Romanticismo, Congresso di Vienna, guerra di Crimea

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Testo

MENTALITA’ ROMANTICA
A partire dalla fine del 700, si diffuse nell’ambiente intellettuale una crescente insoddisfazione nei confronti dell’illuminismo. Tale reazione, nel suo complesso, viene correntemente denominata romanticismo, che alla lettera significa pittoresco o romanzesco. Il romanticismo fu un fenomeno culturale e artistico, quanto ami articolato, sfaccettato e complesso. Mentre il movimento dei lumi si caratterizzava per il suo ottimismo, razionalismo e la sua critica nei confronti della tradizione, gli intellettuali romantici, divennero tragicamente coscienti della potenza del male, che impedisce all’uomo di realizzare i propri desideri. Secondo la mentalità romantica, l’essere umano è fondamentalmente un frustrato, una figura costretta a riconoscere che tutte le sue aspirazioni piu profonde sono condannate a non realizzarsi, cioè a restare pure illusioni. L’elemento piu nuovo e caratteristico del romanticismo, puo essere colto nel rifiuto di porre la ragione alla base di tutte le azioni umane. Al contrario degli illuministi, molti intellettuali romantici si appassionarono all’età di mezzo, che ai loro occhi apparve affascinante proprio perché l’umanità si lasciava guidare dalla fede, dalla sete di gloria, dal senso dell’onore e da vari altri valori, ma non dalla ragione. Il romanzo storico Ivanhoe di Scott, appare come il piu chiaro ed eloquente esempio della mentalità romantica. I suoi cavalieri si gettano nelle imprese più rischiose senza mai valutare razionalmente le conseguenze delle loro azioni e soprattutto senza mai mettere in conto di poter morire. Wilfred di Ivanhoe, protagonista del romanzo di Scott, esprime alla perfezione l’ideale umano tipico della mentalità romantica; la giovane e bellissima ebrea Rebecca invece incarna la mentalità moderna, razionalistica.
Sul piano politico, il principale frutto della mentalità romantica fu la maturazione dell’idea di nazione. La formula idea di nazione e quella del tutto equivalente di sentimento nazionale indicano la consapevolezza della peculiarità del proprio popolo, cioè esprimono il fatto che un particolare gruppo umano ha preso coscienza di avere determinate caratteristiche che lo distinguono da tutti gli altri rendendolo originale unico e irripetibile. A partire dagli ultimi decenni dell’ 800 il nazionalismo avrebbe valorizzato tale diversità fino a proclamare una vera e propria superiorità di un gruppo umano rispetto a tutti gli altri. Non a caso, l’atteggiamento nazionalistico finì per fondersi con il razismo.I partiti e i movimenti nazionalisti di fine 800 e del novecento, orgogliosi della superiorità del loro popolo, rivendicarono per esso un ruolo egemonico, che presupponeva il dominio, il controllo e lo sfruttamento degli altri gruppi umani considerati inferiori.
L’idea di nazione nacque come prodotto di due fattori che si rafforzarono a vicenda. In primo luogo, bisogna ricordare l’atteggiamento tenuto dai francesi nei territori occupati dalle loro armate vittoriose. I conquistatori agirono animati da ideali di matrice illuminista: in tutti i paesi in cui si imbatterono in usanze o leggi considerate irrazionali, procedettero alla loro soppressione. Nella maggior parte dei casi i popoli reagirono con un tenace attaccamento alle proprie tradizioni, cioè rivendicarono la propria originalità nazionale. D’altro canto in questo stesso periodo l’insistenza romantica sul sentimento e sulla passione fornì dignità culturale e completa legittimità all’istintivo atteggiamento dei gruppi etnici e al loro tentativo di contrastare l’imperialismo culturale napoleonico.Il sentimento nazionale si diffuse in tutti i principali paesi europei, ma raggiunse la sua maturazione in germania con i Discorsi alla nazione tedesca tenuti a berlino da Johann Gotlieb Fiche.
IL CONGRESSO DI VIENNA
In tutta l’europa all’indomani della sconfitta di Napoleone prevaleva il desiderio di chiudere la parentesi delle riforme illuministiche e di tornare alla situazione politica e sociale precedente la rivoluzione. In questo clima il 3 Novembre 1814 partirono a Vienna una serie di riunioni che videro i ministri e i principi dei più potenti stati d ‘Europa impegnati a discutere dell’assetto politico che quest’ultima avrebbe dovuto assumere dopo vent’anni di continui cambiamenti. I veri protagonisti del congresso di Vienna furono: Inghilterra, Austria, Russia e Prussia. La Francia non venne tuttavia esclusa dalle trattative ed anzi fu proprio il suo delegato Charles Maurice de Talleyrand a proporre uno dei criteri che il congresso decise di seguire nella riorganizzazione dell’europa: il cosiddetto principio di legittimità. Secondo tale impostazione, bisognava ricostruire la situazione politica esistente prima della Rivoluzione riportando sui troni i numerosi sovrani deposti da napoleone. Nel momento in cui formulò questo criterio, Tayllerand pensava all’interesse della Francia: il principio di legittimità permise alla nazione di non subire alcuna significativa mutilazione territoriale. In altre parole questa perse tutti i territori conquistati nel periodo di guerra, ma non uscì umiliata o schiacciata dal congresso di Vienna. Pur accettando il ritorno al passato pre-bellico le potenze vincitrici tentarono di dare all’Europa un assetto più stabile e più sicuro. Il principio dell’equilibrio venne sostenuto soprattutto dall’inghilterra preoccupata che nessuno stato assumesse sull’europa un peso eccessivo; pertanto il congresso si premurò di rafforzare alcuni stati confinati con la Francia in modo da prevenire un nuovo eventuale espansionismo. Il caso più clamoroso della supremazia del principio di equilibrio su quello di legittimità fu la sorte della repubblica di Venezia che fu assegnata alkl’Austria. Nell’Europa orientale invece la potenza che si rafforzò maggiormente fu la Russia che potè allargare il proprio dominio in Finlandia e in Polonia. Gli uomini del primo 800 si scontrarono direttamente con alcuni aspetti del nuovo ordine viennese decisamente violenti ed oppressivi. All’interno degli stati Europei vigeva un rigido assolatissimo che non ammetteva alcuna forma di critica ai governi e non prevedeva alcuna limitazione al potere dei sovrani. Agli occhi dello Zar o del primo ministro austriaco ogni innovazione politica che mettesse anche solo lontanamente in discussione il potere assoluto dei sovrani, doveva essere represso sul nascere. Pertanto, nel settembre 1815 i sovrani di Austria prussia e Russia si unirono nella cosiddetta Santa Alleanza finalizzata proprio a schiacciare ogni tentativo di introdurre mutamenti di qualsiasi genere all’interno dell’ordine Viennese. Nel 1820-21 si verificarono i primi tentativi di mettere in discussione l’ordine viennese; in Spagna, a Napoli, a Palermo e in Piemonte scoppiarono dei moti rivoluzionari, con l’obiettivo di costringere i sovrani a concedere le costituzioni. In italia i moti erano sorti per iniziativa di società segrete caratterizzate dal fatto che nelle loro riunioni facevano ampio ricorso a simboli e rituali derivati dalla Massoneria, un’organizzazione sorta nel 700 per coltivare e diffondere il pensiero illuminista. Quando l’Austria, decisa a stroncare ogni fermento rivoluzionario e a bloccare ogni mutamento politico, intervenne con estrema determinazione, gli insorti si trovarono praticamente isolati e de tutto incapaci di resistere. Per lo stesso motivo, fallì anche l’insurrezione decabrista scoppiata in russia nel 1825.
Il 4 giugno 1814, Luigi XVIII promulgò a Parigi una costituzione. Il nuovo re, aveva deciso liberamente e di sua iniziativa di limitare il proprio potere, che accettava di condividere in parte con altri soggetti politici. Pertanto aveva concesso la Carta Costituzionale, che regolamentava i rapporti del sovrano con i propri sudditi. E’ importante ricordare che la carta concessa riconosceva l’uguaglianza degli uomini di fronte alla legge, la libertà di culto e l’inviolabilità della proprietà privata. Va però sottolineato che la costituzione prevedeva due camere: la prima era composta di aristocratici nominati dal re, la seconda era eletta a suffragio censitario, cioè riservato a coloro che, possedendo un reddito molto elevato, pagassero almeno 300 franchi di imposte dirette. Nel 1824 divenne re Carlo X, deciso sostenitore dell’origine divina del potere dei re. Egli si fece incoronare a Reims. Entrato in contrasto con il parlamento, il re emanò cinque ordinanze che sospendevano la libertà di Stampa, scioglievano la camera dei deputati e fissavano dei parametri censitari ancora più alti per l ‘esercizio del diritto di voto. Tale politica provocò la protesta dei cittadini che insorsero e tennero nelle loro mani Parigi per tregiorni finche Carlo X non ebbe abdicato. Al suo posto fu incoronato Luigi Filippo D’orleans, che compi immediatamente alcuni importanti gesti simbolici; egli assunse il titolo di re dei francesi accettando il principio secondo cui il suo potere non discendeva da Dio ma gli era stato conferito dal popolo francese. Egli accettò addirittura il tricolore come vessillo nazionale. Sul piano politico la camera alta di nomina regia, perse d’importanza rispetto alla camera dei deputati eletti dai cittadini e i ministri del governo cominciarono a considerarsi responsabili del proprio operato difronte al Parlamento e non difronte al re. Va però precisato che il regime liberale francese non era affatto democratico, visto che il suffragio restava censitario e quindi escludeva la maggioranza dei cittadini dalla gestione dello stato.
L’esempio della rivoluzione parigina del 1830 spinse all’insurrezione la popolazione di Bruxelles dove si formò un governo provvisorio che proclamò l’indipendenza del belgio. Non ebbero successo invece le insurrezioni che si verificarono in polonia e in italia. Gli insorti polacchi e italiani contavano sull’ aiuto francese, ma luigi Filippo si affrettò a tranquillizzare le grandi potenze, dichiarando che la francia non sarebbe intervenuta a sostegno dei rivoltosi. Il fallimento di queste rivoluzioni spinsero il genovese Mazzini ad elaborare un nuovo programma per affrontare i problemi dell’italia. Mazzini, pose l’accento sull’obiettivo dell’unità politica dell’italia, cioè sulla necessità di trasformare il frammentato scenario della penisola in un solido e compatto stato nazionale. A tal fine, nel luglio 1831 Mazzini fondò un nuovo movimento politico, La Giovine Italia, che si distinse dalle società segrete sia per gli strumenti che riteneva necessario utilizzare(sarebbe dovuto entrare in scena come protagonista il popolo italiano), sia per la propria meta (l’unità nazionale).
Mazzini non si riconosceva in alcuna chiesa; malgrado ciò era uno spirito profondamente religioso, convinto che dio avesse assegnato agli uomini la missione di vivere nella pace e nella giustizia. Gli individui dovevano concepire la propria esistenza come un dovere e dedicare ogni energia alla costruzione del nuovo mondo libero e giusto che Dio chiedeva loro di costruire. Dio inoltre, secondo Mazzini, aveva assegnato all’ìtalia un ruolo di primaria importanza: essa doveva dare l’esempio a tutti gli altri popoli e indicare la via della liberazione dal dominio straniero e dall’oppressione. L’idea di nazione era dunque al centro del pensiero mazziniano; tuttavia egli fu sempre lontano dagli eccessi dei nazionalismi del XX secolo. A giudizio di Mazzini tutti i popoli avevano pari dignità e pari diritto alla libertà e all’indipendenza; non a caso egli fondò la Giovine Europa, un movimento che avrebbe dovuto coordinare la lotta di tutti i popoli oppressi e gettare le basi di una convivenza rispettosa della libertà e dei diritti di ciascun gruppo etnico. Quanto al futuro dell’italia Mazzini si prefiggeva di costruire uno stato unitario, repubblicano e democratico. Va precisato che Mazzini ebbe un atteggiamento sempre distaccato nei confronti del concetto liberale di libertà, che insisteva sui diritti dell’individuo e considerava quest’ultimo come un valore supremo. Nella concezione mazziniana l’insistenza cadeva soprattutto sui doveri del singolo nei confronti della collettività, concepita come qualcosa di sacro. Mazzini riteneva che il nuovo stato italiano, avrebbe dovuto venire incontro alle esigenze dei lavoratori e degli operai, superando la rigida posizione dei liberali moderati secondo cui tutte le rivendicazioni dei ceti subalterni andavano condannate e represse. Negli anni 30 e 40 tutti i tentativi insurrezionali promossi dalla giovine Italia fallirono miseramente. Le sconfitte mazziniane spinsero allora sia Mazzini, sia un altro leader democratico Carlo Pisacane, ad un ripensamento dell’intera strategia rivoluzionaria.
Gli insuccessi mazziniani generarono una notevole sfiducia nelle capacità del popolo italiano di trasformarsi in protagonista della propria liberazione. In questo clima, trovò spazio la proposta avanzata da Vincenzo Gioberti nel suo “Del primato morale e civile degli italiani”. Gioberti era un sacerdote cattolico; egli riteneva che il nuovo futuro dell’italia potesse trovare nel papato una fondamentale figura di riferimento: egli proponeva che gli stati italiani si riunissero in una federazione, guidata dal papa. Pochi anni dopo la speranza giobertiana parve diventare realtà effettiva. Infatti, quando venne eletto il nuovo pontefice Pio IX, il primo atto del suo governo fu un’amnistìa per i prigionieri politici, che venne interpretata come l’inizio di un modo radicalmente nuovo di gestire il potere. Le speranze in un papato liberale crebbero ulteriormente quando lo Stato della Chiesa, il Regno di Sardegna e il Gran Ducato di Toscana incominciarono a prendere in considerazione la possibilità di procedere ad una lega doganale, ad un mercato comune che avrebbe potuto essere la prima tappa verso una vera federazione. La situazione subì una brusca accelerazione all’inizio del 1848 quando esplose un moto a Palermo; dopo che l’insurrezione si fu estesa anche all’italia meridionale, il re Ferdinando II si trovò obbligato a concedere una Costituzione. Volenti o nolenti anche i sovrani di Firenze, Torino e Roma, furono costretti a promulgare a loro volta carte costituzionali.
La legge fondamentale che fu adottata dal regno di Sardegna ricevette il nome di Statuto Albertino, in quanto fu concessa dal re Carlo Alberto di Savoia. La sua importanza storica risiede nel fatto che essa divenne la Costituzione del Regno d’Italia, che l’avrebbe conservata fino al 1946. Lo statuto albertino, era una costituzione concessa. Il principio della sovranità continuava a risiedere nel Re, non nel popolo. Nello statuto albertino la separazione dei poteri era tuttaltro che netta ed il re controllava di fatto quasi ogni organo dello stato. I giudici che esercitavano il potere giudiziario erano istituiti dal re e i ministri investiti del potere esecutivo dovevano rispondere delle loro azioni solo al sovrano. Il potere legislativo era esercitato da due camere una delle quali di nomina regia. L’altro ramo del parlamento era eletto dai sudditi ma il suffragio era rigidamente censitario. Nel momento in cui lo statuto albertino venne promulgato, la situazione politica complessiva aveva subito un’accelerazione. A parigi era esploso un tumulto rivoluzionario a seguito del quale Luigi Filippo fu costretto ad abdicare. Per contrastare l’esercito, il popolo di parigi bloccò le principali strade della città con grandi barricate. Il popolo parigino era insorto per protestare contro il suffragio censitario e per ottenere libertà di associazione e di discussione. Una volta sconfitto Luigi Filippo, venne istituito un nuovo regime di tipo repubblicano e democratico che tentò di rilanciare il principio parigino del diritto al lavoro, mediante l’istituzione dei cosiddetti laboratori nazionali: manifatture di proprietà dello stato che permettevano di dare occupazione agli operai rimasti senza lavoro. I conservatori, riacquistarono tuttavia in fretta il controllo della situazione; pertanto, quando il nuovo governo repubblicano emanò un decreto che escludeva i lavoratori non ammogliati fai laboratori, vi fu di nuovo una vasta insurrezione operaia. Parigi si coprì di nuovo di barricate ma la rivolta fu schiacciata dopo tre giorni di violenti combattimenti. Quando si diffuse in tutta l’europa, la notizia dell’insurrezione operaia di parigi terrorizzò un gran numero di individui che nei propri paesi erano avversari dell’assolutismo e chiedevano più libertà. Quegli uomini nobili o borghesi che fossero si rafforzarono nella loro convinzione secondo cui la democrazia, la repubblica e il suffragio universale erano il primo passo verso la distruzione della proprietà privata. In Francia, dopo la sconfitta della rivolta operaia, fu varata una nuova costituzione che concesse ampi poteri al presidente della Repubblica. Alle elezioni del 1848 fu eletto a grande maggioranza Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del grande imperatore. Forte di questo consenso, il 2 dicembre 1851 Luigi Napoleone procedette ad un colpo di Stato e l’anno seguente si proclamò imperatore dei francesi col titolo di napoleone III. Con estremarapidità anche nel resto d’Europa si verificarono insurrezioni e rivolte. Il 14 maggio 1848 insorsero gli studenti e gli operai di Vienna obbligando metternich ad abbandonare il potere. In Italia, la prima a insorgere fu Venezia che riuscì ad espellere gli Austriaci e proclamò risorta la repubblica veneta . Anche Milano, dopo cinque giornate di furiosi combattimenti obbligò l’esercito asburgico alla ritirata. Il re di sardegna carlo Alberto, a quel punto, decise di entrare in guerra contro l’Austria, malgrado l’opposizione di alcuni dei più prestigiosi dirigenti della rivoluzione milanese; tra questi merita senz’altro di essere ricordato Carlo Cattaneo. Secondo cattaneo l’intervento di un sovrano conservatore e moderato come Carlo Alberto era un ostacolo allo sviluppo della repubblica e della democrazia, sia in Lombardia, sia nel resto d’italia.
Nella decisiva battaglia di Custoza il 25 luglio 1848 l’esercito piemontese venne pesantemente sconfitto e Carlo Alberto fu costretto all’armistizio. Dopo una pausa di qualche mese, il conflitto riprese nella primavera del 1849, e infine si concluse con la definitiva disfatta piemontese e con l’abdicazione di carlo Alberto a favore del figlio Vittorio Emanuele II. Successivamente a Roma nel 1849 era stata insediata una repubblica democratica guidata da Mazzini, mentre Venezia continuava a lottare contro l’esercito Austriaco. Roma fu espugnata il 4 luglio 1849 dalle truppe francesi, mentre Venezia capitolò il 24 agosto. La grande insurrezione generale del 48-49 insomma si concludeva con un fallimento generale; Vittorio Emanuele tuttavia scelse di non revocare lo statuto albertino e il Regno di Sardegna rimase una monarchia costituzionale. Vittorio Emanuele II inoltre negli anni cinquanta cominciò ad affrontare problemi relativi alla modernizzazione dello stato e dell’economia. In un primo momento egli si mostrò intenzionato a governare seguendo alla lettera lo Statuto Albertino ma a partire dal 1850 egli si rassegnò a scegliere come presidente del consiglio l’esponente più prestigioso della maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni. In questi anni una delle principali questioni di cui si discusse fu quella dei rapporti fra Stato e chiesa. Il provvedimento innovativo furono le leggi proposte dal ministro Siccardi per abolire il foro ecclesiastico e il diritto di asilo nelle chiese e nei conventi; inoltre agli enti ecclesiastici venne vietato di accettare donazioni o eredità senza l’autorizzazione governativa. Nel corso della discussione in parlamento di questo pacchetto di provvedimenti, si mise in luce Camillo Benso Conte di Cavour che nel 1850 rivestiva l’incarico di ministro dell’agricoltura. Cavour può essere definito un liberale moderato; il suo modello politico di riferimento fu la monarchia costituzionale inglese che garantiva i diritti dei cittadini, ma anche l’ordine sociale. Il suo ideale politico era una specie di giusto mezzo fra l’immobilismo dei conservatori e la rivoluzione dei democratici, nella convinzione che proprio le riforme, graduali ma incisive, fossero in grado di evitare le crisi e i tumulti insurrezionali. Nel 1852 cavour venne nominato presidente del consiglio e pote dunque procedere all’attuazione del suo progetto modernizzatore. Innanzitutto nel campo del commercio con l’estero egli adotto una linea liberista; egli si propose di sviluppare la produzione dei prodotti agricoli piemontesi, destinati all’esportazione in Inghilterra, in cambio di manufatti industriali britannici. Inoltre si preoccupò anche di potenziare le linee del telegrafo e migliorare le comunicazioni. La costruzione di una vasta e moderna rete ferroviaria fu interamente a carico dello stato. Questo comporto un pesante indebitamento di quest’ultimo che non riusciva con le sole imposte a coprire le enormi spese richieste dalla modernizzazione del paese.
LA GUERRA DI CRIMEA
Nel 1830 è importante ricordare che la Grecia riuscì a rendersi indipendente dal dominio Turco; era il primo segnale della grave crisi che avrebbe caratterizzato per tutto l’800 fino alla prima guerra mondiale, l’Impero Ottomano. La Russia, fu il primo stato deciso ad approfittare della debolezza turca. Nel 1853 lo zar si proclamò protettore di tutti i cristiani ortodossi residenti nell’Impero Ottomano; quest’ultimo però rifiutò una simile pretesa dal momento che essa avrebbe offerto ai russi l’opportunità di intervenire nella vita politica ottomana, tutte le volte che a loro avviso i sudditi cristiani del sultano avessero subito un’ingiustizia. Decisa a imporsi sul governo di Costantinopoli, la Russia aprì le ostilità sicura di una facile vittoria. Lo zar però non aveva messo in conto la reazione delle altre potenze europee, preoccupate dell’espansionismo russo. In effetti Francia e Inghilterra intervennero a fianco dell’impero ottomano e inviarono un esercito a sostegno del sultano; la guerra si svolse dal 53 al 56 nella penisola di crimea dove vennero per la prima volta sperimentati i fucili a canna rigata che avevano una gittata di ben 900 metri. Forti di questa superiorità tecnica, gli alleati anglo-francesi riuscirono a sconfiggere i russi in campo aperto obbligandoli a rinchiudersi nella piazzaforte di sebastopoli. L’assedio della fortezza durò fino al settembre 1855 e la sua evacuazione pose poi fine al conflitto.
Nel 1854, il Regno di Sardegna decise di intervenire a fianco degli inglesi e dei francesi. La partecipazione al conflitto permise a Cavour di essere presente al congresso di Parigi che, nel 1856, definì i termini del trattato di pace con la russia. Nelle intenzioni del primo ministro piemontese, il conflitto doveva essere per il regno di sardegna l’occasione per entrare in contatto con le grandi potenze europee. Il 21 luglio 1858, Napoleone III e Cavour si incontrarono a Plombieres e concordarono che in caso di aggressione austriaca al Regno Di Sardegna la Francia sarebbe intervenuta in sua difesa, Dopo la vittoria il Piemonte avrebbe ottenuto l’annessione del Lombardo Veneto, in cambio avrebbe ceduto alla francia la città di Nizza e la regione della Savoia. Gli stati dell’italia centrale sarebbero stati accorpati e assegnati ad un principe francese mentre il regno delle due Sicilie sarebbe rimasto sotto i Borbone. Il papa avrebbe perso parte dello stato della chiesa ma sarebbe diventato il presidente di una confederazione composta dai regni dell’Alta Italia, dell’Italia Centrale e dell’Italia Meridionale. Nel 1859 Cavour si sentì pronto a sfidare l’austria e incaricò Giuseppe Garibaldi di organizzare un corpo di volontari. Si trattava chiaramente di una prvocazione nei confronti dell’austria che il 29 aprile 1859 dichiarò guerra al regno di Sardegna. Mantenendo gli accordi di Plombier Napoleone III intervenne in Italia e gli eserciti Franco-Piemontese e austriaco si scontrarono in alcune violente e sanguinose battaglie. Nei mesi di aprile e maggio 1859, mentre l’esercito austriaco era costretto ad abbandonare la lombardia, in Emilia Romagna ed in Toscana si verificarono delle insurrezioni popolari che instaurarono dei governi provvisori che sclsero immediatamente di sottomettersi all’autorità di Vittorio Emanuele II . Napoleone terzo si rese conto che ogni speranza di sostituire la Francia all’Austria nel controllo dell’italia, stava svanendo. Pertanto si affrettò a stipulare con l’Austria l’armistizio di Villafranca che prevedeva il passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna, ma lasciava il veneto sotto dominazione austriaca. Il 1 aprile 1860, il Piemonte e la Francia trovarono un accordo: in cambio di Nizza e della Savoia Napoleone acconsentì al fatto che il regno di sardegna annettesse la Toscana, l’Emilia e la Romagna. Successivamente, il 4 aprile 1860 esplose un’insurrezione popolare a palermo. Garibaldi cominciò allora ad organizzare una spedizione militare finalizzata a portare la rivoluzione nel regno delle due Sicilie. Egli potè apertamente radunare uomini e mezzi a Genova senza incontrare alcun ostacolo da parte delle autorità piemontesi. Garibaldi raccolse circa millecento volontari, organizzò in pratica un piccolo esercito. I Mille di Garibaldi partirono da Quarto la notte del 5 Maggio 1860; approdati in Sicilia, riuscirono a sconfiggere l’esercito borbonico a Catalafimi e a entrare a Palermo. Durante l’estate Garibaldi si trovò a fronteggiare un problema imprevisto: i contadini della cittadina di Bronte, uccisero alcuni proprietari terrieri e procedettero alla spartizione delle terre. Garibaldi, consapevole del fatto che solo l’appoggio della borghesia siciliana poteva garantire successo alla sua impresa ordinò l’immediata repressione del moto contadino di Bronte. La città venne riportata all’ordine sociale in modo spietato dal luogotenente nino Bixio. Pacificata la Sicilia Garibaldi sbarcò sul continente e il 7 settembre entrò a Napoli; la prossima meta sarebbe dovuta essere roma, a costo si scatenare la dura reazione della Francia. Consapevole di questo pericolo, il regno di sardegna intervenne per fermare Garibaldi che in ottobre accettò di rimettere il comando del prorio esercito nelle mani di Vittorio Emanuele II. Il 14 marzo 1861, Vittorio Emanuele II venne ufficialmente proclamato re d’italia per grazia di Dio e volontà della Nazione; si trattava in effetti di una strana formula in quanto mescolava la tradizionale concezione discendente del potere con la moderna idea della sovranità popolare. Torino fu la prima capitale del nuovo regno che comprendeva l’intera Penisola, ad eccezione del veneto e del lazio, rispettivamente sotto dominio dell’austria e del papa. Importantissimo è chiarire che il nuovo stato unitario non era assolutamente democratico in quanto ancora vigeva lo Statuto Albertino.
Nel 1866 il Regno d’Italia era alleato con la prussia e quindi entrò in conflitto con l’impero asburgico. Sotto il profilo militare, questa terza guerra di indipendenza fu un completo disastro: l’esercito italiano venne sconfitto a Custoza mentre la flotta subì pesanti perdite nella battaglia di Lissa, nell’adriatico. Malgrado ciò, la vittoria conseguita dai prussiani obbligò l’Austria ad arrendersi e poi a cedere il veneto all’italia. Nell’impero asburgico, la disfatta del 1866 provocò una grave crisi di credibilità della monarchia: l’Ungheria minacciò di ribellarsi, cioè di rendersi indipendente dal dominio di Vienna. Nel 1867, tuttavia, venne trovato un accordo: l’impero venne articolato in due segmenti, che rispettivamente facevano riferimento a Vienna e a Budapest: a unire queste due entità erano solo la figura dell’imperatore e il governo centrale, che si occupava dei problemi di politica estera.
La vittoria tedesca del 1870 risultò decisiva invece per l’annessione di Roma al regno d’italia. A più riprese Gartibaldi aveva tentato con reparti di volontari di marciare sullo stato della Chiesa, ma era sempre stato fermato in quanto napoleone III si era assunto il compito di difendere l’indipendenza e il potere temporale del papato. La Spedizione del 1862 si era conclusa con il ferimento e l’arresto di Garibaldi. Nel 1867 egli ritentò l’impresa e con un gruppo di patrioti entro nel lazio, ma a Mentana fu battuto dalle truppe francesi.
In questo periodo, dal momento che la posizione di Torino era troppo decentrata rispetto al paese, il governo italiano cercò una capitale adatta alle esigenze del nuovo stato e la scelta cadde su Firenze. Ma dopo la disfatta di Sedan e la proclamazione della repubblica, la guarnigione francese che difendeva la città del papa venne ritirata. Le truppe Italiane poterono entrare nel lazio e occupare Roma il 20 settembre 1870 dopo aver forzato le mura a Porta Pia. L’anno successivo Roma divenne capitale del regno d’italia. Il papa per protesta si chiuse nei palazzi del vaticano e rifiutò persino i benefici che lo stato italiano gli concesse nel 1871 con la cosiddetta guerra delle guarentigie che non solo gli riconoscevano i diritti di un sovrano ma gli assegnavano pure la cospicua cifra annua di 3225000 lire, a titolo di indennizzo. Per combattere il nuovo e liberale stato unitario il papa pio IX ordinò la compilazione del cosiddetto sillabo degli errori del mondo moderno. Si trattava di una lunga serie di affermazioni che la chiesa condannava categoricamente con l’obiettivo di ribadire la propria assoluta contrarietà nei confronti dei princìpi dell’illuminismo e più in generale della società borghese uscita dalla rivoluzione del 1789. Solo nel tardo XX secolo la Chiesa ha dichiarato accettabile e compatibile con la fede cattolica il principio della libertà di coscienza in base al quale ciascun uomo deve essere libero di abbracciare e professare quella religione che colla scorta del lume della ragione avrà riputato vera.

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