le radici del nazismo

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Testo

Le radici del Nazismo
HITLER nasce a Braunau, la città adagiata sul fiume Inn che la divide in
due. Un'ossessione, questa frontiera austro-tedesca, perché gli abitanti di
entrambe le sponde hanno sempre bramato di appartenere a una medesima
nazione.
Caduto l'impero romano, passate le bufere delle invasioni dei barbari,
quelle successive dei Carolingi determinarono le nuove spartizioni: il fiume
iniziò a separare la Germania dall'Austria (Ostmark). Ogni abitante della
città, separata solo da un ponte, sogna fin dalla culla di vedere riunita
Braunau in un'unica città e sotto un'unica nazione, cioè la Germania.
Ogni cittadino di Braunau sta aspettando che nasca un condottiero che
finalmente elimini quell'odioso confine che non ha mai rispettato la volontà
degli abitanti delle due sponde (spesso anche parenti). Sta aspettando quel
condottiero da duemila anni! Del resto per molti secoli, in età romana e nel
medioevo, i territori dell'Austria di oggi - quella disegnata sulla cartina
da Wilson - non formarono mai una compatta unità statale, proprio perché non
omogenei sul piano etnico, per la presenza di germanici e slavi.
Nelle più di cento spartizioni della storia, una unione non era mai
avvenuta, nemmeno nell'ultimo conflitto ('15-'18) quando sui territori delle
potenze vinte Wilson tracciò le sue linee, lasciando immutata la delusione
nei cittadini di Braunau. Anche Hitler, che vi è nato, nel suo DNA si porta
dietro quel rancore, finché diventa tedesco, poi il Führer, infine nel '38,
il 12 marzo, invade l'Austria e abolisce il confine lui stesso, di persona,
con la città che impazzisce dalla gioia. Nella storia nessuno era stato
capace, lui sì, ed era addirittura nato proprio in quella città, in quella
casa che esiste ancora, oggi usata come Biblioteca pubblica. Adolf Hitler
da parte di padre è di origine semitica, ebrea, infatti il padre Alois è il
figlio di una serva, Maria Anna Chicklgruber, che era stata messa incinta da
un ricco commerciante ebreo, Frankenberger, o forse ingravidata dal figlio
di quest'ultimo; in ogni caso uno di loro doveva essere il responsabile di
questa indesiderata maternità. Alla nascita si prendono cura del bambino e
pagano una retta mensile alla ex serva fino a quando Alois, futuro padre di
Hitler, compie quattordici anni.
Un comportamento che dimostra che era stato uno dei due a ingravidarla.
In seguito la madre di Alois conosce e sposa Georg Hiedler, un mugnaio che,
per non fargli perdere il mantenimento da parte dei Frankenberger o per sue
altre ragioni, non si cura di legittimare il figliastro - come invece
avveniva di solito quando ci si sposava. Georg lo farà solo dopo la morte di
Maria Anna al solo scopo di venire in possesso dell'eredità che altrimenti
sarebbe spettata ad Alois.
Al momento della legittimazione, il parroco cancella il nome di Alois
Chicklgruber dal registro battesimale e lo sostituisce con Alois "Hitler"
(invece di Hiedler).
Adolf Hitler nasce il 20 aprile del 1889. All'età di dodici anni si oppone
al padre nel proseguire gli studi "Non volevo fare l'impiegato come lui
desiderava, mai e poi mai" e la spunta. Questo svogliato e ribelle allievo
ottiene la licenza di quinta elementare, poi si iscrive alla scuola media,
dove rimane molto poco. I voti negativi convincono così il padre a
rinunciare all'idea di un figlio studioso. Hitler si sente umiliato e si
dedica solo alla sua passione: la pittura. Vorrebbe diventare un'artista.
Il padre si oppone a questa sua ambizione ma dopo poco muore. Adesso,
Hitler, è libero. A sussidiarlo più che a sostenerlo moralmente nella sua
scelta è la madre. Rimasta vedova con una discreta pensione riesce a
finanziarlo ma con pochi soldi; il ragazzo già diciottenne, nel 1907, parte
la prima volta per Vienna con buone speranze, alla ricerca del successo come
artista.
Come pittore è piuttosto mediocre, è un autodidatta e ha poca cultura, ma è
testardo.
Torna a casa, sconfitto ma non vinto, lavora un intero anno, poi si
ripresenta all'Accademia convinto, questa volta, di farcela. Ma non viene
nemmeno ammesso agli esami: i disegni presentati ricevono tutti mediocri
voti. Ostinato, Hitler, chiede spiegazioni e i docenti lo consigliano di
darsi all'architettura.
Ma il mancato artista non ha gli studi necessari per iscriversi, non ha
finito neppure le medie, quindi non ha davanti a sé nessuna strada.
Non può più contare sui soldi della madre che, nel 1908 muore. Rimasto senza
un soldo un amico muratore gli offre lavoro in una impresa edile come
manovale, ma Hitler per convivere con i suoi colleghi di lavoro dovrebbe
iscriversi come tutti al sindacato di sinistra; ma lui rifiuta e così viene
licenziato.
Hitler ha vent'anni. E' un "artista" umiliato, non ha un mestiere ed è senza
soldi, dentro la benestante Vienna di questo periodo. Hitler per cinque
lunghi anni è disoccupato, frustrato, e fa il facchino abusivo alla
stazione, il muratore e il cartellonista, sempre occasionalmente, ovviamente
con pochi risultati economici. Hitler dice: "Il ricordo più triste e
infelice che ho di Vienna è ricordare quella gente felice di Vienna". Per
tutta Vienna echeggiano le musiche di Mozart, Beethoven e Schubert. Anche
lui come tutti i viennesi ama la musica, non quella di Mozart, ma quella
eroica di Wagner. Dunque cinque lunghissimi anni di miseria e di desolazione
a Vienna, la più colta capitale d'Europa. Hitler é pigro, non aspira a un
lavoro fisso, quindi preferisce un lavoro occasionale. E' un lettore
incallito ma si interessa soprattutto delle cose militari; si getta a
capofitto nella lettura di libri di politica rivoluzionaria.
In questo periodo si formano anche i sindacati dei lavoratori che
racchiudono i primi fermenti che stanno crescendo non solo a Vienna ma in
tutta Europa.
L'interesse per la politica domina e non lascia spazio ad altro. Tutte le
cose che possono dar calore e importanza a una persona, come il lavoro, l'
amicizia, l'amore e la cultura, gli mancano quasi completamente.
HITLER ALLA RICERCA DELLA "SUPERNAZIONE"
Nel 1913, Hitler lascia l'Austria per stabilirsi in Germania, a Monaco. Lo
fa per un motivo: per sfuggire alle varie notifiche che gli inviano a casa
per la leva militare; non vuol fare di certo il militare per quei "parassiti
di Vienna".
Diventato Fuhrer, non dimentica nemmeno un istante quello che la città gli
ha negato. Qualcosa ha accennato sul Mein Kampf, ma ci ritorna spesso con
odio e rancore su questi tristi ricordi di cinque anni di miseria passati a
Vienna.
Lo esterna, infatti, poi con dichiarato disprezzo, si vendica con tutta
l'Austria, e perfino con i professori che avevano avuto l'impudenza di
averlo bollato "mediocre". Li scova uno per uno! Si vendica umiliandoli,
mentre ad alcuni fa loro terra bruciata con l'impiego, la casa, la vita. E
la sua ossessione, l'atavico confine a Braunau, sul ponte, lo spazzò via di
persona! Lui, il figlio del doganiere, ex calzolaio, che riuniva non solo
Braunau, ma riuniva due popoli in uno. Una grande orgogliosa apoteosi nel
suo intimo ma palese nel volto e nell'animo dei suoi cittadini in un delirio
senza limiti.
Si vuol sottrarre al servizio militare austriaco non perché contrario alla
guerra. Anzi, Hitler vuol far la guerra, ma con la Germania e non con l'
Austria. Il suo paese non gli piace affatto, sente che il grande impero
austro-ungarico è ormai arrivato alla fine, sente che non ha più futuro. E'
invece molto attirato dalla Germania, che prima della Grande Guerra si
presenta come una nazione giovane, forte, con molte energie e con un futuro
da nazione di primo piano a livello europeo e mondiale.
Ma non sfugge alla polizia; nel gennaio del 1914 viene bloccato in Baviera,
e deve presentarsi al distretto.
Fughe e sotterfugi sono state tutte inutili perché i medici alla visita come
lo vedono, neppure lo visitano, lo mandano a casa "riformato" perché è
gracile, denutrito e mal ridotto. Per Hitler, invece di essere contento,
quel rifiuto è una ferita al suo orgoglio.
A Giugno si compie l'attentato di Sarajevo. E' l'inizio della Grande Guerra,
lui ha 25 anni. E' ora un interventista. L'Austria inizia le ostilità in
luglio, ma per Hitler nell'esercito asburgico non c'è posto.
La Germania entra nel conflitto il 1° agosto con un Guglielmo II sovrano di
una Germania in delirio per la gioia di intervenire in guerra a fianco
dell'Austria. Hitler, il 3 agosto scrive direttamente a re Luigi III di
Baviera per offrirsi volontario pur essendo di nazionalità austriaca. La
singolare richiesta è accolta. Il grande evento della guerra lo entusiasma,
e sprona i suoi compagni a combattere per fare "grande la Germania
soprattutto nel mondo".
Nella guerra Hitler si sente finalmente a suo agio, ottiene una decorazione
al valor militare, ma rimane un soldato semplice perché i suoi superiori non
lo ritengono idoneo per comandare, a causa del suo spiccato individualismo.
Per i suoi compagni è un tipo un po' strano che spesso fa discorsi politici
molto radicali, ma anche un po' confusi.
Partecipa al conflitto mondiale rischiando più volte la vita in varie
imprese militari. Mentre è ricoverato in un ospedale apprende la notizia
della sconfitta tedesca. La Germania si arrende senza aver quasi nemmeno
combattuto nell'ultimo anno, con l'esercito in piena efficienza, e vincendo
tante battaglie pur sacrificando due milioni di morti. Ha perso la guerra
non sul campo ma nei palazzi della politica, del governo, tutti pieni di
"traditori" e di "miserabili criminali". Infatti i criminali secondo Hitler
sono quelli della borghesia tedesca ebrea che accusa di avere scoraggiato,
assieme alla sinistra, i militari a proseguire la guerra (ritenendola già
perduta), di aver così provocato la disfatta e successivamente la caduta
della monarchia per salire al potere del nuovo Stato mercantile. Li accusa
di essere i responsabili della vendita della Germania ai nemici.
Alla notizia del crollo cresce in lui l'odio per i responsabili e decide di
dedicarsi più seriamente alla vita politica.
Gli italiani, Hitler nemmeno li nomina, li considera quasi compagni di
sventura, visto quello che avevano ottenuto: una guerra "non persa" ma
nemmeno"vinta". Finita la guerra nel modo più disastroso e con un dopoguerra
ancora più drammatico sotto l'aspetto economico e sociale, ma soprattutto
morale, Hitler come tanti è ancora confuso.
Anche lui si muove dentro un proletariato socialista, ma il suo è un
socialismo spurio come quello mussoliniano a Milano.
Un mese dopo, al termine della guerra, scoppia l'insurrezione a Monaco, re
Federico è costretto ad abdicare e viene proclamata la repubblica
controllata da elementi socialisti.
La Socialdemocrazia non sa bene se sostenere la rivoluzione o no. Da una
parte sostiene alcune delle richieste dei rivoluzionari, dall'altra parte ne
è anche piuttosto spaventata. Dopo tanti anni di opposizione è arrivato
finalmente il momento di poter governare e all'improvviso si vedono superati
a sinistra da una grande massa di rivoluzionari.
Nasce così una strana alleanza tra la Socialdemocrazia, che arriva al
governo, e dall'altra parte, le forze militariste della destra più estrema,
che soffocano la rivoluzione con il terrore e massacri estremamente
sanguinosi. Nessuna delle due parti ha da sola la forza di placare l'ondata
rivoluzionaria. Insieme ci riescono facilmente.
LA NASCITA DEL "NSDAP"
Il partito a cui Hitler nel 1919 aderisce, è un piccolo partito di
importanza solo locale con un programma che si distingue soprattutto per il
suo radicale antisemitismo. Hitler diventa presto indispensabile per questo
partito perché si rivela un ottimo oratore, sa attrarre e ipnotizzare la
gente. La scoperta delle sue qualità di oratore, che sorprende lo stesso
Hitler, lo fanno presto il leader di questo piccolo partito che, sotto una
guida, cambia il nome e diventa il "partito nazionalsocialista tedesco dei
lavoratori", il "NSDAP".
Il momento politico sembra buono, il 19 gennaio 1919 si riunisce l'Assemblea
nazionale che deve redigere la costituzione della nuova repubblica.
Mentre il governo (coalizione socialdemocratici, cattolici e liberali)
procede senza sosta alla repressione e alla liquidazione degli oppositori di
sinistra, l'11 febbraio a Weimar l'Assemblea inizia i suoi lavori ed elegge
Presidente della nascente Repubblica,Scheidermann. Il 28 giugno viene
firmato il trattato di pace a Versailles, non credendo possibile
l'applicazione dei Quattordici punti di Wilson, nè che alla Germania
sarebbero stati veramente chiesti i danni di guerra dei paesi occupati e i
costi della guerra dei vincitori.
Ma i rappresentanti di quel governo contrastato da più parti, firmano
comunque; il trattato ha il suo inarrestabile corso.
La firma impose alla Germania pesantissime condizioni.
LE CONDIZIONI IMPOSTE ALLA GERMANIA
1) La rinuncia a vari territori, fra i quali, senza plebiscito, Alsazia e
Lorena alla Francia, la Prussica orientale quasi per intero e l'Alta Slesia
alla Polonia; altri territori sotto il controllo della sovranità lituana,
alla Cecoslovacchia, alla Danimarca, al Belgio e Danzica dichiarata città
libera;
2) L'occupazione alleata della riva sinistra del Reno (da sgomberare in 15
anni), la perdita della sovranità sull'aria e sulle vie d'acqua
continentali;
3) La perdita di tutte le colonie;
4) Clausole militari: minimo esercito professionale di soli 100.000 uomini,
delimitazione e controllo degli armamenti da parte alleata, zona
smilitarizzata fino a 50 km dalla riva destra del Reno;
5) Le riparazioni: cessione di gran parte della flotta commerciale e grandi
quantità di macchinari e materiali vari, pagamento di una indennità (che
verrà fissata solo nel 1920) in 269 miliardi di marchi oro da pagare in 42
anni; fino al 1962.
L'11 agosto del 1919 in Germania viene approvata la Costituzione di Weimar.
Come risultato della rivoluzione, la Germania è finalmente diventata una
repubblica e una democrazia, il re è fuggito in Olanda e la Socialdemocrazia
arrivata al governo.
Per la prima volta anche le donne hanno il diritto di voto e i sindacati
ottengono competenze importanti che possono migliorare la situazione dei
lavoratori. Insomma, sono gettate le basi per far crescere una nazione
democratica.Ma questa repubblica è nata nel peggiore dei modi: è nata nel
sangue. Adolf Hitler aderisce al Partito dei lavoratori (Partito Operaio
Tedesco).Hitler dentro il partito vuole subito dominare la scena. Prepara un
documento ed enuncia, durante un discorso alla Hofbrauhaus di Monaco, i
Venticinque punti programmatici del Partito dei lavoratori tedeschi; un
partito nato dentro anomale file socialiste ma che comincia a raggruppare
anche forze dell'estrema destra.
Più che punti programmatici di politica, decanta con voce dura e aspra e
nello stesso tempo esaltante, anche se spesso è prolisso, una lunga serie di
sentimenti di indignazione, concetti che promettono di vendicarsi di tutte
le umiliazioni e di tutte le sofferenze inflitte dal resto del mondo alla
Germania.
Queste ferite, del resto, si stanno dilatando, e lui, Hitler, mette il
coltello nella piaga e lo rimescola infinite volte. Così farà nei comizi,
ripetendo nell'arco di mezz'ora l'indignazione su Versailles e il disprezzo
per gli ebrei e i comunisti (che secondo Hitler sono la stessa cosa).
"Straccerò i trattati, non pagherò le riparazioni, ripristinerò i confini,
darò lavoro agli operai, ricreerò un forte esercito, sconfiggerò i
comunisti, la Germania tornerà grande!" Quello che i tedeschi volevano
sentirsi dire. E nel modo semplice come lo diceva, ripetendo per mille
volte le stesse cose con gesti teatrali, che capivano anche i bambini.
Nel 1920 il Partito dei lavoratori tedeschi - che ormai inizia a
raggruppare forze di estrema destra - si trasforma in Partito
Nazi-onalsociali-sta dei lavoratori tedeschi (NSDAP). La Denominazione
contratta diverrà Nazi-sta. Hitler stampa un proprio giornale:
"l'Osservatore popolare". Ci vuole un simbolo, una bandiera, e l'ex
"artista" disegna personalmente l'emblema del partito. Su un fondo rosso,
mette al centro un disco bianco e vi pone una svastica, l'antica croce
runica, scrittura dei popoli nordici. Nel partito c'è Ernst Rohm ed è lui
che, crea e guida, alcuni giovani, inquadrandoli in un reparto paramilitare,
lo Sturm-abteillung (truppe d'assalto), abbreviato in SA; sarebbe fuorilegge
ma lo mascherano come un reparto ginnico del Nsdap.
Non hanno ancora un preciso programma, ancor meno un ben definito interesse
di classe perché iniziano ad entrare nelle loro file i disillusi di tutte le
categorie sociali: l'ufficiale dell'esercito umiliato che non era riuscito
dopo la guerra a trovarsi un posto nella vita civile, il capitalista
danneggiato dal caos, il lavoratore disoccupato.
Hitler diventa uno dei dirigenti del NSDAP; ne diventa un virtuale capo, ma
ambisce a diventarne il rappresentante assoluto, visto che ha due
antagonisti (Ludendorff il generale e Ernst Rohm che ha in mano le SA) che
con lui formano, dentro il partito, un triunvirato.
A Milano, nel 1921 Mussolini inizia a costituire il programma fascista;
quello Hitleriano è quasi simile al suo. E da questo momento la sua carriera
è una fotocopia di quella che sta percorrendo ora e percorrerà poi il capo
del fascismo.
E' il destino che li accomunerà nella vita e nella morte.
Benito Mussolini e Adolf Hitler
Nel 1921 la Commissione per le riparazioni di guerra riunita a Londra fissa
per la Germania la somma dovuta, ed invia un ultimatum per il rispetto del
trattato firmato a Versailles, inoltre sollecita il primo pagamento.
Allo scadere di sette giorni, l'armistizio sarebbe decaduto e le truppe
alleate avrebbero invaso la Germania, separando la Germania del sud da
quella del nord, "la Germania d'oro da quella di stagno". Il Governo tedesco
è costretto ad accettare tutti i punti del trattato.
Inizia la fuga dei grossi capitali della grande borghesia. Quella media,
invece, e i piccoli risparmiatori si ritrovano con titoli dei prestiti di
guerra che sono diventati carta straccia. Ma altrettanto stanno diventando i
marchi; per fare i rimborsi o pagare gli stipendi il Governo stampa moneta
notte e giorno, a profusione. Nel novembre del 1921 si verifica il primo
tracollo del marco tedesco. A dicembre il governo chiede ai vincitori una
moratoria per gli esosi pagamenti, ma viene respinta.
L'Inghilterra propone
ai suoi alleati di fare una "grande transazione", annullando o mitigando
molti debiti di guerra e danni di riparazione.
Ma la proposta non ha successo anche perché la stessa Inghilterra è anche
lei indebitata; deve agli Stati Uniti 850 milioni di sterline, più di due
miliardi (da pagarsi in 62 anni) che deve incassare dagli alleati europei
(compresa l'Italia) per conto degli Usa essendo stata nel corso della guerra
una mediatrice degli alleati ed avendo contratto debiti in Usa in gran parte
a loro nome.
Esempio l'Italia: ha ricevuto prestiti in dollari, ma il debito l'aveva
contratto con l'Inghilterra che è stata una semplice mediatrice degli Usa. E
se l'Italia non paga gli inglesi, questi non possono restituire i dollari
che avevano ricevuto dagli Usa; gli statunitensi non intendono proprio
rinunciare al denaro. Quando la proposta inglese arriva sul tavolo del
Presidente Usa, egli dice che la Germania ha già avuto in prestito del
danaro quindi ora deve pagare.
Nel 1922, a partire dai primi mesi dell'anno, inizia in Germania un vero e
proprio catastrofico crollo della moneta tedesca, in parte connesso coi
pagamenti delle gravose indennità di guerra, in parte dovuto al grande
disavanzo commerciale (mancano perfino gli alimenti necessari per vivere);
ma soprattutto provocato dalla fuga improvvisa dei capitali. Il governo,
volendo sussidiare l'economia, inizia a stampare sempre più moneta e
l'inflazione tocca vertici inauditi. La punta massima la raggiunge nel
novembre del 1923, quando per acquistare un dollaro occorrono quattro
miliardi e duecento milioni di marchi.
Il 1923 è l'anno più buio e tormentato della Repubblica. Per pagare gli
enormi costi della guerra, il governo tedesco comincia a fare ciò che fanno
tutti i governi, quando non sanno più come affrontare una montagna di spese
incontrollabili: stampa più banconote, con le conseguenze facilmente
prevedibili. Quest'inflazione, dal 1922, comincia rapidamente ad
aggravarsi. Il denaro perde di valore a vista d'occhio.
L'INFLAZIONE DEL 1923
1 kg di pane
costava
(in marchi)
Gennaio 250
Luglio 3.465
Agosto 169.000
Settembre 1,5 milioni
Ottobre 1,7 miliardi
Novembre 210 miliardi
Dicembre 399 miliardi
I bambini giocano con le banconote, queste non hanno più valore.
Nel 1923 in Germania iniziano disordini un po' ovunque. Gli estremisti
vorrebbero distruggere tutto per poi riedificare. Nemmeno i più esaltati
sanno ancora come farlo! E' un incubo per chi vuole sopravvivere in ogni
modo. Il costo di questa sopravvivenza è altissimo. L'inflazione tocca le
vette più assurde, persino inconcepibili. Un uovo costa 500 milioni di
marchi. Ogni tedesco sa che deve accadere da un momento all'altro qualcosa,
e questo qualcosa non può essere che traumatico. Nella sua ultima fase
questa disastrosa inflazione è alimentata anche da un grande sciopero
generale nel bacino della Ruhr, una resistenza passiva cui il governo stesso
ha esortato contro l'occupazione francese di questa regione.
Ma la resistenza passiva provoca una totale paralisi dell'economia e un
ulteriore precipitare dell'inflazione. É impossibile la prosecuzione di
quello sciopero generale per lungo tempo. Appena annunciata la fine della
resistenza entra in campo Hitler. Durante il primo colpo di stato nel 1920
Hitler e il suo partito non erano ancora sulla scena, adesso invece sì è
presentata la situazione che aspettavano da tre anni. Con l'appoggio del
Generale Ludendorff, un personaggio centrale dell'estrema destra, Hitler
tenta insurrezione a Monaco. Quello che ha in mente è una "marcia su
Berlino" simile a quella di Mussolini su Roma, avvenuta un anno prima.
Hitler fallisce, ma quello che in altri tempi e in altri paesi gli sarebbe
costato ergastolo, nella Germania del 1923 gli costa solo un anno di
prigione, dove viene trattato come un'ospite d'onore.
Alla fine del 1923 la giovane Repubblica di Weimar ha appena 4 anni. In
questi quattro anni ha già visto due tentativi di colpo di stato, centinaia
di omicidi politici, un'inflazione senza precedenti nella storia e un
conseguente esaurimento dell'economia. Il paese è profondamente lacerato e
le forme di lotta politica a destra e a sinistra si stanno deteriorando. Per
molti le conquiste della democrazia non contano più nulla, anche perché
economicamente si sta peggio che prima della guerra.
Nel 1924 entra in vigore il Piano Dawes che prevede aiuti alla Germania, si
verifica questa ingarbugliata situazione: gli Stati Uniti iniziano ad
investire in Germania per permettere ai tedeschi di saldare i debiti con
gli alleati, affinchè questi paesi (Inghilterra al primo posto) saldino le
proprie obbligazioni con l'America. I dollari, insomma attraversano
l'Atlantico, fanno un largo giro in Europa e tornano tramite l'Inghilterra a
riattraversare nuovamente l'Atlantico, ovviamente con gli interessi.
A guadagnarci è l'America, ma anche affari d'oro dentro una certo sottobosco
che si è creato in Germania.
E' l'epoca della Repubblica di Weimar, un gioiello di liberalità, ma una
repubblica senza repubblicani, perchè assenti sono proprio i cittadini. Una
ubriacatura di pochi, durata tredici anni, poi con eguale sfoggio di
democraticità, nel 1933 la costituzione di Weimar consentirà proprio a
Hitler e al suo nazismo di prendere il potere in modo assolutamente legale.
(com'era avvenuto in Italia nel 1922 con Mussolini).
Ed entrambi traggono vantaggio dalla debolezza degli avversari,
Inglesi e statunitensi vogliono evitare misure troppo restrittive contro la
Germania temendone una esclusione dal congresso delle grandi nazioni europee
con tutti i rischi a ciò connesse (cosa che, purtroppo, poi avverrà). Invece
i francesi sostennero e riuscirono a far applicare una linea estremamente
punitiva nei confronti del popolo tedesco, ritenuto il vero responsabile
della guerra. Il trattato prevedeva norme estremamente umilianti per la
Germania che, secondo le direttive del governo di Parigi, "bisognava
metterla in ginocchio". Purtroppo agli errori (assolutistici e a quelli
distaccati) di Wilson non si riesce a rimediare; perchè il Presidente
cinque mesi dopo viene colpito da una paralisi. L'anno precedente, prima
d'imbarcarsi per l'Europa, aveva sfidato al Congresso i repubblicani, che
volevano includere una loro commissione per la pace di Versailles. Wilson
voleva invece fare tutto lui, da solo, personalmente. Così fece la "sua"
pace e tracciò le "sue" "linee" sulla nuova cartina d'Europa.
Poi con tanto fervore si dedica solo alla sua Società delle Nazioni. Ma,
finito lui, si interrompe anche tutta la sua politica in Europa. La stessa
Società delle Nazioni (paradossalmente senza l'"America", che l'aveva
proposta), in Europa, fece presto fiasco.
L'America, dopo aver costretto gli alleati europei a far la pace sulla base
di quel programma wilsoniano, si ritrova con tutti i grossi problemi da
risolvere con vinti e vincitori in Europa e soprattutto in Germania.
Infatti non solo in Germania i grossi problemi non vengono risolti, ma anche
l'Inghilterra e la Francia iniziarono a punzecchiarsi, timorose e invidiose
entrambe, fino al punto che la prima indirettamente, aiuta la Germania a
riarmarsi nel timore che la Francia diventasse troppo forte è che
rappresentasse una costante minaccia sulla Manica. Le divergenze sono anche
nel fatto che l'Inghilterra (secondo i francesi) non nutre abbastanza
rancore per la Germania. Ma di motivi gli inglesi ne hanno diversi per
comportarsi così. La Germania nella sua disperazione poteva cadere nelle
accoglienti braccia della Russia comunista, inoltre, essendo questa la loro
attività principale, vogliono riprendere i commerci con la Germania,
lasciando da parte i rancori, perché "gli affari sono affari". Vogliono,
insomma, ridare un po' di fiducia ai tedeschi.
L'8 novembre 1923 Hitler irrompe minaccioso con i suoi fedelissimi in una
grande birreria: "Attenzione! La rivoluzione nazionale é cominciata!".
Ma il giorno dopo, 9 novembre la grande parata che doveva conquistare il
Palazzo è un semplice corteo di 3000 aderenti che marcia verso il centro di
Monaco e trovano la strada sbarrata dai poliziotti,ma il colpo di mano
fallisce e Hitler viene condannato a cinque anni di carcere ma sconta solo
otto mesi durante i quali mise a punto, nel suo Mein Kampf ("La mia
battaglia"), l'ideologia nazista, basata su una pretesa superiorità della
"razza ariana" e sullo sviluppo di una "comunità nazionale" senza barriere
di classe. Il fantomatico "colpo di Stato" era fallito miseramente, e Hitler
pur fuggendo viene poi arrestato e processato per alto tradimento. Lui non
si scompone anzi, è a sua occasione per far parlare di sé tutta la Germania,
attirare l'attenzione della pubblica opinione sul suo partito e sulle sue
idee.
Sa che diventa un martire solo perché vuole un governo forte e una Germania
rispettata. Quello che vogliono in sostanza un po' tutti, anche se non si
espongono troppo. Il seguito dimostra poi che proprio al processo Hiltler
acquista grande popolarità. Hitler non cerca di meglio.
Lo condannano dopo 24 giorni di dibattito processuale, ma nel difendersi
ostenta sicurezza, dialettica, populismo, argomentazioni patriottiche e
inscena veri e propri comizi che strappano gli applausi ai presenti e
trasformano l'aula del tribunale in un teatro; 24 giorni di appassionante
difesa che tiene banco sui giornali dalle cui colonne una buona parte (tra
le righe - o evidenziando le sue frasi) vuole libero il "patriota". Ma lo
condannano a cinque anni assieme al -più famoso di lui- generale, che però
viene messo in disparte, la platea è concentrata tutta su di lui. Quando
Hitler lascia il tribunale, sa di aver raggiunto lo scopo. Il processo è
stato un vero trionfo. In Germania ormai tutti parlano di lui.
HITLER ARRIVA AL POTERE
Il caos politico e il dramma dell'economia con più di sei milioni di
disoccupati fanno aumentare il desiderio di un uomo forte che possa mettere
fine a tutto questo. Alla fine nel 1933 Hitler si presenta per molti come l'
unica speranza che può salvare il paese dalla confusione totale.
Più che un uomo politico, all'inizio Hitler è un oratore. Ne è consapevole e
sfrutta la situazione al massimo. Nel 1932, un anno prima di diventare
Cancelliere del Reich, Hitler fa centinaia di discorsi in tutte le parti
della Germania. Affascina la gente non tanto per quello che dice, ma per
come lo dice. Con il suo stile insolito ma affascinante di parlare riesce ad
ipnotizzare le masse.
Quello che convince la gente, quando parla Hitler, è soprattutto l'energia
che riesce a trasmettere, un'energia e una fermezza delle quali la Germania,
depressa e disorientata dalla crisi economica, sembra aver bisogno.
I 17 milioni di tedeschi che votano Hitler nel 1933 non sono 17 milioni di
fanatici antisemiti, razzisti e nazionalisti, ma in grandissima parte sono
persone stanche ed esauste che vogliono lavoro, la fine della insicurezza
politica e la garanzia di un modesto benessere, e che non vogliono più
sentirsi gli ultimi in Europa. La violenta propaganda antisemita di Hitler
per molti non conta, conta invece la promessa di creare lavoro e di mettere
fine ai caos di cui sembra responsabile la democrazia. E Hitler non lascia
nessun dubbio sul fatto che vuole eliminare tutti gli altri partiti e con
loro la democrazia stessa.
Dopo essere arrivato legalmente al governo nel gennaio del '33, Hitler entro
pochissimo tempo abolisce tutti gli altri partiti, ed elimina o trasforma in
truppe ausiliari qualsiasi organizzazione politica o sociale. Il modo in cui
lo fa è caratterizzato da minacce, intimidazioni e aperta violenza, ma anche
da furbizia. Così già nel 33 dichiara il 1° maggio festa nazionale.
Ma il giorno dopo, il 2 maggio, scioglie tutti i sindacati e li sostituisce
con delle organizzazioni a lui fedeli. Col divieto dei partiti, e con lo
scioglimento dei sindacati cominciano anche le persecuzioni e gli arresti.
Fin dall'inizio Hitler vuole mettere in chiaro che l'opposizione non è più
possibile. Dopo pochissimo tempo la stampa riporta solo una voce: quella di
Hitler. Chi cerca di opporsi finisce nei campi di concentramento (i primi
vengono allestiti già nel '33).
E' evidente che non è stato Hitler a distruggere la democrazia di Weimar, ma
è stata piuttosto l'autodistruzione della democrazia a portare Hitler al
potere. Favorisce questo processo il trattato di Versailles, in quanto
umilia la Germania e fornisce così continuo materiale per la propaganda di
Hitler. Hitler ha successo solo quando l'avversario, cioè la democrazia, è
debole. Infatti, nella prima grande crisi del 1923 aveva tentato un colpo di
stato, ma senza riuscirci. Allora la Repubblica esitò ma senza crollare. Nel
1933 invece, quando la democrazia era già esausta, egli arrivò al potere.
SPARISCE LA DISOCCUPAZIONE
Quando, nel gennaio del 1933 Hitler diventa Cancelliere, in Germania ci sono
6 milioni di disoccupati. Hitler conquista molti con la sua promessa di
mettere fine alla disoccupazione e alla crisi economica e psicologica del
paese. Dopo solo 4 anni i disoccupati sono quasi del tutto spariti, infatti
è raggiunta la piena occupazione. I prezzi e i salari rimangono stabili
senza che l'inflazione si manifesti; negli altri paesi invece dilaga la
crisi economica.
Milioni di operai che prima votavano socialdemocratici o comunisti scoprono
che proprio Hitler, il loro maggior nemico, ha riportato pane e lavoro.
Ma questo "miracolo economico" che sembrava il punto più significativo della
propaganda di Hitler, ha dei gravi difetti. Alla base di questo sviluppo
assolutamente innaturale poteva stare solo una cosa: la guerra. La
produzione militare nel '38 è il 25% dell'intera fabbricazione industriale;
inoltre lo Stato ha un forte indebitamento che, tra il 1933 e il '39, si
quadruplica.Il "miracolo economico" è possibile solo perché il libero
mercato è praticamente abolito. La dittatura totale che Hitler ha creato in
pochissimo tempo non riguarda solo la società ma anche l'economia. Hitler
non ha la minima intenzione di creare un'economia stabile e ordinata; lo
scopo dell'economia è unicamente di preparare la guerra che Hitler vede come
l'ultimo obiettivo della sua politica.Nel 1935 reintroduce - contro il
trattato di Versailles - il servizio militare obbligatorio. Nello stesso
anno, la regione della Saar, ceduta alla Francia dopo la guerra, torna alla
Germania dopo un plebiscito.
Nel 1936 le truppe tedesche rientrano nella Germania che, secondo i trattati
internazionali, doveva rimanere smilitarizzata.
Nel 1938 viene annessa l'Austria, che accoglie Hitler con enorme entusiasmo.
Nello stesso anno viene occupata la Regione dei Sudeti, la zona dei tedeschi
nella Cecoslovacchia. Anche qui i soldati tedeschi sono accolti con grande
entusiasmo da quelli che si sentono finalmente liberati.
In fondo Hitler, ha quello che vuole. Nel 1933 la Germania, per le
disposizioni del trattato di Versailles, aveva un esercito di appena 100.000
uomini, senza armi moderne, senza aeronautica militare. Nel 1938 la Germania
è diventata la potenza militare più forte dell'Europa: i tedeschi non
dovevano più sentirsi umiliati e spremuti dai vincitori della guerra, adesso
sono rispettati e temuti in tutta l'Europa. Di fronte ai sorprendenti
successi di Hitler nell'economia e nella politica estera, molti di quelli
che nel '33 ancora lottavano contro Hitler adesso tacciono o addirittura si
convertono.
E' difficile sottrarsi al fascino dei continui successi di Hitler. "Avrà
molti difetti, ma almeno ci ha riportato il lavoro e l'orgoglio di essere
tedeschi", pensano in molti.
Nel '37 e '38 è una stragrande maggioranza ad appoggiare Hitler. Ma nessuno,
tranne una piccola minoranza di fanatici nazisti, vuole la guerra. E Hitler,
almeno in pubblico, parla di pace per rassicurare l'estero ma anche il
proprio popolo. Infatti dice: "La Germania vuole la pace e ne ha bisogno".
Ma nel 1938 dice ai suoi collaboratori: "Le circostanze mi hanno costretto
per tanti anni a parlare di pace; solo così era possibile raggiungere i
successi di quegli anni e solo così potevamo ricostruire la forza militare
di cui la Germania ha bisogno."
L'atteggiamento di ostilità nei riguardi degli ebrei (antisemitismo) inizia
nel 1933, data questa che coincide con il loro esodo in massa. Coloro che
sono costretti a rimanere subiscono ogni tipo di umiliazione da parte delle
SS e della GESTAPO. Perdono il lavoro e i diritti civili, sono insultati
quotidianamente dalla stampa e ancor più grave con le leggi razziali restano
privi a poco a poco di qualsiasi possibilità di vita normale.
In questa lotta, Hitler non riesce a coinvolgere del tutto la popolazione
tedesca. Quando le bande naziste compiono atti vandalici come: rompere vetri
dei negozi ebrei o bruciare le sinagoghe, la gente non partecipa come Hitler
spera. E' spaventata, imbarazzata, molti si vergognano, non capiscono bene
il perché di tutta questa violenza. Alcuni provano anche compassione. Un'
aperta ribellione però contro queste barbarie non c'è mai, neanche da parte
della chiesa cattolica e protestante.
Quando nel '33 cominciano gli arresti e la rapidissima demolizione di tutte
le istituzioni democratiche, comincia anche un'epurazione nel campo della
cultura e della scienza. I libri di autori ebrei, marxisti o pacifisti
vengono allontanati dalle biblioteche pubbliche e bruciati in piazza.
Scrittori, musicisti, registi, pittori e scienziati cominciano ad emigrare
in massa negli altri Paesi dell'Europa o negli Stati Uniti. Uno dei primi è
Albert Einstein.
I libri di autori ebrei bruciati in piazza.
LA TEORIA RAZZIALE
Al centro della teoria di Hitler sta l'idea della razza. Tutta la storia,
dice Hitler nel suo libro "Mein Kampf", è solo espressione dell'eterna lotta
tra le razze per la supremazia. La guerra è l'espressione naturale e
necessaria di questa lotta in cui il vincitore, cioè la razza più forte, ha
il diritto di dominare. L'unico scopo dello stato è quello di mantenere sana
e pura la razza e creare le condizioni migliori per la lotta per la
supremazia, cioè per la guerra. La guerra è l'unica cosa che può dare un
senso più nobile all'esistenza di un popolo. Di tutte le razze quella
cosiddetta "ariana" o "nordica" sono, secondo Hitler, la più creativa e
valorosa, l'unica alla quale spetta il diritto di dominare il mondo.
Lui non si scompone, anzi, era la sua occasione per far parlare di sé tutta
la Germania, attirare l'attenzione della pubblica opinione sul suo partito e
le sue idee. Sapeva che sarebbe diventato un martire solo perché vuole un
governo forte e una Germania rispettata. Quello che vogliono un po' tutti,
anche se non si esponevano troppo. Insomma nel fargli il processo il governo
commette il suo più grosso errore. Tutto ciò tradotto nella realtà
significa, per Hitler, l'unificazione del continente europeo sotto il
dominio della nazione tedesca, per poi cercare un nuovo spazio vitale ad
est, cioè in Polonia e in Russia. "Questo deve essere", come scrive Hitler,
"solo il preludio dell'ultima grande sfida, lo scontro finale contro gli
Stati Uniti". E' rilevante il fatto che l'andamento reale della seconda
guerra mondiale rispecchia quasi esattamente questa teoria: la stessa che
Hitler aveva sviluppato 14 anni prima dell'inizio della guerra. Ciò è un
esempio lampante della testardaggine con cui Hitler segue le proprie idee e
cerca di applicarle a tutti i costi.
Ci sono numerose contraddizioni e imprecisioni nella teoria razziale di
Hitler, confonde spesso "razza" con "popolo" o "nazione" e i concetti
"tedesco", "germanico" e "ariano". Ma probabilmente tutto questo non è molto
importante per Hitler, dato che scrive con molta franchezza: "La propaganda
non ha il compito di essere vera, ha invece l'unico compito di essere
efficace!"
Basti pensare al piacere che può provare un disoccupato (quindi inoperoso)
nel ritenersi parte integrante di una razza superiore. Secondo la dottrina
nazista, affinché la cultura germanica avanzi, è necessario limitare il
numero di persone non produttive o che ostacolano il raggiungimento degli
obiettivi che lo stato si pone. Come i criminali, i pazzi e le persone
fisicamente minorate, ben presto sono perseguitati anche gli ebrei, gli
zingari e gli omosessuali. A conferma di ciò parlando del suo futuro Reich,
Hitler dichiara che sarà più onorevole essere uno spazzino in Germania, che
un re in uno stato estero.
Il secondo elemento fondamentale è l'antisemitismo. Per Hitler gli ebrei non
sono una comunità religiosa, ma una razza che vuole rovinare tutte le altre.
Mescolandosi con popoli diversi (e in special modo con quello tedesco), gli
ebrei, impuri, cercano di distruggere la purezza degli altri eliminando così
la loro forza necessaria per la lotta verso la supremazia. L'antisemitismo
diventa per Hitler una vera e propria ossessione: "L'Ebreo è colui che
avvelena tutto il mondo. Se la razza semita vincesse, allora sarebbe la fine
di tutta l'umanità."
Hitler non è il primo nella storia a voler costruire un impero mondiale,
tentativi di questo genere hanno sempre comportato morti innocenti,
crudeltà ed ingiustizie. Ma con Hitler si è verificato qualcosa di diverso,
egli ha fatto ha fatto uccidere sistematicamente milioni di persone, non in
una guerra, ma semplicemente per motivi di un odio razziale, alimentato da
una presunta necessità ideologica. Parallelamente alla guerra comincia il
capitolo più buio della storia della Germania. Nello stesso giorno dell'
attacco alla Polonia, Hitler ordina l'uccisione dei malati di mente, degli
handicappati di tutte le età, e di altri "mangiatori inutili" come sono
ufficialmente chiamati. Vengono così fucilate circa 100.000 persone. Poi è
la volta degli zingari. Le stime di zingari uccisi in tutti i paesi occupati
dai tedeschi si aggirano intorno al mezzo milione. E infine gli ebrei, che
in tutta Europa sono sei milioni. Nella "conferenza del Wannsee" nel gennaio
del '42, Hitler annuncia "la soluzione finale della questione ebraica". Fino
a quel momento lo sterminio degli ebrei si è limitato alla Polonia e alla
Russia, adesso si estende a tutta l'Europa e anche i metodi cambiano. Prima
si adoperava la fucilazione di massa, un procedimento che adesso si rivela
troppo complicato e lento.
Cominciano a funzionare le "camere a gas" che garantiscono un lavoro più
veloce.
Heyrdrik, collaboratore di Himmler alla Gestapo nominato protettore del
Reich per la Boemia e la Moravia, a diviso i LAGER in tre categorie a
seconda della rigorosità del sistema carcerario:
Prima Categoria: Dachaij , Sachsenhaijsen, Auschwitz I , per i deportati
di cui si ritiene possibile il recupero;
Seconda Categoria: Buchenwald, Flossemburg, Auschwitz II, Grossorosizn, per
gli internati a causa di gravi delitti recuperabili;
Terza Categoria: Mauthausen con il campo sussidiario di Gusen per i
deportati più pericolosi, irrecuperabili e quindi da eliminare.
Il Castello di Hartheim è un istituto per bambini handicappati, assistiti da
una congregazione di suore. Nell'attuazione del programma di eutanasia, i
bambini, sono i primi ad essere vittime del genocidio.
Hitler enuncia la dichiarazione (poi decreto) in concomitanza con lo scoppio
della guerra: in essa asserisce che "la vita indegna dei malati di mente,
venga eliminata con interventi che ne provochino la morte." Non è un caso
che i due avvenimenti coincidono. Si trova infatti nelle parole del
direttore di questo programma la spiegazione: "E' per me intollerabile che
il fiore della nostra gioventù debba perdere la vita al fronte perché i
deboli di mente e gli irresponsabili abbiano un'esistenza sicura negli
istituti psichiatrici."
Il castello di Hartheim, dotato di camera a gas e crematorio, diviene ben
presto luogo di TORTURA e di morte e Mauthausen è uno dei principali
fornitori di "materiale umano" per le atrocità che vi avvengono. Nel
suddetto campo quasi ogni settimana arriva la "corriera blu"( così chiamata
per i vetri dipinti di blu atti a nascondere ciò che conteneva) per prendere
i condannati. Si calcola che nel periodo compreso fra l'estate del '41 e
quella del '43 ben 4.500 sono i deportati di Mauthausen e Gusen ad Hartheim.
Cortile antistante le camere a gas
Mauthausen, destinato ai soggetti irrecuperabili e particolarmente
pericolosi secondo la classificazione di HEYDRICH REINHARD, non è un campo
di sterminio, bensì un campo di lavoro, dove l'eliminazione dell'individuo
avviene mediante il lavoro stesso; ma la sorpresa è che Mauthausen accoglie
200 mila ebrei e di costoro ben 150 mila sono morti.
Una delle più grandi ossessioni dei nazisti è che il sangue della "razza
padrona", quella dei tedeschi, deve rimanere puro, incontaminato dal sangue
di persone che hanno caratteristiche indesiderate.
Questa politica ha inizio fin dal 1933: si vuole impedire a questi
indesiderati di contaminare la razza ariana riproducendosi. Il primo passo è
lo sterminio forzato di coloro sono ritenuti mentalmente inadeguati. Scopo
del programma è impedire a queste persone e alla loro eventuale discendenza
di continuare a essere un peso per la società. Una volta applicata la
sterilizzazione, è soltanto una questione di tempo ad attuare il programma
dell'eutanasia. I nazisti approfittano dell'inizio della guerra per far
passare inosservata l'operazione: portatori di handicap fisici e mentali
vengono fermati e inviati in alcuni centri particolari per "cure". Di quasi
tutti non si è saputo più nulla.
Accade spesso, che i familiari delle vittime, ricevono telegrammi recanti la
notizia che il loro amato parente è morto per un attacco di cuore o di
polmonite.
I nazisti sperano così di eliminare dalla popolazione i geni difettosi, e di
rafforzare le generazioni future della "razza padrona". Le prime vittime del
programma sono eliminate mediante iniezione di veleno. Ben presto i "luoghi
di cura" furono attrezzati con camere a gas.
Un grandissimo numero di medici, alcuni dei quali nazisti convinti mentre
altri non avevano idee politiche, partecipa a questi programmi di
sterilizzazione ed eutanasia. Ciascuno di essi presta il giuramento di
Ippocrate, promettendo di guarire gli ammalati, di proteggere la vita e di
astenersi da cattive azioni nei confronti dei propri pazienti. Tutti violano
il giuramento fino all'estremo limite.
Infine, il fatto di avere a disposizione migliaia di esseri umani privi di
qualsiasi tutela da parte dello stato, e l'esistenza di un governo che ne
incoraggiava lo sterminio, permette a molti di questi dottori di portare
avanti alcuni scellerati esperimenti su esseri umani. Questo tipo di
sperimentazione continua poi nei campi di concentramento: i prigionieri
subiscono maltrattamenti fisici e morali. I nazisti tengono resoconti
precisi di questi esperimenti, resoconti che più tardi, quando saranno
trovati, faranno inorridire il mondo intero.
Le piaghe del campo sono la mancanza d'acqua, le disastrose condizioni
igieniche e l'enorme quantità di topi. A Birkenau i nazisti costruiscono la
maggior parte degli impianti di sterminio: quattro crematori con camere a
gas, due camere a gas provvisorie situate in case contadine convertite a tal
uso, fosse e roghi.
Ingresso principale del campo di Auschwitz
La scritta "Arbeit macht frei" significa "Il lavoro rende liberi", ma è solo
una macabra ironia infatti il dirigente del campo comunica ai deportati fin
dal loro arrivo "...siete giunti ad un campo di concentramento in cui
l'unica uscita è quella dei camini dei forni crematori".
Entrata principale di Birkenau.
Cartello con la scritta "Alt" che intima l'avvicinarsi alla barriera di filo
spinato.
Oltre che nelle camere a gas, molti dei deportati morivano in seguito alla
fame, alle esecuzioni, al lavoro sovraumano, alle punizioni, alle condizioni
igieniche, agli stenti, alle malattie ed alle epidemie. Alcune detenute
ritrovate pesavano tra i 23 e i 35 Kg.
Muro per le fucilazioni nel Blocco 11 "della morte"
Il Blocco 11, denominato "blocco della morte", è l'area del campo più temuta
dai detenuti in quanto è lì che avvengono esecuzioni di vario genere e
torture di varia natura. Nel piazzale si eseguono le fucilazioni e le
fustigazioni appendendo i carcerati ad appositi paletti con le mani legate
dietro alla schiena. Spesso il blocco 11 viene usato per punire i detenuti.
Motivi validi sono l'aver colto una mela o aver sbrigato un bisogno
fisiologico, aver barattato un dente d'oro per un tozzo di pane o esser
giudicato lento nel lavoro. All'interno del blocco ci sono le camere di
tortura come la cella 18 in cui i prigionieri vengono rinchiusi e muoiono di
fame, la cella 20 in cui si muore per assenza d'aria.
In un altra cella,formata da piccoli bunker, con dimensioni di 90x90 cm,
sono rinchiusi 4 prigionieri alla volta fino alla loro morte.
Il nazismo, si basa su pochi e semplicistici principi: l'esistenza di razze
umane precisamente e definitivamente connotate; l'esistenza di una gerarchia
di valore tra razze umane superiori e inferiori, distribuite lungo una scala
che vede in vetta la "razza ariano-germanica" e in fondo slavi, negri,
zingari e "semiti". Le "razze superiori" hanno il diritto di sfruttare fino
allo stremo le "razze inferiori" e persino di eliminarle sistematicamente,
se necessario, per il successo della "civiltà ariana". L'antisemitismo
razzista, dunque, ha una concezione dell'umanità completamente diversa dalle
religioni monoteistiche.
In particolar modo con quell'ebraica. Appare, infatti, evidente, che le
pratiche naziste possono affermarsi e diffondersi in virtù del fatto che gli
ebrei, acconsentono "passivamente" alla barbarie tedesca. Poiché il loro
credo si fonda sul totale rispetto dell'altro, sulla non violenza e sulla
conversione pacifica.
LA PARANOIA ANTIEBRAICA DI HITLER
Anche in occidente non mancano segnali preoccupanti. Vi sono i veri e propri
neonazisti convinti, che praticano un antisemitismo diretto ed esplicito
(esibendo svastiche e andando ad attaccare stelle gialle sui negozi di ebrei
romani, come avvenne pochi anni fa). Ciò che preoccupa, può essere il fatto
che ricevono troppo ascolto e troppa attenzione, riuscendo talvolta a
introdursi come "interlocutori legittimi" in questo o quel talk show
televisivo.
Un segnale preoccupante, e che si diffonde a macchia d'olio, è rappresentato
da quello che potremmo chiamare "il rigetto dell'Olocausto". Un sentimento
di insofferenza che conquista sempre più persone e che si manifesta con una
vasta gamma di atteggiamenti. C'è chi schernisce ciò che è accaduto
dicendo:"basta con questa storia dell'Olocausto, gli ebrei ne parlano
troppo, fanno le vittime", chi trasforma l'insofferenza in accusa: "gli
ebrei ne approfittano", chi punta a relativizzare e minimizzare:"in fondo
quello che è successo agli ebrei non è niente di speciale, succede a tanti
altri, in guerra succedono sempre queste cose, le fanno un po' tutti, e poi
saranno stati davvero così tanti gli ebrei morti, non ci sarà qualche
esagerazione?", fino ad arrivare ai veri e propri "negazionisti" i quali
cercano appunto di negare che sia mai avvenuto un genocidio ai danni degli
ebrei. "La storia ha dimostrato che quando l'antisemitismo si radica nel 20
o 30 per cento di una società, non c'è quasi più nulla da fare - spiega
Simcha Epstein, dell'Università Ebraica di Gerusalemme -. Bisogna quindi
intervenire prima, quando una reazione ha ancora possibilità di successo,
senza aspettare che i segnali di antisemitismo diventino tali e tanti da non
essere più controllabili. È stupido non reagire subito".
La xenofobia - cioè la diffidenza e l'ostilità verso lo straniero, il
diverso, l'altro da sé - è caratteristica di ogni gruppo associato. Ma è un
fenomeno che ha a che fare con l'incontro (e il conflitto) fra "noi" e il
"diverso da noi". È un sentimento fortemente irrazionale, legato alla
difficile esperienza individuale e sociale dell'incontro/scontro fra
culture. L'antisemitismo ha a che fare, invece, con "il diverso che è tra
noi", che non è immediatamente visibile, che "corrode" dall'interno il
gruppo, che va attivamente cercato e smascherato. In questo senso è un
sentimento altrettanto irrazionale, ma del tutto mitico: la xenofobia si
manifesta in presenza di "estranei". L'antisemitismo si mantiene e si
manifesta anche in società dove gli ebrei non ci sono più, dove sono
scomparsi da generazioni. La xenofobia è una risposta facile a un problema
complesso di rapporti fra mentalità diverse. L'antisemitismo, invece, è un
problema tutto interno alla mentalità antisemita: non v'è nulla che l'ebreo
possa fare o non fare per scrollarsi di dosso il pregiudizio antisemita. Sta
solo al non ebreo decidere di liberarsene.
La guerra è l'ultimo scopo della politica di Hitler. Nel '39 la Germania è
diventata la nazione militarmente più forte in Europa, Hitler annette le
zone al di fuori della Germania in cui si parla il tedesco. L'Alto Adige è
un piccolo problema, perché l'Italia di Mussolini è uno dei pochi alleati,
ma Hitler si è messo d'accordo con lui per trasferire i tedeschi di questa
regione prima in Austria e successivamente mandarli come colonizzatori in
Russia, cioè nell'isola di Crimea.
Gli altri paesi seguono l'aggressiva politica estera della Germania con
crescente preoccupazione. A tutti i costi vogliono evitare una nuova guerra
mondiale, ma non vedono che le concessioni a Hitler non servono a niente:
lui avrebbe fatto la guerra in ogni caso.
Nel '39 Hitler non vuole più aspettare, la guerra deve cominciare.
Al ministro degli esteri della Romania che è alleata alla Germania,
confessa: "Adesso ho cinquant'anni. preferisco fare la guerra adesso, che
non quando ne avrò 60 o 65!".
Questa citazione rivela un tratto del suo carattere che è tipico di Hitler:
il destino della Germania si deve compiere nell'arco della sua vita.
Infatti, non ha mai pensato a quello che poteva succedere dopo di lui,
identifica la propria biografia con il vertice e il compimento della storia
tedesca.
All'inizio, la guerra va benissimo per la Germania: nella serie di guerre
lampo vengono occupate nel 1939 la Polonia, nel 1940 Danimarca, Norvegia,
Olanda, Belgio, Lussemburgo e Francia, nel 1941 la Jugoslavia e la Grecia.
Nel 1940 anche l'Italia, sebbene militarmente impreparata, entra in guerra
accanto alla Germania, probabilmente abbagliata dai successi facili della
Germania. Alla fine del 1941, ad eccezione della Svezia, della Svizzera e
della Spagna che però è fortemente simpatizzante, tutta l'Europa è sotto il
dominio di Hitler e dei suoi alleati.
Ma a guardare bene quelli che possono sembrare dei "strasuccessi" sono tutti
successi contro avversari più piccoli e più deboli, Polonia, Danimarca,
Norvegia, Olanda, Belgio, Iugoslavia e Grecia, che non possono fare molto da
soli contro il colosso militare della Germania. L'unica vera sorpresa è la
facile vittoria, in un solo mese, contro la Francia, che nel primo conflitto
mondiale non aveva ceduto per 4 anni. Ma la Francia del 1940 è molto diversa
da quella di 25 anni prima, ora è politicamente ed economicamente debole e
non preparata alla guerra. Nel 1914 la Francia era entrata nella guerra con
grande entusiasmo e voglia di vincere, adesso nel 1940 ha paura. Una preda
facile per Hitler. Solo con l'Inghilterra non è così facile. Gli inglesi
devono ritirarsi dal continente, ma l'isola è un territorio che Hitler non
riesce mai a piegare nonostante i continui e violenti bombardamenti delle
città inglesi.

LA CRISI DEL '29
Il 1925 segna un momento estremamente positivo per l'economia del vecchio
continente: la Gran Bretagna ha ritrovato la convertibilità in oro della
sterlina, la Germania, grazie al piano Dawes, che le fornisce enormi
prestiti, tiene fede alle scadenze delle rate del proprio debito di guerra e
sviluppa strepitosamente la propria rinascita economica ed industriale;
proprio in quell'anno la produzione complessiva dell'Europa ritorna ai
livelli di prima della Grande Guerra: sembra, insomma, che il mondo si avvia
ad un periodo di benessere, sviluppo e prosperità.
Tutto sembra contribuire a creare nella gente un ottimismo ed un'aspettativa
verso un'età dell'oro che la società industriale e capitalista pare
garantire.
Anche in Europa cominciano ad affermarsi l'organizzazione su vasta scala del
lavoro e la derivante economia di scala, che prendono il nome di "fordismo"
o "taylorismo", d'importazione americana; ed è soprattutto la Germania a far
tesoro di questa dottrina, tornando ad essere, alla fine degli anni Venti,
la maggiore potenza industriale europea; il che, la rende più vulnerabile di
paesi ancora ad ampia vocazione agricola, come, ad esempio, l'Italia, alla
crisi del '29.
In realtà, quell'America cui tutti guardano con ammirazione e che tutti
cercano di imitare è un colosso dai piedi d'argilla, poiché la regola per
mantenere il benessere economico è che questo non può che aumentare: per
continuare ad esistere si deve espandere in continuazione, secondo lo schema
tipico della società consumistica, basata sul circolo vizioso produrre -
consumare - produrre di più - consumare di più; con la continua necessità di
creare nuovi bisogni ed aspettative nel mercato.
Giovedì 24 ottobre 1929, il mondo si sveglia dalla favola bella che lo aveva
illuso: l'idea che la ricchezza poteva crescere all'infinito evapora all'
apertura della borsa di Wall Street, quel giovedì d'autunno, passato alla
storia come il "giovedì nero".
Anche perché non si tratta di ricchezza vera, ma virtuale.
Nei cinque anni che precedono il disastro, il valore dei titoli di borsa
americani si è quadruplicato, infondendo negli speculatori un'incrollabile
certezza nella solidità del sistema: questo innesca, coll'andare del tempo,
una sconsiderata corsa al rialzo, dovuta alle speculazioni sfrenate,
portando i titoli ad una sopravvalutazione critica; quando in qualcuno la
fiducia viene meno, il mercato si "sgonfia come un palloncino".
La differenza tra il valore reale di un'azienda (immobili, capitali,
macchinari, fatturato eccetera) ed il suo valore azionario non può superar
un certo valore; perché se la disparità è troppo forte, prima o poi si ha il
crollo.
Oggi esistono dei meccanismi di ammortizzamento degli eccessivi rialzi e
ribassi: nel 1929 no; perciò, la prima crepa che incrina la fiducia cieca
nel mercato che era Wall Street, fa crollare tutta l'impalcatura.
Naturalmente, nel panico delle svendite forsennate, le azioni scendono di
molto sotto quel valore reale delle imprese mettendo in crisi l'intero
sistema capitalistico.
Già martedì 29 ottobre (il "martedì nero"), la borsa newyorkese ha perso
tutti i guadagni dell'intero anno.
Ma la crisi non interessa solo la borsa: la domanda di beni di consumo scema
rapidamente, le vendite calano, la produzione risulta esorbitante rispetto
ai consumi, e l'industria si inceppa; il capitalismo "prima maniera" mostra
tutti i suoi limiti: iniziava la Grande Depressione.
Poco dopo, entra in crisi l'intero mercato agricolo, con l'impossibilità da
parte degli agricoltori, grandi clienti delle banche di prestito, di pagare
i debiti, causa il crollo del sistema creditizio, col fallimento di molte
banche.
Nel 1933 le industrie Usa producono la metà di quanto facevano nel 1928,
con, per conseguenza, il 25% della forza lavoro a spasso: 13 milioni di
disoccupati.
Naturalmente, questa ondata di sfiducia, se non di vero terrore, si
trasmette all'Europa, da dove gli investitori statunitensi si affrettano a
ritirare i propri capitali.
Chi ha la peggio, è la Germania, che si trova con la produzione industriale
dimezzata e sei milioni di "senza lavoro"; il presidente americano Hoover
propone, nella conferenza di Losanna del 1932 di sopprimere i debiti di
guerra tedeschi, ma questa proposta non viene presa in considerazione.
E' la drammatica situazione economica tedesca dopo il crollo di Wall Street
ad abbattere la traballante Repubblica di Weimar, a determinare l'ascesa al
cancellierato di Hitler e, soprattutto, ad "ansimare sui carboni vivi" dell'
antisemitismo germanico, che, di lì a qualche anno, sarebbe tragicamente
esploso.
IL NEW DEAL
Il "padre" di tutte le versioni di Welfare State, ossia di stato sociale, è
stato F.D. Roosevelt, presidente degli Usa dal 1932 al 1945.
In effetti, il suo New Deal, il "Nuovo Corso" che impone all'economia, è il
primo tentativo di conciliare il capitalismo con l'attenzione alle classi
più deboli economicamente, riformando profondamente l'economia americana,
che, fino ad allora, era improntata al puro e semplice liberismo d'
iniziativa privata.
Roosevelt si lancia in una politica economica basata su grossi investimenti
pubblici e su di una partecipazione e un controllo, da parte dello Stato,
nell'attività economica.
Questa idea trova si realizza nell'opera "Teoria generale dell'impiego, dell
'interesse e della moneta", che, nel 1936, fu pubblicata dall'economista
inglese J.M. Keynes, che indicò proprio nell'intervento dello Stato a
sostegno della domanda (anche a costo di peggiorare il bilancio)la soluzione
del problema.
Dall'istituzione della CWA (Civil Works Administation), deriva l'iniziativa
di grandi opere pubbliche, che, oltre a dotare di infrastrutture il
territorio, danno lavoro a grandi masse di disoccupati, come la bonifica
dell'intera valle del fiume Tennessee.
Roosevelt dà origine ad una serie di agenzie governative, che garantiscono
il controllo dello Stato nelle attività, ma anche il rispetto delle regole
che tutelano i lavoratori (Social Security) attraverso un sistema
pensionistico e di sussidi.
Il "Nuovo Corso" aiutò l'America ad uscire dalla crisi: Roosevelt diede ai
lavoratori americani riforme importanti e a tutto il popolo americano un po'
di fiducia; tuttavia, sarà solo la seconda guerra mondiale che raddrizzerà l
'economia statunitense, in quanto i disoccupati americani nel 1939 saranno
ancora più di dieci milioni.
Il New Deal è stato un momento importante nell'evoluzione della società
capitalistica americana ma non è stato un vero e proprio rimedio.
IL REGIME AUTARCHICO
Se le democrazie occidentali reagiscono alla crisi del '29 in chiave
Keynesiana, da parte delle dittature socialnazionali l'intervento statale,
nel reggere il timone dell'economia, è ancora più drastico.
La campagna elettorale che porta, nel 1932, la NSDP ad essere il primo
partito tedesco, vede tra i punti principali del programma di governo di
Hitler proprio la lotta alla disoccupazione; il che porta ai nazisti i voti
delle classi lavoratrici.
Un comun denominatore nell'atteggiamento dell'economia nazista e di quella
fascista è che entrambe mirano ad una generale autosufficienza dall'esterno:
all'autarchia. L'autarchia permette ai due regimi, ampiamente boicottati
dalla Società delle Nazioni, di liberarsi dal ricatto dei blocchi economici
(consistono nel divieto disposto dall'autorità di esportare o comunque di
avere scambi commerciali con un dato Stato) e di perseguire una politica
interna ed estera del tutto spregiudicate; l'idea autarchica non fa altro
che soffiare sul fuoco dell'orgoglio nazionale.
Alla metà degli anni '30, le due economie, quella tedesca in maniera più
sensibile, si dedicarono ad un imponente riarmo; il che significa grandi
commesse statali e, quindi, una dilatazione della spesa pubblica, proprio
come nel caso del New Deal americano. Solo che, anziché trattori, si
producono carriarmati.
In Germania fu varato un piano economico quadriennale, che, tra il 1936 ed
il 1939, cancella dal vocabolario tedesco la parola "disoccupati", facendo
aumentare la produzione del 110%. Per gli operai, la presenza dello Stato
nell'impresa significa, da un lato, la perdita di ogni diritto rivendicativo
e sindacale e, dall'altra, la certezza del posto di lavoro e di un salario
costante. Il risultato politico di questi diversi atteggiamenti economici e,
più in generale, degli effetti della crisi del '29, è, in pratica, la
cessazione di ogni collaborazione internazionale di ampio respiro, con le
varie economie chiuse in se stesse e protette da dazi e gabelle, in un
regime di protezionismo, isolazionismo e di sciovinismo (nazionalismo
esagerato e fanatico).
L'"UBER-MENSCH" DI NIETZSCHE
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Nietzsche nella sua filosofia utilizzando delle grandi parole-chiave, arriva
a scoprir il mito del superuomo. La frase simbolo della filosofia
superomistica nietzschiana è: "Diventare ciò che si è"
Il superuomo per Nietzsche è un uomo "oltre l'uomo" cioè è il nuovo
individuo il quale rifiuta il mondo come una realtà già costituita, progetta
la costruzione di un mondo diverso ed è animato da sentimenti di amore per
il proprio corpo e del desiderio di reincarnare in sé lo spirito dionisiaco.
Tale individuo è il superamento dell'uomo tradizionale ed è perciò indicato
con il termine oltreuomo "uber-mensch", o secondo la consuetudine,
superuomo. Rappresentante dell'apparizione sulla terra dell'oltreuomo, è
Zarathustra.
Secondo Zarathustra l'uomo è qualcosa che deve essere superato, in pratica
supera il limite dell'uomo.
Costui rifiuta tutte le leggi e la convenzionalità, ponendosene al di sopra.
La sua unica legge è "l'io voglio", la propria volontà di potenza, di
dominio del mondo.
Il superuomo si caratterizza per la sua fedeltà alla terra, essendo morto
Dio l'unica realtà è ora la vita terrena, non c'è più un mondo dietro al
mondo in cui trovare consolazione al pensiero della morte (perdita dell'
aldilà). Nella terra ritrova la sua natura più propria e originaria.
Per Nietzsche la morte di Dio non ha alcun significato psicologico: non
significa che gli uomini non credono più in Dio, infatti dice che, non c'è
più alcun Dio che ci può salvare; oltre gli uomini sta solo il nulla.
La morte di Dio è dunque il segno della tragicità del tempo.
Se Dio è morto non ha più senso domandarsi dove andiamo e da dove veniamo:
non è il nostro un eterno precipitare?
Nietzsche sviluppa così il "Nichilismo" per tracciare la condizione
pessimistica e passiva di un'umanità per la quale nulla ha più senso. In
questa crisi di valori l'uomo riconosce l'insensatezza del mondo e sviluppa
un odio per la vita. Nietzsche dice che il tempo ha fine e che non c'è scopo
nella vita. Egli propone una concezione ciclica del tempo: non esistono
passi avanti né indietro.Se tutto si ripete, potremmo concludere che nella
vita non accade nulla di nuovo. Ogni momento del tempo possiede tutto
intero, il suo senso. Perciò va vissuto per se stesso come se fosse eterno
("Vivi quest'attimo in modo tale che tu debba desiderare di riviverlo").
Nietzsche vede nella competizione il principio di organizzazione della vita.
Il concetto di volontà è quindi da intendersi come tendenza a oltrepassare
sé stessi.
Nietzsche espone il pensiero quasi come se fosse poesia; infatti,
consapevole dell'"inattualità" aveva detto: "Mi si comprenderà dopo la mia
morte!"
Egli individua nell'antichità classica le radici di due atteggiamenti
culturali:
ü la razionalità e la bellezza formale, simboleggiate da Apollo.
ü l'espressione dell'istinto e il desiderio di trasgredire, rappresentati da
Dioniso.
Inizialmente Nietzsche riconosce che, fino ad allora, era stato seguito il
principio apollineo testimoniato da menzogne, conformismo, passività,
ipocrisia perciò conclude che è necessario tornare al dionisiaco per
restituire all'uomo la libertà di gioire dei suoi istinti e delle sue
passioni; da qui nasce l'esigenza di abbandonare la "morale degli schiavi"
Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce nel 1844 a Röcken in Germania. Rimasto
orfano del padre in tenera età, cresce affidato alle cure della madre, donna
di solide qualità morali ma di cultura limitata.
A Naumburg, riceve i suoi primi insegnamenti di religione, latino e greco.
Dopo che ha abbandonato la scuola teologica di Pforta, Nietzsche studia
filologia classica alle università di Bonn e Lipsia, così diviene professore
della disciplina all'università di Basilea a soli 24 anni, a questo punto si
delineano sempre di più le sue inclinazioni filosofiche.
Studioso della cultura greca, in particolar modo di Platone e di Aristotele,
Nietzsche attinge ispirazione anche dalle opere di Arthur Schopenhauer e
dalla musica di Richard Wagner.
Nel 1878 Nietzsche inizia a soffrire di crisi nervose al punto che diviene
una vera e propria malattia.
IL MITO Dl D'ANNUNZIO
Gabriele D'Annunzio, nella sua fase superomistica, prende spunto da
Nietzsche anche se ironizza sulle idee del filosofo. Le opere superomistiche
di D'Annunzio sono tutte una denuncia dei limiti della realtà borghese, del
nuovo stato unitario e del trionfo dei principi democratici ed egualitari.
Nietzsche è forse il migliore interprete della fine di un mondo e del
bisogno di rinnovamento di tutta un'epoca: profeta insieme della decadenza e
della rinascita, dà origine alle interpretazioni più discordie che si
traducono nelle influenze più diverse. Volta a volta materialista o
antìpositivista, esistenzialista o profeta del nazismo, diviene oggetto, in
Italia, dell'interpretazione estetizzante di Gabriele D'Annunzio esercitando
un indiscutibile fascino sui futuristi. Nietzsche diviene così il filosofo
della crisi, il fondatore di un modo di pensare nuovo.
Per quanto riguarda la sua idea del superuomo, inteso come il giusto
trionfatore di una massa di deboli o schiavi, va corretta. Nietzsche non è
il predicatore di un vangelo della violenza, ma intende porre le condizioni
di sviluppo di una civiltà e di un'idea dell'uomo, radicalmente rinnovate.
Il filosofo non specifica mai espressamente chi deve essere il soggetto
della volontà di potenza come il superuomo. Molti critici limitano il
superuomo ad un'elite che esercita la sua volontà di potenza nei riguardi
del prossimo. La figura dannunziana del superuomo è uno sviluppo di quella
precedente dell'esteta. Il culto della bellezza è essenziale per elevazione
della stirpe, ma l'estetismo non è più il solo rifiuto della società, si
trasforma nello strumento di una volontà di dominio.
D'Annunzio applica, in un modo tutto personale, le idee di Nietzsche alla
situazione politica italiana. Presenta il filosofo Zarathustra come il
modello del "rivoluzionario aristocratico", come il maestro di un "uomo
libero, più forte delle cose, convinto che la personalità superi in valori
tutti gli attributi accessori". Il suo è un fraintendimento. Ciò che il D'
Annunzio scopre in Nietzsche è una mitologia dell'istinto, gesti e
convinzioni che permettono al Dandy (un giovane uomo che nell'abbigliamento
e nel comportamento segue i principi della moda più raffinata) di
trasformarsi in superuomo.
Gran parte della vastissima opera dannunziana creata per esaltare e
sostenere il mito che di sé costruisce, appare oggi superata e priva d'
attualità.
Ha tuttavia dei meriti, infatti, si avvicina ad autori ed atteggiamenti del
decadentismo europeo come Verlaine e Mallarmé contribuendo a diffonderne la
conoscenza in Italia. Sono due poeti che fanno parte del pensiero
simbolista, considerati i maestri di questa corrente. Hanno una visione del
mondo come una rete di simboli, utilizzano un'insieme di tendenze letterarie
mediante le quali il poeta evoca una realtà più profonda. Questa visione del
mondo produce, nell'arte, una rivoluzione totale del contenuto e delle
forme.
Riesce a intuire, attraverso la poesia, la comunione dei sensi e dell'anima
con la molteplicità della vita naturale.
Crea una dimensione "panica", d'immedesimazione quasi fisica e sensuale
basata sulle immediate sensazioni, che nella raccolta "Alcyone", segnano il
nascere di un atteggiamento nuovo per la poesia.
Per esprimere quest'atteggiamento raffinato e sensuale, D'Annunzio si serve
di un linguaggio insolito ed artistico, basato sul recupero di preziose voci
arcaiche e sull'invenzione di neologismi capaci di stupire e meravigliare;
crea così un "culto della parola" ricercata soprattutto per clamorose
risonanze musicali (si affida molto alle onomatopee), contribuisce così,
anche se in misura minore del Pascoli (PANISMO) ad avviare il nuovo
linguaggio poetico del '900 verso le svolte successive. Ne "Il Piacere"
spiega la sua concezione di poesia come specchio delle straordinarie
capacità espressive dell'artista scrivendo: "Il verso è tutto e può tutto,
definisce l'indefinibile e dice l'ineffabile".
GABRIELE D'ANNUNZIO:
Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da una famiglia agiata.
Frequenta gli studi presso un collegio di Prato, dove ha le prime
esperienze come poeta, componendo alcune poesie dettate da "precoci passioni
amorose" e sotto l'influsso carducciano. Nel 1879 pubblica la prima raccolta
di versi "Primo Vere".
Poco dopo la prima raccolta fa pervenire alla stampa la notizia della
propria morte prematura, per poi smentirla e fare uscire, in un clima di
maggior attenzione, la seconda edizione della raccolta.
Nel 1881 si trasferisce a Roma dove s'iscrive, senza mai terminare gli
studi, alla Facoltà di Lettere e si trasforma da giovane poeta di provincia,
in sottile cronista della Roma mondana, assiduo frequentatore di salotti
aristocratici e letterari. Non giunge mai alla laurea in quanto allo studio
sistematico preferisce la vita della capitale, dove visse da gaudente.
Nel 1882 si ha la prima edizione di "Canto Novo". La seconda edizione si
avrà nel 1896 anche se non sarà soltanto una rielaborazione del primo ma una
completa trasformazione tanto da far pensare che i due lavori siano
completamente diversi tra loro.
Nel 1883 soddisfacendo le proprie ambizioni aristocratiche, si sposa con
Maria Hardouin, duchessa di Gallese che fugge da casa in quanto i genitori
sono contrari al matrimonio con il ventenne D'Annunzio. Da questa unione
nascono tre figli e i primi debiti.
Passano gli anni e si separa dalla duchessina passando ad altri amori, in
completa solitudine, in un convento vicino casa, compone "Il Piacere".
Nel 1894 a Venezia incontra Eleonora Duse, con la quale nasce una relazione,
l'amata gli ispira tante opere tra le quali, "Il Fuoco".
Un anno dopo è eletto deputato e passa all'estrema sinistra, termina dopo 3
anni la sua vicenda parlamentare per poi dimorare in una villa a Settignano
"la Capponcina" dove vive per qualche tempo come un signore del Rinascimento
circondato da belle donne, armi, cavalli e servi conducendo una vita
sfarzosa, ma senza pagare i soldi che via via contraeva. Nel frattempo s'
innamora di Sandra Rudini e della contessa Mancini che gli ispira l'ultima
vicenda della protagonista di "Forse che sì, forse che no".
Nel 1912 D'Annunzio è proposto come successore del Pascoli, nella cattedra
di Letteratura Italiana (già tenuta da Carducci), nell'Università di Bologna
ma rifiuta dicendo "L'onore è grande, ma l'amore per la mia libertà è ancora
più grande". Negli anni di guerra ritorna in Italia per partecipare al
conflitto, compiendo una serie di imprese di plateale effetto.
A fine della prima guerra mondiale, attivo avversario di quella che
definisce "la vittoria mutilata", concentra il proprio impegno di oratore e
"uomo d'arme" sulla questione di Fiume, la città che parte dell'opinione
pubblica e dell'esercito, voleva italiana.
D'Annunzio a Fiume
Nel settembre del 1919 inizia la sua azione per annettere Fiume all'Italia.
Occupa la città fino al "Natale di sangue" del 1920, quando si ritira per
non spargere sangue fraterno combattendo contro le truppe inviate dal
Governo di Roma., presieduto da Nitti. Dopo l'impresa di Fiume, D'Annunzio,
si trasferisce al Vittoriale degli Italiani dove, in seguito ad un incidente
aviatorio, infermo e costretto alla cecità, compone il "Notturno".
Al Vittoriale, nella villa di Cargnacco, sulle rive del lago di Garda, il 1
marzo del 1938 D'Annunzio muore.
Dopo aver trascorso alcuni anni nel lusso sfrenato alla "Capponcina", ormai
oppresso dai debiti, nel 1909 si reca in Francia, vicino Bordeaux, dove
scrive "Le martyre de Saint Sebastien". In questo periodo, in Francia nasce
una nuova scuola letteraria che si oppone alla poesia soggettiva e
sentimentale del Romanticismo, che prende il nome di Parnassianesimo. Questa
corrente afferma le esigenze del culto della tradizione poetica, dell'ideale
della bellezza formale e rifiuta ogni legame dell'arte con la vita. In
reazione a questa corrente si può considerare l'Estetismo. I decadenti
capovolgono il concetto parnassiano dell'arte. Riprendono il concetto
romantico del legame tra la vita e l'arte, negato dai parnassiani, ma ne
invertono i termini: non la vita deve ispirare l'arte, ma l'arte deve
ispirare la vita. Sorge così l'estetismo. L'estetismo è una parte del
decadentismo, forse la più superficiale, che oltre ad attirare la
letteratura interessa anche il costume tramite atteggiamenti raffinati,
simbolistici. D'annunzio è considerato il vero maestro del Decadentismo
italiano e la sua inquieta ricerca letteraria ne fa uno dei protagonisti di
quello Europeo. Il Decadentismo, è una nuova concezione poetica, che si
manifesta sul finire del 1800. Il movimento, come forma teorica dell'
estetismo, nasce in Francia verso il 1880 e per poi diffondersi in tutta
Europa. Il suo nome fu usato in senso dispregiativo dalla critica borghese
del tempo. Il Decadentismo può essere considerato come uno dei grandi motivi
del sempre rinascente esotismo (predilezione per tutto ciò che è straniero)
romantico. Questa corrente letteraria ha rivoluzionato e influenzato
radicalmente la poesia e il suo concetto, specialmente con l'affermazione
della necessità, da parte del poeta, di spaziare nel mondo della memoria e
del sogno. E' evidente come il contenuto di evasione della poesia decadente
susciti la reazione della poesia "impegnata". I grandi del decadentismo
inglese sono Poe (americano), Swinburne (maestro di D'Annunzio). In
Inghilterra si è affermato un Decadentismo più che altro istintivo ed
immediato. Si riscontra anche il Decadentismo come scuola letteraria,
specialmente nell'opera di Oscar Wilde.

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