Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia |
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La nascita di Israele
La Palestina,la regione che si affaccia sul Mediterraneo e confina con Libano, Siria, Giordania, ed Egitto, è la biblica Terra Promessa del popolo ebraico. Gli Ebrei vi giungono dall’Egitto nel XIII secolo a.C. e, resistendo alle invasioni di vari popoli, vi restano fino al 70 d.C., quando avviene la conquista romana. È quello il momento della definitiva diaspora, della dispersione degli Ebrei nel mondo, cacciati dalla terra per cui hanno vissuto per quasi quattordici secoli. Nel 634 la Palestina passa sotto gli Arabi, nel secolo XI subentrano i Turchi e la regione è poi teatro delle Crociate. Il dominio turco si protrae fino al 1918, quando con la Prima Guerra Mondiale si dissolve l’impero Ottomano. Dal 1920 la Palestina è sotto il mandato della Gran Bretagna, e da allora cresce l’immigrazione di ebrei dall’Europa. Nel 1947 l’Onu stabilisce la divisione della Palestina in due stati, uno israeliano e l’altro arabo. Ma quando gli inglesi lasciano la regione, il 15 maggio 1948 viene subito proclamato la Stato di Israele e di fatto gli arabi palestinesi restano senza una loro terra.
La prima guerra (1948-’49)
Gli ebrei nel XX secolo sono dunque tornati nella terra promessa, hanno di nuovo uno stato dopo quasi duemila anni. Ma devono fare i conti con il popolo palestinese,che in quella terra ha vissuto fino a questo momento e ora si trova straniero in patria. Sono molti i profughi che raggiungono i Paesi arabi vicini, ma sono numerosi anche quelli che non vogliono andarsene. Scoppiano incidenti e nascono i primi gruppi di resistenza fino a quando, il 18 maggio, a soli tre giorni dalla proclamazione, Israele è attaccato dalla Lega araba (Egitto, Siria, Libano e Iraq). Israele ha un esercito improvvisato, manca di aviazione e il confronto sembra impari. Ma lo spirito degli ebrei, pronti a tutto pur di difendere la Terra Promessa appena riconquistata, fa miracoli mentre gli arabi commettono errori strategici e non c’è coordinamento tra i comandi dei diversi paesi. La guerra si protrae fino al 16 febbraio 1949, quando l’Onu porta ad un armistizio. I territori che avrebbero dovuto costituire lo Stato palestinese vengono inglobati da Israele e Giordania. L’Egitto ottiene la striscia di Gaza. E i palestinesi restano profughi.
La seconda guerra (1956)
Questa volta, la goccia che fa traboccare il vaso è la chiusura del canale di Suez da parte dell’Egitto e la sua successiva nazionalizzazione. Questa volta a sferrare l’attacco è Israele, che prende di mira l’Egitto, contando sull’appoggio di Gran Bretagna e Francia, interessate a riprendere il canale di Suez su cui avevano il controllo. Gli israeliani invadono così la penisola del Sinai, giungono fino al canale e sembra che vogliano arrivare fino a Il Cario. L’Unione Sovietica però appoggia i paesi arabi, minacciando un intervento militare che potrebbe scatenare la terza guerra mondiale. Gli Stati Uniti invece premono per una soluzione pacifica. A questo punto le truppe franco-inglesi si ritirano e anche gli israeliani devono lasciare il Sinai. Israele ottiene comunque vantaggi territoriali, mentre i palestinesi restano ancora senza terra.
La terza guerra (1967)
Già negli anni ’50 entrarono in azione i feddayin, gruppi di resistenza palestinesi che operano con sabotaggi e atti terroristici. Nel 1964 nasce invece l’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, braccio politico della resistenza araba.
Il 7 aprile 1967 si ha uno scontro aereo tra israeliani e siriani sulle alture del Golan. Il 6 maggio l’Egitto inizia a riappropriarsi del Sinai, rimasto sotto il controllo dell’Onu dal 1956. Il 5 giugno Israele attacca Egitto, Siria e Giordania. È la guerra dei sei giorni, un trionfo per gli israeliani che con azioni fulminee (opera di Moshe Dayan, ministro della difesa e strategia della guerra) vincono su tutti i fronti e distruggono al suolo l’aviazione egiziana, prima che un solo aereo riesca a decollare. Il 10 giugno è già tutto finito e, dopo l’armistizio, Israele occupa la striscia di Gaza, il Sinai, la Giordania occidentale e le alture del Golan, al confine con la Siria. È un’altra sconfitta per i palestinesi. Intanto l’Olp si fonde con Al Fatah, un movimento più estremista guidato da Yasser Arafat, che ne assume il controllo.
La quarta guerra (1973)
Gli atti terroristici palestinesi e le rappresaglie israeliane (aneche in Libano, dove ci sono le basi dei feddayin) si susseguono in una spirale senza fine. Il 6 ottobre 1973 è il giorno dello Yom Kippur, la festa ebraica dedicata all’espiazione, al digiuno e alla preghiera. L’esercito israeliano è così colto di sorpresa dall’attacco di Egitto e Siria. Come era accaduto nella prima guerra, Israele si trova in difficoltà, ma il 24 ottobre su pressione dell’Onu e delle grandi potenze si arriva ad un armistizio. E per la prima volta israeliani e arabi accettano di trattare diplomaticamente, partecipando alla conferenza di pace del 21 dicembre a Ginevra. Intanto in Israele cadono molte teste tra cui quelle del primo ministro Golda Meir e di alcuni generali, a cui viene addossata la responsabilità del successo dell’attacco nemico.
I tentativi di accordo
Nel 1974 l’Olp ottiene il riconoscimento dell’Onu, che sancisce anche il diritto all’indipendenza della Palestina. Si normalizzano i rapporti tra Israele ed Egitto, poi anche con la Giordania, mentre restano tesi con Siria, Iraq e Libano. Ma i palestinesi continuano a restare senza terra, fino a quando nel 1988 Yasser Arafat riconosce lo stato d’Israele e proclama la nascita dello Stato di Palestina, non riconosciuto dagli israeliani. Nel 1993 c’è il primo accordo tra Olp e Israele (il premier di Tel Aviv era Rabin, poi ucciso nel ’95 da un’estremista ebreo), che riconosce la Palestina come entità politica e territoriale araba. Sembra il primo passo verso la pace, dopo quasi mezzo secolo, ma c’è chi non accetta l’ipotesi di una divisione geografica e politica di quella che per gli uni è la Palestina e per gli altri la Terra Promessa.
Ai nostri giorni
Il 28 settembre scorso Ariel Sharon, leader del Likud, il partito israeliano ultranazionalista, compie una visita nella spianata delle Moschee, a Gerusalemme. È un luogo sacro dell’Islam, ma lo è anche per gli ebrei. Per gli arabi questo gesto è una provocazione, scoppiano i primi disordini, palestinesi armati di fionde e pietre si scontrano con poliziotti e soldati israeliani. Cresce la tensione, i morti si contano a decine, tra cui donne e bambini. Ehud Barak, premier israeliano, e Yasser Arafat, leader palestinese, si incontrano a Parigi. Si giunge ad un fragile accordo. Infatti gli scontri continuano. Il 12 ottobre a Ramallah tre militari israeliani vengono linciati da una folla di palestinesi, per rappresaglia Barak fa bombardare la città e alcuni obiettivi nella striscia di Gaza. Viene convocato un gelido vortice a Sharm el-Sheik, in Egitto per scongiurare quella che sarebbe la quinta guerra tra Israele e Paesi arabi dal 1948.
Oggi anche i ragazzi sono coinvolti nella guerriglia. Imparano a lanciare pietre con le mani e con fionde, contro i soldati ebrei. L’intifada (in arabo significa “sollevazione”) è una forma di protesta, attuata appunto scagliando pietre.
Le vittime di questa guerra sono molte, ma due in particolare ne sono diventate il simbolo. Una è una bambina palestinese di soli due anni, Sarah Abdel Haq, l’altro è Yosef, un ragazzo israeliano.
Sarah stava tornando a casa dopo essere stata dal medico con il padre e la zia; ad un tratto l’auto viene centrata da una gragnola di proiettili, sparati da un colono israeliano appostato. Uno dei colpi ferisce la zia, ma squarcia il corpicino di Sarah.
Yosef invece aveva lasciato la sua casa in seguito alla ricevuta di una chiamata per partecipare ad un breve addestramento nell’esercito, insieme ad un commilitone. Ad un certo punto sbagliano strada e si trovano ad un posto di blocco controllato da palestinesi. Vengono arrestati dalla polizia e condotti alla caserma di Ramallah per un interrogatorio. Brevemente tra i palestinesi si sparge la voce della loro cattura; l’edificio viene assaltato e i prigionieri vengono tragicamente uccisi a coltellate, pugni, calci… Quando i corpi sono ormai senza vita lanciati dalla finestra. Si infierisce sui cadaveri, che vengono fatti a pezzi, bruciati e trascinati per le strade del paese.
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