La sfera teorica della rivoluzione industriale inglese

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Testo

LA SFERA TEORICA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE
Verso la presa di coscienza di un nuovo sistema economico
L’evento che trasformò radicalmente la vita sociale inglese tra il ‘700 e ‘800 fu la rivoluzione industriale, che può essere considerata l’elemento decisivo della storia contemporanea occidentale.
Tale rivoluzione aveva portato già all’inizio del '800 ad un cambiamento nell’assetto di distribuzione della popolazione sul territorio inglese.
Prima essa si concentrava prevalentemente nelle campagne dove il paesaggio agricolo si presentava diviso in una moltitudine di campi privati a gestione familiare. Già però a partire dal ‘600 e poi per tutta la prima metà del settecento si era sviluppata la tendenza attraverso il sistema delle recinzioni (enclosures) a creare grosse proprietà terriere che divennero una fonte di ricchezza per la classe imprenditoriale-agraria; tali terre infatti vennero successivamente organizzate secondo il moderno metodo capitalista. Ciò portò il progressivo abbandono delle campagne da parte dei piccoli proprietari contadini a vantaggio delle città dove la vita produttiva delle fabbriche aveva aumentato la richiesta di mano d’opera. Si assistette quindi ad un’inversione di tendenza che portò le città a configurarsi come il nucleo produttivo industriale con le abitazioni operaie mentre le residenze del ceto imprenditoriale si decentrarono.
Profitto e salario divennero i nuovi termini dell’Inghilterra industrializzata che determinarono non solo nuove classi sociali, ma anche una profonda frattura tra l'antica gerarchia sociale inglese che, nella sua staticità, era sentita ed accettata come principio di ordine, e la nuova struttura sociale basata sulla mobilità, vissuta come fattore di repressione e di violenza.
Tali cambiamenti portarono a uno sconvolgimento totale di tutte le situazioni che costituivano l’unità sociale e nazionale della “vecchia Inghilterra” quali per esempio i privilegi concessi alle locali autonomie che erano un elemento che accomunava il ceto nobile, i piccoli proprietari e tutta la popolazione rurale.
Questa importante trasformazione della società modificò anche gli oggetti propri della riflessione teorica; le domande che provenivano dal nuovo tessuto sociale diventarono tema di riflessione per la sfera teorica, che ebbe il compito di analizzare sia il nuovo sistema di produzione sia la nuova situazione sociale, per proporre anche un'alternativa al modo violento con cui il potere politico reagì inizialmente nei confronti delle prime rivendicazioni del movimento operaio.
È quindi chiaro che in una situazione di così grandi cambiamenti fosse proprio il tema del sociale e il rapporto uomo-natura a prevalere nella sfera teorica-filosofica e artistica.
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Qui di seguito si vuole analizzare l’evolvere del pensiero filosofico inglese connesso con il mutamento economico-sociale dovuto alla prima rivoluzione industriale prendendo in considerazione i maggiori teorici inglesi nell'arco di tempo che va dal 1750 al 1820 circa.
Adam Smith (1723-1790) visse durante la prima fase della rivoluzione industriale che vide sostanzialmente il nascere delle prime fabbriche intese come luoghi in cui vennero riuniti, per velocizzare la produzione, le persone che in precedenza facevano parte del sistema del lavoro a domicilio. Egli quindi non possedeva ancora un quadro generale delle conseguenze e degli effetti che la suddetta rivoluzione portò in seguito.
L’opera più importante di Smith è Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) nel quale appunto egli espone le proprie idee circa il nuovo metodo capitalistico all'interno del sistema di produzione generale. Si può affermare che Smith superò decisamente le dottrine fisiocratiche sottolineando che non è la terra la sola produttrice dei beni bensì anche l’industria che trasforma i beni primari; quindi si può concludere che è il lavoro in generale la fonte di ricchezza e non la sola terra. Quasi accecato dall'entusiasmo collettivo che caratterizzò la prima parte della seconda metà del ‘700, egli cercò di dimostrare la necessità secondo cui l’individuo deve essere lasciato libero di agire nel proprio personale interesse perché Smith sostiene che l’uomo, che ha tale obiettivo (il personale interesse) potrà meglio conseguirlo accrescendo contemporaneamente anche il benessere collettivo cioè dell’intera società. L’uomo per Smith “è infatti guidato da una mano invisibile a promuovere un fine, che non rappresentava alcuna parte delle sue intenzioni”. Il fine di cui egli parla è il benessere collettivo; ma importante è l’elemento che Smith utilizza per garantire il coincidere di bene privato con bene pubblico e cioè quella “mano invisibile”. Con tale affermazione Smith mette in risalto come la provvidenza di Dio, ritenuta infallibile, sia il meccanismo regolatore dello sviluppo economico. Partendo quindi dall'idea che il benessere della società deriva direttamente dalla possibilità che ha ogni uomo di perseguire il proprio interesse, Smith condanna ogni forma di intervento politico nell’attività economica dei cittadini. I doveri del sovrano quindi sono per Smith tre, “di grande importanza, ma chiari ed intellegibili ad ogni comune intelletto: il primo, di proteggere la società dalla violenza e dall’invasione di altre società indipendenti; il secondo, di proteggere fin dove è possibile ogni membro della società dall’ingiustizia e dall’oppressione di ogni altro membro, ossia il dovere di instaurare una esatta amministrazione della giustizia; e il terzo, il dovere di erigere e mantenere certe opere pubbliche e certe pubbliche istituzioni, le quali non può mai essere interesse di un individuo o di un piccolo numero di individui di erigere e mantenere, giacché il profitto non potrebbe mai rimborsare la spesa”. È chiaro come il pensiero di Smith sia ancora immaturo ed egli non possegga un quadro complessivo delle conseguenze della rivoluzione industriale in quanto il secondo dovere di un sovrano è estremamente ambiguo e anzi si può leggere in netto contrasto con l’idea di Smith. Infatti, a nostro parere, pare impossibile l’intervento da parte del sovrano, o comunque della classe governante in generale, teso a dominare l’ingiustizia e l’oppressione - le quali in seguito saranno le cause reali che scateneranno fortissimi contrasti sociali tra operai e ceto imprenditoriale - senza però non intervenire anche in campo economico; questa posizione deriva dal fatto che i disordini dei primi del ’800 furono causati proprio per questioni economiche. Per risolvere quindi questo problema, o in generale una questione, bisogna necessariamente intervenire alla radice del problema stesso, entrando però in contrasto con l’idea di partenza di Smith che rivendica piena autonomia in campo economico.
Ma è proprio il successivo modo violento con cui la classe politica reagì nei confronti di primissimi movimenti operai, che erano considerati alla stregua di una associazione a delinquere, e la mancanza di un quadro giuridico adeguato alle nuove trasformazioni economico-sociali che portarono ad un netto cambiamento dell’oggetto della riflessione teorica. Esso non si configura più con la ricerca del come le nazioni fanno ad aumentare la loro ricchezza (Smith), ma bensì si configura con il modo in cui le varie classi che compongono la società si appropriano del prodotto dell’attività economica. Tale passaggio vede lo svilupparsi in ambito teorico della corrente dell’utilitarismo (Bentham), il decollo di una nuova scienza, l’economia politica (Malthus e Ricardo).
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La figura di Jeremy Bentham (1748-1832) è connessa appunto con la necessità di una riforma della legislazione in Inghilterra, una legislazione che come si è detto doveva essere adeguata alla nuova configurazione sociale. Vi è quindi l’idea di un potere politico visto come equilibratore intelligente della società. A tale scopo le leggi si configurano come il mezzo utilizzato dal potere politico, che per svolgere il suo compito di equilibratore dovrà indubbiamente formulare leggi utili.
Bisogna, prima di procedere oltre, capire con esattezza che cosa si intende con utile per Bentham, che appunto sarà l’iniziatore della corrente di pensiero denominata utilitarismo. La società secondo Bentham è un insieme in trasformazione. Per comprendere secondo un criterio ampio e funzionale i problemi della trasformazione occorre fare ricorso al criterio dell’utilità per il maggior numero di persone. L’utilità va considerata non secondo gli obiettivi del singolo individuo, come per Smith, bensì secondo un’azione che possa conseguire in un tempo ragionevole il massimo di felicità che coincide con la minimizzazione del dolore per il maggior numero possibile di persone.
L'azione morale o azione buona è quell'atto che accresce la felicità esistente nel mondo e che, per Bentham, va a coincidere con l'azione utile. La responsabilità morale di cui si deve incaricare il potere politico deve essere sottratta all'arbitrio dell'uomo e sottoposta, per Bentham, ad un calcolo razionale. La matematica diventa così lo strumento che garantisce il controllo razionale dell'azione morale, in quanto Bentham pensa di poter fornire delle tavole per misurare e selezionare i comportamenti umani per poter giungere ad una valutazione oggettiva delle azioni umane. In questo quadro l'opera legislativa è quell'azione che per sua stessa natura deve raggiungere il massimo dell'utilità cioè deve mirare alla massimizzazione della felicità sociale.
Al di là della facile conclusione a cui si può giungere, e cioè che un'analisi sociale del genere appare ai nostri occhi decisamente ingenua e riduttiva, è da sottolineare l'importanza che Bentham assegna all'azione riformatrice delle istituzioni politiche, che mette in rilievo l'obsolescenza delle precedenti norme applicate ad una situazione sociale radicalmente mutata.
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Importante come teorizzatore dell’economia politica è Thomas Robert Malthus (1776-1834), la cui figura è indubbiamente nota per la famosa legge sulla popolazione, esposta nella sua opera maggiore Saggio sul principio di popolazione (1798). Sicuramente risulta importante il periodo di pubblicazione del suddetto saggio; infatti alla fine del ‘700 e gli inizi del ‘800 si assistette all’esplodere delle tensioni sociali createsi in precedenza. È da sottolineare come in Inghilterra, in questo periodo, si abbia avuto un incremento della popolazione passata da 7 milioni a 12 milioni in sessant’anni (dal 1760 al 1821); tale aumento aveva accresciuto il tasso di disoccupazione, nonostante la grande richiesta di mano d’opera proveniente dalle fabbriche, che accentuò quei conflitti sociali prima ricordati.
In una tale situazione l’idea di Malthus infrange per la prima volta il quadro ottimistico di Smith, facendo ricorso al concetto di penuria delle risorse. Per Malthus se il progresso umano viene pensato come partecipazione di tutti gli uomini alla ricchezza, allora esso è un utopia. Ciò perché l’esiguità naturale delle risorse impedisce il progresso per la crescente popolazione; tale è l’ostacolo primario. Egli arriva anche a indicare tramite proporzioni matematiche l’aumento della popolazione e rispetto alle risorse, dimostrando così l’impossibilità del progresso umano. Da tale analisi Malthus elabora numerose considerazioni e soluzioni che gli costarono l’appellativo di “uomo più insultato del suo tempo”, e che rimandano ad un quadro in cui risulta necessaria e conseguente la divisione in classi sociali che deriverebbe direttamente dalle leggi naturali.
Gli impedimenti all'aumento della crescita demografica sono per Malthus necessari e giusti e dipendono dalle leggi della natura che governano la società. Quella di Malthus si può quindi configurare come una teoria di equilibrio tra la popolazione e la distribuzione delle risorse. Per arginare la crescita impressionante della popolazione di quegli anni Malthus propose nel suo Saggio, la limitazione dei matrimoni e soprattutto l’abolizione di ogni forma di pubblica assistenza. Malthus scrive nel Saggio circa un operaio: “mentre il salario del lavoro basta appena per mantenere due bambini, un uomo si ammoglia e ne ha cinque o sei a suo peso. Quindi subisce la più crudele penuria. Se ne duole con il salario […], accusa la sua parrocchia […], accusa l’avarizia dei ricchi […], accusa le sociali istituzioni […], accusa fors’anche i decreti della Provvidenza […]. L’ultima persona che pensa di accusare è se stesso; ed intanto egli solo è degno di biasimo […]. Bisogna pubblicamente ricusare al preteso diritto dei poveri all’essere mantenuti a spese del pubblico […]. Perché quando la natura si incarica di governare e punire, sarebbe una pazza ambizione, ben fuori luogo, pretendere che noi ci mettessimo al suo posto, e prendere sopra di noi l’odiosità dell’esecuzione. Abbandoniamo dunque quest’uomo colpevole alla pena che la natura gli infligge”.
Questa citazione, ma più in generale il pensiero malthusiano, svolge un ruolo fondamentale nel giustificare il salario operaio come una grandezza che consente solo la riproduzione della forza- lavoro. Numerose sono le critiche a Malthus fin dal suo tempo. Dal punto di vista scientifico si può affermare che il modello malthusiano è inattendibile in quanto egli formula una relazione tra crescita della popolazione e incremento produttivo che tiene conto dei dati relativi ad un limitato arco di tempo, circa dal 1780 al 1800, e che applica sempre identica in ogni situazione sociale.
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Passiamo in ultima analisi ad analizzare la figura di David Ricardo (1772-1823) contemporaneo di Malthus, il quale può essere considerato l’iniziatore di una “nuova economia politica”, che espose nella sua opera Principi di economia politica e tassazione(1817), in cui elabora un modello astratto di analisi dei rapporti economici capitalistici.
L'oggetto dell'analisi di Ricardo non è la produzione in generale, ma quella modalità di produzione propria del sistema capitalistico, che socialmente si articola nel rapporto antagonistico tra classe degli industriali - profitto del capitale – e classe dei lavoratori – salario del lavoro.
Egli non si impegnò ad analizzare come Smith attraverso quali modi è possibile accrescere la ricchezza globale delle nazioni, ma come si distribuisce la ricchezza globale tra le varie classi sociali: i proprietari della terra , i capitalisti, i lavoratori.
Ricardo individua nel profitto industriale la molla riproduttiva del sistema capitalistico, il perno da cui dipende il funzionamento globale dell'intero sistema.
La posizione di Ricardo fu in difesa degli interessi dell'industria in espansione, perché solo così si favoriva il profitto industriale e cioè lo sviluppo economico. La sua dottrina fu il cardine dello sviluppo economico dell'Inghilterra.
Il lavoro di un operaio si rappresenta nel salario, che è quella quantità di denaro indispensabile al suo mantenimento e alla sua riproduzione. Questa concezione fa riferimento all'idea malthusiana sopra considerata, anche se Ricardo spesso ricorda che il mantenimento della mano d'opera non può essere calcolato solo a livello biologico, perché “esso dipende essenzialmente dai costumi e dalle abitudini di un popolo”.
Egli inoltre stabilì che per misurare il valore di una merce l'unico modo valido fosse quello di considerare la quantità di lavoro incorporata, cioè necessaria alla sua produzione. Questa fu una posizione molto importante in quanto mostra come Ricardo fosse consapevole che l'altro elemento dominante della nuova situazione sociale fosse il lavoro, in antagonismo con il profitto del capitale, tanto da assegnare alla nozione di lavoro una radicale rilevanza all'interno della sua teoria.
Il pensiero economico di Ricardo fu la teoria più matura che la rivoluzione industriale seppe formulare riguardo alla nuova situazione economica e sociale creatasi, e fu anche lo strumento pratico che facilitò lo sviluppo economico.
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Analizziamo ora l’influenza della nuova concezione scientifica nell’ambito delle arti figurative. È necessario prendere in considerazione e sottolineare alcuni aspetti fondamentali del fenomeno, quali:
• Il trionfo del “lumen” della ragione sul “lumen” divino
• L’utilizzo del metodo scientifico
• una nuova concezione dell’uomo: “insensibile” e “potente”
Durante il periodo medioevale l’uomo era succube della religione; affidandosi quindi completamente all’autorevolezza di Dio, l’uomo non necessitava e non sentiva l’esigenza di comprendere e conoscere a pieno la realtà che lo circondava.
Nel ‘400 l’uomo inizia a prendere consapevolezza della propria importanza rispetto al Divino, mantenendo comunque la propria fede; questo periodo storico viene convenzionalmente chiamato: Umanesimo e Rinascimento. Il termine Umanesimo riprende le “humanae litterae” ed in generale la cultura classica che aveva come suo cardine la centralità dell’uomo.
In questo clima di completa rivalutazione dell’uomo, quest’ultimo acquista quella forza che gli permette, da un lato di non temere più né la natura, né Dio, dall’altro di ricondurre la realtà circostante a leggi matematiche; questo consente all’uomo di semplificare, razionalizzare e successivamente risolvere, in modo più efficiente i suoi problemi.
Tutto ciò si concretizza durante rivoluzione scientifica, verificatasi nel ‘600.
Possiamo riassumere tutti i principi della rivoluzione scientifica nel personaggio di Galileo; quest’ultimo infatti diede l’avvio alla scienza moderna formulando il “metodo scientifico”. Tale metodo consiste nel: formulare una tesi e successivamente verificarla mediante esperimenti.
La rivoluzione scientifica assume una rilevante importanza, in quanto getterà le basi per l’Illuminismo.
L’Illuminismo è quella corrente di pensiero che influenzò il periodo compreso tra il 1715 e il 1789. E’ un’epoca totalmente improntata alla razionalità, all’oggettività e alla matematica. L’uomo illuminista infatti, seguendo le orme dell’uomo della rivoluzione scientifica, “calcola” e chiede ragione di tutto, persino al proprio sovrano.
L’incessante atteggiamento di ricondurre la realtà a formule o ad equazioni matematiche, tipico dell’Illuminismo, rende l’uomo, da un lato particolarmente potente in quanto riesce a controllare e sfruttare a suo piacimento tutto ciò che lo circonda, dall’altro totalmente privo d’ogni sentimento e sensibilità: la natura è un estesissimo piano cartesiano dove ogni oggetto possiede determinate coordinate.
Queste considerazioni possono essere ritrovate in alcune opere pittoriche della fine del '700; a tale proposito si voglia analizzare il pittore inglese Joseph Wrigth of Derby (Derby, 3 settembre 1734 – Derby 29 agosto 1797). Egli si formò a Londra, presso Thomas Hudson, tornato nella sua città natale iniziò l'attività di ritrattista, lavorando in massima parte per i circoli scientifici dell’epoca, eseguendo i ritratti del ceramista Joseph Priestley, di Darwin e dei membri della Lunar Society, che documentano l’entusiasmo per il progresso scientifico del pittore.
In questi primi anni l'artista approfondisce lo studio della luce. Nel 1766 col Filosofo tiene una lezione sul planetario in cui la lampada viene messa al posto del sole; l'artista pone al centro della composizione l'esperimento scientifico e la luce, che si riflette sui volti assorti degli spettatori, ma avvolge il resto della composizione nella penombra.
Del 1768 è “l'Esperienza della pompa pneumatica”, (Londra, Tate Gallery).
Successivamente la sua produzione si indirizzerà verso soggetti industriali. Del 1773 è “La fucina” vista da fuori, ambientata in notturno entro un edificio pericolante. Questo dipinto ha al centro la fornace dalla quale proviene la luce, che si staglia sugli uomini. Questo sarà lo schema tipico dei successivi dipinti di Wright. Più tardi John Byng scrisse, a proposito dei quadri di Wrigth: "in una notte scura [...] appaiono splendidamente belli".
Ci vogliamo ora focalizzare sul quadro “Esperimento su un uccello nella pompa pneumatica”
Questo è un dipinto ad olio su tela e fa parte di una serie di scene, in cui la luce proviene principalmente da un lume di candela. La realizzazione è avvenuta durante il decennio del 1760, per poi essere ultimata nel 1768: la pompa ad aria si discosta molto dalle precedenti convenzioni pittoriche, in quanto il soggetto scientifico è reso in maniera reverenziale, similmente alle cene storiche o religiose del passato. Wright era intenzionato a riprodurre la Rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche dell'Illuminismo, ma mentre le sue pitture erano riconosciute come qualcosa fuori dall'ordinario dai suoi contemporanei, il suo stato di provinciale e la scelta del soggetto segnalano che lo stile non fu mai largamente imitato. Il dipinto si trova al National Gallery dal 1863 ed è riconosciuto come uno dei capolavori dell'arte inglese.
Esso rappresenta un filosofo naturale, un precursore del moderno scienziato, mentre ricrea un esperimento con una pompa ad aria di Robert Boyle, nella quale un uccellino viene privato di ossigeno, dietro ad un gruppo di osservatori. Questo gruppo esibisce differenti reazioni, ma la curiosità scientifica prevale sulla preoccupazione per l'uccellino. La figura centrale guarda fuori dal dipinto, come se stesse invitando l'osservato a partecipare o come se stesse mostrando il risultato dell'esperimento.

Conclusione
In conclusione è chiaro come si sia voluto analizzare il primo processo di industrializzazione e di come tale processo, partendo dalla rivoluzione scientifica, abbia influenzato la nuova visione del mondo e dei rapporti sociali tra uomini. Tale visione si è basata su una progressiva perdita di sensibilità sia nel rapporto uomo-natura sia in quello uomo-uomo, in nome della quale si è svolto un progresso scientifico che è andato incontro alle nuove esigenze di un mercato mondiale. Ma sono proprio questi rapporti che stanno alla base dello sviluppo tecnico-scientifico che costituisce le fondamenta della nostra società e del suo sviluppo.

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