Seconda guerra mondiale

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Testo

Seconda guerra mondiale
Nel 1931 invadendo la Monciuria e uscendo poi dalla società delle Nazioni il Giappone diede un primo colpo alla politica di sicurezza collettiva.I colpi decisivi furono però portati da Hitler e Mussolini.Nel 1933 Hitler fece abbandonare anche la Germania dalla Società delle Nazioni e nel 1934 minacciò di annettersi all’Austria suscitando l’opposizione di Mussolini che era il padre della società delle N azioni,che aveva lo scopo di garantire la pace.Ma l’anno seguente fù proprio Mussolini a minare la pace Europea attaccando l’Etiopia e fare una colonia di popolamento.Dopo la vittoria di Hitler la terza comunista che aveva sottovalutato il fascismo capi’ la pericolosità del nazionalsocialismo e invito i partiti comunisti a promuovere la formazione di alleanze con tutte le forze della sinistra.Essi vinsero le elezioni sia in Francia,sia in Spagna,qui però la desta reagi’ Con un colpo di stato militare promosso dal generale Francisco Franco.Ebbe inizio cosi’ una sanguinosa guerra civile,Italia e Germania si schierarono con Franco,mentre Francia e Inghilterra proclamavano il principio di non intervento e l’Unione Sovietica mandava aiuti limitati,dopo tre anni di sanguinosa guerra civile Franco riusci’ prevalere .In Francia i partiti del fronte popolare formarono un governo guidato da Leon Blum che incontrò molte difficoltà. I contrasti sulla linea economica e sull’aiuto da dare al governo Spagnolo provocarono la fine del fronte popolare.Fuori dall’Europa c’era guerra in Estremo Oriente,nel Giappone si era verificata una svolta autoritaria e il governo aveva dato l’inizio a una politica di espansione in Cina,dove si stavano combattendo i Nazionalisti guidati da Sa Yat-Sen e i comunisti.Alla loro testa c’era Mao Zedan il quale aveva capito che in Cina,per fare la rivoluzione,occorreva fare leva sui contadini.In quegli anni nel mondo si rafforzavano e nacquero regimi autoritari peraltro molto diversi tra loro:da quello Giapponese che riconosceva il suo vertice nell’ imperatore,ai regimi a base populista del Brasile e Messico. Non vi sono dubbi sul fatto che a provocare il conflitto fu la politica di conquista e di aggressione della Germania nazista. Anche se ciò non significa che le altre potenze fossero immuni da errori o da colpe. Le democrazie occidentali si erano illuse, a Monaco, di aver placato la Germania con la cessione dei Sudati. In realtà Hitler aveva pronti i piani per l’occupazione della Boemia e della Moravia, ossia della parte più popolosa e più sviluppata della Cecoslovacchia. L’operazione scattò nel marzo 1939: mentre la Slovacchia si proclamava indipendente con l’appoggio dei tedeschi, Hitler dava vita al protettorato di Boemia e Moravia, facente parte integrante del Grande Reich. La distruzione dello stato cecoslovacco determinò una svolta nell’atteggiamento delle potenze occidentali. Un patto d’assistenza militare fu stipulato da Inghilterra e Francia con la Polonia, che costituiva il primo obbiettivo delle mire espansive tedesche: Hitler aveva infatti rivendicato il possesso di Danzica e il diritto di passaggio attraverso il corridoio che univa la città al territorio polacco. L’alleanza fra Inghilterra, Francia e Polonia costituiva una risposta a queste minacce; e significava che le potenze occidentali erano disposte ad affrontare anche la guerra pur di impedire che la Polonia subisse la sorte della Cecoslovacchia. La contrapposizione fra la Germania e gli anglo-francesi tolse ogni residuo spazio di manovra all’Italia. Mussolini cercò dapprima di contrapporre alle iniziative di Hitler una propria iniziativa unilaterale: l’occupazione del piccolo regno d’Albania. L’operazione ebbe il solo risultato di accrescere la tensione fra l’Italia e le democrazie occidentali. Nel maggio del 1939 Mussolini, pur sapendo che l’Italia non era preparata militarmente a un conflitto europeo, decise di stipulare con la Germania una vera e propria alleanza militare (il patto d’acciaio). Il patto stabiliva che, se una delle due parti si fosse trovata impegnata in un conflitto, l’altra sarebbe stata obbligata a scendere in campo al suo fianco. Nel frattempo si arenavano le trattative tra la coalizione antitedesca e l’Urss. Anzi i sovietici, essendosi convinti che i governi occidentali non avevano intenzione di offrire nulla in cambio dell’aiuto russo, cominciarono a prestare maggiore attenzione alle offerte di intesa che giungevano da parte di Hitler. Il 23 agosto 1939, i ministri degli esteri tedesco e sovietico, firmarono a Mosca un patto di non aggressione fra i due paesi. Si trattò di un gesto di spregiudicato realismo, che assicurava ad ambo le parti considerevoli vantaggi. L’Urss otteneva, mediante un protocollo segreto, un riconoscimento delle sue aspirazioni territoriali nei confronti degli Stati baltici, della Romania e della Polonia. Dal canto suo Hitler era costretto a modificare la sua strategia di fondo, rinviando lo scontro col nemico storico, la Russia sovietica; ma intanto poteva risolvere la questione polacca senza correre il rischio della guerra su due fronti. Il 1° settembre 1939, le truppe tedesche attaccavano la Polonia. Il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiaravano guerra alla Germania, mentre l’Italia, il giorno stesso dello scoppio delle ostilità, aveva proclamato la sua non belligeranza, giustificando l’inadempienza del patto d’acciaio con l’impreparazione ad affrontare una guerra di lunga durata. La seconda guerra mondiale cominciava così come una continuazione, o una replica, della prima. Molto simili erano la posta in gioco e le cause di fondo: il tentativo della Germania di affermare la propria egemonia sul continente europeo e la volontà di Gran Bretagna e Francia di impedire quest’affermazione. Rispetto al primo conflitto mondiale, il secondo vide inoltre accentuarsi il carattere totale della guerra. Lo scontro ideologico fra i due schieramenti fu piuttosto aspro e radicale, e dunque più ampia fu la mobilitazione dei cittadini con o senza uniforme. Nuove tecniche di guerra e nuove armi furono impiegate anche fuori dai campi di battaglia e le conseguenze sulle popolazioni civili furono più tragiche che in qualsiasi guerra del passato.
Le prime settimane di guerra furono sufficienti alla Germania per sbarazzarsi della Polonia e per offrire al mondo un’impressionante dimostrazione d’efficienza bellica. Fu questa la prima applicazione della guerra-lampo, un nuovo metodo di guerra che si basava sull’uso congiunto dell’aviazione e delle forze corazzate, affidando a queste ultime il peso principale dell’attacco. Frattanto i russi, i base alle clausole segrete del patto Molotov-Ribbentrop, si impadronivano delle regioni orientali del paese. La Repubblica polacca cessava così di esistere, senza aver nemmeno ricevuto alcun aiuto dagli alleati occidentali. Per i successivi sette mesi, la guerra ad occidente restò come congelata. L’Europa visse una fase di trepida attesa che i francesi chiamarono “drôle de guerre” (strana guerra o guerra per finta). Mentre le armi tacevano sul fronte occidentale, il teatro di guerra si spostava inaspettatamente nell’Europa del Nord. Questa volta fu l’Urss a prendere l’iniziativa, attaccando il 30 novembre la Finlandia, che oppose però un’accanita resistenza. Solo nel marzo ’40 la Finlandia dovette cedere alle richieste sovietiche d’espansione territoriale, ma conservò la sua indipendenza. A questo punto fu di nuovo la Germania a cogliere tutti di sorpresa e a prevenire ogni eventuale mossa anglo-francese nel Nord-Europa lanciando, il 9 aprile 1940, un improvviso, incontenibile attacco alla Danimarca e alla Norvegia. Nella primavera del ’40 Hitler controllava l’attacco a occidente.
L’offensiva tedesca sul fronte occidentale, ebbe inizio il 10 maggio 1940 e si risolse nel giro di poche settimane in un nuovo travolgente successo. A provocare la sconfitta furono soprattutto gli errori dei comandi francesi. Infatti, come nel 1914, i tedeschi iniziarono l’attacco violando la neutralità dei piccoli Stati confinanti. Questa volta oltre al Belgio, furono invasi anche l’Olanda e il Lussemburgo. Fra il 12 e il 15 maggio, dopo aver attraversato velocemente la foresta delle Ardenne i reparti corazzati tedeschi sfondarono le linee nemiche nei pressi di Sedan. Il 14 giugno i tedeschi entravano a Parigi, mentre interminabili colonne di profughi si riversavano verso il Sud.
Divenuto allora presidente del Consiglio, l’ottantacinquenne maresciallo Philippe Pétain, aprì immediatamente le trattative per l’armistizio. Invano il generale Charles De Gaulle lanciò da Londra un appello ai francesi per incitarli a continuare a combattere a fianco degli alleati. Pétain e i capi delle forze armate erano convinti dell’inutilità d’ogni ulteriore resistenza. E l’armistizio fu firmato il 22 giugno nella stessa località e nello stesso vagone ferroviario che nel novembre ’18 avevano visto la delegazione tedesca piegarsi al Diktat dei vincitori di allora. In base all’armistizio il governo, che stabilì la sua sede nella cittadina termale di Vichy, conservava la sua sovranità su una zona corrispondente grosso modo alla metà centro-meridionale del paese, oltre che sulle colonie. Il resto della Francia restava sotto l’occupazione tedesca. Il crollo militare della Francia e l’avvento di Pétain segnarono la fine della Terza Repubblica. Il 9 luglio l’Assemblea nazionale, riunita a Vichy, si spogliava dei suoi poteri, affidando al presidente del Consiglio il compito di promulgare una nuova costituzione. La rivoluzione nazionale promossa da Pétain si risolse in ritorno alle tradizioni dell’ancienne régime: culto dell’autorità, difesa della religione e della famiglia. In politica estera, il regime di Vichy si ridusse al rango di Stato-satellite della Germania hitleriana. Il crollo repentino della Francia valse a spazzar via le ultime esitazioni di Mussolini, deciso a non consentire che l’Italia restasse spettatrice nel conflitto. Il 10 giugno 1940, dal balcone di Palazzo Venezia, il duce annunciava ad una folla plaudente l’entrata in guerra dell’Italia contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente. L’offensiva sulle Alpi, sferrata il 21 giugno in condizioni di netta superiorità prevedeva solo qualche minima rettifica di confine, oltre alla smilitarizzazione di una fascia di territorio francese profonda 50 chilometri. Non diversamente andarono le cose in Africa settentrionale, dove l’attacco lanciato in settembre contro le forze inglesi in Egitto dovette arrestarsi per l’insufficienza dei mezzi corazzati. Mussolini, convinto che l’Italia dovesse combattere una sua guerra, parallela a quella tedesca, rifiutò un’offerta d’aiuto da parte della Germania, preoccupato di sottrarsi alla tutela del più potente alleato.
Dal giugno 1940, la Gran Bretagna era rimasta sola a combattere contro la Germania e i suoi alleati. A questo punto Hitler sarebbe stato disposto a trattare, a patto di vedersi riconosciute le sue conquiste. Ma ogni ipotesi di tregua trovò un ostacolo insuperabile nella volontà della classe dirigente e del popolo britannico di continuare la lotta. Interprete e ispiratore di questa volontà fu il primo ministro Winston Churchil.
Hitler dava il via al progetto per l’invasione dell’Inghilterra (l’operazione Leone marino). Premessa essenziale per la riuscita del piano era il dominio dell’aria, che avrebbe consentito ai tedeschi di compensare la superiorità navale della Gran Bretagna. Per circa tre mesi l’aviazione tedesca effettuò continue incursioni in territorio britannico, prima contro obbiettivi militari, poi contro i principali centri industriali. Gli attacchi tedeschi furono però efficacemente contrastati dalla contraerea e dagli aerei da caccia della Royal Air Force. All’inizio dell’autunno apparve chiaro che, nonostante le perdite umane e le distruzioni materiali subite, l’Inghilterra non era stata piegata; e l’operazione «Leone marino» fu rinviata a tempo indefinito. La battaglia d’Inghilterra aveva dato tuttavia una tragica dimostrazione delle potenzialità distruttive del mezzo aereo: i bombardamenti sulle città, le terrificanti incursioni notturne precedute dal suono delle sirene e dalla fuga dei civili verso i rifugi antiaerei, gli orrori prodotti dalle bombe incendiarie, sarebbero diventati un elemento ricorrente e un fattore decisivo nelle successive fasi della guerra. La tenace resistenza degli inglesi aveva ottenuto comunque un successo determinante, soprattutto dal punto di vista psicologico, imponendo alla Germania la prima battuta d’arresto dall’inizio del conflitto. Un’altra battuta d’arresto per le forze dell’Asse fu rappresentata dall’andamento disastroso della «guerra parallela» di Mussolini.
Nell’ottobre 1940 l’esercito italiano, muovendo dall’Albania, attaccava improvvisamente la Grecia. Decisa senza adeguata preparazione e senza alcuna giustificazione plausibile, l’offensiva italiana si scontrò con una resistenza molto più dura del previsto. Alla fine di novembre, i greci passarono al contrattacco e gli italiani furono costretti a ripiegare in territorio albanese e a schierarsi sulla difensiva.
Nel dicembre del ’40 gli inglesi erano passati al contrattacco e Mussolini dovette accettare l’aiuto delle truppe tedesche, comandate dal generale Erwin Rimmel, per conservare la Cirenaica, ossia la parte orientale della Libia. Ma tanto l’Africa orientale italiana, difficilmente difendibile, per la sua posizione, stava cedendo nelle mani degli inglesi: il 6 aprile 1941 fu occupata Addis Abeba, dove pochi giorni dopo rientrava trionfalmente il negus.
Anche nei Balcani, il fallimento delle iniziative italiane finì con l’aprire la strada all’intervento in forze della Germania. A questo punto restava aperto il solo fronte nordafricano. Ma Hitler non aveva più rivali in Europa. E poteva concentrare il grosso delle sue forze verso l’obbiettivo più ambito: la conquista dello «spazio vitale» a Est ai danni dell’Urss.
Con l’attacco tedesco all’Unione Sovietica, all’inizio dell’estate 1941, la guerra entrò in una nuova fase. Un altro vastissimo fronte si aprì in Europa orientale. La Gran Bretagna non fu più sola a combattere. Lo scontro ideologico si semplificò e si radicalizzò col venir meno dell’anomala intesa fra nazismo e regime sovietico.
Che l’Urss costituisse da sempre il principale obbiettivo delle mire espansionistiche di Hitler non era un mistero per nessuno. Stalin s’illuse che Hitler non avrebbe mai aggredito la Russia prima di aver chiuso la partita con la Gran Bretagna. Così, quando il 22 giugno 1941 l’offensiva tedesca scattò su un fronte lungo 1600 chilometri, dal Baltico al Mar Nero, i russi furono colti impreparati e subirono gravissime perdite. In due settimane le armate del Reich penetrarono in territorio sovietico per centinaia di chilometri. L’offensiva si sviluppò su due direttrici principali: a Nord, attraverso le regioni baltiche, e a Sud, attraverso l’Ucraina, con l’obbiettivo di raggiungere le zone petrolifere del Caucaso. Ma l’attacco decisivo verso Mosca fu sferrato troppo tardi, all’inizio d’ottobre, e fu bloccato a poche decine di chilometri dalla capitale. In dicembre i sovietici lanciavano la loro prima controffensiva, allontanando la minaccia da Mosca. Hitler aveva mancato l’obbiettivo di mettere fuori causa in pochi mesi l’Urss ed era costretto a tenere il grosso del suo esercito immobilizzato nelle pianure russe, alle prese con un terribile inverno e con una resistenza sempre più accanita. Anche la guerra meccanizzata si trasformava così in una guerra d’usura, in cui l’elemento decisivo era costituito dalla capacità di compensare rapidamente il logorio degli uomini e dei materiali. In una guerra del genere, la Germania era destinata a perdere il suo vantaggio iniziale, dovuto alla superiorità tecnica e strategia.
Allo scoppio del conflitto, gli Stati Uniti avevano ribadito la linea di non intervento negli affari europei mantenuta negli anni fra le due guerre. Ma, una volta rieletto alla presidenza per la terza volta nel novembre 1940, Roosevelt s’impegnò in una politica d’aperto sostegno economico alla Gran Bretagna, rimasta sola a combattere contro la Germania. Nel marzo 1941 fu approvata una legge, detta degli affitti e prestiti, che consentiva la fornitura di materiale bellico a condizioni molto favorevoli a quegli Stati la cui difesa fosse considerata vitale per gli interessi americani. Questa politica ebbe il suo suggello ufficiale nell’incontro fra Roosevelt e Churchill, avvenuto il 14 agosto 1941 su una nave da guerra al largo dell’isola di Terranova. Frutto dell’incontro fu la cosiddetta Carta Atlantica: un documento in otto punti, in cui i due statisti ribadivano la condanna dei regimi fascisti e fissavano le linee di un nuovo ordine democratico da costruire a guerra finita: rispetto dei principi di sovranità popolare e d’autodecisione dei popoli, libertà dei commerci, libertà dei mari, cooperazione internazionale, rinuncia all’uso della forza nei rapporti fra gli Stati. Il coinvolgimento degli Usa in quella che sempre più stava diventando una guerra antifascista sembrava già a questo punto inevitabile. A trascinare gli Stati Uniti nel conflitto fu l’aggressione improvvisa subita nel Pacifico da parte del Giappone; la maggiore potenza dell’emisfero orientale e il principale alleato asiatico di Germania e Italia, cui era legato, dal settembre 1940, da un patto tripartito. Già impegnato dal ’37 in una guerra di conquista contro la Cina, il Giappone aveva profittato del conflitto europeo per allargare le sue aspirazioni espansionistiche a tutti i territori del Sud-Est asiatico. Il 7 dicembre 1941, l’aviazione giapponese attaccò senza previa dichiarazione di guerra, la flotta degli Stati Uniti ancorata a Pearl Harbor, nelle Hawaii, e la distrusse in buona parte. Nei mesi successivi, profittando della netta superiorità navale così conquistata nel Pacifico, i giapponesi raggiunsero di slancio tutti gli obbiettivi che si erano prefissati: nel maggio ’42 controllavano le Filippine, la Malesia e la Birmania britanniche, l’Indonesia olandese ed erano in grado di minacciare l’Australia e la stessa India, costringendo la Gran Bretagna a distogliere forze preziose dal Medio Oriente. Pochi giorni dopo l’attacco a Pearl Harbor, anche Germania e Italia dichiaravano guerra agli Stati Uniti. Il conflitto diventava a questo punto veramente mondiale.
Nella primavera-estate del ’42, le potenze del Tripartito raggiunsero la loro massima espansione territoriale. Il Giappone dominava, come si è appena visto, su tutto il Sud-Est asiatico, su vaste zone della Cina e su molte isole del Pacifico. In Europa le forze dell’Asse, di nuovo all’offensiva in Russia, controllavano, direttamente o indirettamente, un territorio di circa 6 milioni di chilometri quadrati con oltre 350 milioni di abitanti. Attorno alla Germania e all’Italia ruotavano gli alleati «minori»: Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Serbia e Francia di Vichy. In Olanda, in Norvegia e in Boemia governavano «alti commissari » tedeschi. Ai due lati del blocco e al suo estremo settentrionale c’erano Spagna, Turchia e Svezia, formalmente neutrali ma di fatto incluse nella sfera politico-economico dell’Asse.
Sia la Germania sia il Giappone cercarono di costruire nelle zone sotto il loro controllo un nuovo ordine basato sulla supremazia della «nazione eletta» e sulla rigida subordinazione degli altri popoli alle esigenze dei dominatori. Mentre però il Giappone si appoggiò ai movimenti indipendentisti locali e fece propria, strumentalmente, la causa della lotta contro l’imperialismo europeo, la Germania non concesse nulla alle esigenze di indipendenza e di autogoverno dei popoli ad essa soggetti. Circa sei milioni di civili sovietici e 2,5 milioni di polacchi, senza contare gli ebrei, morirono durante il conflitto per i maltrattamenti, gli stenti e le esecuzioni in massa.
Ma la persecuzione più orribile e più spietata fu quella consumata contro gli ebrei, da sempre considerati da Hitler come il nemico principale e sottoposti in Germania, già prima della guerra, ad una serie di crescenti vessazioni. Nei paesi dell’Europa orientale, dove le comunità israelitiche erano più numerose, gli ebrei furono prima confinati nei ghetti e discriminati, anche visibilmente, con l’obbligo di portare al braccio una stella gialla; quindi furono deportati in campi di prigionia (lager), situati per lo più in località della Polonia o della Germania, dai nomi destinati a restare tristemente famosi (Auschwitz, Buchenwald, Dachau e molte altre). Qui i deportati venivano sfruttati fino alla consumazione fisica, usati talora come cavie per esperimenti medici e, se non erano in grado di lavorare, eliminati in massa nelle camere a gas. La «soluzione finale»del problema ebraico, progettata e avviata da Hitler a partire dal ‘41 e affidato alle cure delle SS, prevedeva, infatti, la pura e semplice eliminazione fisica degli ebrei. Fra i cinque e i sei milioni d’israeliti scomparvero così negli anni della guerra. Il sistema di sfruttamento, di terrore e di sterminio pianificato costruito dai tedeschi nell’Europa occupata portò alla Germania consistenti vantaggi immediati: una riserva inesauribile di forza-lavoro gratuita, un flusso continuo di materie prime, un enorme prelievo di ricchezza e di beni di consumo che permise ai cittadini tedeschi di mantenere, almeno fino al ’43, un livello di vita molto elevato di quello consentito agli altri popoli europei. Questo sistema di dominio, ispirato ad un cieco e irrazionale fanatismo razziale, costrinse però i tedeschi a mantenere nei territori occupati forti contingenti di truppe; suscitò nelle popolazioni soggette moti di ribellione che spesso sarebbero sfociati in resistenza armata; sollevò infine contro la Germania nazista un’ondata d’odio che avrebbe finito per rivolgersi contro l’intero popolo tedesco.
La resistenza assunse dimensioni rivelanti dopo l’aggressione tedesca all’Urss, che orientò verso la lotta di liberazione nazionale, i comunisti erano però guardati con sospetto dagli anglo-americani, e la collaborazione con le forze d’orientamento moderato, si rivelò impossibile in quei paesi dove più diffuso era il timore che i partiti comunisti fungessero da strumento per i piani egemonici dell’Urss. La resistenza al nazismo rappresentò solo una faccia della realtà dell’Europa occupata dai tedeschi. In tutti i paesi invasi dalla Germania o da essa controllati, vi fu una parte più o meno consistente della popolazione che, per opportunismo o per convinzione, accettò di collaborare con i dominatori.
Fra il 1942 e il 1943, l’andamento della guerra subì una svolta decisiva su tutti i fronti. I primi segni d’inversione di tendenza si ebbero nel Pacifico, dove la spinta offensiva dei giapponesi fu fermata dagli americani. Ma l’episodio decisivo di questa guerra si verificò in Russia. In agosto i tedeschi iniziarono l’assedio di Stalingrado, sul Volga, punto nodale della difesa russa nel settore sud-est e città simbolo che portava il nome di Stalin. Nel novembre ’42, dopo mesi di durissimi combattimenti,strada per strada, casa per casa, i sovietici contrattaccarono efficacemente sui fianchi dello schieramento nemico, e chiusero i tedeschi in una morsa. Hitler ordinò la resistenza anziché la ritirata, sacrificando così un’intera armata che, all’inizio di febbraio, fu costretto ad arrendersi. Negli stessi mesi in cui tedeschi e sovietici combattevano attorno a Stalingrado, un’altra decisiva battaglia vedeva l’esercito britannico impegnato nel deserto del Nord Africa contro il contingente italo-tedesco del generale Rimmel, che era giunto ad El Alamein, a soli 80 chilometri da Alessandria. Tra la fine d’ottobre e i primi di novembre le truppe dell’Asse furono sconfitte e cominciarono una lunga ritirata che le avrebbe portate, in tre mesi, a ripercorrere a ritroso tutto il litorale libico fino alla Tunisia. Frattanto, nel novembre ’42, un contingente alleato era sbarcato in Algeria e in Marocco. Gli italo-tedeschi, preso fra due fuochi, dovettero arrendersi, nel maggio ’43, alle preponderanti forze alleate. Nella conferenza di Casablanca, che si era tenuta nel gennaio 1943, inglesi e americani avevano deciso che, in Italia, considerata l’obbiettivo più facile sia per motivi logistici, sia per ragioni politico-militari. Nella stessa conferenza, con una decisione di portata storica che serviva soprattutto a rassicurare i russi sulla serietà dell’impegno alleato, gli anglo-americani si accordavano sul principio della resa incondizionata da imporre agli avversari: la guerra sarebbe continuata fino alla vittoria totale, senza patteggiamenti di sorta con la Germania o con i suoi alleati.
Sbarco in Sicilia
Il 10 luglio gli alleati sbarcavano in Sicilia e in meno di un mese la occupavano (in questa occasione Mussolini pronunciò l’infelice discorso del “bagnasciuga”). Il 9 settembre gli inglesi sbarcavano a Taranto e gli americani a Salerno, costringendo le truppe tedesche a ritirarsi a nord di Napoli (dove la popolazione era insorta e combatté per quattro giorni) su di una linea fortificata, che si chiamò Gustav. Da allora, trasferiti i migliori generali in Inghilterra per la preparazione della sbarco in Normandia, la guerra in Italia procedette con minore impegno e diventò la “guerra dimenticata”.
Gravi furono le conseguenze politiche. Il 27 luglio, su richiesta di alcuni gerarchi, venne convocato il Gran Consiglio e fu approvato un ordine del giorno, che significava sfiducia per il Duce, chiedendo che il comando supremo delle forze armate fosse restituito al sovrano. Il giorno dopo Vittorio Emanuele III, in un’udienza nella sua residenza privata, imponeva le dimissioni a Mussolini, facendolo arrestare, e nominava primo Ministro il Maresciallo Badoglio, che rivolgeva agli italiani un radio-messaggio, che si chiudeva con l’infelice frase “la guerra continua”. Il nuovo Primo Ministro costituì un governo di tecnici, sciolse il Partito fascista e incorporò la Milizia Volontaria nell’esercito. Di colpo e senza alcuna resistenza il Fascismo crollava.
Il nuovo governo, però, proibiva la ricostituzione dei partiti ed ogni libera attività politica. Iniziarono poi trattative con gli alleati per far sì che l’Italia uscisse dalla guerra: i primi colloqui segreti si ebbero in agosto a Lisbona e si conclusero con l’armistizio di Cassibile, in Sicilia, firmato l’8 settembre. Il 10 i tedeschi facevano scattare i piani già predisposti, alcuni reparti e volontari aggiuntisi tentarono una resistenza. La dislocazione di molte forze italiane fuori d’Italia (in Francia e nei Balcani), l’afflusso di truppe tedesche e di materiale nella penisola, la mancanza di ogni disposizione causarono un crollo totale anche delle forze armate: solo a Cefalonia si ebbe una resistenza.
La famiglia reale, al completo, Badoglio e alcune delle massime autorità civili e militari fuggirono di notte da Roma e, imbarcati a Ortona, si rifugiarono a Brindisi presso gli alleati: nasceva così, piuttosto ingloriosamente, il Regno del Sud e il 13 ottobre il governo dichiarava guerra alla Germania. Intanto, liberato Mussolini dalla prigionia sul gran Sasso con un colpo di mano delle SS, veniva proclamata (9 settembre) la Repubblica Sociale Italiana, che si proponeva di continuare la lotta a fianco dei tedeschi. Si costituì un governo, che vide ministeri dislocati in varie città della Lombardia e del Veneto, che venne chiamato il “governo di Salò”. Una dichiarazione, approvata a Verona dal rinnovato Partito fascista, enunciava principi sociali assai avanzati, quali erano stati all’inizio: voleva essere una specie di “rifondazione”, che sconfessava i compromessi del ventennio traditi dalla collusione con il grande capitale e la monarchia. Nell’Italia occupata dai tedeschi si organizzava intanto la Resistenza e si costituivano i primi clandestini comitati di liberazione.
Alla fine dell’anno la situazione in Estremo oriente sembrava già volgersi chiaramente contro il Giappone, anche se si prevedeva che la lotta finale sarebbe stata durissima: in ottobre in una conferenza dei ministri degli esteri a Mosca, la Russia s’impegnava ad intervenire quando si riuniva la Conferenza del Cairo, cui partecipava Ciang Kai-shek, e si fissavano le condizioni per la resa del Giappone. Alla fine dello stesso mese nella Conferenza di Teheran i “tre grandi” discutevano la questione del secondo fronte da aprirsi nel nord della Francia.
Sul fronte dell’Italia contro la linea Gustav si combatté per cinque mesi: uno sbarco ad Anzio nel gennaio per poco non fallì e a nulla valsero in febbraio i bombardamenti dell’Abbazia di Monte Cassino, considerata un punto chiave sulla strada di Roma. Solo il 5 giugno gli americani riuscirono ad entrare nella capitale, dove intanto la Resistenza aveva lavorato contro gli occupanti tedeschi e i loro alleati fascisti. Il 23 marzo, come reazione ad un attentato contro un reparto tedesco, ebbe luogo l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il 7 giugno Vittorio Emanuele, come da promessa fatta a Salerno, cedeva le prerogative reali al figlio Umberto, come Luogotenente Generale del Regno, e due giorni dopo si costituiva il Ministero Bonomi con rappresentanti dei 6 partiti, che si erano intanto costituiti, ma sotto il rigoroso controllo di una Commissione alleata. I tedeschi si ritirarono più a Nord, attestandosi su una linea gotica, che andava da La Spezia a Rimini.
Contro i tedeschi e i fascisti venne organizzata la Resistenza. Vi presero parte soldati sbandati, contadini, operai, intellettuali, i quali sotto la guida dei clandestini Comitati di Liberazione, iniziarono la lotta partigiana affrontando i nemici con azioni di guerriglia. La reazione dei tedeschi e dei fascisti contro la resistenza partigiana fu estremamente spietata; feroci rappresaglie nazifasciste furono innumerevoli: l’eccidio delle Fosse Ardeatine, l’incendio di Boves (Cuneo), i martiri di Marzabotto (Bologna), lo sterminio della popolazione di S. Anna di Versilia. Questi ed altri episodi di fucilazioni in massa furono il duro prezzo che la Resistenza pagò nella lotta contro i nazifascisti.
Fra il 1943 e il 1944, mentre gli anglo-americani erano impegnati nella lunga campagna in Italia, i sovietici riprendevano l’iniziativa su tutto il fronte orientale. Dopo aver respinto, nel luglio del ’43, l’ultimo attacco in forze tedesche, l’Armata rossa iniziò una lenta ma inarrestabile avanzata che si sarebbe conclusa solo nell’aprile-maggio ’45 con la conquista di Berlino. Queste vittorie consentirono all’Unione Sovietica di accrescere notevolmente il suo peso contrattuale in seno alla «grande alleanza» e di ottenere dagli anglo-americani l’impegno, da tempo sollecitato, per uno sbarco in forze sulle coste francesi, da attenuarsi nella primavera del ’44.
Si trattava di un’operazione rischiosa, anche perché i tedeschi avevano munito tutta la zona costiera con imponenti fortificazioni difensive. Per attuare il piano, che prevedeva lo sbarco sulle coste settentrionali nella Normandia, Furono necessari un lungo lavoro di preparazione e un eccezionale spiegamento di mezzi, tale da assicurare agli alleati – che agivano sotto il comando unificato del generale americano Eisenhower – una schiacciante superiorità aeronavale. L’operazione Overlord – questo il nome in codice dello sbarco in Normandia – scattò all’alba del sei giugno 1944, preparata da un’impressionante serie di bombardamenti e da un nutrito lancio di paracadutisti. Alla fine di luglio, dopo due mesi di combattimenti, gli alleati riuscirono a sfondare le difese tedesche e a dilagare nel Nord della Francia. Il 25 agosto, gli anglo-americani e i reparti di De Gaulle entravano a Parigi, già liberata dai partigiani. In settembre la Francia era quasi completamente liberata. Nell’autunno 1944 la Germania poteva considerarsi virtualmente sconfitta. Il fronte dei suoi alleati si stava sfaldando. In Ottobre, i russi e i partigiani jugoslavi erano entrati in Belgrado liberata, mentre gli inglesi erano sbarcati in Grecia. L’offensiva alleata si era momentaneamente arrestata in Francia, in Italia e in Polonia.
L’offensiva aerea contro la Germania aveva lo scopo non solo di colpire la produzione industriale e il sistema di comunicazioni, ma anche di «demoralizzare» il popolo tedesco fino a minarne la capacità di resistenza. Un milione e mezzo di tonnellate di bombe furono lanciate sulla Germania e metà delle incursioni furono dirette contro obbiettivi non militari. Molte città tedesche furono ridotte a cumuli di macerie. In tutto, oltre 600.000 civili perirono sotto i bombardamenti. Nella conferenza di Mosca dell’ottobre ’44, Churchill e Stalin abbozzarono una divisione di sfere d’influenza dei paesi balcanici che, in contrasto con le proclamazioni della Carta atlantica, non teneva in alcun contro la volontà dei popoli interessati. I tre grandi si incontrarono nella cittadina di Yalta, in Crimea, nel febbraio 1945. In quest’occasione fu stabilito, fra l’altro, che la Germania sarebbe stata divisa in quattro zone d’occupazione (una delle quali riservata alla Francia) e sottoposta a radicali misure di «denazificazione»; che i popoli dei paesi liberati avrebbero potuto esprimersi mediante libere elezioni, che, per quanto riguardava la Polonia il governo sarebbe dovuto nascere da un accordo fra la componente comunista e quella filo-occidentale. In cambio delle assicurazioni ottenute, L’Urss s’impegnò ad entrare in guerra contro il Giappone.
Mentre i grandi discutevano a Yalta sulle sorti future dell’Europa, era già scattata l’offensiva finale che, nel giro di pochi mesi, avrebbe portato al crollo del Terzo Reich. A metà gennaio i sovietici occupavano tutto il territorio polacco. In febbraio erano già a poche decine di chilometri da Berlino. Più a sud l’Armata rossa raggiungeva Vienna e Praga. Frattanto gli anglo-americani dilagavano nel cuore della Germania e il 25 aprile raggiungevano l’Elba congiungendosi coi sovietici che stavano accerchiando Berlino.
In aprile crollava anche il fronte italiano. Il 25 aprile, mentre il Cln lanciava l’ordine dell’insurrezione generale contro il nemico in ritirata, i tedeschi abbandonavano Milano. Mussolini, che tentava di fuggire in Svizzera travestito da soldato tedesco, fu catturato e fucilato dai partigiani, il 28, assieme ad altri gerarchici. Il suo cadavere, impiccato per i piedi, fu esposto per alcune ore a piazzale Loreto, a Milano. Il 30 aprile, mentre i russi stavano entrando a Berlino, Hitler si suicidò nel bunker sotterraneo dove era stata trasferita la sede del governo, lasciando la presidenza del Reich all’ammiraglio Karl Dönitz, che chiese subito la resa agli alleati. Il 7 maggio 1945, nel quartier generale alleato a Reims, fu firmato l’atto di capitolazione delle forze armate tedesche. Le ostilità cessarono nella notte fra l’8 e il 9 maggio. La guerra europea si concludeva così, a cinque anni e otto mesi dal suo inizio, con la morte di due dittatori che più d’ogni altro avevano contribuito a scatenarla. Ma il conflitto mondiale proseguiva in estremo Oriente, dove il Giappone, ormai isolato, continuava ostinatamente a combattere.
A partire dal 1943, nonostante la priorità accordata al fronte europeo, gli Stati Uniti avevano iniziato una lenta riconquista delle posizioni perdute nel pacifico, valendosi di una superiorità che si faceva sempre più netta man mano che l’industria statunitense dispiegava tutto il suo enorme potenziale. Decisivo fu soprattutto l’apporto delle grandi portaerei e dei bombardieri strategici, che, dalla fine del ’44, cominciarono a bombardare sistematicamente il territorio nipponico. Nell’estate del ’45 gli alleati, ormai liberi da impegni bellici in Europa, erano pronti a portare l’attacco nel territorio nemico. Fu a questo punto che il nuovo presidente americano Harry Truman decise di impiegare contro il Giappone la nuova arma «totale», la bomba a fissione nucleare o bomba atomica, che era stata appena messa a punto da un gruppo di scienziati e sperimentata per la prima volta il 16 luglio, nel deserto del Nuovo Messico. La decisione di Truman serviva innanzitutto ad abbreviare una guerra che si annunciava ancora lunga e sanguinosa, ma aveva anche lo scopo di offrire al mondo la dimostrazione della potenza militare americana. Il sei agosto 1945, un bombardiere americano sganciava la prima bomba atomica sulla città di Hiroshima. Tre giorni dopo l’operazione era ripetuta a Nagasaki.

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