Rivoluzione idustriale

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Testo

Con il ‘700 giunge a piena risoluzione la catena di conflitti apertisi nel ‘600 con la crisi sia del sistema e del modello conoscitivo tradizionale sia delle certezze che a quello erano collegate. Questo secolo, di profonda e generale trasformazione, vede prevalere quella potenza marinara, l’Inghilterra, che darà l’avvio a quel processo di trasformazione globale e radicale dell’organizzazione economica e sociale chiamato "Rivoluzione industriale", e segna in modo determinante il percorso successivo dell’evoluzione dell’umanità condizionandone ogni forma di organizzazione civile e di esperienza di vita.
Il termine "rivoluzione industriale" venne coniato dal filosofo tedesco Karl Marx, ma, per ragioni ideologiche, venne bandito per decenni dai circoli accademici in tutta Europa. Come il termine stesso indica, si tratta di una rivoluzione, un cambiamento repentino dovuto all'accumularsi di elementi propizi. Tuttavia, storici come Rostow preferiscono parlare di "decollo", inteso come un processo che si autosostiene ed autogenera.
Fondamentalmente, le definizioni di Rivoluzione industriale sono due: quella marxista prima analizzata e quella di Hobsbawm, che considera l'innovazione come la svolta verso l'alto di tutti gli indici economici. Ma il problema di maggior rilievo consiste nel capire perchè il fenomeno ebbe origine in Inghilterra proprio in quegli anni.

AUMENTO DEMOGRAFICO
Il fenomeno si accrebbe in seguito al forte incremento demografico reso possibile dalle migliori condizioni alimentari e sanitarie che abbassarono il tasso di mortalità. Le epidemie infatti divennero meno frequenti e violente, mentre alcune malattie, come la peste, scomparvero del tutto grazie alla diffusione delle pratiche igieniche, all'attenzione riservata alla potabilità dell'acqua, alla costruzione di sistemi fognari efficienti.
Nel periodo preindustriale, il tasso di natalità superava quello di mortalità soltanto del 5-10% e pertanto, l’incremento della popolazione era minimo e diventava addirittura negativo nei cosiddetti “punti tristi”, ovvero guerre, carestie, epidemie. Negli anni tra il 1750 e 1840 la popolazione inglese, che contava circa 7 milioni di abitanti, triplicò.
ANNO
POPOLAZIONE IN MILIONI
1750
7,5
1775
9
1800
10
1825
15
1850
21
L'incremento demografico agì a sua volta da forte stimolo su tutta l'attività economica, determinando, come mai era accaduto in passato, un intenso sviluppo dei settori produttivi e moltiplicando tra l'altro la domanda di beni alimentari al punto da procurare un reale sconvolgimento in tutta la vita delle campagne. L'aumento della popolazione spinse, infatti, ad uno sfruttamento intensivo dei campi, portò alla ricerca di nuove terre da coltivare, sollecitò l'uso di più razionali tecniche agricole unitamente all'avvio di nuove colture.
RIVOLUZIONE AGRARIA
Il progresso e l'espansione del settore agricolo finì per incoraggiare un processo di accaparramento dei terreni destinati agli usi comuni. L' agricoltura è sempre stata alla lunga il più importante settore economico in Inghilterra nel diciottesimo secolo ma i cambiamenti che avvennero a quel tempo nelle tecniche agricole e nei rapporti sociali tra la popolazione contadina crearono le condizioni senza le quali la rivoluzione industriale non sarebbe stata possibile.
Questi cambiamenti ebbero inizio prima del 1700 e continuarono fin dopo il 1800, dove accaddero tanti altri passi decisivi. In alcune parti della campagna furono create grandi fattorie sin dai tempi dei Tudor, così quelle fattorie, che si basavano principalmente sull' allevamento ovino, divennero sempre più fonte di lucro. Ma in molte aree il medioevale sistema di strisce di campo libere era ancora praticato.
Durante il diciottesimo secolo, come già detto, la popolazione crebbe in modo vertiginoso. La possibilità di guadagno attraverso il commercio del cibo inutilizzato incoraggiò alcuni grandi proprietari terrieri a sperimentare nuovi metodi di agricoltura e di raccolto. Iniziarono a coltivare più trifogli e rape che furono utilizzati come foraggio per pecore e per il bestiame, e che allo stesso tempo nutrivano il terreno. Perciò non persisteva più la necessità di lasciare alcun appezzamento inutilizzato o uccidere l'intero bestiame in inverno.
Lord Townsend, conosciuto come "Rapa Townsend" per i suoi enormi campi coltivati a rape usava quello che era conosciuto come la rotazione a quattro corsi di raccolto di Norfolk: il primo anno il campo dovrebbe essere coltivato con trifogli, il secondo con frumento, il terzo con rape e il quarto con orzo. Questo sistema dava ottimi raccolti.
Jethro Tull migliorò l' aratro cosicchè potesse scavare più in profondità e inventò il trapano per semenze, una macchina per seminare in fila in modo più uniforme.
Il nuovo e miglior foraggio e nuovi metodi di allevamento di animali portò a bestiami più grandi e più in salute. Tutti questi cambiamenti ebbero una cosa in comune: potevano essere portati a termine solo con considerevoli capitali. Erano completamente incompatibili con il primitivo sistema dei campi liberi (open-field system), che non era adatto per l' uso di macchinari. I campi dovevano essere circoscritti da recinti o da siepi. Tuttavia le recinzioni (enclosures) non erano nuove. Ma mentre le recinzioni del tempo dei Tudor erano state fatte con l'obbiettivo di trasformare la terra coltivata in pascolo per le pecore, ora trasformavano i campi aperti in grandi e compatte fattorie nelle quali i nuovi ritrovati scientifici potevano essere effettuati con maggior profitto.
MIGLIORAMENTO NEI TRASPORTI
-La rete viaria
All'inizio del '700 il manto stradale si presentava piatto, con una pavimentazione realizzata mediante sassi o con ciottoli e ghiaia. Le strade diventavano presto sconnesse per l'effetto erosivo dell'azione della pioggia e per il passaggio di carri e diligenze.

Per ovviare a ciò in Inghilterra il governo nel 1773 aveva adottato un provvedimento utile al mantenimento del fondo stradale, fissando "la grossezza dei cerchi delle ruote dei carri" a 10 pollici, circa 25 cm. Intorno al 1780 diventò sempre più diffuso il sistema di costruire la strada a schiena d'asino o a dorso di bue, cioè con il profilo convesso, capace di far scorrere l'acqua ai lati senza trasformare le strade in un pantano. Un notevole progresso fu costituito dal nuovo metodo di pavimentazione macadam (dal nome dell'inventore, l'ingegnere scozzese John McAdam), che cominciò ad essere impiegato in Inghilterra dopo il 1810 e solo in seguito negli altri Paesi. Consisteva nel rendere solido il fondo stradale comprimendo frammenti di pietra e di ghiaia. Il metodo macadam, costoso e tecnicamente difficoltoso, si diffuse però molto lentamente. Grazie ai progressi nella siderurgia, sul finire del 1700 furono realizzati grandiosi ponti di ferro sui fiumi, come quelli sul Severn (1779) e Wear (1796). Il primo fu fatto costruire a Brosley, nei pressi di Coalbrookdale, da Abraham III Darby. Comunque con l'affermarsi della rivoluzione la maggior parte dei trasporti avvenne sempre più per via fluviale evitando alle vie di terra un sovraccarico di passaggi; per questo i maggiori progressi avvennero in questo settore dei trasporti.
Anche un italiano, Gastone della Torre di Rezzonico testimonia il buono stato delle strade locali dovuto al buon funzionamento delle reti ferroviarie, viarie e fluviali e alla lungimiranza del governo inglese che aveva fissato la grandezza dei cerchi a 25cm. Nella breve testimonianza egli riporta il suo stupore e la sua ammirazione nel guardare il ponte sulla Savern, uno dei primi grandi ponti in ferro mai costruiti.
-Auto e ferrovie
All'inizio dell'Ottocento, la macchina a vapore venne applicata ai mezzi di trasporto e ne rivoluzionò l'uso. I primi tentativi mirarono a creare vetture stradali installando caldaie sulle carrozze o sulle diligenze. Nel 1753 Nicola Cugnot sperimentava per la prima volta davanti a un ministro il suo carro automobile a vapore, ma la sua macchina non era perfetta: mancava ad esempio un apparecchio di alimentazione e così ogni 15 minuti bisognava fermare la vettura, alimentare la caldaia e aspettare che il vapore andasse in pressione.


(Carro automobile a vapore (1796) di Nicola Cugnot, Parigi, Museo delle arti e dei mestieri)
In quegli anni gli avvenimenti politici precipitarono a tal punto che l'inventore e il suo veicolo furono dimenticati. Tuttavia Cugnot non si arrese: nel 1770 costruì un veicolo più potente, costituito da un telaio di robusta quercia e una delle ruote, che erano 3, come nel primo modello, orientabile. Però questa nuova costruzione non ebbe fortuna e, durante le prime prove, a causa della scarsa manovrabilità, urtò contro un muro sfasciandosi. A causa di questo incidente, per lungo tempo il progetto fu accantonato. Tuttavia anche Watt tentò di applicare la macchina a vapore a un autovettura, ma non ebbe il tempo di tradurre in pratica questa sua idea. Solo nel 1785, l'americano Oliver Evans progettò una macchina ad alta tensione da applicare alle automobili; questa idea fu realizzata nel 1788 da Robert Furness di Halifax, che diede vita così alla prima autovettura americana. Due anni dopo un altro americano, Nathan Read, costruì una caldaia che perfezionava notevolmente quelle precedenti. Ma il progresso maggiore fu compiuto da Trevithick nel 1802 quando ebbe l'intuizione prima di costruire una automobile su quattro ruote e poi di farla marciare sui binari. Uno dei più impegnativi problemi che si posero ai costruttori di locomotive, fu quello di riuscire a determinare un'aderenza sufficiente per evitare lo slittamento delle ruote sui binari e quindi permettere al convoglio di muoversi: infatti, se erano troppo pesanti, le locomotive spezzavano i fragili binari sui quali poggiavano, se troppo leggere non facevano presa. Si pensò allora di dotare il mezzo di ruote motrici dentate che ingranavano su una rotaia anch'essa dentata. Il sistema, detto a "cremagliera", ebbe un discreto successo, fino a quando un costruttore meccanico inglese, William Hedley, riuscì a costruire a Newcastle una locomotiva di peso tale da determinare un'aderenza per attrito sufficiente a far muovere anche un lungo e pesante convoglio. Nacque così, nel 1813, la "Puffing Bill" che, usata per il trasporto di carbone, restò in funzione per ben cinquant'anni, fino al 1862, quando venne acquistata dallo Science Museum di Londra, dove si trova tuttora.

Ad apportare un fondamentale e duraturo perfezionamento fu l'inglese George Stephenson (1781-1848), il quale seppe sfruttare più adeguatamente alcune precedenti invenzioni, nonché il sistema di trasporto carrelli-rotaie, già da tempo in uso nelle miniere inglesi. Nel 1829, con il suo "The Rocket" ("il Razzo"), Stephenson partecipò a una gara-concorso, assieme ad altri quattro concorrenti, per ottenere l'appalto della progettata ferrovia Liverpool-Manchester, i due centri complementari maggiori dell'industria tessile inglese: un importante porto, nel quale veniva sbarcato il cotone grezzo americano, e una grande città manifatturiera. La vittoria di Stephenson fu facile:un concorrente fu eliminato dalla gara, in quanto il suo mezzo celava al suo interno un cavallo, e le altre due locomotive si guastarono prima dell'arrivo. L'appalto dunque venne assegnato a Stephenson: Il suo "Rocket", trasportando tredici tonnellate e trentasei persone, aveva tagliato il traguardo a una stupefacente velocità di trentasei chilometri all'ora. In Inghilterra le ferrovie si svilupparono molto celermente; in nessun altro Paese, infatti, si poneva con altrettanta urgenza il problema di disporre di un mezzo di trasporto in grado di far giungere le materie prime dal luogo di produzione alle fabbriche in modo rapido e in rilevante quantità. Del resto, il progresso delle ferrovie è sempre stato legato allo sviluppo industriale e, a sua volta, influenzò sensibilmente l'economia e la vita sociale.
-Evoluzione dei trasporti navali
Nel corso del '700 le grandi vele, che ormai avevano raggiunto la perfezione nello sfuttare i venti e nella manovrabilità, cominciarono a declinare con l'avvento di un nuovo mezzo di propulsione: il vapore. Già nel 1803, Charlotte Dundas, in Scozia, aveva tentato di costruire un piroscafo a vapore con la propulsione per mezzo delle ruote. Ma il merito di avere sfruttato appieno il vapore nella navigazione, grazie all'uso di una coppia di ruote a pale, fu dell'americano Robert Fulton (1765 - 1815). Egli nel 1807 in America riuscì a coprire il percorso di 270 Km tra New York e Albany, sul fiume Hudson, in trentadue ore,con uno scafo a ruote detto "Clermont". Più di dieci anni dopo il "Savannah", il primo transatlantico della storia, attraversò l'Oceano in trenta giorni, superando persino una tempesta che mise a dura prova le sue strutture, lequipaggio e i passeggeri.

L'evoluzione di questi nuovi mezzi di navigazione era stata accolta con scetticismo, ma i vantaggi del vapore risultarono ben presto evidenti: sulle rotte lunghe e meno favorite dal vento, rappresentava la soluzione di tutti i problemi e consentiva, soprattutto, di calcolare quasi con precisione il tempo occorrente per la traversata. Dopo il "Savannah" fu tutto un susseguirsi di progressi. Si cominciò a sostituire, nella costruzione degli scafi, il legno con il ferro; tuttavia comportò molte difficoltà: maggiore usura , perdita di velocità e,inoltre,comportava la costruzione di scafi robustissimi e perciò notevolmente pesante . Per questo si adottarono i cosiddetti scafi "compositi", così detti perchè costituiti da un'intelaiatura di ferro rivestita con fasciame di legno. Si tentò, in un primo tempo, di meccanizzare la manovra delle vele o di mantenerle come ausiliari del vapore, ma ciò non valse a salvare le barche a vela. Nel 1840 il "Britannia", dotato di due ponti e numerose cabine passeggeri,riuscì a coprire la distanza Liverpool-Boston in 14 giorni, recando a bordo 115 persone. Il primo esemplare di battello a vapore che solcò le acque territoriali italiane,fu il "Ferdinando I di Napoli", destinato a congiungere Napoli con Genova e Marsiglia. Il sistema di propulsione in dotazione a questo tipo di navi restò sino al 1839 quello delle ruote a pale sistemate sulle fiancate.I suoi inconvenienti erano gravi: tra l' altro, quando con il mare agitato la nave tendeva a inclinarsi, una delle ruote usciva dall' acqua e girando a vuoto, danneggiava il motore.Il sistema inoltre,era troppo esposto all' azione delle onde durante le traversate atlantiche o all' offesa nemica in caso di conflitto. La situazione miglirò dopo il1839, quando entrarono in funzione le prime eliche, sistemate a poppa, sotto la linea di immersione. La navigazione a vela, comunque, fu abbandonata soltanto quando le strutture lignee della nave furono sostituite con quelle metalliche. Il primo transatlantico in ferro che prese il mare in Inghilterra fu nel 1843 il "Great Britain", di 3000 tonnellate, azionate con un' elica a sei pale e dotato di 6 alberi per le vele, che si rivelano molto utili quando, durante il ritorno dal secondo viaggio Liverpool-New York-Liverpool, la nave ebbe un grave danno all' elica. Nello stesso periodo fu compiuta un'altra traversata con il grande piroscafo di legno, a ruote, il "Great Western", alla fantastica velocità di circa 8,5 nodi. In breve tempo sorsero grandi compagnie di navigazione. Fu adottata l'elica per la propulsione e i compartimenti stagni, i quali suddividono lo scafo in vari settori perfettamente ermetici diminuendo la probabilità di affondamento. La comparsa di questi grandi piroscafi sulle rotte transatlentiche, determinò una vera e propria gara tra tutte le nazioni che avevano interessi sul mare e provocò un continuo perfezionamento, sia dal lato tecnico che da quello della sistemazione interna.
VASTO IMPERO COLONIALE
Nel commercio estero, fonte prima dei più grossi profitti e dei maggiori rischi, l’Inghilterra vide spostarsi i suoi mercati. Il commercio principale della Gran
Bretagna si era sempre svolto con il continente, poiché la domanda inglese di vini, acciaio,cantieri navali,lana greggia e merci di lusso superava la domanda continentale di tessuti, il disavanzo economico così creato dovette essere colmato ricorrendo all’esportazione in America. L’aumentato commercio con l’estero rafforzò la macchina commerciale inglese.
La prosperità del commercio britannico era dovuta allo sviluppo di un impero coloniale, che permetteva di entrare in comunicazione con molte parti del mondo, e ad una flotta tecnicamente avanzata, ricca sia di navi da carico che da guerra. Il commercio ha contribuito ad accelerare la rivoluzione industriale in quanto ha creato la domanda per i prodotti dell’industria britannica, ha consentito l’accesso alle materie prime e ha permesso ai paesi d’oltreoceano di acquistare dei prodotti che non sono in grado di realizzare, creando così un utile che poté essere impiegato per finanziare le attività industriali. A questo si aggiunse la creazione di un vasto mercato nazionale con l’unificazione delle corone inglese e scozzese: la Gran Bretagna divenne uno stato unitario e furono abolite le dogane interne. Si creò così un mercato nazionale abbastanza vasto in cui le merci potevano circolare liberamente perché non gravate da dazi. Il commercio si avvantaggiò della presenza di mercati esteri protetti, come quello irlandese e quelli delle colonie in Africa, nelle Indie Occidentali e soprattutto nel nord America.
CARBON FOSSILE
Il carbone deriva da un lento processo di fossilizzazione delle foreste che rimasero sepolte in seguito a sconvolgimenti della crosta terrestre. Questo viene chiamato carbon fossile naturale e viene classificato in base al periodo in cui ha avuto inizio il processo: antraciti che sono i fossili più antichi con un elevato potere calorifico, litantraci che sono fossili di formazione più recente, sono i più comuni, e hanno un potere calorifico inferiore, ligniti che sono carboni non perfettamente fossilizzati e il torbe di ancor più recente formazione con potere calorifico via via inferiore. Nel 1709 Abraham Derby ideò un sistema di cottura del carbon fossile che lo rendeva più puro e quindi più utilizzabile (carbon cotto ,coke). I nuovi sistemi di lavorazione messi a punto da Henry Cort nel 1784 risolsero i residui problemi tecnici ,liberarono definitivamente le fonderie dal vincolo con le aree boschive, consentendo di utilizzare il coke in tutto il ciclo di lavorazione. Per l'Inghilterra, che disponeva di grandi giacimenti di carbon fossile, per lo più ubicati in prossimità delle miniere di ferro, fu l'avvio di una crescita prodigiosa. Nacquero grandi complessi industriali che producevano barre e laminati di ferro in quantità prima inimmaginabili e di elevata quantità. L'Inghilterra, che fino ad allora are stata importatrice di ferro (soprattutto della Svezia), divenne largamente autosufficiente e la sua produzione siderurgica e metallurgica consentì un rapido sviluppo dell'industria meccanica che produceva, ad esempio,i telai e i filatoi meccanici impiegati nel ramo tessile al posto di quelli precedenti costruiti in legno, che erano meno precisi e meno resistenti, incapaci di reggere all'impiego di più potenti forme di energia. Grazie a queste innovazioni il ferro nelle sue varie forme di ghisa, acciaio, ferro dolce, diventò di largo uso e soppiantò il legno in molte applicazioni. La nuova età industriale, tuttavia, si pose davvero sotto il segno del carbone e del ferro, solo con l'avvento generalizzato delle costruzioni ferroviarie, intorno agli anni Trenta del XIX secolo.
FATTORI FISICI
Fattori di carattere fisico-ambientale presenti in tutta l'Europa centro-occidentale e determinanti per il primo sviluppo industriale inglese furono: il clima temperato adatto all'allevamento di ovini da lana, nelle zone meno piovose, e di bovini da latte, nelle zone più umide: le industrie laniere e quelle lattiero-casearie trovarono dunque presupposti favorevoli al loro sviluppo; i numerosi corsi d'acqua sfruttati dapprima per azionare i mulini e, in un secondo momento, per operazioni di lavaggio di fibre tessili, per il raffreddamento dei metalli e la produzione di vapore; laddove le condizioni lo permettevano, i fiumi furono usati come vie navigabili e collegati tra loro con una rete di canali; l’ampia disponibilità di pianure e assenza di rilievi molto pronunciati con la conseguente facilità di comunicazione e di insediamento degli stabilimenti industriali; la presenza di numerosi porti ben collegati con il retroterra e essenziali per gli scambi.
FATTORI SOCIALI
Anche sul piano politico l'Inghilterra godette, nel corso del XVIII secolo, di alcune condizioni particolarmente favorevoli allo sviluppo industriale:
➢ creazione di un vasto mercato nazionale
Nel 1707, con l'unificazione delle corone inglese e scozzese, la Gran Bretagna divenne uno stato unitario e furono abolite le dogane interne. Si creo' cosi un mercato nazionale abbastanza vasto in cui le merci potevano circolare liberamente, perché non gravate da dazi. Il commercio si avvantaggiava della presenza di mercati esterni protetti, come quello irlandese e quelli delle colonie in Africa, nelle Indie occidentali e soprattutto nel nord America.
➢ una nobiltà disponibile all'attività imprenditoriale
La nobiltà inglese, a differenza di buona parte di quella continentale, non aveva un atteggiamento di disprezzo verso le attività economicamente produttive. La mentalità generale era relativamente più aperta che negli altri Stati e la minor rigidità nella struttura sociale permetteva, in certi casi, il passaggio da una classe all'altra.
➢ una borghesia intraprendente, sufficientemente tutelata dalla legislazione
La borghesia britannica godeva di garanzie di carattere civile e politico che non avevano uguali sul continente. Il potere della Camera dei Comuni, dove era rappresentata la grande borghesia, si accresceva sempre più. Questa classe sociale si sentì perciò sostanzialmente garantita nella propria libertà di iniziativa e si trovò nelle condizioni migliori per affrontare i rischi di nuove imprese.

➢ una mentalità aperta alle novità, plasmata dall'etica protestante del lavoro
Nella formazione della mentalità imprenditoriale della borghesia, influì in modo rilevante l'etica protestante del lavoro, affermatasi anche nel nord America, in Olanda e in Svizzera, che considerava il successo economico un segno tangibile della Grazia divina. Inoltre era diffuso il senso della responsabilità nel rispetto del bene comune: la borghesia del tempo si sentiva chiamata a partecipare alla creazione di un mondo nuovo e perciò era stimolata a ricercare un progresso costante.
PENSIERO SCIENTIFICO E TECNICA
L’evoluzione della tecnica e della scienza, il ritmo incalzante delle invenzioni e delle innovazioni, il numero molto alto di brevetti richiesti tra fine Settecento e primi Ottocento, furono sorprendenti nella storia dell’Inghilterra di quegli anni. Per progresso tecnologico si intende un connubio tra invenzione, innovazione e diffusione: l’invenzione, dal punto di vista tecnologico, definisce una novità brevettabile di natura meccanica, chimica o elettrica (l’invenzione in quanto tale non ha un particolare significato economico) e, nel momento in cui viene inserita in un processo economico, diventa innovazione. Infine, quando un’innovazione si propaga in un’industria, da un’industria all’altra e a livello internazionale superando le frontiere geografiche, l’innovazione diventa diffusione.
Negli decenni della rivoluzione industriale, la carica innovativa di un’invenzione dipendeva soprattutto da quanto potesse o eliminare una strozzatura nella produzione, o liberare l’espansione dell’offerta, o soddisfare richieste non coperte.
Verso il 1760 l'industria attraversava un periodo espansionistico e si erano già susseguite diverse macchine tessili, come la navetta volante di Kay, che rendeva molto più rapido il lavoro di tessitura, e la cardatrice di Bourn, ma l'invenzione più importante fu brevettata nel 1769 da Arkwright, che consisteva di un telaio di legno alla sommità del quale erano disposte in senso orizzontale quattro bobine portanti il nastro.

La macchina era stata inizialmente studiata per essere azionata da un cavallo, ma in principio si usò la forza motrice dell'acqua: da qui il nome di telaio ad acqua. Parecchi miglioramenti furono apportati tra il 1769 e il 1775; uno dei più importanti, brevettato nel 1772 da Coniah Wood, fu l'introduzione di una barra mobile al posto degli aghi che servivano a guidare il filo durante l'avvolgimento. Più tardi il suo movimento fu reso automatico per mezzo di una ruota o camma e successivamente venne aggiunta un'altra coppia di rulli. Quasi contemporanea di questo tipo di telaio fu la macchina azionata a mano che non traeva ispirazione da precedenti esperimenti. Si trattava di una macchina per grossa filatura o "jenny"che riproduceva i movimenti dell'operazione manuale; pare che la sua invenzione sia da attribuirsi a James Hargreaves, un testimone di Stanhill, vicino a Blackburn, che la realizzò nel 1764 brevettandola però solo nel 1769, poche settimane dopo il brevetto di Arkwright.
Avendo però Hargreaves venduto alcuni esemplari della macchina prima di quella data, il suo braccetto fu considerato nullo. Questa macchina subì parecchi miglioramenti, non appena venne in uso, specialmente per opera di Haley, Houghton e Tower. Il telaio ad acqua produceva un filato forte e ben ritorto, adatto alla maglieria e per l'ordito nei tessuti di cotone. Il filato ottenuto con la giannetta, dapprima usato per l'ordito e la trama, fu poi ritenuto più adatto solo per la trama; la macchina successiva, il filatoio intermittente di Crompton, sarebbe stata adatta per produrre entrambi i filati, tuttavia non fu brevettata e l'unico modello originale sembra sia in Francia.
La più antica in Inghilterra (attualmente nel Chadwich Museum, a Bolton) risale al 1802 o a qualche anno più tardi e si ispira alla macchina brevettata da Kelly. Crompton, che aveva iniziato gli esperimenti nel 1774 - la macchina cominciò a funzionare nel 1770 - combinò i rulli del telaio ad acqua con il carrello mobile della giannetta, sistemando i fusi sul carrello e i rulli al posto dei fusi nella giannetta. Il filatore tirava indietro il carrello con la stessa rapidità con la quale i rulli estraevano il nastro, fino a che erano stati ricoperti i 5/6 dell'intera distanza; indi i rulli venivano fermati e fatti funzionare come il fermaglio della gianneta, mentre il carrello continuava a retrocedere a una velocità molto minore e i fusi continuavano a ruotare. Alla fine dello stiramento si faceva compiere ai fusi qualche giro in senso opposto per liberare il filato. Il carrello veniva di nuovo riavvicinato ai fusi e, girando lentamente nel senso originario, avvolgevano il filato con l'aiuto del tenditore, come nella giannetta.

TABELLA CONSUMI DI LANA E COTONE TABELLA DEI PREZZI
Anno
Lana
Cotone

Anno
Prezzo
1695
40
1
1786
38
1741
57
2
1790
30
1772
85
3
1795
19
1799
98
50
1800
9.5
1805
102
60
1805
7.1
1840
260
430
1807
6.9
1860
410
950
1829
3.2



1832
2.1
(Dati in milioni di libbre)
(Dati in scellini/pence per libbra)
SETTORE MINERARIO, METALLURGICO E SIDERURGICO
Nel corso del '700 l'industria mineraria inglese fu un campo di importanti innovazioni tecnologiche, come l'uso delle pompe per prosciugare l'acqua nelle gallerie sempre più profonde o il sistema di trasporto su rotaia del materiale dai giacimenti sotterranei alla superficie. A sollecitare l'industria carbonifera fra il '700 e l'inizio dell' 800 fu soprattutto il processo di urbanizzazione e la conseguente necessità di riscaldamento delle case, che venne assicurato appunto dal carbone; solo in un secondo tempo il carbone fu massicciamente impiegato nella produzione industriale e nelle ferrovie. L'industria del ferro in Inghilterra fu a lungo alimentata, prima della costruzione della rete ferroviaria, dalle esigenze belliche e dallo sviluppo della marina militare, ma anche di quella mercantile.
Il consolidamento dell'apparato industriale interno fece lievitare la domanda di articoli di metallo (dalle macchine agricole e tessili agli utensili domestici ai materiali per costruire), mentre l'avvio dell'industrializzazione in altri Paesi, dopo le guerre napoleoniche, aprì un dinamico mercato di esportazione. Industria carbonifera e industria siderurgica si influenzarono reciprocamente, in quanto la produzione di combustibile rappresentò per la siderurgia una spinta al progresso tecnico, e per altro verso l'estendersi della produzione di ferro stimolò quella del carbone. Come risulta dalle tabelle 1 e 2, il balzo in avanti nella produzione carbonifera e siderurgica avvenne circa cinquant' anni dopo quella del cotone: tra il 1830 e il 1850 la produzione del carbone arrivò quasi a triplicarsi e quella del ferro fu più del triplo.

tabella 1: PRODUZIONE DI CARBONE
tabella 2: PRODUZIONE DI FERRO
ANNO
QUANTITÀ'
ANNO
QUANTITÀ'
1680 - 1690
2500
1760
20 - 26
1700
2500
1788
61
1750
5000
1796
109
1770
6205
1806
235
1780
6425
1825
382
1800
10000
1830
630
1850
44000
1850
2249
(dati in migliaia di tonnellate inglesi)
(dati in migliaia di tonnellate)
LA MACCHINA A VAPORE DI PAPIN
Il merito di aver creato la prima vera macchina a vapore fu del francese Denis Papin. Egli costruì la cosiddetta pentola a pressione, con cui si potevano cuocere I cibi meglio, più in fretta e con notevole risparmio.
Essa era fondata sul principio che l’acqua, fatta bollire in un recipiente ermeticamente chiuso, bolle a una temperatura più alta di quella normale.
Per evitare il pericolo di esplosioni, dovute all’altissima pressione del vapore, Papin munì la sua pentola di una valvola di sicurezza, capace di far uscire il vapore quando la pressione stessa raggiungeva valori troppo elevati.
Il grande inventore francese intuì anche la possibilità di usare la forza del vapore per poter pompare l’acqua che invadeva i pozzi delle miniere, per consentire la navigazione di un vascello contro vento, per scagliare proiettili e per far muovere I veicoli.
Nel 1704 Denis Papin stava navigando, diretto in Inghilterra, sul fiume Fulda con un battello fornito di ruote a pale, azionato con manovelle, ma alle quali egli aveva intenzione di applicare una macchina a vapore; non giunse però molto lontano, perchè I marinai della città di Munden, adirati dall’apparizione di quella strana imbarcazione che navigava abusivamente nelle loro acque, lo fermarono e distrussero il battello.
LA MACCHINA A VAPORE DI SAVERY
La macchina di Savery, inventata dall’ ingegnere inglese Thomas Savery, fu la prima macchina a vapore ad essere utilizzata.
Un lungo tubo collega il pozzo della miniera, dove si trova l’acqua, con l’esterno al livello del suolo. Questo condotto ha due valvole: una, D, è posta prima del tubo e porta a una camera chiamata cilindro, e l’altra, la B, aperta, permette all’ acqua di raggiungere il livello del suolo.
Il processo inizia chiudendo la valvola D e aprendo la valvola B, in modo che l’ acqua possa raggiungere il cilindro. Si apre un’ altra valvola che collega quest’’ ultima camera con una camera di ebollizione. La pressione del vapore obbliga l’ acqua a uscire dal cilindro e a salire per il condotto sino a scorrere a livello del suolo.
A questo punto si chiudono le valvole A e B e si aprono la D, che collega l’ acqua del pozzo con il cilindro, e la C, da dove passa l’ acqua di raffreddamento che cade sul cilindro e fa condensare il vapore. Così, poiché nel cilindro l’ acqua occupa un volume minore del vapore, si forma una depressione e quindi la pressione dell’ aria fa salire lungo il canale l’ acqua.
Queste due fasi, una che porta l’ acqua fino al cilindro e l’ altra che fa salire l’ acqua dal cilindro al livello del suolo, possono ripetersi moltissime volte. Ma questa macchina comportava un grave rischio di esplosioni dovuto all’ uso del vapore e all’ alta pressione.
LA MACCHINA A VAPORE DI NEWCOMEN
Nella macchina di Newcomen una catena è attaccata da una parte al carico e dall’altra al pistone del cilindro. La catena è bilanciata in modo tale che, quando la valvola A è aperta e il cilindro è riempito di vapore alla pressione atmosferica normale (101300 Pa), il peso del carico solleva il pistone all’estremità superiore del cilindro. Mentre il pistone si muove verso l’alto, la valvola A è sempre aperta e la valvola B è sempre chiusa. Non appena il pistone raggiunge la posizione di massima altezza, la valvola A si chiude e la valvola C si apre. L’acqua fredda che cade sul cilindro fa condensare il vapore, producendo una depressione nel cilindro, e quindi la pressione atmosferica spinge nuovamente in basso il cilindro. Quando il pistone raggiunge la posizione inferiore, la valvola C si chiude e la valvola B si apre brevemente per lasciar defluire il vapore raffreddato e condensato. Quindi si riapre la valvola A e il ciclo ricomincia.
Nei primi modelli le valvole erano manovrate a mano, mentre in seguito l’apertura e la chiusura furono rese automatiche, sincronizzandole con il ritmo della macchina e usando per questo una parte dell’energia prodotta. Questa idea di usare una parte del prodotto di un processo per regolare il processo stesso è chiamata "retroazione" ed è utilizzata nella progettazione dei moderni sistemi meccanici ed elettronici.
La macchina di Newcomen aveva un rendimento molto più elevato di quella di Savery: 12 corse al minuto, circa 45 l d’ acqua sollevati ogni volta ad un altezza di 46 m contro le 2-5 corse al minuto una capacità di sollevamento di pochi litri d’ acqua per 25 m della macchina si Savery. Rimanevano gli inconvenienti dovuti all’ immissione manuale del vapore che se non era precisa determinava l’urto violento del pistone contro la base inferiore del cilindro, provocando spesso rotture.
La macchina ebbe gran successo e si sviluppò largamente.
LA MACCHINA A VAPORE DI WATT
JAMES WATT E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
James Watt nel 1757 ottenne un impiego all’Università di Glasgow ,come fabbricante di strumenti di precisione.
Nel 1764 gli fu chiesto di riparare un modello della macchina di Newcomen. Cominciò ben presto a capire che il problema più importante era l’elevata temperatura delle pareti del cilindro, dovuta al fatto che la maggior parte del calore si sprecava proprio nel riscaldamento delle pareti del cilindro, che d’altra parte venivano raffreddate non appena si iniettava l’acqua fredda per condensare il vapore.
Watt nel 1765 capì come si poteva rimediare, e costruì una macchina a vapore modificata in cui il vapore del cilindro, dopo aver spinto il pistone in su, veniva convogliato in un contenitore “separato”, per essere condensato.
Sebbene l’idea di Watt di separare il condensatore dal cilindro possa sembrare solo un piccolo passo nello sviluppo delle macchine a vapore, si rivelò quello decisivo.
Non dovendo riscaldare ogni volta il cilindro, la macchina di Watt riusciva a fare, con lo stesso combustibile, il doppio del lavoro di quella di Newcomen.
La tariffa richiesta da Watt per l’uso delle sue macchine dipendeva dalla loro potenza, che era definita come il rapporto tra la quantità di lavoro e l’intervallo di tempo impiegato.
Nel sistema internazionale l’unità di potenza è il joule al secondo, che si chiama Watt.
1 WATT = 1 JOULE/S
Già nel 1781 egli brevettava alcuni dei primi metodi per trasformare il moto alternativo dello stantuffo di una macchina a vapore nel moto rotatorio di un albero.
Ma solo 6 anni dopo, grazie alla collaborazione della "Lunar Society", la macchina a vapore di Watt cominciò a prendere forma. Fu la stretta collaborazione tra Watt e Wilkinson, proprietario di una fonderia, che permise la realizzazione di pistoni a tenuta, l’ ostacolo maggiore per la costruzione della macchina.
Poiché il rendimento della macchina di Watt era decisamente superiore a quello della macchina di Newcomen, essa si diffuse rapidamente in tutta l’ Inghilterra e l’ Europa.
FUNZIONAMENTO DELLA MACCHINA A VAPORE DI WATT
- Il vapore, prodotto nella caldaia, viene immesso attraverso l’ apertura della valvola V1 nel cilindro determinando, grazie alla sua espansione, l’ innalzamento del bilanciere.
- L’ apertura della valvola V2 e la chiusura di V1 lascia fluire il vapore nel condensatore, determinando così l’ abbassamento del bilanciere.
- Nel condensatore un getto d’ acqua fredda condensa il vapore, lasciandolo poi defluire attraverso la valvola di scarico V3. La macchina è a questo punto in grado di riprendere il ciclo.
Per rendere operative le invenzioni era però necessario disporre di cospicui capitali ed era perciò necessario l’intervento di un finanziatore: occorreva una sorta di alleanza tra ingegno e denaro.
Nel caso di Watt questi finanziamenti giunsero da Boulton che volle “sottrarre la parte esecutiva del progetto alle mani di quella moltitudine di ingegneri empirici che, per ignoranza, mancanza di esperienza e della necessaria incentivazione, si renderebbero responsabili di un lavoro cattivo e trascurato…”
LE MACCHINE SEGUENTI
Richard Trevithick, nel 1804 costruì la prima locomotiva. Nel corso del X1X secolo le macchine termiche a stantuffo furono costantemente perfezionate , ma solo nel 1884 l’ingegnere inglese Charles Parson riuscì a costruire la prima turbina a vapore, che permetteva di utilizzare il vapore per produrre direttamente un modo rotatorio, simile alle turbine idrauliche.
Il principio su cui si basa la turbina di Parson è più semplice di quello dei motori di Newcomen e Watt: un getto di vapore ad alta pressione investe le pareti di un rotore facendolo girare ad alta velocità.
L’invenzione della macchina a vapore e il suo perfezionamento ad opera di Watt e dei tecnici che lo seguirono non ebbero un’importanza puramente tecnica. L’energia a buon mercato che essi misero a disposizione diede l’avvio ad un enorme sviluppo dell’industria in Europa e successivamente in America, favorendo la trasformazione delle strutture economiche e sociali nota come “RIVOLUZIONE INDUSTRIALE".
Già nei primi anni successivi alla prima fase della rivoluzione industriale si ebbero delle posizioni molto contrastanti .E' evidente che questa provocò degli effetti eccezionali su tutta la vita dell’uomo: risultò modificata l’organizzazione del lavoro, che andò sempre più specializzandosi ; fu sconvolta la struttura territoriale, con il sorgere dei grandi agglomerati urbani, l’immigrazione forzata e l’emigrazione di grandi masse contadine ; il tenore di vita della popolazione si modificò passando attraverso fasi alterne.

L’ABBANDONO DELLE CAMPAGNE
Non era difficile per il nobile, lui stesso un membro del Parlamento o amico intimo di un membro del Parlamento, chiedere al Parlamento di far passare Enclosure Acts. Questi permettevano alla nobiltà e ai pochi ricchi proprietari terrieri di racchiudere la maggior parte delle terre del villaggio in campi privati (private farms). Molti contadini non potevano permettersi di recintare la loro porzione di terra, così dovettero venderla ai grandi proprietari terrieri per una somma irrisoria. Altri contadini che non potevano dimostrare che avevano la precedenza sulle terre, perdettero il diritto su una porzione della terra che avevano coltivato per anni, così perdettero tutto. Vagavano per cercare lavoro, ma ce n' erano tanti in queste condizioni, così il salario era molto basso.
Di fronte alla prospettiva della disoccupazione e della povertà, ai contadini non restava infatti altro che cercare la soluzione dei propri problemi economici nell' ambito della nuova organizzazione industriale: essi, pertanto, si riversarono nelle zone dove più numerose sorgevano le fabbriche nella speranza, spesso illusoria, di trovare lavoro. Sotto tale aspetto la rivoluzione industriale fu nello stesso tempo effetto e causa della disgregazione del tessuto sociale rurale ormai dominato da grandi proprietari, circondati solo da uno scarso numero di fittavoli, mezzadri e coloni. Le numerose "enclosures" messe in atto dai proprietari terrieri, quindi, rendono impossibile al ceto povero, che viveva con la pastorizia e l'agricoltura, poter mantenere le propria famiglie; essi devono quindi abbandonare la campagna e dirigersi verso la città, dove formeranno la massa di manodopera a basso costo necessaria per la nascente industria. E proprio le industrie che stavano nascendo fanno sì che parte dei benestanti si impegni nell'economia industriale, facendo così emergere una nuova classe, quella della borghesia imprenditoriale, attiva nel settore di produzione e commercio dei prodotti. Questa nuova classe, inoltre, rappresenterà una concorrente per la nobiltà, ancora legata alla proprietà terriera e meno disponibile a cambiamenti.
Anche la vita delle città mutò radicalmente dal momento che nelle capitali e nelle metropoli industrializzate si verificò in un breve giro di anni un fortissimo aumento della popolazione. Non meraviglia dunque che - mentre le città dovevano dare vita ad un impianto urbanistico ampiamente ristrutturato - le amministrazioni si trovassero a dover affrontare compiti difficilissimi, come quello dell'approvvigionamento delle derrate alimentari in quantitativi tali che spesso le campagne circostanti non erano in condizione di fornire, neppure nei periodi di massima resa.
NASCITA DI DUE NUOVE CLASSI SOCIALI
➢ Il proletariato urbano
Con l'avvento della rivoluzione industriale ed il mutare delle condizioni di lavoro, nasce la classe operaia, il cosiddetto proletariato urbano. Questo, privo di protezione ed esposto al rischio permanente della disoccupazione, dal momento che l'abbondante manodopera permetteva agli imprenditori di licenziare quando volessero, era sottoposto a condizioni di lavoro durissime. Le macchine, che non erano più alimentate da energia umana, ma da fonti esterne, non avevano teoricamente più bisogno di soste ed imponevano ritmi di lavoro costanti. Un operaio dunque compiva meccanicamente lo stesso lavoro per 12/ 16 ore al giorno, in pessime condizioni igieniche e con un salario appena sufficiente per vivere. Questi lavoratori erano dei veri e propri "schiavi", imprigionati in afose fabbriche alte otto piani fino a sera, senza un attimo di riposo salvo i tre quarti d'ora del pasto. Il fatto che il lavoro dell'operaio consistesse semplicemente nella prolungata esecuzione di facili e monotone operazioni e non servisse più essere dotati di forza fisica, allargava la possibilità di impiego anche a donne e bambini, pagati ancora meno degli uomini..Fino alla metà del sec. XIX i tre quarti circa della manodopera impiegata nella fabbriche tessili inglesi erano donne e ragazzi fra i dieci e i diciotto anni.
Tutta la vita dell'operaio veniva assorbita dalla fabbrica, dove il ritmo di lavoro era automaticamente imposto dalla macchina. Egli finiva col diventare uno strumento di produzione, asservito ad un meccanismo produttivo sul quale non poteva esercitare alcun controllo. Inoltre le terribili condizioni di vita portavano all'aumento del degrado e della criminalità nei tetri, malsani e sovraffollati centri industriali, dove l'assenza di servizi pubblici e di misure igieniche era quasi totale: si trattava di veri e propri agglomerati di case, sorte senza ordine, senza un piano preciso, senza il minimo rispetto per l'uomo e per la natura. Di solito intere famiglie abitavano in un'unica stanza, chiamata "cellar", senza finestre o con piccole prese d'aria. Nelle strade buie, fangose e malsane della Londra del XVIII sec., dove si conduceva una vita particolarmente squallida e misera, si diffondevano la delinquenza organizzata, il borseggio, la prostituzione, il gioco d'azzardo e l'alcoolismo, così come testimoniano molti scrittori ed artisti del periodo. Stanchi delle loro condizioni di vita gli operai ben si ribellarono, dando vita a varie forme di protesta.

➢ Gli imprenditori
La rivoluzione industriale segnò l'ascesa di una nuova oligarchia economica e sociale formata da uomini intraprendenti, determinati, consapevoli del proprio ruolo: gli imprenditori. Fra di loro alcuni provenivano da posizioni di partenza piuttosto modeste: artigiani, padroni di bottega, agricoltori benestanti che si erano associati con mercanti imprenditori; ma anche contadini-tessitori dotati di un piccolo capitale e di qualche proprietà da vendere, piccoli fabbricanti attivi in settori specializzati che si lanciarono poi nella produzione più ampia e negli affari grazie ai risparmi messi da parte, a una dura disciplina di lavoro, alla padronanza tecnica. Altri venivano da posizioni già consolidate nella finanza, nel commercio, nella produzione manifatturiera; furono questi la parte più corposa del ceto industriale che si consolidò tra Sette e Ottocento, mettendo fuori gioco la produzione artigiana e imponendo il sistema di fabbrica. Queste persone seppero abilmente, grazie all'iniziativa personale, al rischio dell'impresa e alle capacità organizzative, adottare e sfruttare le invenzioni allo scopo di sostenere con successo la sfida competitiva, battere i concorrenti e guadagnare posizioni preminenti sul mercato.
La ricca borghesia si occupava di impiegare i propri capitali in modo tale da trarne il massimo rendimento, considerando il proletario una semplice "merce" valutabile economicamente a seconda delle richieste del mercato, ovvero secondo le maggiori o minori richieste delle fabbriche. I nuovi "padroni" avevano con la manodopera un rapporto sempre meno umano e personale. In aspro contrasto con la povertà e la degradazione della classe operaia essi si davano arie a non finire, con una boriosa ostentazione di palazzi eleganti, equipaggi, livree, parchi, cavalli e cani da caccia che avevano cura di mostrare nel modo più solenne al mercato straniero.
Composizione per classe della popolazione inglese(1750 - 1867)
In Inghilterra fino alla metà del 1700 gran parte dell' attività lavorativa si svolgeva o nelle botteghe artigiane delle città o nei sobborghi e nelle campagne dove il lavoro avveniva a domicilio.
Con l'introduzione delle macchine e del vapore il lavoratore diventa un operaio, abbandona tutte le attività specialmente quella agricola, ed ha nella fabbrica il suo unico impiego. Egli, inoltre, comincia ad eseguire solo l'operazione parziale affidatagli sulla base di una crescente divisione del lavoro.
A questo insieme di trasformazioni si associa una nascita del proletariato industriale.
Come ci è dimostrato dal grafico, infatti, nella prima metà del '700, vi fu un aumento degli operai generici pari al 45% con una conseguente diminuzione dei manufattieri uguale al 5% e degli agricoltori pari al 25%.
Negli anni successivi a causa della divisione del lavoro, si verifica un aumento degli operai specializzati e semi-specializzati pari per i primi al 10% e per i secondi al 40%.
.
NOBILTA'
2%
0%
PROFESSIONISTI DIPENDENTI STATALI
7%
0%
AGRICOLTURA
25%
0%
OPERAI GENERICI
45%
0%
MANUFATTURIERI
5%
0%
DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
18,50%
0%
CLASSE SUPERIORE
0%
1%
CLASSE MEDIA SUPERIORE
0%
1,50%
CLASSE MEDIA
0%
2%
CLASSE MEDIA INFERIORE
0%
18,50%
OPERAI SPECIALIZZATI
0%
12%
OPERAI SEMISPECIALIZZATI
0%
38%
AGRICOLTURA E OPERAI NON SPECIALIZZATI
0%
28,50%
CONDIZIONI DI VITA DURANTE LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
La classe operaia, come siamo abituati ad intenderla oggi, è il prodotto di un lungo processo che procede parallelamente all'affermazione dei metodi di produzione capitalistica. Nell'Inghilterra pre-industriale i lavoratori erano distinguibili a seconda del prestigio e dell'importanza economica, derivanti dalla loro qualifica. La diffusione del capitalismo industriale provocò, invece, il declino dei vecchi mestieri: pochissimi artigiani riuscirono ad emergere e la maggior parte perdette il suo lavoro a causa della concorrenza delle manifatture e fu costretta ad emigrare in città, entrando così a far parte di quella massa indistinta che costituiva la manodopera per le fabbriche. Macchine come la water-frame e la mule-jenny contribuirono a questo processo rendendo la produzione veloce, abbondante e sempre migliore, insomma decisamente superiore a quella che potevano offrire gli artigiani o i contadini, che, spesso, durante l'inverno si occupavano di attività commissionate loro da mercanti, che fornivano le materie prime e gli strumenti necessari e rivendevano il prodotto finito. Gli operai lavoravano per salari bassissimi, in ambienti insalubri, subendo orari massacranti: si afferma il regime dell'orologio che imponeva ritmi di lavoro prima mai utilizzati. In questo periodo si svilupparono adirittura delle vere e proprie teorie per la razionalizzazione del lavoro: la corrente conosciuta come Utilitarismo proponeva al capitalista come unico parametro di giudizio l'utile e lo autorizzava a uno sfruttamento sistematico dei dipendenti.I grandi industriali, per poter migliorare i profitti, decisero di far specializzare ciascun operaio in una singola fase del lavoro in modo da evitare dispersioni e perdite di tempo. In molti si opposero a questa tendenza cercando di mettere in luce come essa rovinasse inevitabilmente i lavoratori, privandolì della loro dignità. Il fatto che la manodopera fosse composta anche da donne e da bambini e vivesse nelle workhouses, miseri alloggi costruiti vicino ai centri produttivi, creò generazioni di persone degradate fisicamente e moralmente e senza una concezione propria della famiglia. E' però proprio in questo periodo che iniziarono le prime forme di protesta da parte dei lavoratori per ottenere qualche miglioramento alla loro condizione, ma il Governo si mosse più per soffocare questi moti che per risolvere i problemi che ne erano alla base.
Con la meccanizzazione si introduce uno stretto rapporto tra tempo e lavoro, una disciplina di fabbrica su cui sovrasta l'orologio. A questa disciplina la classe operaia venne educata con difficoltà. Di alcuni aspetti di questo "processo educativo" dà conto il seguente testo di Edward P. Thompson, che utilizza come materiale documentario sia i regolamenti di fabbrica sia opuscoli e testi di predicatori, moralisti, pubblicisti del secolo XVIII.
Da E.P.Thompson, "Società patrizia e cultura plebea"
"La mia intenzione è quella di trattare brevemente alcuni punti che riguardano in modo più particolare la disciplina del tempo. Il primo si trova nello straordinario Law Book delle Fonderie Crowley: qui, al momento stesso della nascita della grande unità produttiva nel settore manifatturiero, il vecchio autocrate Crowley ritenne necessario redigere un intero codice civile penale, ascendente a oltre diecimila parole, per controllare e disciplinare la forza lavoro. (...) Coloro che vengono dopo l'ora fissata dovranno essere diffidati e, se dopo ripetuti segni di biasimo, essi continuano a non essere puntuali, dovrà essere tenuto conto del tempo in cui sono mancati e trattenuta dal loro salario una parte proporzionale a tale tempo. (...) William Temple fu esplicito riguardo alla funzione socializzante del lavoro: "Vi è una grossa utilità nel fatto che, in un modo o nell'altro, essi siano costantemente occupati almeno dodici ore al giorno, sia che si guadagnino da vivere o no; perchè abbiamo la speranza che con questi mezzi la futura generazione sarà talmente abituata a lavorare in modo continuativo che alla fine lo troverà gradevole e divertente". (...)Fu proprio nel settore tessile che la lotta sugli orari divenne più violenta. All'inizio, alcuni dei padroni peggiori tentarono di espropriare gli operai di qualsiasi cognizione del tempo."Lavoravo allo stabilimento del signor Braid-dichiarò un testimone-d'estate lavoravamo fino a quando potevamo vederci e non sono in grado di dire a che ora smettavamo. Non c'era nessuno, salvo il padrone e suo figlio, che avesse l'orologio. Uno di noi ne aveva uno: gli fu portato via e venne dato in custodia al padrone perchè aveva detto agli uomini che ora era."
Riguardo "le condizioni di vita durante la rivoluzione industriale" gli studiosi si sono divisi in due gruppi: ottimisti e pessimisti. Gli studiosi presi in considerazione sono: Hobsbawn, Hartwell e Thompson.
I primi due basano la loro posizione mediante dati statistici. Analizzando questi dati Hobsbawn si è dichiarato pessimista; invece, Hanwell si è schierato dalla parte degli ottimisti. Thompson è l'unico tra questi tre autori, che non ha solo basato la sua teoria sui dati statistici ma si è spinto oltre ed ha cercato di capire quale fosse lo stato d'animo della popolazione. Il risultato di tutto questo lo ha fatto 'entrare" in un gruppo intermedio tra i due esistenti. Infatti, afferma che nel periodo 1790-1840 il livello di vita medio aumentò ma aumentò anche la sofferenza e lo sfruttamento della popolazione.
Per argomentare la sua tesi pessimistica, Hobsbawn, come già stato detto, si è basato in dati statistici riguardanti il periodo 1780-1860. Più specificamente si è basato sui dati riguardanti gli indici sociali, la disoccupazione e gli indici di consumo. Per quanto riguarda l'indice sociale, l'autore afferma che in un primo periodo la mortalità diminuì ma poi nel periodo culmine della rivoluzione questa salì rapidamente. Il motivo di questo aumento della mortalità non è subordinato alle condizioni sociali ma al reddito e al consumo di cibo. Per quanto riguarda la disoccupazione i dati pervenuti all'autore affermano che questa aumentò drasticamente nel settore del lavoro artigianale che non riusciva a competere con il lavoro industriale. Infine, gli indici di consumo di carne e cereali diminuirono rafforzando la tesi pessimistica di Hobsbawn.
Hartwell, invece, si schiera dalla parte degli ottimisti affermando, sempre con dei dati statistici che argomentavano la sua tesi, che il reddito medio pro capite aumentò e conseguentemente anche il livello medio di vita. L'autore afferma che nel periodo tra il 1800 e il 1850 i salari reali (cioè il potere d'acquisto) aumentarono grazie all’abbassamento dei prezzi. Conseguentemente a quest’aumento si ebbe una crescita del livello medio di vita. Quindi, con l'allargamento dei mercati, i prezzi sia dei manufatti che dei generi alimentari diminuirono. Questo comportò anche un aumento dell'occupazione rafforzando la tesi ottimistica di Hartwell.
Thompson, 1’unico a non schierarsi in un preciso gruppo, afferma che i salari reali nel periodo 1832-1842 oscillarono tra aumenti e diminuzioni. Dopo questo periodo i salari diminuirono ancora grazie alla crisi che riguardò le ferrovie. L'autore in questo passo, critica gli economisti contemporanei di essersi basati su autori che si erano a loro volta basati su dati provenienti dagli imprenditori. Per questo, afferma che per formulare un'esatta tesi bisogna considerare non solo i dati statistici ma anche le "soddisfazioni" della popolazione lavorativa. Queste "soddisfazioni" riguardano l'alimentazione, la casa, la salute, ecc. e sono ricavate dai testi letterari del tempo. Però, ad esempio, un aumento del consumo non può corrispondere ad un aumento della felicità. La tesi di Thompson non si può giudicare né ottimistica né pessimistica: anche se il livello di vita aumentò, non aumentò la felicità della popolazione.
Nei primi due autori la concezione della qualità' della vita è implicita dato che gli autori la analizzano tramite dati. Invece, nel passo di Thompson è esplicita, datp che l'autore studia direttamente le soddisfazioni della popolazione.
" è una massa disordinata di alte case, di tre o quattro piani, con strade strette, contorte e sporche, nelle quali regna un’animazione per lo meno pari a quella delle vie principali della città, solo che in St. Giles vive unicamente gente che appartiene alla classe operaia. Per le strade si tiene il mercato: ceste piene d’ortaggi e di frutta, naturalmente tutta pessima e quasi non commestibile, restringono ancor più il passaggio, emanando, al pari delle macellerie, un puzzo disgustoso. Le case sono abitate dalle cantine fin sotto i tetti, sporche di dentro e di fuori, ed hanno un aspetto tale che nessuno vorrebbe abitarci. Ma questo è ancora niente di fronte alle abitazioni negli angusti cortili e nei vicoli tra una strada e l’altra in cui si entra attraverso passaggi coperti tra le case, dove la sporcizia e la rovina superano ogni immaginazione: qui è difficile trovare un vetro intatto, le mura sono sbriciolate, gli stipiti delle porte e le intelaiature delle finestre spezzati e sgangherati, le porte sono fatte di tavole inchiodate..." tratto da F. Engels
Nel brano seguente, tratto da The old curiosity shop, scritto nel 1840 da Charles Dickens, i protagonisti giungono in una città industriale inglese e, entrando, vengono pervasi da una buia tristezza, da una lugubre ombra, che, man mano che avanzano, si trasforma in una densa e scura nube di fumo. I sobborghi delle città erano costituiti da lunghi allineamenti di case di mattoni rossi, alcune con piccoli giardini, dove la polvere di carbone e il fumo delle fabbriche oscuravano l'aria e rinsecchivano le foglie delle piante; c'erano vaste zone senza un filo d'erba e ai lati delle strade c'erano delle pozze d'acqua stagnante. Da ogni parte, fino a dove poteva arrivare la vista, si vedevano altissime ciminiere ammassate l'una all'altra, che riversavano fuori il loro fumo tossico.
"On every side and as far as the eye could see into the heavy distance, tall chimneys, crowding on each other, and presenting that endless repetition of the same dull, ugly form, which is the horror of oppressive dreams, poured out their plague of smoke, obscured the light, and made foul the melancholy air."
Tutt'intorno c'erano delle costruzioni fetide nelle quali strane macchine si muovevano continuamente contorcendosi come creature torturate.
"On mounds of ashes by the wayside, sheltered only by a few rough boards, or rotten penthouse roofs, strange engines spun and writhed like tortured creatures; clanking their iron chains, shrieking in their rapid whirl from time to time as though intorment unendurable, and making the ground tremble with their agonies."
Qua e là apparivano case pericolanti tenute in piedi da altre che gli erano cadute vicino, senza tetto, senza finestre, ma nonostante questo abitate.
"Dismantled houses here and there appeared, tottering to the earth, propped up by fragments of others that had fallen down, unroofed, windowless, blackened, desolate, but yet inhabitated."
Gli uomini, le donne e i bambini, pallidi e malvestiti, si prendevano cura più delle macchine che della loro vita e chiedevano la carità per le strade oppure si affacciavano mezzi nudi alle porte delle case con la cattiveria dipinta sul volto.
"Men, women, children, wan in their looks and ragged in attire, tended the engines, fed their tributary fire, begged upon the road, or scowled half-naked from the doorless houses."
UNA CELLAR
Le back to back houses erano le case popolari in cui vivevano i proletari nei sobborghi delle città. Ancora più malsane erano le condizioni dei seminterrati di queste case, le cosiddette cellars, senza fineste e sovraffollate.


L'UTILITARISMO E LA DIVISIONE DEL LAVORO
L'Utilitarismo è una concezione filosofica che pone l'utilità come motivo fondamentale dell'agire umano: la sua teorizzazione più famosa e significativa è quella fornita da Jeremy Bentham, per cui l'etica, nell'esigenza di superare il limite edonistico o egoistico della concezione dell'utile, viene impostandosi su un principio quantitativo più che qualitativo, riassumibile nella formula secondo cui "il bene è la maggior felicità del maggior numero".
Secondo Adam Smith l'utilitarismo ha portato alla divisione del lavoro che ha introdotto un grande miglioramento sia nel sistema produttivo sia nello sfruttamento delle migliori qualità dei lavoratori, quali l'abilità e la destrezza. Si introduce, così, la specializzazione in ogni settore lavorativo: tutto ciò che veniva fatto da un uomo solo, ora viene svolto da più persone. Per esempio, mentre prima un operaio si occupava di tutta la sequenza di produzione di uno spillo, ora si interessava solo di una singola fase. In questo modo un gruppo di operai produceva quantità prima insperate di spilli.Questo comporta che vengano inventati macchinari più sofisticati che aiutino l'uomo ad aumentare la produzione e ad ottimizzare i tempi lavorativi. L'autore sostiene infatti che un uomo la cui attenzione è incentrata solo su una singola azione è inevitabilmente portato a perfezionare dei metodi che gli permettano di svolgere più facilmente e più velocemente il suo lavoro. E proprio grazie a questa propensione la tecnologia progredisce.
Anche Charles Babbage, matematico inglese è dacccordo con la tesi di Smith, alla quale si richiama anche nel suo testo “L’economia delle macchine e delle manifatture”.
Una voce contraria all'Utilitarismo fu quella dello scrittore John Ruskin, il quale si oppose alla divisione del lavoro che portava alla degradazione mentale dell'operaio e quindi dell'essere umano. Egli condannò la rivoluzione industriale per avere incrementato il numero di fabbriche, che rendevano squallide le città, e per aver come unico scopo l'aumento del sistema produttivo. Tutto ciò si capisce leggendo "The stones of Venice", dove l'autore rapporta la bellezza morale ed artistica di Venezia all'Inghilterra del suo tempo.

LA DONNA
➢ L’operaia:
Uno degli aspetti che colpisce molto, per quanto riguarda il fenomeno dell'industrializzazione, è il largo impiego nelle fabbriche di donne e bambini, sottoposti a ritmi di lavoro pesantissimi. Tuttavia all'inzio la cosa non sembrò straordinaria, perchè in campagna come nelle attività artigianali, sia donne che bambini erano da sempre utilizzati, e anche ampiamente. Le donne, soprattutto in campagna, svolgevano lavori di fatica pari a quelli degli uomini; inoltre, lavori quali cardare e pettinare la lana, filare e tessere erano compiti destinati da sempre a donne e bambini. Vista la situazione da sempre esistente, quando le prime fabbriche tessili si sostituirono a filatura e tessitura a domicilio, sembrò naturale che donne e bambini continuassero a fare nella filanda ciò che facevano nelle case, da sempre. I salari e le condizioni erano penosi, in quanto gli uni già bassi, e ancora di più per le donne, e le altre molto difficili.
Una situazione particolarmente difficile e penosa era quella delle miniere. In fondo alle gallerie le donne erano usate al posto dei cavalli perchè meno costose, ma legate e bardate esattamente come gli animali, e dovevano trasportare i vagoncini d'evacuazione, pesantissimi.
Un'altra esistenza infernale: quella delle operaie delle sartorie, ricamatrici e biancheriste. A malapena pagate quando lavoravano a domicilio, lo erano quanto e non di più di quando lo facevano in laboratorio. Il regime qui era assolutamente inumano: le ore abituali andavano, in inverno, dalle otto del mattino alle undici di sera, mentre in estate dalle sei di mattina a mezzanotte. La donna "del focolare" la si può definire "polivalente", per le molteplici funzioni che si trova a svolgere:
1)la generazione e la cura dei bambini, che nella maggior parte dei casi ella porta con sè. Sempre di più, con la crescita, i ritmi della donna saranno scanditi da quelli dei figli;
2)il mantenimento della famiglia, i "lavori di casa", includenti ogni sorta di cose: la ricerca del cibo al prezzo più conveniente, tramite scambi, acquisto, raccolta diretta...; la preparazione dei pasti; la provvista dell'acqua, il riscaldamento, la cura della casa e delle vesti, da lavare, rattoppare, riadattare, ecc.;
3) la donna cerca di "arrotondare" il salario del marito tramite piccoli lavori a domicilio, a ore, piccoli traffici femminili, vendite nelle bancarelle.
Più avanti il lavoro a domicilio è assorbito con il progresso, infatti le prime macchine da cucire (Singer), e il loro fascino "rapiscono" le casalinghe e le rintanano in casa. Molti mariti consegnano alle consorti le paghe, in modo che vengano gestite in modo autorevole ed equo, in modo intelligente. Con la comparsa di nuovi prodotti che attirano le massaie, proprio esse si sacrificavano, così da poter soddisfare, invece, i piccoli "vizi" di marito e figli. Erano "sognatrici", ghiotte di romanzi a puntate, canzoni, danze. Erano, solitamente, anche molto devote, quasi "corteggiate" dalla Chiesa; per questo si trovavano spesso a svolgere compiti religiosi, naturalmente non senza contrasti con i mariti, che si atteggiavano a posizioni decisamente più materialistiche.
➢ La donna borghese:
Nelle famiglie borghesi la figura più importante era quella della padrona di casa, cui era affidato il compito di organizzare la vita familiare nel privato come nei rapporti sociali. La padrona di casa si alzava di solito tra le sette e le otto e sovrintendeva al lavoro dei domestici, che in una famiglia della media borghesia erano in numero di tre, solitamente. Sul finire della mattina poteva dedicarsi ad attività personali, rigorosamente in casa: suonare il pianoforte, ricamare, tenere la corrispondenza,... rigorosamente, perchè era norma comune che una donna a modo la mattina non dovesse uscire. Se si fosse incontrata una donna borghese per strada nel corso della mattinata, la buona educazione consigliava di non salutarla perchè si supponeva che si stesse dedicando ad opere ed attività caritatevoli e religiose, su cui desiderava mantenere il riserbo.
I BAMBINI
Da J.Aikin, "A desrciption of the country from 30 to 40 miles round Manchester", 1795
"L'invenzione ed il perfezionamento delle macchine, tendenti a diminuire il lavoro, hanno contribuito moltissimo ad estendere il nostro traffico ed ad attirare da ogni parte operai, principalmente fanciulli, per gli opifici di cotone. (...) Vi si adoperano fanciulli in età tenerissima. Un gran numero di essi vengono forniti dalle case di lavoro in Londra e in Westminster. Si conducono a bande, come apprendisti, a maestri lontani parecchie centinaia di miglia. (...) Per l'ordinario questi fanciulli lavorano troppo a lungo, in stanze strette e chiuse, sovente anche per tutta la notte. Vivono in un gran sudiciume e vanno soggetti a febbri epidemiche che affligono tutti i grandi opifici. (...) In generale hanno poca forza per il lavoro meccanico, ed alla fine del loro tirocinio sono poco atti ad ogni altra occupazione."
GLI EFFETTI DELLA DEGRADAZIONE DEGLI OPERAI
F.Engels,"La situazione della classe operaia in Inghilterra"
Contro l'opinione largamente diffusa fra la borghesia che la miseria degli operai fosse in fondo il frutto della loro debolezza morale, della loro imprevidenza e corruzione, F.Engels sostenne con particolare vigore le origini sociali dell'alcolismo, del malcostume e del crimine, non riconducibili se non in misura minima a vizi o colpe personali. Era dunque la miseria a generare corruzione e non viceversa.
"I difetti degli operai sono tutti da ricondursi, in generale, a mancanza di freno nei piaceri materiali, a scarsa previdenza e ad arrendevolezza verso l'ordinamento sociale, in sostanza all'incapacità di sacrificare il piacere del momento ad un vantaggio più lontano. Ma come ci si può meravigliare di ciò? Una classe che in cambio del duro lavoro può procurarsi ben poco, soltanto i più immediati piaceri dei sensi, non deve necessariamente gettarsi a capofitto in questi piaceri? (...) L'uomo lavora tutto il giorno e lo stesso fanno magari la donna e i fìgli maggiori, tutti in luoghi diversi, si vedono soltanto al mattino e alla sera; inoltre c'è la perenne tentazione di bere acquavite; come può aversi, in queste condizioni, una vita familiare? (...) Dai "prospetti della criminalità" pubblicati annualmente dal Ministero degli Interni, risulta che in Inghilterra l'aumento dei diritti ha proceduto con rapidità incredibile. (...) Le tabelle della criminalità dimostrano inoltre in modo diretto che di quasi tutti i delitti l'autore è da ricercarsi tra il proletariato. (...) I delittti stessi, come in tutti i paesi civili, sono nella stragrande maggioranza delitti contro la proprietà, dunque proprio quelli che hanno la radice nella mancanza di qualche cosa, perchè uno non va a rubare ciò che possiede."

LE LOTTE SOCIALI
Le condizioni di vita e di lavoro degli operai erano pressochè impossibili , poichè i salari erano bassi ed i prezzi dei prodotti alimentari aumentavano sempre più. La disoccupazione gettava spesso sul lastrico intere famiglie, senza che gli operai potessero godere di alcuna forma di assistenza o di previdenza. Anche lo Stato contribuì a rendere più agevole lo sfruttamento dei salariati vietando, nel 1799-1800, con i Combination Act, l'associazione fra gli operai, allo scopo di impedire sia le rivendicazioni economiche che la partecipazione alla lotta politica. La condizione delle masse operaie era però giunta ad un punto tale che si ebbero i primi episodi di ribellione contro la classe imprenditoriale. All'inizio furono forme di rivolta sociale molto simili alle rivolte contadine contro i signori feudali, spontanee, senza capi, senza precisi obiettivi, come nel caso della rivolta contro le macchine, ritenute la causa della disoccupazione di molti lavoranti a domicilio: fu il cosiddetto "Luddismo", dal nome dell'operaio Ned Ludd che, secondo la leggenda, nel 1779 aveva spezzato un telaio. La protesta assunse forme violente soprattutto nel 1811, quando il Luddismo si sviluppò nel Nottinghamshire, per dilagare poi nelle altre regioni industriali. Questo movimento si esaurì senza essere giunto a reali conquiste, ma gettò le basi per il formarsi di una coscienza della classe operaia e per le prime rivendicazioni, poichè, nonostante il divieto dei Combination Act, si svilupparono clandestinamente le associazioni di mestiere (Trade Unions), le quali tentarono dapprima di opporsi all'abrogazione o al tacito abbandono delle leggi e consuetudini corporative che fin dal tardo Medioevo avevano tutelato il lavoro. In seguito, riconosciuto il diritto di associazione (Inghilterra 1824), grazie soprattutto all'opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica svolta dal Movimento Radicale inglese, cominciarono a rivendicare aumenti salariali, leggi più umane sul lavoro di donne e fanciulli ed il riconoscimento di diritti politici. Si sviluppò allora, sia in Inghilterra che in Francia, un crescente interesse da parte di economisti e riformatori sociali per le condizioni delle masse operaie e per quella che fu chiamata la QUESTIONE SOCIALE.


LA PROTESTA OPERAIA
Molti lavoratori, prima indipendenti, opposero una ferma resistenza alle innovazioni tecnologiche e al tentativo da parte dei capitalisti di ridurli al semplice ruolo di comuni salariati che spesso, invece di occuparsi dell'intera produzione di un oggetto, si limitavano a ripetere fino allo sfinimento la stessa operazione.
Per scoraggiare la formazione di associazioni combattive e di opposizione una legge del 1793 legittimò unicamente le cosiddette Friendly Societies, che non avevano finalità di lotta, ma solo di mutuo soccorso contro la disoccupazione e gli infortuni, grazie ai contributi versati dai soci.
➢ Documento della protesta legale
Dello stato d'animo dei lavoratori inglesi ostili alle macchine è testimonianza la seguente lettera aperta, apparsa su due quotidiani di Leeds il 31 giugno 1786:
"(...) Dato che ogni macchina può fare in dodici ore il lavoro che possono fare dieci uomini lavorando notte e giorno, questo significa che una macchina potrà fare in un giorno un lavoro per cui si sarebbero altrimenti impiegati venti uomini. (...) In base ad un cauto calcolo per ogni singola macchina per cardare dodici uomini perderanno il lavoro (...) 8000 braccia saranno private dell'opportunità di procurarsi un mezzo di sussistenza. Noi dunque speriamo che i sentimenti di umanità indurranno coloro che possono impedire l'uso di queste macchine, a fare il possibile per scoraggiare ciò che mostra una così deleteria tendenza nei confronti dei loro simili." Firmato a nome di migliaia da J.Hepwort, R.Wood, T.Lobley, T.Blackburn.
➢ Gli operai inglesi distruggono le macchine
3 ottobre 1779
Sulla strada di Bolton, oltrepassato Chowbent, incontrammo una folla di varie centinaia di uomini. Penso che fossero almeno cinquecento. Quando chiedemmo ad uno di loro per quale motivo si erano radunati in un numero così imponente, mi dissero che avevano appena distrutto alcune macchine che intendevano fare lo stesso in tutto il paese. Di conseguenza, qui si attende già una loro visita per domani. Gli operai delle vicinanze hanno raccolto una considerevole quantità diarmi e stanno fondendo pallottole e facendo provviste di polvere per la battaglia di domani mattina. Sir Richard Clayton ce ne ha appena dato notizia. In questo momento egli è in città per concordare con gli abitanti le misurte da prendere per proteggerli. Credo che abbiano deciso di mandare completamente qualcuno a Liverpool per chiedere l'intervento di una parte delle truppe della guarnigione.
9 ottobre 1779
Il giorno stesso, nel pomeriggio, una grande fabbrica presso Chorley, organizzata secondo il sistema di Arcrite (Arkwright) che è uno dei proprietari, venne attaccata, ma la posizione del fabbricato permetteva agli assalitori di avvicinarsi solo attraverso uno stretto passaggio. Grazie a ciò, il proprietario della fabbrica, con l'aiuto di alcuni vicini, potè respingere l'attacco e per questa volta salvare la fabbrica. Due assalitori rimasero uccisi sul posto, un altro morì annegato e molti furono i feriti. La folla non aveva armi da fuoco e non si aspettava un'accoglienza così accanita. Questa gente si esasperò e giurò di vendicarsi. La domenica e la mattina del lunedì si diedero quindi a raccogliere fucili e munizioni. (...) I minatori del duca di Bridgewater si unirono ad essi insieme a molti altri operai, tanto che il loro numero raggiunse, hanno detto, gli ottocento uomini. Essi marciarono al suono di tamburo e ad insegne spiegate verso la fabbrica da cui il sabato erano stati respinti. Là, trovarono sir Richard Clayton alla testa di cinquanta invalidi armati. Cosa poteva fare un pugno d'uomini contro migliaia di forsennati? Gli invalidi dovettero mettersi da parte ed assistere allo spettacolo della folla che distruggeva completamente macchinari valutati oltre 10.000 sterline. Così trascorsero la giornata di lunedì. Martedì mattina, sentimmo i loro tamburi ad una distanza di circa due miglia, poco prima di uscire da Bolton. La loro esplicita intenzione era di impadronirsi della città, poi di Manchester e di Stockport, e di marciare quindi su Cromford e distruggere le macchine, non solo in queste diverse località, ma in tutta l'Inghilterra.
Nel 1812, inoltre, una dichiarazione dei calzettai giudicava lo statuto per cui i calzettai che fossero stati sorpresi a rompere le macchine sarebbero stati incriminati, una legge emanata da “persone malvagie” con lo scopo di screditare il mestiere dei calzettai. Dopo questo giudizio si trova nel documento una vera e propria dichiarazione di guerra a macchine e telai.
UN BILANCIO CONCLUSIVO
di Eric J. Hobsbawm
➢ "Il lavoro, in una società industriale, è sotto molti aspetti differente da quello che si svolge in una società preindustriale: esso è soprattutto il lavoro dei proletari che non hanno fonti di reddito degne di nota eccetto un salario in contanti che ricevono per la loro opera. La manodopera preindustriale, invece, è formata in gran parte da famiglie con le loro proprietà e le proprie attrezzature artigianali, o con un reddito salariale che integra questo diretto accesso ai mezzi di produzione;
➢ il lavoro meccanizzato di fabbrica impone una regolarità, una routine e una monotonia che non si notano nei ritmi preindustriali di lavoro, dipendenti dalle variazioni delle stagioni e del tempo, dalla molteplicità dei compiti in occupazioni non sottoposte alla razionale divisione del lavoro;
➢ l'attività lavorativa dell'età industriale veniva svolta sempre più nell'ambiente della grande città. Essa, per i suoi poveri abitanti, non era soltanto un costante richiamo alla loro esclusione dalla società umana: era anche un deserto di pietre da rendere abitabile soltanto con i loro sforzi;
➢ l'esperienza, la tradizione, la saggezza e la moralità dei tempi preindustriali non forniva una guida adeguata per il tipo di comportamento richiesto da un'economia capitalistica. La completa ignoranza materiale dell'operaio circa il modo migliore di vivere in una società poteva rendere la sua povertà peggiore di quello che sarebbe stata se egli non fosse stato l'uomo che inevitabilmente era.
Gli storici hanno aspramente discusso sulla questione se la povertà realmente aumentò o no, ma non c'è, naturalmente, nessuna disputa circa il fatto che, in senso relativo, i poveri diventarono più poveri perchè il paese, e le sue classi superiore e media, divennero così chiaramente più ricche. Il diffuso malcontento sociale e politico del tempo rifletteva non soltanto l'esistente povertà materiale, ma il corrente processo di impoverimento sociale: la distruzione cioè dei vecchi modi di vita senza la sostituzione con qualcosa che i lavoratori poveri potessero considerare come un sufficiente equivalente.
Sostanzialmente quello che teneva uniti tutti i movimenti di protesta o li faceva rivivere dopo sconfitte e disgregazioni periodiche, era il malcontento generale di uomini che soffrivano la fame in una società trasudante di ricchezza.
L'americano Colman nel 1845 scriveva: "Esseri umani meschini, defraudati, oppressi, prostrati, sparsi come frammenti sanguinanti su tutta la superficie della società; ogni giorno ringrazio il cielo di non aver fatto di me un poveraccio con la famiglia in Inghilterra." Possiamo meravigliarci se la prima generazione dei poveri che lavoravano nella Gran Bretagna industriale consideravano difettosi i risultati del capitalismo?

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