La rivoluzione francese e il periodo Napoleonico

Materie:Appunti
Categoria:Storia
Download:889
Data:04.09.2001
Numero di pagine:32
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
rivoluzione-francese-periodo-napoleonico_1.zip (Dimensione: 35.59 Kb)
trucheck.it_la-rivoluzione-francese-e-il-periodo-napoleonico.doc     173 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

LA RIVOLUZIONE FRANCESE
LA RIVOLUZIONE DELL’OCCIDENTE
La rivoluzione francese dell’89 costituisce un evento capitale della storia. Essa inferse un colpo mortale al feudalesimo, realizzando una nuova società fondata sui principi della libertà e dell’uguaglianza civile. Scoppiata in Francia ebbe ripercussioni profonde in ogni paese d’Europa, dove si avviò un processo di liberazione politica e sociale.
LE CLASSI SOCIALI IN FRANCIA ALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE
Consideriamo quali fossero le condizioni della Francia negli ultimi decenni del sec. XVIII. La monarchia aveva realizzato lo Stato assoluto la cosiddetta nobiltà di spada era ridotta al rango di cortigiani; ma aveva lasciato loro tutti i privilegi sociali ed economici esentandoli dal pagamento delle imposte. I nobili continuavano a godere nelle campagne degli antichi diritti feudali quali il diritto di amministrare la giustizia, di esigere i pedaggi su strade e ponti ecc. In sostanza la nobiltà continuava a godere di un trattamento privilegiato. Un gradino al di sotto della nobiltà di spada era cosiddetta nobiltà di toga, costituita dagli alti magistrati di origine borghese che sedevano nei Parlamenti.
Diritti e privilegi pari a quelli della nobiltà di spada erano riconosciuti all’alto clero reclutato quasi esclusivamente nelle famiglie dell’aristocrazia, che fruiva a titoli di beneficio, di vaste terre inalienabili (manimorte) , sulle quali esercitava gli stessi diritti della nobiltà. Ben diversa la condizione del basso clero di origine plebea, che viveva delle misere congrue nelle parrocchie di campagna, conducendo vita non molto diversa da quella dei contadini. Al disotto della nobiltà e del clero è il Terzo stato, costituito nei suoi gradi superiori dalla grande e media borghesia degli affari, del commercio, delle professioni: una classe attiva aperta alle idee degli illuministi, consapevole dei propri diritti e perciò decisa a mutare a proprio favore un’impalcatura statale anacronistica; una classe che era stata un tempo il più valido sostegno della Corona contro la potenza nobiliare.
Nei suoi gradi inferiori i Terzo stato era costituito dai piccoli ceti cittadini e contadini, tutto un mondo gravitante intorno alla piccola impresa. Ancora al di sotto di costoro sono gli esclusi dalla possidenza, garzoni di bottega, contadini poveri, disoccupati, vagabondi, quelli che più tardi si riconosceranno come Quarto stato. Dai gruppi politicamente più dinamici degli strati inferiori del Terzo (ma anche del Quarto stato) usciranno i sanculotti, che costituiranno il nervo dell’esercito della rivoluzione nella sua fase repubblicano –democratica.
Nel sec. XVIII la Francia era un mosaico di circoscrizioni territoriali, che conservavano pesi, misure e sistemi monetari diversi. Di fatto la monarchia, pur avendo unificato territorialmente e politicamente il paese, aveva lasciati sussistere in ogni regione antiche leggi, consuetudini e perfino barriere doganali, senza preoccuparsi di unificare amministrativamente il paese trasformandolo in un organismo coerente.
LA RIVOLTA NOBILIARE. LA BORGHESIA SI AFFERMA COME FORZA RIVOLUZIONARIA
Non fu, tuttavia, la borghesia a prendere l’iniziativa della rivoluzione, ma le stesse classi privilegiate, decise a riaffermare l’antico potere politico profittando della debolezza della Corona e della inettitudine di Luigi XVI. Il momento sembrava propizio per l’acuirsi della crisi finanziaria che travagliava il paese. La Francia aveva subito una nuova e più grave falcidia in seguito alla guerra contro gli Inglesi combattuta a fianco dei coloni Americano, si che lo Stato era ormai sull’orlo del fallimento. Se si doveva risanare il bilancio con il sacrificio delle classi privilegiate, esse esigevano come corrispettivo il riacquisto del potere politico a danno dell’assolutismo regio: una “reazione feudale” destinata invece ad innescare la rivendicazione borghese dell’uguaglianza civile. Fu il problema del pane che mobilità i ceti popolari e li portò a schierarsi con la borghesia rivoluzionaria.
In questo clima di tensione i nobili sollecitarono e quasi imposero a Luigi XVI la convocazione degli Stati generali .Era questa l’antica assemblea dei rappresentanti dei tre ordini o stati (nobiltà, clero, borghesia) non più convocati dal 1614.
Gli ordini privilegiati si ripromettevano un vera resa, a discrezione da parte della Corona, di materia finanziaria. Gli avvenimenti assunsero invece un corso del tutto imprevisto, infatti i rappresentanti del Terzo stato, strapparono ai ceti aristocratici l’iniziativa rivoluzionaria e si proclamarono Assemblea nazionale, arrogandosi il compito di gestire essi la Rivoluzione e di dare alla Francia un nuovo ordinamento costituzionale.
Ponendosi come forza rivoluzionaria la borghesia intendeva raggiungere essenzialmente due intenti:
1. far trionfare il principio dell’uguaglianza di tutte le classi di fronte al fisco
2. liberare la terra da qualsiasi vincolo feudale rendendone mobile il possesso.
L’APERTURA DEGLI STATI GENERALI. IL TERZO STATO SI PROCLAMA ASSEMBLEA NAZIONALE.
Gli Stati generali si riunirono a Versailles il 5maggio 1789, prima di procedere ai lavori veri e propri, si dovè affrontare una grossa questione procedurale. Nelle deliberazioni da prendersi si sarebbe votato per ordine o per testa? I deputati del Terzo, chiedevano che la votazione avvenisse per testa; i rappresentanti dei due ordini privilegiati, volevano invece che si votasse per ordine, secondo l’antico uso. La questione si trascinò a lungo irrisolta, finché il Terzo stato, con decisione unilaterale, si autoproclamò, in quanto rappresentante della stragrande maggioranza dei Francesi, Assemblea nazionale, giurando di non più separarsi se non dopo aver dato alla Francia un nuovo ordinamento costituzionale (giuramento della Pallacorda, 20 giugno 1789). Era una presa di posizione chiaramente rivoluzionaria. Vanamente il re dichiarò nulle le decisioni prese dai deputati del Terzo. Di fronte alla loro fermezza gli ordini privilegiati finirono per piegarsi accettando di unirsi insieme ai rappresentanti dell’odiata borghesia. Gli Stati generali cessarono odi esistere perfino nel nome trasformandosi in Assemblea nazionale costituente (9luglio 1789). La Rivoluzione era già compiuta in linea di diritto. Al posto dell’assolutismo regio si era sostituita, sul piano giuridico, la sovranità della nazione.
LA PRESA DELLA BASTIGLIA. LA RIVOLUZIONE MUNICIPALE.
Proclamando Assemblea nazionale costituente la borghesia aveva riportato una grande vittoria, ma il suo successo non era ancora assicurato. La corte contava di riprendere ancora in mano la situazione. Luigi XVI licenziò Necker, il ministro liberaleggiante gradito alla borghesia, e ordinò un forte concentramento di truppe intorno a Versailles. Fu allora il popolo parigino, esasperato da un brusco rialzo del prezzo del pane, a scendere in piazza e a prendere d’assalto la vecchia fortezza della Bastiglia (vecchia prigione di stato, considerata come simbolo dell’assolutismo monarchico), che sorgeva al centro della città (14 luglio 1789). Il re e la corte erano avvertiti: Parigi non sarebbe rimasta inerte di fronte ad un colpo di Stato. Da questo momento i ceti popolari cittadini un peso sempre più determinante nella storia della Rivoluzione. Fu la prima “giornata popolare” della Rivoluzione.
La presa della Bastiglia ebbe come conseguenza immediata la costituzione di un nuovo consiglio municipale a Parigi: la Comune. I vecchi amministratori aristocratici furono spazzati via e sostituiti da amministratori borghesi, a difesa dei quali fu armata una milizia cittadina detta Guardia nazionale, il cui comando fu affidato al La Fayette, un aristocratico passato alla Rivoluzione.
Dietro l’esempio di Parigi la rivoluzione municipale, si estese a tutta la Francia.
Luigi XVI dovè ancora piegarsi: richiamò il Necker e intervenne a Parigi a sanzionare quanto era accaduto consentendo che il nuovo sindaco della città, l’astronomo Bailly, gli appuntasse sul petto, dinanzi alla folla esultante, la coccarda tricolore, che accoppiava al bianco dei Capetingi il rosso e il blu del Comune parigino, “simbolo” dell’alleanza augusta ed eterna fra il monarca ed il popolo.
LA RIVOLUZIONE CONTADINA. L’ABOLIZIONE DEI PRIVILEGI FEUDALI (4 AGOSTO 1789)
Alla rivoluzione municipale tenne dietro la rivoluzione contadina. Nella campagne della Francia turbe di villani, esacerbati dalla carestia e dalla disoccupazione assalirono gli odiati castelli signorili, appuntando il loro furore contro gli archivi nobiliari, ove si conservavano le carte che sancivano il loro servaggio. La Francia fu percorsa da un’ondata di emozioni passata alla storia col nome di grande paura. La rivolta si placò solo quando l’Assemblea costituente prese la risoluzione di dichiarare solennemente aboliti, la notte del 4 agosto 1789, i diritti signorili, vale a dire gli obblighi e le prestazioni dalle quali i contadini francesi erano da tempo immemorabili gravati. I diritti feudali furono dichiarati indennizzabili, per cui i contadini furono tenuti a corrispondere un’indennità di riscatto ai loro antichi signori. In effetti questo denaro non fu mai corrisposto e la questione fu risolta nel 1792 dalla Convenzione, che deliberò l’espropriazione senza riscatto.
LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO ( 26 AGOSTO 1789)
Prima di dare alla Francia un nuovo ordinamento l’Assemblea costituente volle far precedere una solenne Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino raccogliendo e condensando in alcuni principi “energici e lapidari” tutto il pensiero della filosofia illuministica del secolo XVIII: libertà della persona, libertà politica, uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e al fisco, sovranità della nazione, diritto di proprietà.
La Rivoluzione francese, ha avuto per risultato l’abolizione delle vecchie frontiere. Essa ha considerato il cittadino astrattamente, indipendentemente dal suo paese e dal suo tempo. Non si limitò a proclamare la repubblica, ma istituì il suffragio universale; non liberò solo i bianchi, ma abolì la schiavitù; non si accontentò della tolleranza, ma riconobbe la libertà di coscienza e, istituendo lo stato civile, riconobbe a ciascun cittadino il diritto di non aderire a nessuna confessione religiosa.
La rivendicazione di questo diritto, suonava nell’ultimo scorcio del Settecento come un’affermazione rivoluzionaria, in quanto infliggeva un colpo mortale all’ordinamento feudale.
LE GIORNATE DEL 5 E 6 OTTOBRE E IL FORZATO TRASFERIMENTO DEL RE A PARIGI.
La Dichiarazione dei diritti, così come la soppressione delle immunità e dei privilegi nobiliari, incontrò l’opposizione del re, che rifiutò la sua sanzione. I “patrioti” presero a considerare come necessaria una nuova “giornata” popolare simile a quella del 14 luglio per bloccare ogni proposito liberticida di restaurazione assolutistica. L’opinione pubblica a Parigi era tenuta desta dall’opera dei clubs, circoli di riunione e di discussione politica, nei quali si dibattevano i problemi che l’Assemblea costituente veniva affrontando. Tra di essi si distingueva il club dei rivoluzionari moderati (foglianti), il cui leader era il La Fayette; quello più avanzato, dei giacobini, costituito da gruppi di borghesia alta e media, sensibile però all’esigenza dell’alleanza popolare (in esso si distingueva un giovane avvocato, Maximilien Robespierre); quello ancor più radicale dei cordiglieri, che raccoglieva consensi nei ceti medi e medio inferiori e rivendicava ardite riforme economiche e sociali.
Ma Parigi era in fermento per il continuo rincaro dei generei alimentari. Bastò la notizia che alcuni ufficiali della Guardia avevano calpestato durante un banchetto, alla presenza dei sovrani, la coccarda tricolore, perché una folla di uomini e donna, si movesse la sera del 6ottobre su Versailles, trucidando le guardie svizzere che facevano resistenza e invadendo gli appartamenti reali. La folla si ritirò solo dietro promessa che il re e la famiglia reali si sarebbero trasferiti l’indomani a Parigi. Per essere il re finalmente sottratto all’influsso degli aristocratici. La venuta di Luigi XVI a Parigi, nell’atmosfera infuocata della capitale, segnò un’ulteriore avanzata delle forze popolari. La stessa Assemblea costituente, trasferitasi a Parigi, cominciò a preoccuparsene e cercò di chiudere il circuito rivoluzionario, nell’intento di mantenere la Rivoluzione entro il suo originario alveo borghese. Ma per riuscire a ciò bisognava che Luigi XVI accettasse francamente il suo nuovo ruolo di sovrano costituzionale, che la borghesia gli aveva assegnato. Questa mancata conversione, alla quale lavorò instancabilmente il conte di Mirabeau deputato alla Costituente per il Terzo stato, tessendo segreti rapporti con la Corona, segnò la rovina della monarchia.
L’OPERA DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE. LA COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO (12LUGLIO 1790)
L’assemblea nazionale svolse un lavoro grandioso, che abbracciò soprattutto il campo finanziario. La sua opera sboccò nella Costituzione dell’anno 1791.
I costituenti in campo politico, procedettero al nuovo ordinamento della Stato; uno stato monarchico costituzionale. Ispirandosi ai principi del Montesquieu sulla divisione dei poteri, essi assegnarono al re e ai suoi ministri il potere esecutivo, pur sottoponendolo al controllo dell’Assemblea legislativa, da eleggersi ogni due anni, alla quale fu riservato il compito preminente di legiferare. Si riconobbe al re il diritto di opporre alle deliberazioni dell’Assemblea un veto sospensivo. Il potere giudiziario fu affidato ad un corpo di magistrati, non più di nomina regia ma eletti nelle assemblee elettorali e perciò espressione della sovranità popolare. Il diritto di voto era riservato a coloro che erano forniti di un certo censo e reddito, per cui i cittadini francesi (liberi ed uguali secondo gli immortali principi) furono di fatto distinti in due categorie: attivi, che fruivano di questo diritto, passivi, che ne erano privi. Analogamente le cariche amministrative nei dipartimenti, cantoni comuni furono riservate ai soli ceti abbienti.
Nel campo amministrativo l’Assemblea volle dare a tutto il paese un ordinamento coerente e razionale. La Francia fu divisa perciò in 83 dipartimenti, i dipartimenti in cantoni, i cantoni in comuni. I poteri dei comuni e degli organi periferici furono amplissimi, per cui venne a mancare tra il centro e la periferia ogni effettivo legame ed ogni dipartimento finì per costituire una piccola repubblica. La nuova Francia risultava così il rovescio dell’antica: all’accentramento monarchico succedeva ora il decentramento. Una condizione che divenne pericolosa per Rivoluzione stessa, tanto che dovè tornare, dopo appena due anni, ad una nuova forma di accentramento.
Nel campo finanziario l’Assemblea costituente cercò di risanare il dissesto in cui la Francia era precipitata. Per trovare un via di uscita si deliberò la soppressione degli ordini monastici e l’incameramento dei beni del clero. La misura, non era dettata solo da spirito anticlericale o laicista, ma dalla assoluta necessità di far fronte alla bancarotta imminente. Incamerando beni ecclesiastici lo Stato si assunse le spesse del culto e l’onere degli stipendi da corrispondere ai membri del clero secolare. Si giunse così a quella che fu detta Costituzione civile del clero (12 luglio 1790), che trasformò, vescovi e curati in funzionari dello stato, obbligandoli a prestare giuramento di fedeltà alla monarchia, alla nazione, alla Costituzione. Il provvedimento, avversato dal re, gettò la Francia in gravissima crisi religiosa, giacché la maggior parte del clero secolare, rifiutò di prestare il giuramento richiesto. Ciò portò allo scisma aperto: da una parte i cosiddetti preti giurati costituzionali, dall’altro i non giurati o refrattari, che vennero allontanati a forza dalle parrocchie, ma conservarono per lo più la fiducia dei loro parrocchiani. La crisi religiosa ebbe gravissime conseguenze anche sul piano politico, perché le forze controrivoluzionarie, attivissime in certe regioni della Francia, trovarono favori e alleanze insperate tra le masse cattoliche rimaste fedeli ai loro parroci. Sul piano finanziario l’incameramento dei beni ecclesiastici, portò ad un miglioramento, perché lo Stato nell’attesa di mettere in vendita questi beni, poté procedere alla emissione di una speciale cartamoneta, gli assegnati, garantiti dal valore stesso delle terre espropriate. Il guaio fu che l’emissione incontrollata degli assegnati, portò alla loro progressiva svalutazione, con grave danno dei ceti meno abbienti, incapaci di far fronte all’incalzante rialzo dei prezzi. I beni nazionali, vennero successivamente venduti, determinando un vasto trapasso di proprietà che legò indissolubilmente alla Rivoluzione tutti quelli che avevano beneficiato di questa operazione, in gran parte borghesi e contadini agiati. Si avviò così la formazione di un nuovo ceto di proprietari agricoli, che diverranno i più convinti sostenitori del nuovo ordine.
LA FUGA DEL RE E LA SUA CATTURA A VARENNES (20 GIUGNO 1791)
Il 20 giugno 1791 Luigi XVI, sollecitato dalla corte si decise ad abbandonare in segreto Tuileries per rifugiarsi con la famiglia in Lorena, dove si era raccolta la maggior parte degli aristocratici esiliati. Riconosciuta a Varennes, quasi al termine del viaggio, e ricondotto sotto scorta a Parigi vi fu accolto da una folla muta ed ostile che, a capo scoperto, fece ala al convoglio. “Luigi XVI è morto per la prima volta il 22 giugno 1791”. All’Assemblea costituente non restò che dichiararlo sospeso dalle sue funzioni. La fuga del re metteva in crisi l’ordinamento monarchico costituzionale elaborato dall’Assemblea costituente. Il movimento popolare prese nuovo slancio e divenne sempre più temibile, tanto che fu giocoforza far passare la fuga del re come un ratto organizzato dagli aristocratici e reintegrarlo nei suoi poteri. Contro questa mistificazione reagì il movimento democratico parigino e una folla tumultuosa si radunò al Campo di Marte chiedendo la destituzione del re traditore. La borghesia si sentì minacciata e ricorse alla forza. La Guardia nazionale affrontò la folla disarmata e non si fece scrupolo di sparare sul popolo (strage del Campo di Marte 17 luglio 1791).
LA GUERRA ALL’AUSTRIA (APRILE 1792) E IL CROLLO DELLA MONARCHIA
La vittoria dei borghesi appariva minacciata da due lati: da una parte dalle forze democratiche, dall’altra dalle forze controrivoluzionarie che avevano alleati sia all’interno che all’esterno della Francia. Infatti i governi europei cominciavano a preoccupassi del contagio rivoluzionario e a considerare l’opportunità di un intervento per restaurare in Francia l’assolutismo monarchico. Fu allora che l’idea di una guerra preventiva all’Austria cominciò a farsi strada nell’animo dei Francesi. L’imperatore d’Austria e il re di Prussia in una dichiarazione congiunta (dichiarazione di Pillnitz) avevano affacciato la possibilità di un intervento, se la Rivoluzione avesse attentato ai loro troni. Il forte gruppo dei deputati girondini presenti nell’Assemblea legislativa uscita dalle prime elezioni politiche, che rappresentavano la voce e gli interessi della borghesia provinciale, la sollecitava, oltreché per ragioni ideologiche, perché vedeva in essa il mezzo migliore per consolidare in nuovi ordinamenti usciti dalla rivoluzione e mettere alla prova la realtà del re. Per opposti motivi la caldeggiava anche gli aristocratici e lo stesso Luigi XVI, sperando la sconfitta della Francia e la restaurazione dell’antico regime. Solo Robespierre la avversava decisamente denunziandola come un pericolosa avventura, che esponeva il paese al pericolo di una dittatura militare. Votata dall’assemblea legislativa quasi all’unanimità la guerra fu dichiarata il 20 aprile 1792. A fianco dell’Austria si schierò la Prussia. I primi contatti col nemico segnarono i primi rovesci francesi. Diffidando dei loro ufficiali (tutti aristocratici) le truppe si sbandarono al primo apparire delle avanguardie austriache, quando non rivolsero le armi contro i loro stessi comandanti. La disfatta apparve come la riprova del complotto aristocratico. Si vide allora il patriottismo dei Francesi darsi la mano con lo spirito rivoluzionario. A Parigi la pressione popolare strappò all’Assemblea legislativa una serie di provvedimenti eccezionali, quali la deportazione in massa dei preti refrattari e il concentramento intorno a Parigi di ventimila guardie nazionali dai dipartimenti. Il veto opposto da Luigi XVI a questi provvedimenti esasperò il risentimento popolare e rinfocolò i sospetti di trame controrivoluzionarie e di connivenza del re col nemico. L’11luglio 1792 l’Assemblea legislativa proclamò la patria in pericolo. Giunse notizia che il comandante in capo degli eserciti coalizzati, il prussiano duca di Brunswick, aveva chiesta ala Francia la resa incondizionata minacciando in un insolente proclama la distruzione e il saccheggio di Parigi se si fosse fatto al re e alla famiglia reale il più piccolo oltraggio. Era la conferma del tradimento di Luigi XVI. Si videro allora le sezioni parigine insorgere , impadronirsi del Municipio e insediarvi una Comune insurrezionale schiettamente popolare. Il 10 agosto, una grossa folla appoggiata dai “federati” mosse all’assalto delle Tuileries massacrò gli svizzeri che tentavano resistenza e traboccò fin dentro agli appartamenti reali. Vistosi perduto Luigi XVI cercò rifugio presso l’Assemblea legislativa, che sotto la minacci dei sanculotti, lo dichiarò sospeso dalle sue funzioni, lasciandolo in mano alla Comune insurrezionale che lo relegò con la famiglia nella prigione del Tempio. Cadeva così, dopo mille anni, la gloriosa monarchia capetingia e naufragava con essa l’esperimento monarchico costituzionale voluta dalla borghesia. A partire dal 10 agosto ha perciò inizio una seconda fase della rivoluzionaria, quella repubblicano democratica, che parve dover consacrare la vittoria della democrazia sul liberalismo borghese. La Legislativa dovè indire le elezioni per una nuova assemblea costituente a suffragio universale, che doveva dare alla Francia un nuovo ordinamento repubblicano e che presi il nome di Convenzione nazionale. Con esso entravano nella scena politica anche i cittadini “passivi” e cadevano le barriere sociali e politiche che tenevano divisa la nazione.
LE STRAGI DI SETTEMBRE. IL MIRACOLO DI VALMY (20 SETTEMBRE 1792).
Nell’attesa delle elezioni per la nuova Costituente è la Comune insurrezionale, scaturita dagli avvenimenti del 10 agosto, in aperto conflitto con la Legislativa, che rappresenta ancora il potere legale e in cui prevalgono ancora i girondini. La comune pretese la istituzione di un “tribunale criminale straordinario” per giudicare i delitti contro la Rivoluzione, mentre d’ogni parte della Francia affluivano a Parigi i volontari e si distribuivano armi al popolo. L’esasperazione popolare, l’ossessione del tradimento traboccò: si presero d’assalto le prigioni e si massacrano a migliaia i cittadini sospetti, ammassati in attesa di processo (stragi di settembre), senza che la Legislativa osi intervenire. Questa forza omicida è il segno di una feroce determinazione di una disperata volontà di resistenza che finì per riflettersi sull’animo dei soldati. A Valmy i cannoni del Dumouriez riuscirono a fermare il 20 settembre 1792, i Prussiani avanzanti su Parigi, costringendoli a ripiegare. Fu una vittoria morale più che strategica. Fu questo il “miracolo” di Valmy. Il giorno stesso si insediò a Parigi la nuova assemblea costituente della Francia, la Convenzione nazionale, il cui primo atto fu dichiarare solennemente decaduta la monarchia e istituita la repubblica.
GLI ORIENTAMENTI POLITICI IN SENO ALLA CONVENZIONE
Scomparsi con la caduta della monarchia i monarchici costituzionali del La Fayette, alla destra della Convenzione seggono ora i girondini, che rappresentano la borghesia delle province. Sui banchi della sinistra siedono i gruppi che intendono imprimere alla Rivoluzione uno sviluppo democratico, convinti come sono che senza l’apporto del popolo essa non avrebbe potuto sostenersi. Col nome di montagnardi, dal posto che occupano sui banchi alti dell’assemblea, troviamo i rappresentanti del club dei giacobini e del club dei cordiglieri. Essa rappresenta una minoranza, ma si fa forte dell’appoggio esterno della Comune insurrezionale e delle sezioni parigine dominate dai sanculotti. Al centro della Convenzione siede il grosso dei deputati, non bene caratterizzati politicamente e perciò destinati ad essere tratti a rimorchi ora dalla destra girondina ora dalla sinistra montagnarda. Costoro furono detti pianura o palude.
IL ’93. LA CONDANNA A MORTE DI LUIGI XVI. LA PRIMA COALIZIONE ANTIFRANCESE.
Il re rinchiuso nella torre del tempio fu processato e riconosciuto reo di alto tradimento, Luigi XVI fu condannato a morte e giustiziato il (21 gennaio 1793). Era la sfida aperta all’Europa dei re, una sfida che non lasciava ormai alla Francia altra via d’uscita che la vittoria su tutti i suoi nemici.
Dopo Valmy le armate francesi avevano riportato alcune decisive vittorie, che condussero alla “liberazione” del Belgio, della Savoia, di Nizza e di gran parte della Renania tedesca. La guerra si trasformò in guerra di conquista e di annessione. Ma quando le armate francesi invasero, i Paesi Bassi e le artiglierie repubblicane si installarono sulla Manica e sul Mare del Nord, la reazione dell’Inghilterra minacciata nei suoi interessi vitali, si fece immediatamente sentire. Nel febbraio marzo 1793 essa divenne il centro di una potente coalizione, alla quale aderirono oltre all’Austria e alla Prussia già in armi, l’Inghilterra, la Russia, la Spagna e vari Stati italiani, dal Regno di Sardegna allo Stato della Chiesa, dal Granducato di Toscana al Regno di Napoli. La Francia vide le proprie armate retrocedere dai territori occupati e ancora rinnovarsi, come nella primavera del 1792, l’invasione del proprio territorio; e ciò nel momento stesso in cui la Vandea insorgeva contro la leva di 300.000 uomini ordinata dalla Convenzione.
IL ’93 IL CROLLO DEI GIRONDINI. I DIPARTIMENTI INSORGONO CONTRO PARIGI
I nuovi rovesci militari determinano la rovina della Girondia che aveva svolto fino qui un ruolo determinante e guidato l’azione di governo. Sotto l’incalzare degli avvenimento i girondini furono accusati dalla Montagna di non saper vincere la guerra che pure essi per primi aveva voluta, e di essere in capaci di adottare contro il carovita e l’inflazione le misure di emergenza che le masse affamate reclamavano. La pressione dei sanculotti portò la lotta tra girondini e montagnardi al punto di rottura. Il 2 giugno del 1793 una folla minacciosa organizzata dalle sezioni parigine circondò la Convenzione e impose l’arresto di 29 deputati girondini sotto l’accusa di tradimento. La Montagna aveva vinto, ma allora si videro i dipartimenti insorgere contro Parigi a difesa dei diritti della convenzione manomessi. Si giunse al punto che 60 dipartimenti su 83 rovesciarono le municipalità giacobine, mentre Tolone consegnava agli Inglesi la squadra navale del Mediterraneo concentrata nel suo porto.
IL ’93. IL COMITATO DI SALUTE PUBBLICA ORDINA LA LEVA IN MASSA. LA POLITICA SOCIALE DELLA MONTAGNA. IL TERRORE.
La Montagna dette prova di sovrumano vigore. Il potere esecutivo fu affidato ad un organo ristretto di nove membri, detto Comitato di Salute Pubblica che affrontò la rivolta federalista inviando l’esercito a riconquistare con la forza le maggiori città ribelli. La Vendea fu piegata con spietate esecuzioni sommarie. Per contenere le colonne nemiche avanzanti sul territorio nazionale si ordinò la leva in massa dei cittadini, fino ad arruolare. Armare, equipaggiare 14 armate. Furono commissari politici investiti di poteri illimitati per eliminare dalla file dell’esercito gli ufficiali inetti o di dubbia fede repubblicana, che vennero sostituiti da comandanti giovanissimi di estrazione plebea provenienti dalla categoria dei sottufficiali. Furono proprio loro che salvarono la Francia dall’invasione. “Il pericolo viene dalla borghesia” aveva sottolineato Robespierre, “Ma l’alleanza dei Giacobini significò la ricerca d’un punto d’intesa e di conciliazione che costituisse la base d’un grande blocco. Infatti se Robespierre e il comitato di salute pubblica da una parte accettarono le istanze sanculotte (leva in massa, legge del sospetto, economia di guerra), dall’altra si preoccuparono di controllare e imbrigliare le forze sanculotte, sospendendo le elezioni, tagliando le punte estremistiche del movimento popolare e decapitando le avanguardie, pur di non perdere il contatto con la borghesia. Si adottarono dunque energici provvedimenti a favore elle classi più povere: contro la carestia fu imposto il tesseramento contro l’inflazione il blocco dei prezzi, contro l’imboscamento delle derrate le requisizioni forzate. I ricchi furono assoggettati a forti imposte straordinarie; agli speculatori e agli accaparratori fu minacciata la ghigliottina. Nonostante i provvedimenti di emergenza che colpivano severamente i ceti produttivi e commercianti e limitava di fatto il diritto dei cittadini a disporre dei propri beni nessuno dei convenzionali pensò di sopprimere la proprietà privata. Del resto l’ideale di Robespierre non era di sopprimere la proprietà privata, ma di regolarla per mezzo delle leggi; di trasformare i braccianti agricoli in piccoli proprietari terrieri, i garzoni in padroni di botteghe artigiane. I sanculotti rappresentano lotta contro tutte le forza che soffocano l’uomo e il lavoro; per questo li troviamo a fianco della borghesia che aspira alla concentrazione dei capitali e dei mezzi di produzione perché intuiscono che non c’è posto per loro nell’universo monopolistico.
Tra i provvedimenti della Montagna vi fu quello di dividere le terre confiscate agli aristocratici emigrati in piccoli lotti, favorendone l’acquisto da parte dei contadini poveri, ai quali si concessero dieci anni di tempo per estinguere il debito.
Per dare esecuzione ai provvedimenti sopraindicati si ricorse alla forza, come si disse, al Terrore dal quale prende nome questa fase rivoluzionaria. Nell’ottobre 1793 fu ghigliottinata Maria Antonietta; subito dopo vennero giustiziati ventuno deputati girondini; poi fu la volta di insigni rivoluzionari della prima ora, come l’astronomo Bailly, che era stato primo sindaco di Parigi dopo la presa della Bastiglia. A Nantes ci furono migliaia di esecuzioni sommarie. I deputati della “palude”, che costituivano la maggioranza della convezione, tacevano e avallavano le misure prese dal comitato di salute pubblica. La borghesia che essi rappresentavano non aspettava che la buona occasione per prendersi la rivincita. La politica di scristianizzazione voluta dalla Montagna fu effimera. Si chiusero le chiese, che furono in parte adibite al culto della Dea Ragione, si soppressero le feste del culto cattolico, contrapponendo ad esse le nuove feste civili, di ispirazione roussoiana si abolì il calendario gregoriano e gli si sostituì un nuovo calendario rivoluzionario.
i
I CONFLITTI IN SENO ALLA MONTAGNA. A FITTATURA DEL ROBESPIERRE. IL GRANDE TERRORE.
La Montagna era costituita da lotte interne tra i cosiddetti indulgenti guidati dal Danton e gli estremisti esagerati, guidati dall’Hebert e perciò detti hebertisti, fautori di una politica di radicale intervento statale nell’economia, per cui chiedevano la fine di ogni libero commercio considerando ogni mercante per sua natura un profittatore. Al centro tra le due fazioni in posizione di forza per il controllo che esercitava sul Comitato di Salute Pubblica, è il Robespierre. La sua politica rispondeva a quella esigenza di mediazione tra interessi borghesi e spinte popolari. Perciò egli partì all’attacco degli hebertisti accusandoli di essere agenti provocatori al servizio del nemico e della reazione aristocratica e ottenendone dalla Convezione la condanna a morte (24 marzo ’94). Seguirono provvedimenti durissimi contro tutto il movimento popolare; ma si manifestò la necessità di contrastare quelle forze che tendevano a riportare la rivoluzione nell’alveo borghese. Con questa prospettiva, poco dopo venne condannato a morte anche il Danton con i suoi seguaci. Così ha inizio la dittatura giacobina nel comitato di salute pubblica o la dittatura persona del Robespierre. Il Grande Terrore cominciò con la legge 22pratile dell’anno II (10 giugno 1794) o legge dei sospetti. Per essa il tribunale rivoluzionario poté comminare, sulla sola base delle convinzione morale dei giudici, anche senza prove testimoniali, centinaia di condanne. Si trattava di estirpare la corruzione e il vizio che si annidavano nel corpo della nazione e nelle file stesse della Convenzione e far trionfare la “virtù”, che per il Robespierre significava amore di patria e delle sue istituzioni repubblicane.
LA CONGIURA DEL 9TEMIDOREO. LA REAZIONE BORGHESE.
Dopo le vittorie riportate dagli eserciti della repubblica su tutti i fronti di guerra il pericolo di una restaurazione monarchica e parve definitivamente scongiurato. La dittatura di Robespierre e il Grande Terrore non furono più tollerabili. La borghesia desiderò la fine del Grande Terrore e il ripristino della libertà di produzione e di scambio. I deputati della “palude”, che costituivano la maggioranza dell’assemblea, congiurarono per sbarazzarsi di Robespierre, accusandolo in una memorabile seduta (27 luglio) di volersi fare tiranno della Francia. Cl Comune parigina, le sezioni popolari, i sanculotti, reagirono fiaccamente contro la minaccia di una restaurazione borghese, senza accorgersi che la caduta del Comitato di Salute Pubblica avrebbe trascinato nella rovina tutto il movimento democratico. Il Robespierre non era riuscito a saldare la sua azione con gli infimi ceti con le aspirazioni dei contadini senza terra e coi lavoratori delle botteghe artigiane. La sera stessa del 10 termidoro, senz’ombra di processo fu ghigliottinato con ventidue dei suoi più stretti collaboratori.
Al Terrore rosso seguì il Terrore bianco, promosso dalla cosiddetta “gioventù dorata”, che si scatenò contro i giacobini, assalì i loro clubs, moltiplicando i massacri specie nelle province. Nel giro di pochi mesi, fu ripristinata la libertà dei commerci.
MONARCHICI E DEMOCRATICI CONTRO I TERMIDORIANI. LA COSTITUZIONE DELL’ANNO III
I termidoriani non ebbero vita facile. Le masse popolari affamate dal continua rialzo dei prezzi, dettero vita alle insurrezioni di germinale e di pratile (aprile - maggio 1795), sanguinosamente represse; mentre i realisti, tornarono a farsi minacciosi, al punto di tentare l’assalto della stessa Convenzione, dalla quale furono rigettati dai cannoni di Bonaparte. La borghesia aveva vinto ancora una volta contro i suoi nemici di sinistra e di destra, ma appariva intrinsecamente debole e bisognosa di protezione. Ci si veniva convincendo che solo l’esercito poteva assicurarle il tranquillo esercizio del potere. La Convenzione si sciolse il 26 ottobre 1795 dopo aver elaborato e approvato una nuova Costituzione repubblicana detta dell’anno III. Essa fu il risultato dell’accordo intervenuto tra repubblicani moderati e monarchici costituzionali decisi gli uni e gli altri a sbarrare definitivamente il passo sia alla democrazia giacobina che alla reazione aristocratica. Si ritornò ai principi dell’89 ma interpretati conformemente agli interessi borghesi. I cittadini furono di nuovo divisi in attivi e passivi, né più si parlò dei diritti sociali consacrati dalla Costituzione dell’anno I (1793), approvata dalla convenzione ma rimasta congelata fino alla pace, La nuova costituzione garantì a tutti i Francesi l’uguaglianza civile, ma non quella politica. Il potere esecutivo fu affidato ad un Direttorio di cinque membri, quello legislativo a due camere, il Consiglio degli Anziani e quello dei cinquecento.
LA CONGIURA DEGLI UGUALI (MAGGIO 1796)
Il movimento democratico ebbe ancora un sussulto con la congiura degli Uguali (maggio 1796) promossa da Francesco Babeuf, soprannominato Gracco, e da un esule italiano Filippo Buonarroti. Partendo da posizioni ideologiche affini a quelle degli hebertisti, ai quali lo legavano il senso della sovranità popolare e della democrazia diretta, il Babeuf aveva accolto con gioia la fine del Robespierre “il tiranno”, sperandone il ripristino della libertà di stampa e una nuova vita per le società popolari. Le masse popolari ritornavano col pensiero al Robespierre . Parve allora che il Babeuf si accingesse a riprenderne l’azione; in realtà il suo programma era diverso da quello dei giacobini. Babeuf e Buonarroti capirono che era necessario andare oltre il compromesso della politica economica dei giacobini, che avevano0 voluto realizzare l’alleanza con le masse popolari rispettando la proprietà. Essi pensavano invece che la proprietà fosse all’origine di ogni male e tracciarono le linee di un programma di comunismo agrario. La congiura fu scoperta, Babeuf e Darhé furono giustiziati, Buonarroti si salvò e gli altri congiurati condannati a gravi pene (maggio 1797).
LA FRANCIA E L’EUROPA DAL DIRETTORIO ALLA CADUTA DI NAPOLEONE
IL GIACOBINISMO EUROPEO. LA FORMAZIONE DELLE “REPUBBLICHE SORELLE”
La Rivoluzione francese ebbe un’eco profonda in ogni parte d’Europa. I patrioti svolsero ovunque opera di proselitismo e di diffusione degli “immortali principi”, un’opera che non si arrestò di fronte alle misure repressive messe in atto dai vari governi. Si stabilì una stretta intesa tra la Francia rivoluzionaria e le minoranze progressive europee che sboccò richiamandosi agli ideali di Robespierre e alla politica del Comitato di salute pubblica, si autodefinirono giacobine, e furono anche dette “repubbliche sorelle”.
Queste minoranze di patrioti erano divise nel loro interno tra moderati e democratici, che si ispiravano gli uni alla Costituzione dell’anno terzo (1795), gli altri a quella più radicale dell’anno prima (1793), Ma il giacobinismo europea poté abbandonare l’ombra delle cospirazioni ed apparire alla luce del sole, come forza politica solo quando le armate francesi si dilatarono vittoriosamente in Europa. Questo momento coincise tuttavia con l’avvento in Francia delle forze termidoriane della grande borghesia.
LA POLITICA ESTERA DEL DIRETTORIO
Le difficoltà interne spinsero dunque il Direttorio non già a ricercare le vie della pace, ma quelle della guerra, nella convinzione che essa avrebbe contribuito a consolidare il nuovo regime uscito dal colpo di Stato del 9termidoro e a risolvere il problema finanziario col concorso dei paesi liberati.
La coalizione antifrancese si era frantumata nella primavera estate del 1795 con l’uscita dal conflitto della Prussia e della Spagna; ma restavano ancora in armi tre potenti avversari, l’Inghilterra, l’Austria e la Russia, per non parlare dei minori stati italiani. Il Direttorio progettò pertanto, all’inizio del 1796 una grande offensiva contro gli Asburgo. Due forti eserciti al comando dei più prestigiosi generali della rivoluzione, il Jourdan e il Moreau, sarebbero penetrati in Germania e avrebbero attaccato l’Austria puntando direttamente su Vienna, mentre un terzo esercito affidato al generale Bonaparte avrebbe tenuto impegnate in Italia le forza austriache e sabaude. Un successo militare nella pianura padana e l’eventuale annessione di territori, avrebbe potuto servire come “pedina di scambio” da offrire all’Austria per ottenere l’agognata riva del Reno.
L’ESERCITO ROCCAFORTE DELLA TRADIZIONE GIACOBINA
La coscrizione obbligatoria, introdotta dalla Montagna, aveva trasformato l’esercito da mercenario, quale era stato in passato, in esercito di popolo, per cui il soldato sentiva il battersi per dei principi che erano insieme della repubblica e suoi propri. La guerra era sentita come una missione da compiersi nei confronti dei popoli ed apparivano giustificate le requisizioni imposte alle popolazioni “liberate” e il saccheggio delle opere d’arte dei musei, per non parlare delle violenze singole.
Di fronte a soldati così animati gli eserciti dell’antico regime vennero a trovarsi in condizioni di netta inferiorità. A favore della Francia giuocavano anche i forti contrasti che dividevano tra di loro i governi coalizzati, come si vide in occasione dell’ultima spartizione dell’infelice Polonia (1795) tra Russia, Prussia e Austria.
LA TRAVOLGENTE CARRIERA DI BONAPARTE
Nato ad Ajaccio nel 1769 da una famiglia di piccola nobiltà, Napoleone Bonaparte era divenuto ufficiale di artiglieria già prima dell’89 al tempo dell’antico regime. La Rivoluzione gli offrì l’occasione di liberarsi dalle inferiorità finanziarie e di farsi avanti. Accostatosi ai giacobini, ebbe l’incarico di strappare Tolone ai federalisti ribelli, e fu in questa impresa che rivelò le sue eccezionali qualità militari, tanto da ottenere a soli 25anni la promozione a generale. Gli eventi del 9termidoro sembrarono spezzarne, come amico dei giacobini, la brillante carriera; ma presto tornò in auge, accostandosi ai nuovi potenti e prendendo a frequentare i salotti parigini, dove conobbe la giovane vedova di un generale ghigliottinato sotto il Terrore, Giuseppina Beauharnais, della quali si invaghì e che più tardi sposò. Ella lo pose nelle grazie di uno dei più influenti membri del governo, il Barras, che gli affidò come si è visto, la difesa del Direttorio contro la minaccia armata dei realisti. Il successo riportato e il favore del Barras gli assicurarono il comando supremo dell’armata che doveva operare in Italia: 36mila uomini male armati, male equipaggiati. Agli ordini del Bonaparte questa accozzaglia di uomini cambiò anima e volto, divenendo il mirabile strumento dell’ascesa politica del proprio comandante. Si avveravano le profezie del Robespierre nel suo discorso contro la guerra del gennaio 1792. L’esercito piuttosto i suoi generali si avviavano a divenire arbitri delle sorti del paese a danno della libertà e dei diritti dei cittadini.
LA PRIMA CAMPAGNA D’ITALIA: 1796 1797
Con la promessa di ricche prede da cogliere nelle fertili pianure d’Italia, il Bonaparte batté con fulminee manovre le truppe sabaude, costringendo Vittorio Amedeo III ad abbandonare il campo della coalizione, a cedere alla Francia Nizza e la Savoia, ad aprire il paese ai Francesi, che ne fecero la base delle successive operazioni di guerra contro l’Austria. La Repubblica d’Alba fu sacrificata dal Bonaparte, che stipulò con i Savoia un trattato di pace lasciando loro mano libera nei confronti dei patrioti.
Liberatosi dei Savoia, il Bonaparte affrontò gli austriaci costringendoli ad abbandonare Milano e a chiudersi in Mantova. Si rivolse poi indisturbato contro i piccoli Stati dell’Italia settentrionale e centrale che dovettero sottostare a pesanti contribuzioni in denaro, oltreché cedere le opere d’arte dei loro musei e i preziosi manoscritti delle loro biblioteche, che presero la via di Parigi a testimoniare i successi del Bonaparte. La controffensiva austriaca non si fece attendere a lungo, ma non sortì alcun effetto positivo, anzi si risolse in altre folgoranti vittorie francesi, che costrinsero gli austriaci a sconfinare nel territorio della Repubblica Veneta, ove il Bonaparte li inseguì, per niente curandosi della neutralità proclamata dal governo della Serenissima. Cadeva così ingloriosamente l’antica Repubblica Veneta.
BONAPARTE DA’ UN NUOVO ASSETTO POLITICO E TERRITORIALE
Le vittorie del Bonaparte sugli Austriaci produssero nella struttura politica e territoriale della vecchia Italia settecentesca un vero terremoto: Stai secolari scomparsi, antichi confini cancellati.
Le autorità militari e politiche francesi mostrarono di volersi appoggiare alla borghesia moderata, ai proprietari, ai gruppi più moderni del patriziato, isolando come estremisti i giacobini.
La vecchia Italia fu percorsa da fremiti di rinnovamento, di cui va pur dato merito al Bonaparte, anche se, dando vita alle repubbliche vassalle, egli perseguiva esclusivamente i propri fini politici, che erano quelli di crearsi un potere personale da opporre a quello del Direttorio. Sotto il suo patronato nacque infatti nel dicembre 1796 la Repubblica Cispadana formata dai territori estensi di Modena e Reggio e dalle legazioni pontificie di Bologna e Ferrara strappate al papa. Si costituì a Reggio un governo provvisorio, che armò un proprio esercito e si dette una propria bandiera, i cui colori erano rosso, bianco e verde. Nella Lombardia “liberata”, si era formata una repubblica giacobina detta Transpadana, il cui territorio, unito a quello della Cispadana, doveva più tardi (1797) costituire la Repubblica Cisalpina; mentre a Venezia sorgeva, sulle ceneri della Serenissima, la Repubblica democratica veneta.
Questi nuovi organismi potevano essere spazzati via dalla controffensiva austriaca; ma l’esito della guerra fu ancora favorevole al Bonaparte, che continuò ad incalzare il nemico in fuga fin quasi sotto Vienna. Ma proprio a questo punto, tra lo stupore di tutti, il generale arrestò improvvisamente la propria travolgente avanzata e, accordatosi con l’imperatore Francesco II, sottoscrisse un armistizio, convertito poi in trattato di pace (pace di Campoformio 1797) col quale consegnò agli Asburgo, in cambio della cessione del Belgio e della Lombardia, gran parte del territorio della Repubblica democratica veneta e la stessa città di Venezia.
I popoli tornavano ad essere merce di scambio fra i potenti della terra, né più né meno di quanto era accaduto ai tempi dell’antico regime.
Il 9 luglio 1797 Bonaparte aveva unificato i territori della Transpadana con quelli della Cispadana e, aggiuntevi le terre veneziane comprese tra l’Adda e l’Adige, dato vita ad un nuova più vasta repubblica detta Cisalpina, che apparve a taluni patrioti il nucleo primo di uno Stato nazionale italiano: con un propria capitale, Milano, una propria amministrazione, un proprio esercito, una propria bandiera, uno spazio economico sufficientemente vasto, quale non si era più visto dai tempo di Gian Galeazzo.
LA SPEDIZIONE IN EGITTO. LA FORMAZIONE DI NUOVE REPUBBLICHE VASSALLE IN EUROPA.
Dopo la pace di Campoformio restava in armi contro la Francia la sola Inghilterra. Si pensò di colpirla nei suoi interessi marittimi e coloniali, allestendo una spedizione in Egitto, col proposito di costituire della basi nel paese e attentare alla sicurezza dei traffici inglesi con l’India e con gli altri possessi britannici in Oriente. L’impresa fu affidata a Napoleone dal Direttorio. Non difficile per lui sbaragliare nella battaglia delle Piramidi (21 luglio 1798) i Mamelcchi, una potente casta militare che dominava il paese sotto l’alta sovranità del sultano di Costantinopoli; ma qualche giorno dopo (1 agosto) l’ammiraglio inglese Horatio Nelson distrusse la flotta francese sorprendendola nella baia egiziana di Abukir. L’esercito di terra, invano vittorioso, restava così prigioniero in Egitto, mentre il governo inglese riusciva a dar vita ad una nuova coalizione antifrancese che allineò insieme all’Impero ottomano, la Russia, l’Austria, il re di Napoli. Quello che resta della spedizione francese in Africa fu la scoperta della civiltà egiziana. La scoperta di una stele trilingue (stele di Rosetta), nella quale era riprodotto lo stesso testo in egiziano geroglifico, demotico e greco, permise allo Champollion di decifrare per la prima volta la scrittura geroglifica.
Il Direttorio non rinunziò in Italia e in Europa alla sua politica sempre più scopertamente imperialistica, invadendo la Svizzera e trasformandola in Repubblica Elvetica. Fu poi la volta del Piemonte, il cui territorio fu annesso alla Francia, mentre nel Centro e nel Meridione d’Italia furono create due nuove repubbliche, quella Romana e quella Partenopea, prive di ogni intrinseca forza e perciò destinate a reggersi solo in virtù delle armi francesi. Nonostante le speranze deluse dei “patrioti”, queste vicende si collocano alle origini del Risorgimento: infatti i nostri giacobini presero da allora a concepire l’idea di nazione in termini unitari; intesero come elementi indissociabili l’unità e la liberà politica e considerarono la necessità di saldare la frattura trai “due popoli” italiani, quello della ricchezza e della cultura e quello della miseria e dell’ignoranza.
LA DRAMMATICA FINE DELLA REPUBBLICA PARTENOPEA.
Sorta nel gennaio del 1799, dopo la fuga di Ferdinando IV di Borbone rifugiatosi in Sicilia, essa fu sostenuta dai più bei nomi della intellettualità napoletana, eredi del rinnovamento culturale e civile promosso da Carlo III negli anni dell’assolutismo illuminato; Mario Pagano, Domenico Cirillo, destinati tutti a cader vittime della cieca reazione che si abbatté su Napoli al ritorno dei Borboni. Abbandonata dai Francesi che rifluirono verso il Nord d’Italia per fronteggiare l’arrivo degli Austro- Russi, la Repubblica Partenopea tentò di resistere con le sole su forze al ritorno dei Borboni. Incaricato dal re di riconquistare il regno, il cardinale Fabrizio Ruffo riuscì infatti a mobilitare contro i giacobini napoletani ,quasi per una nova crociata contro gli infedeli, migliaia di contadini che, inquadrati in bande si scatenarono contro le persone e le cose del nuovo regime. Quando i vecchi ceti terrieri accorsero anch’essi sotto le bandiere del Ruffo le sorti della repubblica erano segnate. Alla notizia che le forze francesi si erano liquefatte nell’Italia settentrionale di fronte agli eserciti della seconda coalizione, anche Napoli difesa da pochi nuclei di patrioti che ne presidiavano i castelli, dovè piegarsi alla resa (giugno 1799). L’azione dei giacobini risultò lenta e inefficace, anche in ragione del tempo estremamente breve di cui essi poterono disporre. Era perciò fatale che i contadini prestassero orecchi alla propaganda del clero, che denunziava i giacobini come pericolosi sovversivi, nemici della religione e della povera gente ed accorressero ad ingrossare l’esercito della Santa Fede.
Nonostante gli impegni presi dal cardinale Ruffo al momento della capitolazione i maggiori esponenti della repubblica furono imprigionati e giustiziati.
Il crollo della Partenopea segnò non solo l’arresto delle riforme appena avviate, ma la rovina dell’intera nazione napoletana. Alla depredazione delle ricchezze concorsero i mercanti inglesi, venuti a seguito del Nelson, che tanta parte ebbe nel crollo della repubblica e nelle persecuzioni dei patrioti.
IL COLPO DI STATO DEL 18 BRUMAIO. BONAPARTE PADRONE DELLA FRANCIA.
Le disfatte subite dagli eserciti della repubblica in Italia ad opera degli Austro Russi screditarono ulteriormente il Direttorio e ne accelerarono la caduta. Il Bonaparte lasciò il comando dell’esercito d’Egitto. La borghesia francese avvertiva sempre più chiaramente che il proprio avvenire di classe dirigente era nelle mani dell’esercito, il solo che fosse in grado di proteggerla dalle minacce dei realisti e da quelle dei giacobini. In questo clima si maturò il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799), che portò al crollo del Direttorio e al dominio personale del Bonaparte. Una nuova costituzione repubblicana rapidamente elaborata, detta dell’anno VIII, assegnò il potere esecutivo ad un consolato (il primo dei tre consoli fu il Bonaparte, gli altri furono Sieyès e Roger Ducos), il potere legislativo fu assicurato alla ricca borghesia, i cui membri non furono già eletti dai cittadini, ma scelti dai consoli stessi dalle liste dei notabili. I magistrati cessarono di essere eletti dal popolo e furono designati dal Primo console, che si riservò pure la nomina dei sindaci e dei prefetti rispettivamente comuni e nei dipartimenti. Si poneva così fine alle autonomie locali e si tornava al sistema autoritario e accentrato dell’Antico Regime. Le conquiste civile della Rivoluzione però furono mantenute e garantite contro ogni minaccia di restaurazione degli antichi privilegi. Un plebiscito popolare sanzionò legalmente i mutamenti avvenuti.
Per convalidare il proprio potere il Bonaparte traversò le Alpi nella primavera del 1800 e riportò sugli Austriaci a Marengo il 14 giugno, una grande vittoria , colta in extremis per merito del generale Desaix che morì in battaglia. La sconfitta costrinse Francesco II d’Asburgo ad abbandonare il Belgio e l’Italia settentrionale fino al Mincio e a piegarsi alle stesse condizioni di pace pattuite a Campoformio (pace di Lunèville). Fu risuscitata così la Cisalpina che prese il nome augurale di Repubblica italiana; ma contro le speranze dei patrioti anche gi Inglesi si disposero a venire a patti col nuovo padrone della Francia (pace di Amiens 1802) sperandone una vantaggiosa ripresa dei propri traffici con tutti i paesi del continente.
BONAPARTE IMPERATORE DEI FRANCESI E RE D’ITALIA
Bonaparte volle stabilire il suo potere ancora più saldamente, stringendo un Concordato con la Santa Sede, che doveva conciliargli il favore dei cattolici francesi. Con tale atto era cancellata la tradizione laica della Rivoluzione. In cambio di alcune garanzie, quali il riconoscimento del cattolicesimo come religione della maggioranza dei Francesi, il papa rinunziò a rivendicare i beni ecclesiastici incamerati dalla Rivoluzione e riconobbe la Repubblica. Sicuro della fedeltà dell’esercito, della polizia, della burocrazia, forte dell’appoggio dei ceti borghesi, il Bonaparte aspirò a diventare di diritto oltreché di fatto padrone della Francia. A tale scopo, calpestando la costituzione dell’anno VIII da lui stesso ispirata, si fece proclamare Primo console a vita e successivamente nel maggio 1804, imperatore dei Francesi col titolo di Napoleone I. Nasceva l’impero. Un anno dopo (1805) anche la Repubblica italiana cessava di esistere e si trasformava in regno (Regno d’Italia). Dopo la pace di Presburgo con l’Austria (dicembre 1805) il regno si ingrandì coi territori del Veneto e della Dalmazia.
L’EUROPA TRAVOLTA NEL VORTICE DELLE GUERRE NAPOLEONICHE
Concedendo a Napoleone la loro fiducia attraverso tre plebisciti (1800, 1802, 1804) che sanzionarono altrettanti mutamenti costituzionali, i Francesi aveva sperato da lui la restaurazione dell’ordine e della pace. Ma la pace fu cosa di breve durata e l’avvento al potere del Bonaparte precipitò il paese in una serie di conflitti e di avventure militari. Napoleone non dette ai Francesi la pace sperata né forse poteva darla. La guerra la conquista erano legate al cesarismo su cui si fondava il regime. Egli non seppe proporsi un obiettivo politico definito e realizzabile, ma seguì quello smisurato di costituire una grande confederazione dei Stati intorno alla Francia, facendo di Parigi la capitale d’Europa. Non contento di avere raggiunto la pace con l’Inghilterra. Egli riprese l’ambiziosa politica coloniale dei grandi sovrani di Francia, sforzandosi di penetrare nel Levante ottomani (Egitto e Siria), minacciando la rivale nei suoi domini coloniali dell’India, precludendole in Europa il libero commercio. L’Inghilterra, convintosi della impossibilità di addivenire con Napoleone ad uno stabile compromesso, gli ruppe di nuovo guerra (1804) deciso a condurla fino all’estremo.
Si formarono cinque coalizioni contrassegnate dal celebri nomi di battagli, dalle quali Napoleone uscì sempre vincitore: Ulma (1805) contro gli Austriaci, Austerlitz (1805) contro Austriaci e Russi, Jena ed Auertadt 81806) contro i Prussiani, Eylau e Friedland (1807) contro i Russi, Wagram (1809) ancora contro gli Austriaci. Tutta l’Europa divenne un solo campo di battaglia, dalla Germani alla Spagna, alla Russia, finché la bruciante sconfitta di Lipsia (1813) e quella estrema di Waterloo (1815) non posero fine alla carriera politica di Napoleone.

Esempio