Storia

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LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE.
Holdings: grandi consociazioni per il controllo finanziario di diverse imprese. Società finanziaria che detiene la maggioranza azionaria di un gruppo di imprese, controllandone l'attività.
Cartelli o pools: consorzi fra aziende dello stesso settore che si accordavano sulla produzione e sui prezzi. Accordi tra imprese operanti nello settore economico, o in settori economici complementari, allo scopo di stabilire i prezzi, la politica e le zone di vendita per monopolizzare il mercato.
Trusts: gruppo di imprese, soggette a unità di direzione, che esercita un potere monopolistico eliminando o limitando la concorrenza e controllando in tutto o in parte rivelante il mercato.
Capitalismo finanziario: fra banche e imprese si venne a creare uno stretto rapporto di compenetrazione: le imprese dipendevano sempre più dalle banche, che gli fornivano il capitale per il loro sviluppo, e le banche legavano in misura crescente le loro fortune a quelle delle imprese.
Hertz: onde elettromagnetiche; Guglielmo Marconi: telegrafia senza fili; Rontgen: raggi X; Alfred Nobel: dinamite; Robert Dunlop: pneumatico; Daimler e Benz: motore a scoppio; Diesel: motore a nafta; Edison: lampadina elettrica; Meucci e Bell: telefono; Fratelli Lumiere: cinematografo; Koch e Pasteur: bacilli del colera e della tubercolosi.
Catena di montaggio: innovazione rivoluzionaria che consentiva di ridurre notevolmente i tempi di lavoro, ma, frammentando il processo produttivo in una serie di piccole operazioni, ciascuna affidata ad un singolo operaio, rendeva il lavoro ripetitivo e spersonalizzato.
Taylorismo: il metodo di Taylor si basava sullo studio sistematico del lavoro in fabbrica, sulla rivelazione dei tempi standard necessari per compiere le singole operazioni e sulla fissazione, in base ad essi, di regole e ritmi cui gli operai avrebbero dovuto uniformarsi, eliminando le pause ingiustificate gli sprechi di tempo.
IL DOPOGUERRA IN EUROPA.
Biennio rosso. Durante il biennio rosso (1918-20), alimentate dalle vicende russe, si verificarono ondate di lotte operaie che portarono alla formazione di consigli operai, che scavalcavano le organizzazioni tradizionali dei lavoratori, e che sull'esempio dei soviet russi, si proponevano come rappresentanze dirette del proletariato e come organi di governo della futura società socialista. L'ondata rossa si manifestò nei singoli paesi in modo differente: in Francia e in Gran Bretagna, le classi dirigenti riuscirono a contenere le pressioni del movimento operaio; in Germania, Austria e Ungheria, vi furono veri e propri tentativi rivoluzionari, che furono rapidamente stroncati. Ciò che era stato possibile in Russia no fu possibile negli altri paesi europei: dove borghesia e capitalismo non erano stati abbattuti, ma piuttosto trasformati dalla guerra, e dove lo stesso movimento operaio era legato ad una ormai lunga esperienza di azione pacifica all'interno delle istituzioni.
La rivoluzione nell'Europa centrale. Alla fine della guerra, in Germania, il governo legale era esercitato da un Consiglio dei commissari del popolo presieduto dal socialdemocratico Ebert e composto esclusivamente da socialisti. Ma nella città i veri padroni della situazione erano i consigli degli operai e dei soldati. Il 5-6 gennaio 1919, centinaia di berlinesi scesero in piazza per protestare contro la deposizione di un esponente della sinistra dalla carica di capo della polizia della capitale. I dirigenti spartachisti e alcuni leader indipendenti diffusero un comunicato che incitava i lavoratori a rovesciare il governo. Durissima fu la reazione del governo socialdemocratico, che schiacciò nel sangue l'insurrezione berlinese. Il 19 gennaio si tennero l'elezioni per l'Assemblea costituente.
I socialdemocratici non riuscirono ad ottenere la maggioranza assoluta, dovevano cercare l'accordo, quindi, con i cattolici del Centro o i partiti liberali.
L'accordo fra i socialisti, cattolici e democratici rese possibile l'elezione di Ebert alla presidenza della Repubblica, la formazione di un governo di coalizione a direzione socialdemocratica, e il varo della costituzione repubblicana di Weimar. Una costituzione democratica, che prevedeva il mantenimento della struttura federale dello Stato, il suffragio universale maschile femminile, un governo responsabile di fronte al Parlamento e un presidente della Repubblica eletto dal popolo. Nonostante ciò l'opposizione di destra si fece sentire, soprattutto sui socialdemocratici, infatti, nell'elezioni del giugno 1920 la Spd subì una secca sconfitta e dovette cedere la guida del governo ai cattolici del Centro.
In Austria, furono i socialdemocratici, forti soprattutto nella capitale, a governare il paese nella difficile fase del trapasso di regime, mentre i comunisti tentarono, senza fortuna, la carta dell'insurrezione. Nel 1920, però, le elezioni videro prevalere il voto clericale e conservatore delle campagne e la maggioranza assoluta andò al Partito cristiano-sociale.
In Ungheria, dopo un esperimento durato quattro mesi di repubblica sovietica, si instaurò un regime autoritario guidato da Horthy e sorretto dalla Chiesa e dai grandi proprietari terrieri: prima applicazione di un modello destinato a incontrare notevole fortuna nei paesi dell'Europa orientale negli anni fra le due guerre mondiali.
La crisi del dopoguerra e il biennio rosso in Italia.
Dopo la guerra la classe dirigente liberale si trovò sempre più contestata e isolata; risultarono invece favorite quelle forze socialiste e cattoliche, che si consideravano estranee alla tradizione dello Stato liberale, che non erano compromesse con le responsabilità della guerra e che interpretavano meglio le nuove dimensioni assunte dalla lotta politica.
Nel gennaio del 1919 i cattolici diedero vita ad una nuova formazione politica che prese il nome di Partito popolare italiano (Ppi). Il nuovo partito che ebbe il suo primo segretario in don Luigi Sturzo, si presentava con un programma di impostazione democratica e, pur ispirandosi alla dottrina cattolica, si dichiarava laico e aconfessionale. In realtà il Ppi era strettamente legato alle strutture organizzative del mondo cattolico e in esso confluirono sia gli eredi della democrazia cristiana e delle leghe bianche, sia gli esponenti delle correnti clerico-moderate, preoccupati di opporre un argine alla minaccia socialista. Schiacciante, nel partito socialista, era la prevalenza della sinistra, ora chiamata massimalista. I massimalisti, sotto il leader Serrati, si ponevano come obiettivo immediato l'instaurazione della repubblica socialista fondata sulla dittatura del proletariato e si dichiaravano ammiratori entusiasti della rivoluzione bolscevica.
Dal punto di vista degli equilibri internazionali, l'Italia era uscita dalla guerra nettamente rafforzata. Non solo aveva raggiunto i confini naturali, ma aveva visto scomparire dalle sue frontiere il nemico asburgico. Ma si erano andati a creare alcuni problemi, infatti, l'Italia con il Patto di Londra aveva ottenuto la Dalmazia, in prevalenza abitata da slavi, e aveva perso la città di Fiume, dove risiedevano soprattutto italiani. Dopo il fallimento del tentativo di annessione di Orlando e Sonnino, il governo fu affidato a Nitti, sotto il quale D'Annunzio capeggiò un gruppo di volontari e militari e riuscì a conquistare la città di Fiume.
Le prime elezioni politiche del dopoguerra, nel novembre del 1919, furono le prime tenute col metodo della rappresentanza proporzionale con scrutinio di lista: metodo che prevedeva il confronto far le liste di partito e assicurava alle varie liste un numero di seggi proporzionali ai voti ottenuti. L'esito fu disastroso per la vecchia classe dirigente dei gruppi liberal-democartici. I socialisti si affermarono come primo partito, seguiti dai popolari.
Indebolito dall'esito dell'elezioni, Nitti perse il governo, che fu affidato nel 1920 a Giolitti, ormai ottantenne. I risultati più importanti il governo li ottenne in politica estera, firmando, nel novembre 1920, il trattato di Rapallo , con la Jugoslavia. L'Italia conservò Trieste, Gorizia e tutta l'Istria. La Jugoslavia ebbe la Dalmazia, tranne Zara; Fiume fu dichiarata città libera. D'Annunzio organizzò una mini resistenza che fallì quando le truppe regolari attaccarono la città.
Molto più serie furono le difficoltà incontrate da Giolitti in politica interna: i conflitti sociali conobbero il periodo di maggior tensione con l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai, organizzata dalla Fiom, come risposta agli industriali intransigenti del settore. La situazione si risolse con un accordo favorito dallo stesso Giolitti.
Ma le correnti più radicali del movimento operaio, in particolare il gruppo torinese capeggiato da Gramsci, accusavano i capi riformisti della Cgl di aver sacrificato le prospettive rivoluzionarie in cambio di un accordo sindacale.
Al congresso del partito, che si tenne a Livorno nel gennaio 1921, la minoranza di sinistra abbandonò il Psi per formare il Partito comunista. Il nuovo partito nasceva con un programma rigorosamente leninista, proprio nel momento in cui la prospettiva rivoluzionaria andava svanendo in tutta Europa e in Italia cominciava a montare l'ondata della riscossa borghese.
Nascita e avvento del fascismo.
Il movimento fascista era nato a Milano nel marzo del 1919, quando Benito Mussolini aveva fondato i Fasci di combattimento. Il nuovo movimento chiedeva audaci riforme
politiche e sociali, ma nel contempo ostentava un acceso nazionalismo e una feroce avversione nei confronti dei socialisti. Tra la fine del '20 e l'inizio del '21, il movimento subì un rapido processo di mutazione che lo portò ad accantonare l'originario programma radical-democratico, a fondarsi su strutture paramilitari (le squadre d'azione) e a puntare le sue carte su una lotta spietata contro il movimento socialista, in particolare contro le organizzazioni contadine della Valle Padana.
Il 21 novembre 1920 a Bologna i fascisti si mobilitarono per impedire la cerimonia di insediamento della nuova amministrazione comunale socialista. Per un tragico errore, i socialisti incaricati di difendere la sede del comune, spararono sulla folla composta in gran parte da loro sostenitori. Da ciò i fascisti trassero pretesto per scatenare una serie di ritorsioni antisocialiste. I proprietari terrieri scoprirono nei Fasci lo strumento capace di abbattere il potere delle leghe e cominciarono a sovvenzionarli generosamente. L'offensiva squadrista aumentò il numero dei suoi partecipanti e riuscì senza difficoltà ad imporre il proprio potere.
Giolitti guardò con buon occhio lo sviluppo del fascismo, pensando di servirsene per ridurre a più miti pretese i socialisti e di poterlo in seguito costituzionalizzare assorbendolo nella maggioranza liberale.
Gli inserimenti nei blocchi nazionali, nell'elezioni del maggio 1921, diede al fascismo una completa legittimazione. Dopo l'elezioni, il governo passò da Giolitti a Bonomi, che tentò di rappacificare la situazione con un teorico patto di pacificazione tra socialisti e fascisti. L'accordo però fu osteggiato dai fascisti intransigenti che si riconoscevano nello squadrismo agrario e nei suoi capi locali, detti ras. Al congresso dei Fasci tenuto a Roma i primi di novembre, Mussolini sconfessò il patto di pacificazione e i ras riconobbero la sua guida politica, accettando la trasformazione del movimento fascista in un vero e proprio partito, il Partito nazionale fascista (Pnf).
Con la costituzione del governo Facta nel 1922, l'agonia dello stato liberale entrò nella sua fase culminante. La scarsa autorità politica del nuovo governo finì col dare ulteriore spazio alla dilagante violenza squadrista. Profittando della debolezza dei gruppi socialisti, il fascismo si rese protagonista di imprese sempre più clamorose, culminate nella risposta allo sciopero legalitario dell'agosto '22.
Mentre trattava con i principali leader liberali per una partecipazione al governo, Mussolini lasciò che le milizie fasciste si preparassero per un colpo di Stato. Il successo della marcia su Roma (28 ottobre '22) fu reso possibile solo dal rifiuto del re di firmare lo stato d'assedio. Il nuovo governo Mussolini preparava la fine dello Stato liberale e l'inizio di un nuovo regime.
La stabilizzazione moderata in Francia e in Gran Bretagna . Il biennio rosso si concluse con il riflusso delle agitazioni operaie ed una ripresa delle forze moderate. La Francia degli anni '20 vide sul piano politico un'egemonia dei moderati, cui si accompagnò una sensibile ripresa economica.
Più difficile fu la situazione dell'economia britannica, caratterizzata da una fase di ristagno per tutti gli anni '20. Trovando sempre maggiori difficoltà a mantenere le responsabilità relative al suo ruolo di nazione imperiale, la Gran Bretagna si orientò verso un graduale allentamento dei vincoli politici con i territori di oltremare.
Nel 1926 i dominions bianchi furono associati al Commonwealth britannico, libera federazione di Stati che sarebbe servita in futuro ad assicurare il mantenimento di una serie di legami economici e istituzionali fra la Gran Bretagna e le sue ex colonie.
In questo periodo il partito laburista, guidato da Mac Donald si affermò come secondo partito del paese (nonostante la secca sconfitta subita dal movimento sindacale nel '26).
La Repubblica di Weimar. La situazione politica della Repubblica di Weimar era caratterizzata da una forte instabilità politica; l'opinione pubblica borghese, in particolare, nutriva diffidenza per un sistema democratico che considerava indissolubilmente associato alla sconfitta e all'obbligo delle riparazioni. All'inizio del '23, Francia e Belgio occuparono la Ruhr, regione vitale per l'economia tedesca. In Germania la crisi precipitò e l'inflazione raggiunse livelli impensabili. Vi furono tentativi insurrezionali da parte dell'estrema sinistra ad Amburgo e dell'estrema destra (putsch di Monaco, capeggiato da Hitler nel novembre '23). A partire dall'estate il governo Stresemann avviò una politica di stabilizzazione monetaria e di riconciliazione con la Francia. Grazie al piano elaborato dal finanziere Dawes del 1924, la Germania poté fruire di prestiti internazionali (soprattutto statunitensi), che le avrebbero consentito una rapida ripresa economica.
Con il piano Dawes iniziava una fase di distensione, confermata dagli accordi di Locarno del 1925, che consistevano nel riconoscimento da parte di Germania, Francia e Belgio delle frontiere comuni tracciate a Versailles e nell'impegno di Gran Bretagna e Italia a farsi garanti contro eventuali violazioni. La Francia otteneva così una garanzia internazionale ai suoi confini. La Germania accettava di perdere l'Alsazia-Lorena, ma manteneva i suoi confini orientali. Questa fase si interruppe alla fine del decennio in coincidenza della crisi economica.
Regimi autoritari nell'Europa degli anni '20.
Regimi autoritari sorsero, negli anni '20, in vari paesi dell'Europa centro-orientale (Ungheria, Polonia, stati balcanici), nonché in Portogallo e in Spagna. Tutti questi erano comunque regimi autoritari di stampo tradizionale, piuttosto che fascisti. Nel 1920 in Turchia iniziò la lotta di riscossa nazionale guidata da Mustafà Kemal (detto Ataruk), che avrebbe successivamente finalizzato la sua politica ad una modernizzazione del paese.
ECONOMIA E SOCIETA' NEGLI ANNI 30.
Gli Stati uniti e il grande crollo del '29.
Gli anni '20 furono per gli Stati Uniti un periodo di prosperità che influì sulla stessa vita quotidiana degli americani (con la diffusione dell'automobile e degli elettrodomestici). La borghesia americana cercava facili guadagni nella speculazione borsistica. Il crollo della borsa di New York (ottobre 1929) fu a un tempo la spia di un malessere economico preesistente e la causa di ulteriori fenomeni di crisi. Negli Stati Uniti molte aziende
dovettero chiudere. Le misure protezionistiche adottate subito in Usa provocarono una brusca contrazione del commercio internazionale. La crisi economica si diffuse in tutto il mondo.
In Europa una grave crisi finanziaria culminò con la sospensione della convertibilità della sterlina. Scarso successo ebbero le politiche di austerità perseguite dai governi, che finirono con l'aggravare la crisi in corso.
Roosevelt e il New Deal.
Nel novembre del 1932 divenne presidente degli Stati Uniti il democratico F.D. Roosevelt.
Nella politica economica e sociale voleva intraprendere un nuovo corso (New Deal): un nuovo stile di governo che si sarebbe caratterizzato soprattutto per un più energico intervento dello Stato nei processi economici. La nuova politica fu subito avviata con una serie di provvedimenti, atti a fermare la crisi: fu ristrutturato il sistema creditizio, sconvolto da 5.000 fallimenti bancari che avevano polverizzato i risparmi di milioni di americani; fu svalutato il dollaro per rendere più competitive le esportazioni; furono aumentati i sussidi di disoccupazione e furono concessi prestiti per consentire ai cittadini indebitati di estinguere le ipoteche sulle case. Negli anni successivi il governò potenziò ulteriormente l'iniziativa statale: varando vasti programmi di lavori pubblici, una riforma fiscale, una legge sulla sicurezza sociale.
Il nuovo ruolo dello Stato. Un po' in tutti i paesi la grande crisi finì col far adottare nuove forme di intervento dello Stato in campo economico, che giunsero a configurare una forma di capitalismo diretto. Quanto i governi fecero solo empiricamente, fu sottolineato dall'economista Keynes, che riteneva che i meccanismi spontanei del capitalismo non fossero in grado di consentire da soli un'utilizzazione ottimale delle risorse, per cui attribuì allo Stato il compito di accrescere il volume della domanda effettiva manovrando in senso espansivo la spesa pubblica. Questa poteva esser finanziata con il ricorso ai deficit di bilancio e con l'aumento della quantità di moneta in circolazione.
Negli anni '30 si accelerò il processo di urbanizzazione, che comportò un boom edilizio. Nei paesi europei si verificò proprio durante la grande crisi uno sviluppo di quei consumi di massa che si erano affermati in Usa negli anni '20. Grande diffusione ebbero, la radio e il cinema, che divennero elementi caratteristici della società di massa. Mezzi di svago, di informazione, ma anche di propaganda, essi contribuirono ad accentuare il lato spettacolare della politica.
Negli anni '20 e '30 vennero fatte alcune scoperte scientifiche destinate a segnare la storia del nostro secolo: anzitutto quella dell'energia nucleare ( che avrebbe portato alla costruzione della bomba atomica). Sul piano delle applicazioni belliche della scienza, sono da ricordare i grandi sviluppi dell'aeronautica.

L'ITALIA FASCISTA.
La costruzione dello Stato fascista. Una volta al potere, Mussolini attuò una politica autoritaria (soprattutto contro il movimento operaio) e creò nuovi istituti (il Gran consiglio del fascismo e la Milizia) incompatibili con i principi liberali. Al tempo stesso continuò a collaborare con forze politiche non fasciste. Oltre all'appoggio di liberali e cattolici, Mussolini poteva valersi di quello del potere economico, nonché del sostegno della Chiesa, che vedeva nel fascismo un baluardo contro la minaccia socialista. Un ulteriore rafforzamento il fascismo ottenne con le elezioni del '24, tenute secondo la nuova legge maggioritaria: da esse le opposizioni uscirono notevolmente ridimensionate.
Nel giugno del '24 il deputato Matteotti, che aveva denunciato alla Camera i brogli e le violenze commesse dai fascisti in occasione dell'elezioni, fu assassinato da un gruppo di squadristi. L'ondata di sdegno che ne seguì fece vacillare il potere di Mussolini. Ma le opposizioni, che abbandonarono la Camera (secessione dell'Aventino), erano troppo deboli per mettere in crisi il governo. Col duro discorso del 3 gennaio '25, Mussolini riacquistò il controllo della situazione. Tra il '25 e il '26 si consumò la fine dello Stato liberale: fascistizzazione della stampa, persecuzione degli antifascisti, rafforzamento dei poteri del capo del governo, legge per la difesa dello Stato (che tra l'altro istituiva il tribunale speciale), scioglimento di tutti i partiti (tranne quello fascista).
Il totalitarismo imperfetto. Nel regime fascista l'organizzazione dello Stato e quella del partito venivano a sovrapporsi. Fu la prima però ad avere la prevalenza, mentre la funzione del Pnf, sempre più burocratizzato, fu quella di occupare la società civile, soprattutto attraverso le sue organizzazioni collaterali. Un primo limite ai propositi totalitari del regime era rappresentato dalla Chiesa, la cui influenza venne espressamente riconosciuta coi Patti lateranensi (1929).
I Patti si articolavano in tre parti distinte: un trattato internazionale, con cui la Santa Sede riconosceva lo stato italiano e la sua capitale, vedendosi riconosciuta la sovranità su Città del Vaticano; una convenzione finanziaria, con cui l'Italia si impegnava a pagare al papa una forte indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontificio; infine un concordato, che regolava i rapporti interni fra la Chiesa e il Regno d'Italia, intaccando sensibilmente il carattere laico dello Stato. I patti rappresentarono per il fascismo, anche un successo politico, sancito dal plebiscito di quello stesso anno. Altro limite ai propositi totalitari era la presenza del re quale massima autorità dello Stato.
Il regime e il paese.
Negli anni del fascismo, nonostante l'aumento dell'urbanizzazione e degli addetti all'industria e ai servizi, la società italiana restava notevolmente arretrata. La fascistizzazione perseguita dal regime poté realizzarsi solo in parte: il fascismo riuscì ad ottenere il consenso della piccola e media borghesia, ma solo in misura limitata e superficialmente quello delle classi popolari (queste ultime videro diminuire i loro salari e i loro consumi).
Il regime cercò di esercitare uno stretto controllo nell'ambito della scuola e della cultura. Soprattutto si impegnò nel campo dei mezzi di comunicazione di massa, consapevole della loro importanza ai fini del consenso. La radio e il cinema furono, così, sia strumenti di propaganda sia mezzi di semplice intrattenimento.

Il fascismo e l'economia. Il fascismo non costruì un nuovo sistema economico: il modello corporativo rimase infatti sulla carta. Sul piano della politica economica, si passo nel'25 da una linea liberista ad una protezionistica e di maggior intervento statale. La battaglia del grano doveva servire al raggiungimento dell'autosufficienza cerealicola, la rivalutazione della lira (quota novanta) aveva il compito di dare al paese un'immagine monetaria. Di fronte alla crisi del '29, il regime reagì attraverso una politica di lavori pubblici (bonifica delle Paludi Pontine) e di intervento diretto dello Stato in campo industriale e bancario. Con l'Iri lo Stato diventò il proprietario di alcune fra le maggiori imprese italiane. Superata la crisi, il fascismo indirizzò l'economia verso la produzione bellica.
L'imperialismo fascista e l'impresa etiopica. Fino ai primi anni '30 le aspirazioni imperiali, connaturate all'ideologia del fascismo, rimasero vaghe. L'aggressione all'Etiopia (1935) mutò bruscamente la posizione internazionale del regime. Se l'impresa costituì per Mussolini un grosso successo politico essa significò una rottura con le potenze democratiche. Questa rottura fu accentuata dall'intervento nella guerra civile spagnola e dal riavvicinamento alla Germania (sancito nel '36, dall'Asse Roma-Berlino). Tale riavvicinamento era concepito da Mussolini come mezzo di pressione su Francia e Inghilterra: si risolse invece, con la firma del patto d'acciaio (1939), in una subordinazione alle scelte di Hitler.
L'Italia antifascista. In Italia la maggioranza degli antifascisti rimase in una posizione di silenziosa opposizione. I comunisti, invece, si impegnarono, con scarsi risultati, nell'agitazione clandestina; sulla stessa linea si mosse il gruppo di Giustizia e Libertà, di indirizzo liberal-socialista. Gli altri gruppi in esilio all'estero (socialisti, repubblicani, democratici) svolsero soprattutto un'opera di elaborazione politica in vista di una sconfitta del regime che l'antifascismo non era in grado di provocare. Nonostante questa debolezza, l'importanza dell'antifascismo risiedette nella funzione di testimonianza e di preparazione dei quadri e delle piattaforme politiche della futura Italia democratica.
Apogeo e declino del regime fascista. Il consenso ottenuto dal regime cominciò a deteriorarsi dopo l'impresa etiopica. La politica dell'autarchia, finalizzata all'obiettivo dell'autosufficienza economica in caso di guerra, ottenne solo parziali successi e suscitò un diffuso malcontento. L'avvicinamento alla Germania e la politica discriminatoria nei confronti degli ebrei suscitarono timori e dissensi nella maggioranza della popolazione. Soltanto fra le nuove generazioni il disegno mussoliniano di trasformare in senso fascista la vita e la mentalità degli italiani ottenne qualche successo.

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