno di Boemia (1310).
Carlo IV con la Bolla d’Oro (1356) dettò le norme definitive per l’elezione dell’imperatore: essa venne affidata a sette principi elettori ( il re di Boemia, il duca di Sassonia, il marchese del Brandeburgo, il conte palatino del Reno, gli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri ) a maggioranza. Ma queste precise norme vennero dettate quando l’istituzione aveva ormai perduto ogni significato concreto. Da allora, infatti, i vari sovrani si basarono solo sulle forze dei loro domini e fecero ogni sforzo per accrescerli.
La storia della Germania diventò, di conseguenza, la storia delle singole casate. Sintomatica fu l’ascesa degli Asburgo, che ereditarono nel 1335 il Tirolo e la Carinzia, nel 1437 i beni dei Lussemburgo che si erano estinti, nel 1482 quelli della casa di Borgogna ( provocando conflitti con la Francia che si sarebbero trascinati per secoli ), nel 1526 quelli degli Jagelloni, ricuperando le corone di Boemia e di Ungheria che erano andate perdute nel 1457.
La corona imperiale, dopo l’elezione di Alberto II (1437), pur restando sempre formalmente elettiva, rimase agli Asburgo fino alla soppressione del titolo. Tuttavia, di tutti i sovrani di quella dinastia uno solo, Massimiliano I (1493-1519), cercò di rafforzare il potere dell’imperatore, urtando però contro la tenace resistenza dei principi che proprio in quel secolo accentuarono le tendenze particolaristiche abbandonando il sistema germanico di spartizione dei domini tra i vari figli a favore del diritto romano che premiava solo il primogenito.
I modesti successi ottenuti da Massimiliano I furono comunque travolti dalla tempesta della riforma luterana che, politicamente, costituì per la Germania una svolta fondamentale, il popolo, secondo coscienza, abbracciò una nuova religione, o rimase fedele alla vecchia, ma i principi per lo più, abbracciarono le idee riformiste spinti assai spesso dal desiderio di incamerare i beni della chiesa.
Il fatto poi che l’imperatore Carlo V condannasse la Riforma provocò una vera rivolta che degenerò ben presto in guerra civile collegandosi alle guerre in atto alloro a livello internazionale. Questo immane conflitto durò più di un secolo e raggiunse il massimo con la cosiddetta “guerra dei trent’anni” (1618-1648) che vide l’intervento di francesi, danesi, svedesi, inglesi ecc., e che terminò con la pace di Vestfalia (1648). L’impero germanico fu ridotto a una serie di stati indipendenti, solo formalmente sottomessi all’imperatore, in realtà padroni di seguire la politica da ciascuno ritenuta più consona ai propri interessi.
Ma fra tutti gli stati della Germania andavano accrescendo la loro importanza la Prussia e l’Austria. La prima, dibvenuta ducato in seguito alla secolarizzazione dei beni dei Cavalieri Teutonici a favore della famiglia degli Hohenzollern (1525), nel 1701 fu elevata a regno. Fu questo un grave errore dell’imperatore Leopoldo I (1658-1705) perché creò nel nord protestante un centro d’attrazione che si pose come contraltare all’Austria cattolica dominante nel sud. D’altra parte gli Asburgo, con la conquista dell’Ungheria, della Transilvania (1699) e di vaste parti dell’Italia (1714), tendevano sempre più a estraniarsi dalla Germania.
Quando la linea maschile degli Asburgo si estinse (1740), Federico II di Prussia si scontrò con Maria Teresa d’Austria per il possesso della Slesia: ne seguì la “guerra dei sette anni” (1756-1763) che rafforzò il prestigio di Federico il Grande e ne fece quasi il simbolo della difesa del mondo germanico contro lo straniero (Maria Teresa infatti si era alleata con la Francia e con la Russia).
Anche la bufera della Rivoluzione francese ebbe gravi conseguenze per la Germania. I territori della riva sinistra del Reno furono annessi alla Francia (1797); la pace di Lunéville (1801) ridusse drasticamente il numero degli stati abolendo i principati ecclesiastici che furono divisi tra i principi laici. Fu pure trasformata la Costituzione imperiale (1803) e al posto dei nove elettori (ai sette del 1356 erano stati aggiunti il duca di Baviera e il duca di Hannover) ne furono stabiliti dieci, cinque dei quali nuovi (Salisburgo, Baden, Wüttemberg, Assia, Kassel), mentre tre dei vecchi vennero soppressi (Colonia, Treviri, Palatinato). Anche questa situazione durò poco: Napoleone elevò i duchi a re e i marchesi a duchi; creò una federazione, che chiamò “del Reno”, di cui si proclamò protettore e che non comprendeva né l’Austria né la Prussia; ritagliò un regno nuovo, che chiamò “Vestfalia”, per il fratello Gerolamo (1807): tutto ciò mentre Francesco II (1792-1835) rinunciava anche all’apparenza della sovranità sulla Germania abdicando al titolo di imperatore del Sacro Romano Impero (1806) e mantenendo solo quello di imperatore d’Austria. Il congresso di Vienna (1815) cancellò le iniziative napoleoniche ma si preoccupò più delle variazioni temporali dei singoli stati che non della Germania come entità nazionale. l'A’stria ottenne grandi possedimenti in Italia, mentre la Prussia , rinunciando a gran parte della Polonia, si ingrandì nella Renania rimanendo divisa in due tronconi. Tale soluzione creò naturalmente, le premesse per una politica di espansione diretta a riunire le due parti, che incontrava peraltro le aspirazioni di una parte della nuova generazione. Ebbero inizio allora due movimenti: da una parte la Prussia, come stato, cercò di riunire intorno a sé gli altri stati tedeschi a diede vita a una lega di carattere economico (Zollverein) che finì con l’includere quasi tutti i territori degli stati tedeschi salvo quelli austriaci e pochi altri (1833). Dall’altra cominciò la lunga trafila delle attività delle sette segrete, delle agitazioni studentesche, delle richieste da parte dei borghesi, e degli intelettuali in genere, di libertà politiche e di maggiore unione tra le parti della Germania.
Il compito storico di creare una Germania unificata spettò a Bismarck e alla Prussia. Il “cancelliere di ferro”, giocando abilmente sull’indebolimento austriaco causato dalla sconfitta nella guerra con la Francia e il Piemonte del 1859, sfruttando la simpatia della Russia e facendo valere il principio di nazionalità di fronte alla Francia, alla Gran Bretagna e all’opinione pubblica tedesca, riuscì nel 1866 a battere militarmente l’Austria (Sadowa) e quindi a far sciogliere la confederazione creata nel 1815 per sostituirla con due confederazioni: una del nord, sotto l’egida prussiana, e una del sud. Ma queste ebbero brevissima vita perché nel 1871 Bismarck riuscì a fondere le due confederazioni in un unico stato federale, l’impero tedesco (Primo Reich), con a capo il re di Prussia Guglielmo I (1861-1888).
Questo stato nacque tuttavia con gravi tare che ne resero difficile la vita: innanzi tutto ebbe un’impronta militaresca che suscitò allarme nell’opinione pubblica europea e gli procurò la antipatie di tutti quei popoli che si avviavano verso forme sempre più democratiche di governo. Poi si accrebbe dell’Alsazia-Lorena, suscitando l’ostilità implacabile della Francia, che costrinse Bismarck a virtuosismi di politica internazionale per mantenere la rivale nell’isolamento. Infine Bismarck dotò l’impero di una costituzione che accentrava tutti i poteri nel cancelliere, cosa che doveva rivelarsi fatale quando egli non fosse più stato al governo e i suoi successori non si fossero mostrati all’altezza del fondatore.
Tale pericolo potenziale divenne reale quando il giovane imperatore Guglielmo II (1888-1918) nel 1890 congedò Bismarck. Infatti i suoi successori si dimostrarono deboli (Caprivi, Hohenlohe) o poco avveduti (Bülow, Bethmann-Holweg) e la guida dell’impero rimase nelle mani inesperte di un sovrano intelligente ma volubile e avventato.
I disordinati impulsi della borghesia tedesca, lanciatasi alla conquista dei mercati internazionali in gara con le più vecchie potenze industriali,e l’influenza dello Stato Maggiore non trovarono alcun freno nel Parlamento (Reichstag) privo di sostanziale potere e incapace di far evolvere in senso parlamentare la Costituzione bismarckiana. Tutto ciò finì per accrescere in Europa il già diffuso clima di sospetto e di diffidenza fomentato soprattutto da Gran Bretagna e Francia. Anche in Italia le correnti antigermaniche erano forti: i legami non soltanto formali che univani i due imperi centrali (Germania e Austria) li accomunavano nel risentimento dei nazionalisti (Trento e Trieste) e contrastavano con le tendenze filo-francesi di molti uomini politici, nonostante i formali rinnovi della Triplice Alleanza cui l’Italia si era legata quasi più per motivi di ordine interno che internazionale.
La lunga, sanguinosa guerra del 1914-1918 esasperò lo spirito antitedesco cui la ben concentrata campagna propagandistica degli alleati fornì nuovi spunti e nuovi motivi. Quando l’inevitabilità della sconfitta fu palese a tutti, i tedechi cercarono di uscirne nel migliore dei modi; fecero proprie le teorie idealistiche di Wilson, allontanarono l’imperatore accusandolo di aver trascinato il paese alla guerra, mentre uomini non compromessi con l’antico regime andarono al potere.
Ma né Clemenceau né Lloyd George (quest’ultimo alla vigilia delle elezioni) erano in grado di sostenere le idee di Wilson di fronte al Parlamento e all’opinione pubblica dei loro paesi, che reclamavano la punizione dei colpevoli. Le pesanti clausole del trattato di Versailles fecero piombare quindi il popolo tedesco nella più amara delusione. La Repubblica (Secondo Reich), detta “di Weimar”, nata dalle rovine imperiali, si trovò praticamente isolata in un’Europa che esigeva garanzie e riparazioni, mentre all’interno la disoccupazione e l’inflazione esasperavano le masse. Tuttavia, grazie a due notevoli uomini politici quali Ebert e Stresemann, la Germania sembrò infine avviarsi sulla strada della ripresa.
Ma i due uomini erano già scomparsi quando anche sulla Germania si abbatté la grande crisi economica del 1929; agitazioni sociali e demagogia ebbero di nuovo il sopravvento. Vecchie teorie razziste, furono rispolverate dai nazionalisti di destra (Hitler, Ludendorfd, Hugenberg ecc.) come rimedio dei mali tedeschi, unitamenta alla richiesta di una revisione delle clausole di Versailles. L’instabilità e la debolezza dei vari governi che si succedettero a Berlino finirono per convincere prima l’aristocrazia del denaro e quindi il presidente Hindenburg a offrire la carica di cancelliere a Hitler (1933).
Morto l’anno seguente Hindenburg, Hitler assommò in sé le due cariche dando l’avvio alla dittatura nazionalsocialista (Terzo Reich): ciò significò all’interno la soppressione degli altri partiti e la tirannia del partito unico oltre a un’ondata di furore antisemita che in dodici anni provocò lo sterminio di milioni di ebrei. Nel campo invece delle relazioni internazionali significò dapprima il riarmo unilaterale (1935), quindi la cancellazione delle garanzie di Locarno (1936), la violenta annessione dell’Austria e l’occupazione dei Sudeti (1938); infine lo smembramento della Cecoslovacchia e l’aggressione della Polonia (1939). Ebbe così inizio la seconda guerra mondiale che si concluse con l’immane catastrofe della Germania nel 1945. Con la rovina del Terzo Reich hitleriano la Germania, invasa dagli eserciti alleati, perdette i territori della Prussia orientale, divisi tra la Polonia e l’Unione Sovietica, e parte della Pomerania e dei Sudeti, cosicché il suo territorio si ridusse a 357.000 Km². Per quattro anni rimase divisa in “zone d’occupazione” amministrate dai comandanti degli eserciti occupanti (francese, britannico, statunitense, sovietico) senza alcuna possibilità di condurre una qualsiasi politica propria.
Ma l’inasprirsi della guerra fredda, culminata sul suolo tedesco con la riforma monetaria nelle zone occidentali e con il conseguente “blocco di Berlino” (giugno 1948-maggio 1949), portò dapprima alla divisione netta tra le zone governate dagli occidentali e quelle governate dai sovietici e, quindi, alla creazione ufficiale di due repubbliche caratterizzate da concezioni politiche ed economiche opposte: a est la repubblica Democratica Tedesca che si estendeva sino alla linea segnata dai fiumi Oder e Neisse; a ovest la Repubblica Federale di Germania, limitata a est dall’Elba e dalla Turingia.
Tra le “ due Germanie “, Berlino l’ex capitale subì una sorte analoga: un quartiere occupato dai sovietici, Pankow, divenne la capitale della Repubblica Democratica Tedesca, mentre quelli occupati dagli occidentali ebbero uni statuto speciale sotto il controllo di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Si formalizzò così una situazione che si sarebbe protratta per quarant’anni, costellata da tragici etisodi di intolleranza dei residenti nei confronti di quel “muro” eretto a separare fisicamente due gruppi appartenenti a una stessa nazionalità.
• Il muro di Berlino
Innalzato il 13 agosto 1961 per impedire la fuga di profughi da Berlino Est a Berlino Ovest, il “muro” per quasi trent’anni ha rappresentato il simbolo della spaccatura tra il mondo occidentale e quello comunista, che alla fine della Seconda guerra mondiale si erano divisi il territorio tedesco.
Alla fine degli anni Ottanta, con il crollo del comunismo in Europa, anche quel “muro” aveva perso la sua funzione. La sera del 9 novembre 1989 il portavoce del partito comunista della Germania Democratica dichiarò ufficialmente che i confini verso la Germania Federale e Berlino Ovest erano aperti.
La notizia venne accolta dalla popolazione con euforia: finalmente un popolo spaccato in due da una guerra perduta poteva riunirsi. E la gente andò in massa la sera del 22 dicembre 1989 alla grande festa dell’abbattimento del muro, a simboleggiare la fine di un periodo storico di contrapposizioni ideologiche, di tentativi di fuga spesso falliti e finiti nel sangue proprio su quel muro.
Nell’anno successivo il muro è stato completamente abbattuto, a eccezione

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