Notizie su Carlo Magno

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Categoria:Storia

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Testo

Re dei Franchi e dei Longobardi, imperatore del Sacro Romano Impero (? 742-Aquisgrana 814) . Figlio primogenito di
Pipino il Breve e di Berta, trascorse la giovinezza imparando l'uso delle armi. La prima data sicura della sua biografia è il gennaio 754 quando, per incarico del padre, andò a incontrare il papa Stefano II. In questa occasione il papa incoronò Pipino in St.-Denis e nel luglio dello stesso anno conferì a lui e ai suoi figli C. e Carlomanno il titolo di patricii Romanorum, patroni di Roma e della Chiesa. Negli anni immediatamente seguenti C. si batté con Pipino in Aquitania (761-762) e il suo nome compare in alcune donazioni. Alla morte del padre (24 settembre 768) C., in ossequio alla volontà paterna, divise il regno con Carlomanno reggendo l'Austrasia e la Neustria a N dell'Oise e lasciando al fratello la Neustria a S dell'Oise, la Borgogna, la Turingia e altre terre. Zona comune e causa di contese tra i due fratelli fu l'Aquitania. Carlomanno frattanto aveva sposato Gerberga, figlia del re longobardo Desiderio, e si occupò dell'Italia ottenendo un certo seguito in Roma. Anche C., auspice la madre Berta, malgrado l'opposizione del papa Stefano III, sposò l'altra figlia di Desiderio, Desiderata (o Ermengarda). Nel dicembre 771 Carlomanno moriva lasciando due figli ancora in tenera età e C., approfittando della situazione, unificò il regno impadronendosi dei domini del fratello; la vedova e gli orfani con alcuni fedeli si rifugiarono presso Desiderio. Poco tempo dopo C., tradendo l'amicizia e la parentela con il re longobardo, ripudiò Ermengarda e la rimandò in Italia in stato di avanzata gravidanza, e il papa Adriano I, trovando la nuova politica del sovrano franco verso i Longobardi consona ai suoi piani, chiese l'aiuto di Carlo contro Desiderio che pretendeva, armata manu, il riconoscimento dei nipoti come legittimi sovrani della Neustria. Il papa ricorse ancora a C. e questi nel giugno 773 mosse contro i Longobardi che attaccò presso le chiuse di Susa, riuscendo a passare: Desiderio, infatti, aveva dovuto ritirarsi per fronteggiare il secondo esercito franco che attaccava nella valle della Dora Baltea. Desiderio e suo figlio Adelchi si asserragliarono rispettivamente in Pavia e in Verona, che furono cinte d'assedio. Verona fu espugnata e Adelchi si salvò fuggendo a Costantinopoli. Pavia invece resistette fino al giugno 774 e Desiderio, vinto, fu inviato in Francia. C. nel frattempo si recò a Roma confermando al papa le donazioni precedenti e promettendogli, pare, anche tutti i domini già bizantini in Italia. Dopo aver assunto il titolo di re dei Longobardi, C. ritornò in Francia. Nel 776, a causa di un tentativo di Adelchi di riconquistare il regno e di una rivolta scoppiata nel Friuli, C. scese nuovamente in Italia e, dopo una dura repressione, sostituì ai duchi longobardi i conti e i marchesi franchi. Ridiscese una terza volta nel 780 su invito di Adriano I, minacciato dalle mire espansionistiche di Arechi, cognato di Adelchi e principe di Benevento. In questa occasione C., celebrando la Pasqua a Roma (15 aprile 781), fece consacrare re i figli Carlomanno (ribattezzato Pipino) e Ludovico, cui diede rispettivamente l'Italia e l'Aquitania, e accordatosi con Arechi ritornò in Francia senza essere riuscito a piegare completamente la resistenza longobarda. Guerra contro gli Arabi di SpagnaDomata una rivolta in Aquitania, C. volle assicurare i confini del suo regno verso la Penisola Iberica, proseguendo la politica già iniziata da Pipino, che aveva costretto il governatore di Barcellona alla sottomissione e aveva stretto relazioni con il califfo di Cordova. Nell'aprile del 778, valicati i Pirenei, assediò Saragozza, ma non riuscì a espugnarla; mentre ritornava in Francia la retroguardia dell'esercito fu massacrata dai Baschi presso Roncisvalle. C., impegnato ormai contro i Sassoni, affidò la prosecuzione dell'impresa ai marchesi delle province meridionali che conquistarono Gerona (785), Huesca (797), Barcellona (801) e Tortosa (811). Gli fu così possibile organizzare, all'inizio del sec. IX, la Marca Hispanica, con capitale Barcellona. Guerra contro Bavari e gli Avari I Bavari, costretti da Pipino a riconoscersi tributari dei Franchi, guidati dal loro duca Tassilone, sposo di Liutberga, figlia di Desiderio, si erano alleati con gli Avari e con Arechi, mantenendo un atteggiamento ostile contro i Franchi. Nel 787 C. mosse contro Tassilone che, abbandonato dai suoi, si arrese; condannato per fellonia, dovette abdicare e la Baviera fu incorporata al regno carolingio e divisa in contee rette da Franchi. Restava aperto il problema degli Avari, che, già alleati dei Burgundi, compivano scorrerie in Baviera e in Italia. Più che a sottometterli C. mirava a spezzare la loro unità politico-militare con le popolazioni slave per dare sicurezza alle frontiere orientali. Nel 791 C. iniziò le operazioni militari. Contemporaneamente il figlio Pipino, penetrato in Pannonia, assaliva e sconfiggeva gli Avari (23 agosto 791) e continuava poi le operazioni, lunghe e difficili, fino al 795, quando riusciva a espugnare il Ring avaro (campo trincerato circolare posto tra il Tibisco e il Danubio) dove era ammassato il tesoro del nemico. Gli Avari in parte si sottomisero e in parte fuggirono. Ribellatisi l'anno seguente, furono di nuovo sconfitti, il Ring venne demolito e fu creata la Marca Avarica, da cui sorgerà il Ducato d'Austria. Guerra contro i Sassoni Fu questa la più difficile e lunga impresa di C.; durò infatti 32 anni (772-804). Già Pipino, come i suoi predecessori, aveva dovuto rintuzzare gli assalti dei Sassoni, riuscendo a renderli tributari. C. optò per una soluzione più radicale: l'annessione dei territori sassoni tra il Reno, l'Elba e l'Eyder e la loro conversione al cristianesimo per essere sicuro sui confini nord-orientali. I Sassoni stessi offrirono a C. il casus belli rifiutando di pagare il tributo e distruggendo una chiesa cristiana. C. allora mosse loro guerra sconfiggendo gli Engri e gli Ostfali (775) e reprimendo con durezza una rivolta dei Vestfali. L'anno seguente, essendo stati massacrati alcuni presidi franchi, C. riprese le armi, ma numerosi capi nemici chiesero pace. La dieta di Paderborn, nel 777, ripropose la pace, ma i Sassoni non volevano rinunciare alla propria indipendenza e si raccolsero attorno a un energico capo, Vidukindo, il simbolo della resistenza di tutto il suo popolo, animatore di molte insurrezioni e scorrerie in territori franchi. Gli anni dal 781 al 785 furono i più difficili della guerra: nel parossismo della lotta C. emise il capitolare De partibus Saxoniae, in cui imponeva ai Sassoni, sotto pena di morte, di convertirsi al cristianesimo e di farsi battezzare. I Sassoni risposero con rinnovato impeto guerresco e C. dovette rimanere al campo anche d'inverno; battaglie cruentissime si accesero a Detmold e sulla Haase; a Verden il re si macchiò di una grave colpa facendo massacrare 4500 ribelli; pur di piegare l'ostinata resistenza mise tutto il Paese a ferro e a fuoco. Nel 785 Vidukindo dovette arrendersi e si ritirò dalla lotta. Rimasero in armi i Sassoni dell'estuario dell'Elba, del Weser e della Nordalbingia. Nel 792, 793 e dal 795 al 799, quasi ininterrottamente, C. condusse implacabili ed efferate spedizioni punitive; ma solo nell'804, deportando masse di Sassoni e affidando i loro territori a Franchi e Abodriti, riuscì a raggiungere il suo intento. Diverse spedizioni furono condotte anche contro i Bretoni che furono costretti a riconoscere il dominio carolingio (778, 780, 786); i porti della regione furono fortificati a protezione dalle incursioni normanne. Tali fortificazioni, come pure quelle erette contro gli Slavi e i musulmani, preservarono gran parte dell'Europa cristiana da nuove invasioni barbariche e le consentirono al tempo stesso di coesistere col mondo islamico e slavo. L'organizzazione dell'impero I domini del sovrano franco si estendevano dall'Elba e dal Tibisco all'Ebro, dal Mare del Nord e dall'Atlantico al Mediterraneo; egli godeva di grande prestigio sia presso gli altri re cattolici (come Egberto d'Inghilterra e Alfonso delle Asturie), sia presso i musulmani (Harun-ar-Raschid, califfo di Baghdad). Oltre che il signore di molti popoli, C. era anche il campione del cristianesimo. Il papa Leone III, succeduto (795) ad Adriano I, si era rivolto a C. perché costatasse la legalità della sua elezione, e il re franco aveva colto l'occasione per assumere la veste di "princeps populi Christiani", promettendo al papa di difenderlo in ogni caso. E il caso si presentò poco dopo: nel 799 Leone III fu aggredito e privato della libertà da alcuni congiurati romani che l'accusavano di essere troppo remissivo nei confronti del dominio franco; liberatosi, ricorse a C. e da lui ebbe aiuto per ritornare a Roma. Poi, nell'800, C. stesso scese in Italia con un esercito e in un pubblico processo assolse il papa e condannò i congiurati (23 dicembre 800). Due giorni dopo, durante la messa della notte di Natale, celebrata in S. Pietro, Leone III gli pose sul capo una preziosa corona, mentre, a quanto narra Eginardo, i presenti gridavano per tre volte: "A Carlo, piissimo Augusto,coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria!". L'Impero Romano d'Occidente sembrava così risorto, ma con un nuovo carattere religioso, che più tardi si esprimerà con l'aggettivo di sacro. Il papa aveva voluto assicurarsi l'appoggio del sovrano franco incoronandolo imperatore e C., a sua volta, era divenuto signore di Roma e in tale veste qualificato a far valere la sua autorità sul papato. La restaurazione e il titolo assunto da C. ( in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti Karolus serenissimus Augustus a Deo coronatus magnus pacificus Imperator, Romanum gubernans imperium) provocarono la reazione dell'Impero d'Oriente, il solo che legittimamente rappresentava la continuità dell'Impero romano. C. accreditò la versione che l'iniziativa dell'incoronazione era partita da Leone III. La realtà era senza dubbio molto diversa: a ogni modo si cercò di giungere a un accordo, ma la questione rimase insoluta fino al gennaio 812, quando Michele I, un usurpatore, riconobbe Carlo Magno. L'incoronazione e il crisma religioso conferirono ai domini imperiali un carattere unitario (unità di religione) meramente formale. In realtà l'impero di C. non divenne mai di fatto un organismo unitario, ma continuò a essere un insieme di territori e di popolazioni amministrati in modo differente e mantenenti usi propri. C. governava il suo vasto impero spostandosi continuamente, seguito dalla corte e dai funzionari cercando sempre di far valere la sua autorità sia sui signori laici sia sull'alto e basso clero, servendosi dei missi dominici(uno laico e uno ecclesiastico) che avevano il compito di controllare l'amministrazione dei conti nelle contee in cui era diviso l'impero, esaminando reclami, reprimendo abusi, presiedendo assemblee (placiti generali o malli), giudicando assistito dagli scabini (non meno di 7 giudici scelti fra gli uomini liberi). In campo giuridico il sistema in uso si basava sul diritto personale (ogni individuo, cioè, veniva giudicato in base alla legge della nazione cui apparteneva). Tuttavia dal 769 all'814 C. aveva emanato 65 capitolari (così detti perché suddivisi in capitoli) che, approvati di volta in volta dalle assemblee, valevano per tutti, e in tale senso rappresentano un tentativo d'integrazione e superamento dei diritti nazionali. Nei placiti generali, durante i Campi di maggio, il sovrano, riuniti i suoi fedeli, comunicava loro le disposizioni militari, legislative e amministrative; i presenti poi le avrebbero fatte conoscere a tutto il popolo. C. cercò di abolire la vendetta privata sostituendovi la giustizia pubblica, si occupò dei pesi, delle misure, delle monete (adottando un nuovo sistema basato esclusivamente sulla monetazione argentea); tentò di prevenire carestie ed epidemie e infine prese provvedimenti intesi a risanare i costumi e a promuovere la cultura. A questo scopo impose al clero d'istruirsi e d'insegnare, restaurando le scuole ecclesiastiche e ampliandone gli orizzonti con l'introduzione dello studio delle arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia). L'imperatore stesso si circondò di maestri dando vita alla "Schola Palatina" (o "Accademia Palatina") con a capo Alcuino. Vi insegnarono fra gli altri Paolo Diacono, Pietro da Pisa, Paolino d'Aquileia, Teodulfo, Eginardo, Rabano Mauro, Agobardo e Ansegiso. Tutto questo fermento culturale passò alla storia con il nome di Rinascenza Carolingia. Gli ultimi anni di Carlo Magno Organizzato il suo impero in marche e contee e affidate ai figli le imprese militari, C. si preoccupò della successione e, seguendo la concezione patrimonialistica dello Stato, nell'806 così suddivise il suo impero: Carlo, il primogenito, ebbe la Francia, la Frisia, la Sassonia, la Turingia e parte della Borgogna; a Pipino toccarono l'Italia, la Baviera e l'Alamannia a S del Danubio; Ludovico ebbe l'Aquitania, la Guascogna e parte della Borgogna. La morte prematura di Pipino (810) e di Carlo (811) rese erede unico Ludovico (Dieta di Aquisgrana). Ritiratosi ad Aquisgrana alla fine dell'812, malato di podagra, C. visse religiosamente gli ultimi suoi anni. Morì il 28 gennaio 814 e fu sepolto nella Cappella Palatina di Aquisgrana. La sua fama si colorò ben presto di leggenda e creò intorno alla sua figura un alone di santità: Federico I volle che l'antipapa Pasquale III gli concedesse l'onore degli altari (1165) e il papa Benedetto XIV lo venerò come beato.

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