Storia delle olimpiadi

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Testo

Dellomonaco Alessandro 1^M 24.03.2003

Origine Secondo il mito, i giochi olimpici furono in origine in onore di Pelope, l’eroe leggendario che diede il nome al Peloponneso e che, stando alla tradizione era sepolto in quella località. Egli, richiedendo in sposa Ippodamia, figlia di Enomao, lo sfidò in una gara di cocchi che vinse, a scapito della morte di Enomao; i giochi, quindi, si ricollegano al mito della gara, nella quale non importava la vita o la morte ma unicamente la vittoria. Un’altra leggenda narra, invece, che il Re Ifito, sconfitti i Piasti e impadronitosi del vasto territorio dell'Elide comprendente il distretto di Pisa, decise di celebrare la vittoria facendo disputare una competizione sportiva.
Diffusione La 1ª Olimpiade ebbe luogo nel 776 a.C., imperniata su una sola gara, la corsa, vinta da un certo Coroibo. Questi Giochi si svolsero e si rivelarono un grande successo, con grande partecipazione di pubblico. Così, a grande richiesta, furono non solo ripetuti ma si aggiunsero altre prove. Le Olimpiadi antiche si svolgevano ogni quattro anni in un periodo imprecisato di fine estate, e rappresentavano un evento così importante che in loro onore persino le guerre venivano sospese.
Fino al 472 a.C. si svolgevano nell'arco di un giorno e i partecipanti provenivano dalle zone circostanti l'Elide (Arcadia, Laconia, Argolide, Acaia, Messenia); poi la durata dei Giochi fu portata a cinque giorni e furono organizzate, prima in una dimensione regionale peloponnesiaca, poi a una molto più vasta, di risonanza panellenica. Appositi araldi percorrevano grandi città d'altre regioni, anche lontane (Asia Minore, Magna Graecia, Vicino Oriente), per annunciare l'imminente svolgimento dei giochi.
Con tale attività promozionale e la risonanza che i Giochi andavano assumendo, per i preparativi e lo svolgimento, la manifestazione iniziò a coinvolgere molte persone e a interessare principi, re e governanti di altri stati. Anzi, quando iniziarono a partecipare loro stessi nelle gare, la vittoria in una disciplina iniziò a diventare un fatto nazionale, quindi politico, che coinvolgeva il prestigio del paese con il tifo "nazionalistico" dell'intera popolazione.
Diventata dunque famosa come manifestazione, iniziarono ad interessarsene anche i poeti, i letterati, i musicanti: per onorare i vincitori componevano e declamavano versi, che richiamarono l’attenzione degli organizzatori. Per scegliere quindi i migliori panegirici, istituirono dei concorsi che presto attirarono le migliori penne dei più famosi autori del mondo conosciuto. Dal concorso alla gara il passo fu breve: fu così che oltre che essere soltanto una competizione sportiva e una solennità religiosa, i Giochi si trasformarono in vere e proprie manifestazioni culturali, con gare di poesia, di eloquenza, di opere letterarie (es. Erodoto durante un’edizione presentò le sue Storie). Inoltre, le Olimpiadi hanno esercitato a lungo un potente fascino anche nel campo della pittura vascolare, che ritraeva i momenti più esilaranti o celebrativi.
I Giochi, dalla nascita, per 1169 anni vennero celebrati in continuazione, per un totale di 293 edizioni. Fu l'Imperatore Teodosio che nel 393 d.C. li soppresse, perchè i Giochi e tutte quelle manifestazioni, prima durante e dopo che seguivano (riti, balli, e feste di ogni genere, ma anche fiorenti palestre dove tutto l'anno si allenavano gli aspiranti neo campioni) li considerò tutte pagani. Compresa la danza, la musica e il poetare.
Calendario Prima dell'inizio dei giochi venivano inviati messaggeri sacri che ne annunciavano la prossima celebrazione invitando tutti i Greci a parteciparvi e proclamando la tregua sacra. Gli atleti, che dovevano essere di stirpe greca e di condizione libera e non aver subito alcuna condanna, giungev ano a Olimpia undici mesi prima dell'inizio dei giochi, per allenarsi sotto la sorveglianza degli elladonici, di cui ogni città ne inviava una delegazione ufficiale (teoria).
Il giorno della vigilia, partiva una staffetta che trasportava la fiaccola olimpica da Atene ad Olimpia, la sede della manifestazione e al momento dell’accensione del cero iniziavano i Giochi.
Il primo giorno dei Giochi, era dedicato alle varie cerimonie di apertura: riti e sacrifici in onore di Zeus Orchìo, libagioni in onore di Pelope e varie formalità preparatorie. I giochi veri e propri si svolgevano nei giorni seguenti (da 3 a 5), iniziando con l’ippica e l’atletica. In una giornata centrale, le gare subivano una pausa per consentire l’ekatombe, il sacrificio di cento buoi alle divinità. Poi seguivano le prove riservate ai giovanissimi, l’atletica e la lotta.
Il quinto giorno aveva luogo la proclamazione dei vincitori (olimpionikoi), che ricevevano una corona intrecciata con i rami dell'oleastro sacro portato, secondo la leggenda, da Eracle stesso dal paese degli Iperborei. Infine i giochi si concludevano con solenni sacrifici e con un banchetto offerto ai vincitori nel pritaneo.
Spirito La lingua greca ha una parola speciale per indicare l’atmosfera che regnava a Olimpia durante i giochi, “agone”: lotta, competizione in cui prevaleva l’aristos, il migliore. Nei Giochi, si esprimeva al massimo grado lo spirito competitivo e il desiderio, tipico dei greci, di mostrare il proprio valore e di conquistare l’onore (timè), ovvero, come recita un verso famoso dell’Iliade, di “essere sempre il migliore e superiore agli altri”. Non c’erano secondi e terzi premi per addolcire la sconfitta. Gli atleti, prima delle gare, invocavano Zeus di concedere loro il trionfo o la morte.
Agli elladonici, che sovrintendevano alle gare, bisognava dimostrare di non aver commesso delitti e di essesi allenati. E giurare di rispettare i regolamenti, cosa non scontata se lungo la strada per lo stadio erano disposte statue bronzee di Zeus, erette con i proventi delle multe imposte agli atleti, dei quali recavano il nome.
Vincitori La gloria dell'olimpionikos era immensa e si rifletteva sulla famiglia e sulla città che, al suo ritorno, l'accoglieva in trionfo, offrendogli un pubblico banchetto, durante il quale spesso veniva eseguito un canto (epinicio) composto in suo onore, erigendogli una statua e concedendogli il diritto alla proedria e al banchetto di chiusura. Il suo ritorno in patria avveniva su un carro trainato da cavalli bianchi, attraversando persino una breccia aperta per l’occasione nelle mura della città. Donava poi la propria corona al dio protettore, rendendo vincitrice la città stessa che lo ricompensava con banchetti, statue e inni.
La fama (diremmo oggi nazionalpopolare) di cui godeva tra la plebe, lo portava (veniva abilmente strumentalizzato dal furbo politico di turno) ad assumere cariche cittadine prestigiose, spesso con il rammarico, il disgusto e il disprezzo di uomini molto più dotti, capaci e votati - nella stessa città - alla politica da una vita. Ma "nel sentir della gente", come oggi afferma un politico in ascesa in Italia, quello era l'uomo più acclamato e votato, anche se aveva usato i piedi piuttosto che la testa per arrivare al governo o a pubbliche cariche che invece ambivano validi magistrati e legislatori. Uno dei casi clamorosi fu un "barbaro" dell’Armenia, di nome Varazdat, il quale, dopo aver vinto al pugilato, divenne addirittura re della sua gente.
Donne e bambini Alle Olimpiadi, le donne non potevano assistere, a eccezione della sacerdotessa di Demetra, divinità dispensatrice di fecondità, sorella di Zeus e particolarmente venerata nella zona. Per aggirare questo divieto, Kallipateira, allenatrice del figlio pugile Peisirrodo, si travestì da uomo. Ma nell’abbracciare il figlio vincitore, la veste si aprì; fu perdonata, ma da allora gli allenatori dovettero presentarsi nudi, così come gli atleti almeno dal V secolo a. C., da quando cioè Orsippo di Megara nella corsa dello stadio lasciò scivolare il gonnellino da atleta per correre più rapidamente. Il pudore mascolino dettava poi il divieto di assistere come spettatrici. Questo rigore cambiò con i tempi, ma rimase sempre l'intolleranza verso le donne sia come spettatrici e sia come partecipanti. Cinisca, nobile sorella di Agesilao re di Sparta, fu la prima donna che diede il primo esempio nel parteciparvi e anche con successo: guadagnò la vittoria nel corso dei carri tirati da quattro cavalli nel 376 a.C.
L’unica occasione in cui le donne potevano esprimersi in campo atletico erano le Heraia, gare di corsa dedicate alla dea Era, che si svolgevano tra un’Olimpiade e un'altra.
Quanto ai fanciulli, nelle prime edizioni era esclusa la loro partecipazione fino al 632 a.C., poi alla XXXVII edizione vi furono ammessi partecipando alle discipline tipicamente atletiche, escludendoli da quelle cruente, quelle che richiedevano grande perizia, come la corsa dei cavalli e dei carri, e dalle corse dette oplitiche che gli atleti svolgevano con le armature di guerra.
Stadio Lo stadio (lungo ad Olimpia 192,27 m) era di forma quadrangolare molto allungata, situato in genere su un terreno pianeggiante ma sottoposto a un pendio che ne costituiva un buon osservatorio; il lato corto, da cui avveniva la partenza, era rettilineo; l'altro lato corto presentava invece un andamento curvilineo. Sui lati maggiori costituivano elemento delimitante una zoccolatura in pietra o un parapetto o una serie di cippi lignei, che dividevano in parti il percorso; la larghezza media era di 30 m. Dispositivi di partenza, di cui sono state trovate tracce, favorivano lo scatto sincrono dei concorrenti. Gli spettatori, ospitati sul terreno circostante, trovavano posto su gradoni intagliati nella roccia o, come avvenne prevalentemente in età romana, su gradinate artificiali sorrette da volte e arcate.
Intrighi L'altra curiosità nei Giochi antichi era la sfida "dilettantistica"; ma gli sponsor non mancavano e non era assente la corruzione. La mercede e il lucro, cioè la mercificazione c'era e vi dimorava assai; servirsi delle insegne dello sport per scopi personali ed elettorali, anche questa era una deplorevole realtà nel costume greco e poi in quello romano. I Giochi interessarono sia la politica sia l'ambizione di qualche arricchito. La prima complicò i meccanismi con la sua organizzazione sempre più burocratica, mentre i secondi per i propri interessi i Giochi e gli atleti li mercificarono.
Ideologia I Giochi erano l’occasione in cui tutti i greci riconoscevano di appartenere a una cultura e a una civiltà comuni. I Giochi erano infatti “panellenici”, poiché i ‘non greci’ non erano ammessi alle gare. Questo risvolto nazionalistico non era solo un beneficio - diremmo oggi solo di "immagine" politica - ma era semmai l'aspetto sociale il fatto più importante e sostanziale da apprezzare e valutare; fu dunque preso in grande considerazione. La valutazione di una realtà oggettiva era la stessa quando, nel 1892, alla Sorbona, Fredi sostenne la sua tesi pedagogica. Ripropose lo sport e i giochi per l'educazione, affermando che in una società che stava andando verso la degenerazione, questa era il miglior rimedio contro i pericoli del sedentarismo, la pigrizia mentale e fisica dei giovani lasciati allo sbando.
Nel VII secolo a.C. in Grecia i problemi erano gli stessi, proprio identici. Due regioni, pur vicine, camminavano dentro la storia in un modo diverso. Nell'arco di un secolo i mutamenti nell'Attica (Atene) furono sconvolgenti, in campo culturale, economico, demografico e urbanistico delle città. Sparta (Peloponneso), invece volle rinchiudersi nel suo ideale conservatore, mantenendo intatto il caratte re guerriero e rude, con la sua vecchia costituzione aristocratica oligarchica. Si vide, pertanto, l'affermazione di Atene, dove l'intelligenza e l'abnegazione di un popolo "nuovo", unito, compensarono in abbondanza la mancanza della forza bruta che invece Sparta ostentava, poichè da due secoli gli Spartani pur apparentemente uniti non avevano una coscienza nazionale, erano rimasti all'organizzazione culturale e politica del gregge (al "credere, obbedire, combattere") guidato da un capo branco arcaico.
In Europa, dopo le parole di Fredi, accadde la stessa cosa nei successivi cinquant'anni. L'Inghilterra si ritrovò da sola a difendere l'Europa dalla dittatura, chiedendo ai suoi cittadini "lacrime e sangue". Pur essendo un'isola chiusa dal mare, la democrazia era aperta, percepita, lucida e consapevole; e riuscì a imporsi là, dove i super disciplinati "spartani" guerrieri fallirono, e là dove un altro emulo di Sparta aveva iniziato fin da bambini gli italiani (i figli della lupa) a usare il moschetto per essere un "guerriero" fascista perfetto.
Le specialità sportive
Corsa Era l'insieme delle discipline che furono alla base dei giochi olimpici. La prova fondamentale era la corsa dello stadio (stadiodromìa), misura che corrispondeva, secondo la leggenda a 600 orme del piede di Eracle o di Ifito, e in realtà, alla lunghezza del rettilineo dello stadio in cui si svolgeva (192,27 m): l’importanza di questa specialità è sottolineata dal fatto che il suo vincitore dava sempre il nome all’edizione delle Olimpiadi. A questa si affiancarono il diaulo (la distanza doppia) e il dolico, che si correva su una distanza tra i 7 e i 24 stadi: era la corsa degli hemerodromoi, messaggeri professionisti che correvano di città in città a portare notizie (un es. fu Filippide). Un altro genere era l’oplitodromìa, nella quale gli atleti correvano il diaulo indossando elmo, scudo e schinieri.
Ippica Ad Olimpia c’era pure l’hippodromòs, dove fece la sua comparsa il tethrippon, o corsa delle quadrighe, che, trainate da 4 cavalli, percorrevano 12 giri di circa 4 stadi ognuno. Solo i due cavalli interni erano aggiogati e, correndo in senso antiorario, il cavallo più forte era a destra. Fino a 40 quadrighe si disponevano su una pista larga 100 metri: nelle curve non mancavano spettacolari e tragici incidenti. Erano premiati i proprietari dei cavalli e non l’auriga. Le corse con i carri costituivano l’attrattiva più spettacolare.
Lancio del disco Specialità sportiva di antiche origini, tuttora si esegue con una mano sola da una pedana. Dopo una rotazione più o meno prolungata su se stesso, l'atleta lancia il disco il più lontano possibile: perché il lancio sia regolare, l'atleta non deve uscire dall'apposita pedana e il disco non deve cadere fuori dal settore utile.
Lancio del giavellotto Il giavellotto si lanciava infilando indice e medio in un laccio avvolto al centro (ankyle) che, srotolandosi, rendeva più precisa e stabile la traiettoria. Si ignora se vincesse il lancio più preciso rispetto a un bersaglio, il più lungo, o la combinazione dei due.
Lotta Numerose sono le testimonianze della considerazione in cui era tenuta la lotta presso i Greci: dagli eroi della leggenda, quali Milone di Crotone e Polidamante di Tessaglia, ai campioni di cui parla l'Odissea.
La lotta era vinta da colui che atterrava per la terza volta l’avversario o lo costringeva al ritiro, cosa che per orgoglio difficilmente avveniva; era gloriosa la vittoria akonitì (“senza toccare la polvere”), cioè con ritiro per manifesta inferiorità. Era assolutamente vietato l’uso di calci, morsi e pugni.
Più cruento era invece il pugilato, nel quale mani e polsi erano avvolti negli himantès, fasce di cuoio dotate di borchie e bottoni metallici: quando uno dei contendenti non moriva, era facile che restasse menomato in modo duraturo. Il primo vincitore olimpico fu Onomasto di Smirne; fra i migliori si ricordano Tissandro di Nasso, vincitore di quattro Olimpiadi consecutive, e Diagora di Rodi, capostipite di una famiglia di eccelsi campioni.
Per ovviare al continuo ripetersi di scorrettezze nella lotta e nel pugilato, fu cerato il pancrazio (dal gr. pankratès, “onnipotente”), un ibrido senza regole né divieti tranne graffiare, mordere e cavare gli occhi all’avversario.
Salto in lungo In questa specialità, c’era l’accompagnamento del flauto e l’uso degli haltères, pesi tra gli 1.5 kg e 4.5 kg che, stretti in mano, consentivano di compiere salti più lunghi. Le misure registrate in alcune citazioni sembrerebbero però impossibili: le migliori, attorno ai 50 piedi (ca. 15 metri), fanno pensare più al salto triplo, non però riportato in scritto e dipinti, e di certo non favorito dagli haltères.
Péntathlon Gara atletica comprendente cinque diverse prove: stadiodromìa, salto in lungo, lotta, lancio del disco e del giavellotto. Introdotta ben presto nei giochi olimpici, era considerata la prestazione atletica più completa in quanto esigeva non solo forza, ma anche grazia, agilità e destrezza.
Maratona Per comprendere perché una gara tanto lunga e faticosa affascini così tanta gente che, tutto sommato, non ha niente a che vedere con l'agonismo, dobbiamo rifarci ad un celebre avvenimento della storia antica. Nel 490 a. C., nella pianura di Maratona, nei pressi di Atene, fu combattuta l'omonima grande battaglia tra i Persiani e gli Ateniesi. In questo contesto si colloca la figura mitica dell'ateniese Filìppide, di professione hemeròdromos (capace di correre per un intero giorno, o più a lungo; molto importanti nella vita delle antiche città greche ed ancora più importanti per l'esercito, poiché rappresentavano generalmente i soli mezzi di comunicazione), il quale fu mandato prima della battaglia, a Sparta per chiedere aiuto. Corse, tagliando per le colline, per circa 250 chilometri, impiegando 2 giorni per poi tornare di nuovo indietro. Dopo la battaglia, infine, corse fino ad Atene, per 42 chilometri morendo nei pressi dell'Acropoli, probabilmente per la fatica (!), dopo aver annunciato la vittoria. In ricordo di Filìppide e del grande scontro in cui i Greci sconfissero i Persiani è stata inserita la gara di Maratona e Olimpiadi moderne: la corsa copre un tragitto di 42,195 km che sarebbe, secondo moderni calcoli, la distanza dal luogo della battaglia ad Atene, e più precisamente dal ponte di Maratona allo stadio Panathinaikos. Poi, con il passare degli anni, il rito si è ripetuto al di fuori delle Olimpiadi in un po’ tutte le città più importanti del mondo lasciando, come costanti fisse, il nome (Maratona) e la distanza (Km 42,195). La tradizione, per mezzo del rito, ripropone ogni volta il "mito". E il "mito"... è la vita. La maratona offre alle masse una possibilità di identificazione con l'angoscia e la bellezza dello sport poiché i concorrenti riuniscono mente e corpo in una prova definitiva delle loro risorse. Questa particolare gara fa in un certo senso di ogni replica una speciale commemorazione.
La rinascita

I Giochi rinacquero nel 1896 per iniziativa del barone parigino Pierre Fredi, barone di Coubertin. Un primo, sfortunato tentativo, era stato promosso dal mecenate greco Zapas nel 1859, ma non fu coronato da successo.
Fredi non era un uomo qualunque, ma un grande umanista fortemente impegnato a risolvere i problemi sociali del tempo, sensibile soprattutto - lui pedagogista all'Accademia di Francia - a quelli giovanili. Abbandonò il prestigioso insegnamento e si dedicò interamente all'educazione sportiva, sostenendo che lo sport era il miglior rimedio contro i pericoli di corruzione, sedentarismo, depravazione, pigrizia mentale e fisica dei giovani. Il 25 novembre del 1894 intervenne alla Sorbona in un congresso internazionale di organizzazioni sportive convocato a Parigi. Il suo discorso conquistò i rappresentanti delle 12 nazioni intervenute che votarono all'unanimità la rinascita delle Olimpiadi. Costituirono il comitato internazionale olimpico (CIO), e la prima manifestazione fu deciso che si sarebbe svolta ad Atene.
Nel 1896, era il 6 Aprile, all'inaugurazione dei giochi, fu per la prima volta eseguito anche un inno espressamente commissionato al poeta Costis Palamas e al musicista Spirou Samara, entrambi di nazionalità greca. L'inno con una strofa invocava lo "Spirito antico ed eterno, creatore della bellezza, della grandezza e della verità, discendi in mezzo a noi, brilla come la luce nella gloria della terra e del cielo...", cadde poi in disuso e, di Olimpiade in Olimpiade, ogni paese provvide a farne comporre o rielaborare uno per conto proprio. Ai primi giochi di Atene del 1896 erano presenti 13 nazioni e 285 concorrenti. Dieci i giochi di gara e nove gli sport in programma: atletica leggera, nuoto, canottaggio, scherma, ginnastica, lotta, pugilato, sollevamento pesi, ciclismo, tennis (le gare di canottaggio, non ebbero luogo per mancanza di iscrizioni). Nel 1904 fu la volta delle olimpiadi di St. Louis, caratterizzate da una abnorme proliferazione di gare. Seguirono, poi, ogni 4 anni sempre nuove e differenti edizioni della celebre manifestazione sportiva.
Con la ripresa dei giochi nel 1896 era nato anche Il CIO, di cui Pierre Fredi fu il fondatore nonchè il primo presidente. E' l'organismo cui compete la direzione del movimento olimpico e la regolamentazione dei giochi nel mondo intero, la scelta delle città che organizzano quadriennalmente i giochi, l'approntamento e l'aggiornamento dei programmi di gare. Il CIO ha sede a Losanna. Ad esso aderiscono 26 federazioni internazionali in rappresentanza di altrettanti sport olimpici, più altre 6 federazioni riconosciute, i cui sport non fanno peraltro parte del programma dei giochi olimpici.
Fredi, rilanciando l'idea, nel suo discorso alla Sorbona fra l'altro disse "…i Giochi sono la sede ideale di puro agonismo, di incontro fraterno tra tutti i popoli. Il libero scambio del futuro consisterà nell'invio dei nostri atleti in tutti i Paesi del mondo dove verranno organizzate gare (…). Il giorno in cui questo libero scambio sarà accettato dall'Europa e dal mondo, un grande passo sarà stato fatto per la causa della pace".
L'emblema olimpico è costituito da 5 anelli rappresentanti i cinque continenti (Oceania, Asia, Africa, Europa, America), e dal motto: " Citius, Altius, Fortius ". La bandiera olimpica, bianca, recante gli anelli e il motto, è stata adottata per la prima volta ai giochi di Anversa nel 1920.

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