Dalla II rivoluzione industriale al crollo della Germania

Materie:Appunti
Categoria:Storia

Voto:

2 (2)
Download:385
Data:30.01.2001
Numero di pagine:60
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
ii-rivoluzione-industriale-crollo-germania_1.zip (Dimensione: 49.12 Kb)
trucheck.it_dalla-ii-rivoluzione-industriale-al-crollo-della-germania.doc     175 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

2° Rivoluzione industriale
Differenze sostanziali con la 1°:
1) Carattere generale (interessa tutta l'Europa e non solo una nazione).
2) Danneggiamento nei confronti dell'agricoltura (produzioni abbondanti per via dei nuovi territori disponibili e conseguente calo dei prezzi).
3) Innovazioni tecnologiche (petrolio, elettricità, acciaio, telefono, motore a scoppio, telegrafo senza fili, dinamite, ricerca chimica, linee ferroviarie transcontinentali).
4) Capitalismo finanziario (nascita di nuovi grandi istituti di credito per rendere disponibili maggiori capitali). Si creano nuovi contatti tra società:
a)cartelle: intese tra imprese che producono le stesse merci per fissare i prezzi;
b)trust: concentrazione di aziende legate ad un identico ciclo di produzione.
5) Protezionismo invece di liberoscambismo (gli imprenditori nazionali volevano essere
Tutelati con dazi verso l'esterno).
Torna all'indice
Colonialismo
Cambiano le motivazioni: prima si colonizzava per avere materie prime e per far emigrare e lavorare la popolazione in eccesso; ora invece, oltre a questi motivi si aggiungono la creazione di nuovi mercati ove collocare le merci nazionali, la tutela degli investimenti con gli eserciti e l'ideologia di potenza.
Prima della nuova fase del colonialismo si intrapresero missioni esplorative in Africa, finanziate dai governi interessati ai territori (Livingstone, Stanley individuarono la sorgenti del Nilo, ecc…).
Ben presto agli scopi scientifici e umanitari si contrapposero quelli politici e militari.
- Gran Bretagna: si impossessa dell'Egitto, della Somalia e della Nigeria. Tenta, ma non riesce, di occupare il Sudan.
- Francia: occupa Tunisia (per accordi di Berlino), gran parte del Congo, Madagascar.
- Germania: conquista il Camerun, il Togo e il sud-ovest dell'Africa.
Nel 1885 Bismark convoca una conferenza sulla situazione africana e in particolare della
Parte restante del Congo. Il Congo fu dichiarato stato libero, ma la sovranità apparteneva a Leopoldo II del Belgio.
Tra il 1894-1895 si ebbe una ripresa del colonialismo di Francia e Inghilterra. Le loro mire espansionistiche finirono però per scontrarsi in Sudan, a Feshoda. Entrambe preferirono non combattere, per non avvantaggiare la Germania; i francesi si ritirarono ma nacque tra le due potenze un rapporto di distensione.
In Asia la situazione fu la seguente:
- Francia: occupa l'Indocina.
- Inghilterra: la Birmania, la Persia e il Turkistan, sui quali c'era l'attenzione della Russia.
Rimaneva insoluto il problema della Cina, nazione debole ma ancora autonoma.
Torna all'indice
Situazione della chiesa
La Chiesa muta i suoi atteggiamenti verso lo stato. Rinnega il comunismo e la lotta di classe ma condanna i capitalisti che accumulano ricchezze ai danni dei poveri operai sfruttandoli(Leone XIII, Rerum Novarum).
I cattolici cominciano a riunirsi e costituiscono associazioni.
Torna all'indice
Sinistra al potere
Caratteristica della destra fu il senso dello stato, della sinistra l'impegno democratico.
La destra aveva svolto ormai i suoi compiti storici con l'unificazione d'Italia e non era in grado di risolvere i nuovi problemi.
Nelle elezioni del 1874 la sinistra ebbe più voti; il suo programma era: diminuzione delle imposte, perequazione fondiaria, decentramento.
In Italia c'erano due sinistre:
- Meridionale, formata da piccola e media borghesia artigianale e commerciale, proprietari terrieri, ceti professionali che si vedevano svantaggiati dall'unità;
- settentrionale, formata da media borghesia.
Depretis (1875) propone il programma Stradella che vede tra l'altro: elettività dei sindaci, istruzione elementare obbligatoria, allargamento del suffragio.
Col ministero Depretis sembrava si stesse formando un sistema di governo all'inglese, bipartitico, che alternava i partiti al governo.
Nel 1876 però si sciolse la destra per i seguenti motivi:
1) fragilità della borghesia, dovuta alla mancanza di contrapposizione tra interessi diversi in una società industriale in espansione;
2) mancanza di partecipazione alla vita politica dei cattolici.
Al posto del bipartitismo, quindi, si formò il trasformismo, cioè l'aggregarsi al centro di larghissima parte della classe politica.
Agli estremi dei trasformisti si delineò una nuova destra(Di Rudinì) e un'estrema sinistra, che aveva tra le sue richieste il suffragio universale, la tutela dei diritti dei lavoratori, la libertà di associazione e la repubblica.
Torna all'indice
Riforme della sinistra
- Scuola elementare obbligatoria(rif. Coppino);
- Soppressione tassa sul macinato;
- Abolizione corso forzoso;
- Riforma elettorale: votavano gli uomini con più di 21 anni con il biennio elementare o paganti almeno un'imposta annua di 19.80 lire;
- Prime riforme sul lavoro: infortuni, sciopero, lavoro minorile e orari.
Nel frattempo gli industriali italiani pressavano il governo ad attuare provvedimenti protezionistici al fine di proteggere il già debole mercato interno dalle importazioni straniere.
Se da un lato nascevano sempre più nuove industrie(siderurgiche) e industrie elettriche e cantieri navali(Edison e Navigazione Generale Italiana) dall'altro le strutture di credito restavano arretrate.
Lo stato così doveva sostenere lo sviluppo industriale, tassando i cittadini. Le maggiori entrate venivano dall'agricoltura e quindi dal sud, ma finivano al nord.
Erano contro il protezionismo:
- proprietari terrieri che esportavano merci(agrumi, olio, vino);
- industria tessile e meccanica(che importava materiali meno costosi e migliori).
Ma la crisi agraria dovuta al ribasso dei prezzi a causa dei prodotti importati, rese necessario il protezionismo, iniziando una guerra di dazi con la Francia.
Torna all'indice
Politica estera della sinistra
I rapporti con la Francia erano incrinati. La politica estera doveva essere estranea alla colonizzazione per il principio di nazionalità risorgimentale.
La Francia invase la Tunisia, che subiva da sempre l'influenza italiana, e ciò ruppe definitivamente i rapporti tra le due potenze.
L'Italia, ancora giovane non poteva rimanere isolate diplomaticamente, così il governo firmò la Triplice Alleanza con Austria e Germania, che impegnava le potenze a difendersi solo in territorio europeo.
Fattori positivi del patto: rottura isolamento diplomatico italiano; impegno dell'Austria a compensi territoriali in caso di sua espansione balcanica.
Fattori negativi del patto: l'alleanza con l'Austria sembrava sancisse una definitiva rinuncia a Trento, Trieste e all'Istria; si temeva il rafforzarsi di tendenze anti-parlamentari.
Sotto la pressione inglese, nel 1882 l'Italia acquista la baia di Assab e comincia la sua avventura coloniale (in contrapposizione ai principi risorgimentali).
Aspetti negativi del colonialismo italiano: impreparazione dell'Italia, con mancanza di capitale e industrie.
Aspetti positivi: per i latifondisti meridionali che vedevano risolto il problema delle terre ai contadini.
Nel 1887 l'Italia tenta di conquistare l'Eritrea, ma a Dogali furono trucidati 500 soldati italiani.
Torna all'indice
Crispi: Riforma interna e colonialismo
Punti cardine della riforma di Crispi: - Nuovo codice penale
- Abolizione della pena di morte
Modello da imitare per Crispi è Bismark: egli ai valori risorgimentali aggiunge il conservatorismo e il nazionalismo.
Vara la nuova legge comunale e provinciale, che comprendeva l'elettività del sindaco.
Promulga il nuovo codice penale, con l'abolizione della pena di morte, garanzie per i lavoratori (libertà di associazione, pensiero, sciopero).
Inasprisce i rapporti con la Chiesa e il conflitto doganale con la Francia.
Per tentare di risolvere i problemi relativi alla povertà nel mezzogiorno, riprende l'attività coloniale e firma il trattato di Uccialli con Menelik, in base al quale era riconosciuto il controllo italiano in Eritrea ed un ambiguo protettorato sull'Etiopia.
A causa della crisi economica cade Crispi e sale Giolitti(1892).
A sud intanto, prendono corpo i fasci dei lavoratori, che chiedevano un contratto di lavoro e una soluzione riguardante la questione dello zolfo siciliano, invenduto appannaggio di quello americano. Giolitti non interviene, neanche quando la situazione degenera in guerriglia.
A contribuire al suo declino interviene lo scandalo della Banca Romana, anche se in realtà anche Crispi ne fu colpevole. Travolto dallo scandalo, Giolitti si dimette.
Nasceva intanto la Banca d'Italia.
Crispi tornò al governo con fare autoritario: represse nel sangue rivolte in Sicilia, tolse il diritto di voto a 800.000 persone e si attirò perplessità sul suo operato.
L'ambiguità del trattato con Menelik fece scoppiare una guerra che si concluse con la disfatta italiana ad Adua, nel 1896, e con le dimissioni di Crispi.
Torna all'indice
La crisi di fine secolo
Durante il governo di Di Rudinì destò scalpore l'articolo di Sonnino "Torniamo allo statuto", che diceva di dar meno importanza al parlamento, e che il governo era responsabile solo nei riguardi del sovrano, non del parlamento.
Un altro problema era la necessità dei cattolici a partecipare alla vita politica italiana.
Tra il 1897-1898 scoppiarono a Milano rivolte per il prezzo del pane: Di Rudinì mando il generale Bava Beccaris, che le represse nel sangue, e che fu addirittura insignito di medaglia. Fu scandalo e Di Rudinì si dimise.
Salì così al potere Pelloux che abolisce le leggi di Crispi(libertà di stampa, associazione, pensiero). Ma in parlamento le leggi liberticide non passano grazie all'ostruzionismo dell'opposizione, la quale si prende il consenso dell'opinione pubblica. Nelle elezioni del 1900 vista la sconfitta Pelloux si dimette e sale Saracco.
Nel frattempo viene ucciso il re Umberto I dall'anarchico Bresci che voleva vendicare i morti di Milano. Sale al trono Vittorio Emanuele III. A Genova viene sciolta la camera del lavoro, ma Saracco revoca lo scioglimento e si dimette. Il re affida il governo a Zanardelli che prende con sé Giolitti.
Torna all'indice
Origine delle teorie razziste e "L'affare Dreyfus"
Alcuni elementi avevano dato vita a teorie di razze superiori e inferiori, primo fra tutti la posizione egemonica che l'Europa aveva assunto nella storia degli ultimi secoli.
I primi autori che si espressero con queste opinioni furono Arthur de Gobineau ("Sull'ineguaglianza delle razze") e H. S. Chamberlain("Fondamenti del XIX secolo").
Chamberlain stesso poi identificava la razza germanica come migliore dei suoi tempi, destinata ad espandersi nel corso del Novecento.
C'era però anche chi andava contro queste tesi, come Friedrich Meinecke, che scrisse un'opera liberale, "Cosmopolitismo e stato nazionale".
Nel frattempo nel mondo la conflittualità tra le potenze europee stava prendendo il potere ed il lungo periodo di pace era destinato ad essere interrotto.
Infatti sia a causa delle rivolte socialiste sedate nel sangue, sia per le guerre coloniali, le teorie razziste non erano altro che una manifestazione del disagio crescente europeo, un disagio che avrebbe portato gravi conseguenze.
Nel 1894 la Francia fu colpita da una grave crisi politica denominata "affare Dreyfus". Alfred Dreyfus era un capitano dell'esercito di origine ebraica che fu accusato di spionaggio senza reali prove a suo carico. Scoperta più tardi la frettolosità con cui era stato trattato l'affare, l'esercito e l'opinione pubblica nazionalista, supportati dal clero francese, si opposero ad una revisione del processo, per non danneggiare le istituzioni.
Contro di essi si scagliò il romanziere Emile Zola, con il suo celebre articolo "J'accuse", nel quale condannava tutte le più alte cariche militari di voler trattenere in carcere un innocente e soprattutto di voler attentare ai principi della legalità.
Torna all'indice
L'età giolittiana
Il primo quindicennio del XIX secolo vide prevalere la figura di Giovanni Giolitti, quasi ininterrottamente al governo dal 1903 al 1914. L'originalità del suo pensiero si capì subito quando, non ancora ministro degli interni, in un discorso al parlamento disse che era sbagliato lodare la frugalità dei contadini, in quanto chi non consuma non produce. Mantenendo bassi i salari, continuava Giolitti, si commetteva un'ingiustizia, un errore economico ed un errore politico: un'ingiustizia perché lo stato non dava a tutti i cittadini le stesse opportunità; un errore economico perché chi non ha soldi da spendere non può certo produrre ricchezze; un errore politico perché si mettevano contro lo stato le classi che ne costituiscono la maggioranza.
Per alzare i salari bisognava dunque non contrastare gli scioperi dei lavoratori: e questa fu infatti la sua politica, pur con qualche sanguinose eccezioni.
L'altro mezzo con il quale Giolitti tento di accelerare lo sviluppo economico furono le nuove leggi e riforme, sulle pensioni, sulla tutela del lavoro minorile e femminile. Istituì un commissariato per l'emigrazione, il Consiglio Nazionale del Lavoro; varò inoltre la legge sulla municipalizzazione dei servizi pubblici, onde rendere più agili questi ultimi.
Ciò che indubbiamente favorì lo statista fu il suo organizzatissimo sistema burocratico, anche perché, senza di esso, il suo programma riformatore avrebbe sicuramente incontrato resistenze.
Ovviamente Giolitti trovò oppositori sia a destra che a sinistra: non passò infatti in parlamento il progetto del ministro delle finanze Wollenborg, che prevedeva un aumento delle imposte dirette(che colpivano i ceti dirigenti) e una diminuzione delle imposte indirette(che colpivano invece la popolazione), dimostrando così gli industriali italiani di non essere in grado di assumersi la responsabilità dello sviluppo economico; ma contemporaneamente il leader dei socialisti Filippo Turati rifiutò un posto nel governo Giolitti, temendo ripercussioni dal suo partito.
La mancanza di alleanze formali fece si che Giolitti potesse attuare quella politica di favori, clientelismi, di trasformismo insomma più capillare e nocivo di quello di De Pretis.
Ancora più spregiudicata fu la sua posizione nelle elezioni del 1904, che furono pilotate tramite una pressione operata sull'elettorato. Alla luce di questi fatti Giolitti fu definito da Gaetano Salvemini "Il ministro della malavita".
Dopo un breve periodo di pausa, nel 1906 Giolitti torna al governo, durante un periodo di prosperità economica che aveva portato la lira a "fare aggio sull'oro", cioè a valere più dello stesso equivalente in oro, e nel quale i tassi di interesse erano scesi dal 5 al 3,5 per cento. Ma già l'anno dopo le carenze di base dell'economia italiana, dovute sia a scarsità di materie prime sia a mancanza di capitali, si resero evidenti. La nuova crisi economica fece aumentare la resistenza alle sue riforme sia a destra che a sinistra. Nacquero la C.G.L(confederazione generale del lavoro) e la confederazione italiana dell'industria.
Dopo le nuove elezioni del 1909, che videro il rafforzamento soprattutto dei socialisti, Giolitti capì che non era il momento per tentare altre riforme e il governo andò in mano a Luigi Luzzatti. Il suo piano prevedeva il monopolio delle assicurazioni sulla vita, l'ampliamento dell'istruzione pubblica e soprattutto l'introduzione del suffragio universale maschile, nella speranza di avere l'appoggio dei socialisti.
Tornava intanto ad affacciarsi la questione coloniale e in particolare l'occupazione della Libia. Per fare questo però, bisognava tornare ad avere dei rapporti con la Francia. Ed infatti, con gli accordi tra Prinetti e Barrère in cambio del riconoscimento degli interessi francesi in Marocco l'Italia aveva campo libero in Libia. Fu questo il giro di valzer cui si riferiva il cancelliere tedesco Bulow, a cui l'Italia era legata dalla triplice alleanza.
La guerra di Libia aveva tra i socialisti i maggiori oppositori: essi sostenevano infatti che non ne valeva la pena("Uno scatolone di sabbia" la definì Salvemini) e che non avrebbe dato neanche terra coltivabile ai contadini meridionali. Chi la sosteneva erano invece i settori nazionalisti , capeggiati da Gabriele D'Annunzio.
Nel frattempo all'interno del partito socialista prevalse la corrente intransigente e rivoluzionaria, guidata dal giornalista Benito Mussolini e l'ala riformista riformista, espulsa, creò il Partito socialista riformista al quale non aderì Turati.
Intanto la guerra in Libia continuava e gli italiani, se pure formalmente avevano dichiarato la loro sovranità, si trovarono costretti a combattere con le agguerrite popolazioni locali. Per giungere ad una conclusione, l'Italia si decisa ad attaccare l'impero Ottomano direttamente: fu occupata Rodi e le isole del Dodecaneso e l'ammiraglio Millo arrivò persino a forzare i Dardanelli. La Turchia fu così costretta a firmare la pace di Losanna, con la quale riconosceva la supremazia italiana in Libia.
La guerra fu più lunga e cruenta del previsto, dando ragione ai timori dei socialisti, e per riannodare i rapporti Giolitti fece approvare la legge sul suffragio universale maschile: votavano gli uomini con più di 21 anni (30 se analfabeti).
Ma in quelle elezioni la novità fu la partecipazione dei cattolici a sostegno dei liberali, grazie al Patto Gentiloni: esso prevedeva appunto il voto dei cattolici in cambio dell'ostruzionismo su alcune leggi contrarie agli interessi cattolici(divorzio, laicità dell'insegnamento).
Dopo le elezioni del 1913, il parlamento si ritrovò troppo frammentato e Giolitti preferì dare le dimissioni; al suo posto salì Antonio Salandra, che si dimostrò subito autoritario e di indirizzo conservatore, reprimendo violentemente i moti della settimana rossa del giugno 1914.
Torna all'indice
La Prima Guerra Mondiale
Le cause della prima guerra mondiale non si possono individuare in modo preciso; tuttavia è possibile delineare i principali motivi di dissidio tra le potenze europee. In primo luogo la questione dei confini franco - tedeschi: la Germania nel 1970 si era annessa l'Alsazia e la Lorena, e la cosa non andava giù alla Francia, che voleva riprendersi le povince. La Germania aveva anche il problema della Russia, che si era alleata con la Francia e che avrebbe potuto aprire un nuovo fronte orientale; contemporaneamente l'impero Turco aveva avuto appoggi dalla Germania e ciò aggravava i suoi rapporti con l'impero zarista; anche l'Austria aveva due potenziali fronti: l'Italia, che rivendicava le terre irredente, e la zona balcanica, in bilico tra espansionismo russo e spirito nazionalista.
La Germania inoltre era la più terribile concorrente economica della Gran Bretagna, anche se ad un grande sviluppo industriale corrispondeva una forte dipendenza alimentare, aggravata dalla mancanza di un vasto impero coloniale e da una flotta insufficiente; questo naturalmente non poteva andare bene alla Germania Guglielmina.
Questione coloniale e riarmo navale furono i principali motivi di tensione tra Germania da un lato, Francia e Gran Bretagna dall'altro.
Riguardo la prima, la Germania, dopo aver subito molte sconfitte diplomatiche, riteneva che la forza fosse l'unica soluzione possibile per rompere questo accerchiamento delle altre potenze.
Per fare questo però, bisognava rinforzare gli armamenti: la Germania, andando contro il principio inglese del "two - powers standard"(cioè la flotta inglese doveva essere pari alla somma delle prime due potenze a lei successive) varò nuove navi, alle quali l'Inghilterra rispose con il "two keels for one" (due chiglie per una), ovvero costruì due navi, con enorme sforzo produttivo, per ognuna varata dalla Germania.
Si assistette dunque ad una rivalutazione e ad un acquisto di potere da parte delle gerarchie militari e ad un irrigidirsi del sistema di alleanze europee che avrebbe impedito la soluzione diplomatica agli incidenti che si sarebbero sviluppati dopo.
Torna all'indice
Lo scoppio della guerra
Il pretesto per lo scoppio fu l'assassinio in Serbia dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria con tutta la famiglia: l'Austria intimò un ultimatum alla Serbia, con il quale chiedeva di collaborare alla ricerca dei responsabili del delitto; in questo modo veniva sminuita la sovranità dello stato. La Serbia non accettò e l'Austria, appoggiata dalla Germania, le dichiarò guerra. Subito la Russia scese in campo per difenderla, e la Germania le dichiarò guerra. Anche la Francia, alleata Russa, scese in campo: la Germania, invadendo il Belgio neutrale che non gli voleva far passare le truppe, dichiarò guerra alla Francia ed anche l'Inghilterra, infastidita dal gesto, si schierò con Francia e Russia. La situazione era dunque questa: da una parte la Triplice Alleanza, formata da Germania, Austria e impero Ottomano; dall'altra la Triplice Intesa, formata da Inghilterra, Francia, Russia, che difendevano la Serbia. Rimanevano neutrali Italia e Romania.
La guerra si dimostrò subito diverso rispetto a tutte le altre, sia per la grande massa di uomini impiegati sia per i nuovi e terribili armamenti.
Nonostante una prima posizione di neutralità, i socialisti europei finirono per cedere alle posizioni nazionaliste e si dichiararono favorevoli all'intervento in guerra, votando i crediti per gli armamenti.
Torna all'indice
La guerra di movimento
Esisteva una grande sproporzione tra le forze della Triplice e quelle dell'intesa e per questo motivo il piano tedesco ideato da Schlieffen prevedeva la guerra - lampo, in modo da sconfiggere subito la Francia e concentrare le forze sul fronte orientale russo. In un primo momento l'offensiva riuscì, portando i tedeschi a 40 chilometri da Parigi ma poi la controffensiva francese nella battaglia della Marna fece ritirare il generale von Moltke. Dopo questa sconfitta si provò la "corsa al mare", ovvero il tentativo di aggirare da nord le truppe francesi e chiudere i rapporti marittimi con la Gran Bretagna: anche questa offensiva fallì e i due eserciti si prepararono ad affrontare la terribile guerra di trincea.
La Germania si trovò così costretta a distribuire le sue forze su due fronti. Su quello orientale le vicende erano altalenanti: a vittorie tedesche succedevano quelle russe, e a favorire la Germania ci pensò l'impero ottomano, che indebolendo la Russia, rese possibile una controffensiva austriaca mirata a riconquistare la Galizia precedentemente sottratta.
Sicuramente più successo ebbe il blocco navale Britannico, al quale si opponeva la guerra sottomarina tedesca. Un incidente però, ossia l'affondamento del piroscafo civile Lusitania, con 100 cittadini americani, attirerà sulla Germania le antipatie degli Stati Uniti.
Torna all'indice
L'Italia in guerra
In base all'articolo 7 del trattato che univa l'Italia alla Germania e all'Austria, la posizione neutrale assunta dall'Italia era perfettamente legittima, infatti il punto prevedeva la discussione preventiva dei territori da dare in compenso alla fine della guerra e ciò non era avvenuto. Ma il problema della posizione italiana rimaneva irrisolto.
All'interno del paese erano infatti schierati i neutralisti e gli interventisti. Ai primi appartenevano:
- i socialisti: essi infatti ritenevano la guerra voluta dalle grandi potenze imperialiste e capitaliste europee ma d'altra parte erano isolati e il loro neutralismo era stato indebolito dalle posizioni interventiste dei socialisti europei;
- i cattolici: ovviamente il pontefice non poteva che schierarsi contro la guerra, anche se esisteva ancora il contrasto tra l'obbligato neutralismo della Chiesa e la dovuta lealtà dei cattolici allo Stato di cui facevano parte;
- i giolittiani: Giolitti sosteneva che la guerra sarebbe durata molto tempo e l'Italia era impreparata sia economicamente che militarmente ad affrontarla. Ma Giolitti non si limitò a manifestare la sua posizione sulla situazione italiana, anzi formulò un 'analisi della situazione internazionale: egli riteneva che si sarebbe potuto ottenere "parecchio" senza la guerra, ove parecchio indicava l'opportunità di contrattare la neutralità come se fosse una vittoria. D'altronde anche la situazione dell'Austria, che non poteva resistere all'urto di altre diverse nazionalità, lasciava presagire ciò. Invece proprio l'Austria era assolutamente contraria a qualsiasi cessione di territori, nonostante le pressioni tedesche.
Agli interventisti appartenevano:
- gli "interventisti democratici" e i "socialisti riformisti": i primi erano fautori di una pronta cessione delle terre irredente; i secondi ritenevano che solo sconfiggendo gli imperi centrali si potevano attuare le aspirazioni di indipendenza nazionale e di democrazia dell'Europa intera;
- gli esponenti del sindacalismo rivoluzionario: guidati da Mussolini, essi credevano nella prospettiva rivoluzionaria che potrebbe nascere dalla sconfitta degli imperi centrali e criticavano apertamente la passività dei socialisti italiani;
- i nazionalisti: essi vedevano nella guerra esclusivamente anti - democraticismo e ambizioni espansionistiche;
- i liberali conservatori: essi ritenevano che da un lato, entrando in guerra, al parlamento venivano dati poteri straordinari tali da far finire per sempre le riforme giolittiane, e dall'altro puntavano a riottenere i territori del Trentino e Trieste e di far acquistare all'Italia lo status di grande potenza.
Era allora ormai inevitabile la rottura da parte dell'Italia della Triplice Alleanza sancita nel 1915 con il Patto di Londra tra Italia, Inghilterra, Francia, Russia. In caso di vittoria l'Italia avrebbe ottenuto il Trentino e Trieste, l'Istria, la Dalmazia, il porto di Valona e altri territori da stabilire.
Rimaneva il problema di convincere il parlamento di maggioranza giolittiana ad entrare in guerra. Molte furono le manifestazioni a favore durante le "radiose giornate di maggio", e alla fine il re e Salandra, con uno stratagemma, riuscirono nell'impresa. Salandra finse di dare le dimissioni e al suo posto fu convocato Giolitti. Questi, saputo parzialmente del patto di Londra, si rese conto che il suo parecchio non era più sufficiente e rifiutò l'incarico. Allora il re non accettò le dimissioni di Salandra, il governo ebbe poteri speciali e il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarò guerra all'Austria.
Le prime battaglie, come prevedibile, ebbero esito disastroso: nei territori del Carso i soldati italiani subirono quattro cruente disfatte (Battaglie dell'Isonzo). Nel frattempo la Bulgaria si schierava dalla parte degli imperi centrali, aggravando la posizione russa nei balcani ma soprattutto quella serba. L'unico presidio dell'intesa nei Balcani fu Salonicco, città greca ufficialmente neutrale ma in realtà alleata dell'Intesa.
Torna all'indice
La Guerra di trincea
Il capitolo più terribile e sanguinoso di questa guerra fu rappresentato proprio dalla guerra di trincea. Migliaia di uomini al freddo, alle intemperie, vittime delle malattie e dei cecchini, che perderono la vita per conquistare pochi metri, poi regolarmente persi.
Uno dei più sanguinosi massacri fu la battaglia di Verdun: l'alto comando tedesco sapeva che difficilmente avrebbe potuto conquistare il presidio francese di Verdun, ma contava sul fatto di causare molte perdite al nemico in relazione alle sue. Un freddo calcolo matematico dunque, che si dimostrò errato: infatti le perdite furono enormi sia da una parte che dall'altra, senza grosse differenze. Successivamente l'Austria mandò una spedizione punitiva contro il traditore italiano, che però reagì favorito anche dal contemporaneo attacco russo.
Gli eserciti centrali avevano dunque subito gravi sconfitte. La Romania, sollecitata dalla vittoriosa avanzata delle truppe russe nei Carpazi, decise di entrare in guerra con l'Intesa ma il suo debole esercito fu annientato e il suo ricco territorio occupato. D'altronde uno dei maggiori problemi della Triplice erano proprio gli approvvigionamenti, bloccati bene dalla flotta inglese.
Nel frattempo in Medio Oriente Francia e Inghilterra si spartivano l'Impero ottomano.
L'andamento della guerra fece tornare su posizioni di pace i socialisti europei, che nel congresso di Zimmerwald assunsero la linea di una "pace senza annessioni e senza indennità". Stessa posizione nella conferenza di Kienthal dove però trovò spazio la tesi del russo Lenin secondo la quale la guerra imperialista doveva essere trasformata in rivoluzione sociale.
Un po’ in tutti gli stati si assistette al rafforzamento del potere esecutivo unendo al governo anche le opposizioni: erano questi i gabinetti di guerra.
Mentre le democrazie parlamentari attuavano i gabinetti di guerra, gli imperi centrali accentuarono gli aspetti repressivi e autoritari dei loro governi, vietando la libertà di stampa, di pensiero e centralizzando l'economia. Poiché i materiali per rifornire l'esercito servivano in abbondanza e presto, la qualità spesso ne risentiva mentre chi li produceva si arricchiva: erano questi i profittatori di guerra.
Torna all'indice
1917: L'intervento degli usa e il crollo degli imperi centrali
Al1a fine del 1916 si era venuta a creare una situazione di stallo tra le potenze belligeranti. Si pensò che la pace fosse vicina. La fine del conflitto aveva come principale punto di riferimento gli Stati Uniti ed il loro presidente. Proprio alla fine dello stesso anno il governo tedesco propose delle condizioni di pace miranti all'acquisizione di territori a est e ad ovest. Ma queste condizioni erano ben lontane da quelle che avrebbero voluto le potenze dell'intesa.
L'imperatore austriaco offrì alla Germania parte dei suoi territori polacchi se quest'ultima in cambio avesse ceduto in caso di pace l'Alsazia e la Lorena alla Francia. L’Italia si oppose a quest'accordo perché non avrebbe visto riconosciuto il principio di autodeterminazione per la sua terre irredente.
Le speranze di pace si affievolirono e ben presto ripresero le ostilità. La Germania avviò una guerra sottomarina contro l'Inghilterra pensando che questa entro sei mesi non sarebbe stata in grado di provvedere al suo approvvigionamento a causa dei danni inferti al suo sistemi di trasponi dai potentissimi sottomarini e gli Usa non sarebbero entrati in guerra prima di un anno. Tutto ciò non fu vero infatti l'Inghilterra in breve tempo si riprese dalla crisi e gli Usa dopo l'affondamento del loro mercantile Vigilantia il 2 aprile 1917 decisero di entrare in guerra.
Contemporaneamente usciva di scena a causa delle rivolte sociali la Russia.
Il Pontefice Benedetto XV chiedeva invano una pace senza vincitori ne vinti ma la volontà di vincere delle potenze dopo tutti gli sforzi sopportati era troppa Così a metà del 1917 si ebbe una ripresa del conflitto sul fronte orientale e su quello italiano.
Gli imperi centrali grazie alla ritirata degli eserciti Russi potettero occupare la Polonia e parte delle regioni Baltiche. Contemporaneamente fu predisposta una controffensiva in Italia. Le truppe italiane erano ancora predisposte in assetto da attacco e a causa di errori tattici ed organizzativi a Caporetto, dopo che l'esercito austriaco era stato rinforzato da alcune divisioni tedesche, si ebbe una grave sconfitta. L'esercito austriaco penetrò in Italia per oltre 200. Questo fu uno dei momenti più drammatici della storia italiana e parve quasi che la stessa unità fosse in pericolo.
Al posto di Boselli sali al governo Orlando il quale era maggiormente appoggiato e sostituì Cadorna con Armando Diaz affermando che più terribile di una guerra è una guerra perduta.
Torna all'indice
La sconfitta degli imperi centrali
Ne1 1918 il Presidente degli Stati Uniti pubblicò i 14 punti nei quali fissava le condizioni che avrebbero dovuto regolare i rapporti tra le nazioni alla fine del conflitto, In base al principio di nazionalità e autodeterminazione dei popoli si doveva ridisegnare l'Europa. Doveva essere una pace nuova; non doveva mirare all'espansionismo delle potenze vincitrici ma doveva garantire il rispetto del principio di nazionalità.
La pace di BREST-LITOVSY conclusa con gli imperi centrali nel l918 obbligava l'ex impero zarista alla cessione della Polonia, dell'Estonia, della Lettonia, della Lituania e al riconoscimento dell'indipendenza Ucraina
Ormai tranquilli sul fronte orientale i tedeschi fecero affluire truppe sul suolo francese riprendendo una tattica simile a quella utilizzata all'inizio del conflitto in breve tempo si riportarono sulla linea della Marna. Lo sfondamento che avevano fatto nelle barriere francesi non era stato di grande importanza e cosi gli Inglesi e i Francesi uniti gli eserciti contrattaccarono vincendo nella battaglia di Amiens.
Il fallimento tedesco seguito dall'insuccesso austriaco nel tentativo di sfondare la linea italiana del Piave, lasciava prevedere la sconfitta degli imperi centrali,
Nel tentativo di raggiungere una pace non troppo disastrosa, Guglielmo il nominò cancelliere il democratico Baden il quale cercò cerco di trasformare la Germania da monarchico-mititare a liberal-democratica. Sulla questione decisiva dell'abdicazione del re, però, incontrò la secca opposizione del Kaiser e degli ambienti militari in genere.
Seguirono una serie di rivolte ed ammutinamenti che portarono l'11 novembre 1918 alla firma dell’armistizio.
Lo sfaldamento dell'esercito austriaco determinò anche la fine dell'impero asburgico. La Cecoslovacchia si proclamò indipendente, fu formato lo stato Yugoslavo e si formarono governi provvisori in Ungheria e a Vienna.
Il 3 novembre 1918 a Villa Giusti prima della sua abdicazione l'imperatore austriaco firmò l’armistizio con l'Italia.
Torna all'indice
I trattati di pace
Alla conferenza di pace di Parigi non vennero accolti i rappresentanti delle potenze vinte a essi spettava solo l'alternativa dell'accettazione o di una ripresa delle ostilità. Per la prima volta problemi fondamentali dell'equilibrio europeo venivano discussi insieme a potenze non Europee quali Giappone e USA. La "New diplomancy" proposta da Wilson non era ben vista dalle potenze vincitrici.
Tutto sommato dopo che la flotta tedesca preferì auto affondarsi piuttosto che consegnarsi ai nemici, gli Inglesi avevano raggiunto il loro scopo principale.
Adesso essi cercavano di non fare punire con pesantissime sanzioni la Germania perché questa fino al 1914 era stata la loro migliore partner commerciale.
Wilson si oppose alle rivendicazioni italiane preferendo appoggiare i nuovi governi tra cui quello iugoslavo. Dopo questa opposizione Orlando preferì abbandonare per alcuni giorni la conferenza.
Per evitare futuri e dannosi conflitti si creò la Società delle Nazioni con sede a Ginevra che avrebbe dovuto rappresentare tutti gli stati sovrani del mondo. I paesi membri si impegnavano a non ricorrere più alla guerra per risolvere le controversie ma al giudizio della Società delle nazioni. Quest'organizzazione non aveva però i mezzi per far si che le decisioni prese venissero rispettate. Essa era in realtà molto fragile.
Dalla conferenza di Parigi uscirono cinque distinti trattati:
Con il TRATTATO Dl VERSAILLES la Germania doveva cedere l'Alsazia e la Lorena alla Francia
Al rinato Stato polacco dovette cedere parte della Slesia, della Posnania e della Pomerania assicurandogli in questo modo un accesso nel mar Baltico. La città di Danzica che si affacciava sul Baltico venne considerata città libera.
La Germania orientale venne in questo modo separata da quella occidentale e l'impero coloniale tedesco diviso tra Inghilterra e Francia.
Quando si dovette decidere a chi dare la colpa del conflitto si pensò, anche a causa delle pressioni francesi, ad accusare la Germania. In base all'articolo 231 essa era tenuta a risarcire tutti i danni procurati alla popolazione e le pensioni di guerra in una cifra che fu stabilita intorno ai 132 marchi - oro. Come garanzia del pagamento la Francia poteva occupare per 15 anni il bacino carbonifero del Saar. L'esercito tedesco venne ridotto a 100000 unità.
Con il TRATTATO DI SAINT-GERMAIN e del TRIANON venivano smembrati Austria ed Ungheria a favore della Polonia, della Jugoslavia, della Romania e della Cecoslovacchia. All'Italia veniva ceduto il Trentino.
Il territorio austriaco rimanente era pari a circa 1/8 di quello precedente mentre quello Ungherese uguale a circa ½.
Con il TRATTATO DI NEUILLY anche la Bulgaria dopo avere ceduto la Macedonia alla Jugoslavia e la Tracia alla Grecia, ne uscì ridimensionata avendo perso pure lo sbocco sul mar Egeo.
Con il TRATTATO DI SEVRES i Turchi dovevano cedere alla Grecia anche la Tracia Ottomana, dovevano smilitarizzare gli stretti perdendo il controllo anche su parte dell’Asia dopo l'indipendenza della Transgiordania, dell'Arabia e dello Yemen.
I restanti territori asiatici vennero portati gradualmente da Francia e Inghilterra ad una condizione di indipendenza e autogoverno tramite i "mandati fiduciari'.
Il nuovo assetto europeo era fondato su basi troppo deboli, si. erano venute a creare numerose minoranze che creavano tensioni interne. La Germania, additata come colpevole, voleva avere la sua rivincita e l'Italia aveva avuto un accrescimento territoriale inferiore a quello sperato; si parlava infatti di vittoria mutilata.
Torna all'indice
Rivoluzione Russa
La Russia nonostante gli investimenti stranieri era rimasta piuttosto arretrata nel settore industriale. Con l’avvento al trono di Nicola II le cose peggiorarono egli infatti ebbe un atteggiamento autocratico e conservatore. Anche la disfatta Russa nel 1905 nella guerra contro il Giappone contribuì a peggiorare la situazione dimostrando l’incapacità bellica della nazione e creando una crisi interna: Il 22 Gennaio 1905 in quella che fu chiamata la domenica di sangue furono uccise migliaia di persone che manifestavano pacificamente. Questo atto sancì la definitiva rottura tra popolo e regime zarista infatti in tutto il paese scoppiarono agitazioni scioperi ed ammutinamenti così gravi da indurre lo Zar a concedere con il Manifesto di Ottobre ampie libertà civili e la creazione di un Parlamento “Duma”.
Il popolo non si accontentò di ciò e si riunì in consigli “Soviet”. Il Governo represse i Soviet; furono elette tre Dume ma l’unica che durò più a lungo fu quella dei signori.
Sono questi gli anni delle riforme del ministro Stolypin: la sua riforma agraria prevedeva la vendita del terreno ai contadini e per coloro i quali non potessero permetterselo venivano utilizzati come manodopera a buon mercato nell’industria.
La riforma giunse troppo tardi in quanto ci sarebbero voluti venti anni di pace per avere degli effetti positivi ma ciò non avvenne a causa del conflitto mondiale.
Dopo l’assassinio di Stolypin si ebbero le elezioni interne per la IV Duma che videro il definitivo distacco delle due parti del partito comunista: i bolscevichi e i mescevichi.
LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO
Al contrario degli altri governi impegnati nel conflitto mondiale in quello Russo non si ebbe la collaborazione tra le parti sociali a causa del chiuso autoritarismo dello Zar.
La mancanza di generi alimentari causata dal conflitto, fece scoppiare manifestazioni e insubordinazioni delle stesse truppe zariste (rivoluzione Febbraio).
Il potere venne diviso tra Duma e Soviet che avevano obbiettivi diversi: la Duma voleva una monarchia costituzionale, i Soviet la Repubblica; la Duma voleva proseguire la Guerra mentre i Soviet no.
I rapporti tra le due forme di governo non erano sempre in disaccordo e questa situazione di precarietà si modificò radicalmente con l’avvento al potere di Lenin.
Egli nelle sue tesi di Aprile ribadì che il potere dovesse andare tutto ai Soviet, sosteneva quindi tesi rivoluzionarie che si potevano attuare dopo una pace anche incondizionata con la Germania. Gli stessi bolscevichi erano esitanti ad accettare queste tesi ma dopo il fallimento dell’offensiva di Brusilov ad opera della Duma la pace era necessaria. Dopo la repressione di altre manifestazione (giornate di Luglio) era apparsa la figura di Kerenskij come l’unica in grado di mediare tra la volontà dei soviet e quella del governo.
La destra conservatrice decise di forzare i tempi e di tentare di instaurare una dittatura che assicurasse la continuazione della guerra approfittando dell’occupazione tedesca di Riga il generale Kornilov chiese le immediate dimissioni del governo e in caso di rifiuto minacciò di marciare con le truppe nella capitale. Di fronte a questo pericolo i bolscevichi appoggiarono kerenskij e arrestato Kornilov proclamarono la repubblica.
LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE
Il futuro assetto del paese doveva essere affidato all’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale. Contemporaneamente i bolscevichi ottenevano la maggioranza nei Soviet di Mosca e di Pietrogrado dove era stato eletto presidente Trockij leader dei mensceviche e convertitosi dopo le tesi di Aprile alle posizioni di Lenin.
Lenin riteneva che i bolscevichi dovessero approfittare della loro crescente popolarità rovesciando il governo debole di Kerenskij e impadronirsi del potere prima della convocazione dell’Assemblea Costituente.
La tesi di Lenin prevalse e Trockij iniziò i preparativi militari per la rivoluzione che si sarebbe dovuta svolgere nei giorni in cui a Pietrogrado i sarebbe riunito il Congresso Panrusso dei Soviet così da ottenere da quell’assemblea un’immediata legittimazione dell’azione rivoluzionaria. I militanti bolscevichi e le Guardie Rosse occuparono la sede del governo e altri edifici pubblici della capitale. Così mentre Kerenskij fuggiva, Il Congresso Panrusso dei Soviet approvava la formazione del governo rivoluzionario che vedeva a capo Lenin.
Subito Lenin fece approvare due provvedimenti. Il primo riguardava la pace; bisognava garantire l’uscita immediata dal conflitto mondiale (pace Brest-Litovsk). Il secondo era il decreto sulla terra nel quale si aboliva la grande proprietà fondiaria della Corona, della nobiltà e della Chiesa e si dividevano le terre espropriate tra i contadini.
Inoltre venivano nazionalizzate le grandi industrie e le banche. Con la Dichiarazione dei diritti dei popoli Russi, si dava uguaglianza a tutti i popoli Russi e la possibilità di rendersi indipendenti.
L’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale non era troppo vicina alle tesi di Lenin e il 19 gennaio 118 venne sciolta ufficialmente senza particolari reazioni da parte del popolo contento per essere uscito dalla guerra e per le spartizioni della terra.
Torna all'indice
Le conseguenze economiche della pace
Dopo la fine della guerra si erano venuti a creare particolarismi che in futuro avrebbero potuto creare problemi. Le nuove nazioni sorte, dette cuscinetto, non avevano la capacità di vita economica autonoma né propensione ad allearsi tra di loro. Il trattamento riservato allo Stato tedesco non solo rovinò il migliore dei mercati centro-europei ma aveva creato un pauroso sentimento di rivincita. Francia ed Inghilterra pur essendo nazioni vincitrici erano sommerse dai debiti contratti con gli Stati Uniti mentre in Italia oltre alla crisi economica si parlava di vittoria mutilata.
Il ritorno ad un’economia di pace fu difficilissimo e il processo di riconversione, molto lungo, fece crescere la disoccupazione. La soluzione a questi problemi era quella proposta nei trattati di pace: bisognava fare circolare rapidamente materie prime a buon mercato e tornare, grazie anche agli aiuti proposti agli imprenditori, a proporre alla popolazione merci abbondanti a prezzi vantaggiosi.
Con questo tipo di trattati, si era perduta l’opportunità di dare all’Europa e al mondo intero un periodo di pace duraturo. Dal punto di vista sociale tutti gli Stati erano più o meno in crisi perché i miglioramenti sopraggiunti dopo la vittoria non potevano colmare gli sforzi economici ed umani subiti. L’idea generale era che si fosse combattuto per nulla.
Torna all'indice
I problemi del dopoguerra
Le forze socialiste e cattoliche nonostante la vittoria, continuavano ad avere un atteggiamento critico nei confronti della classe liberale dirigente ed intendevano raggiungere il potere per portare al termine quelle riforme che la guerra non aveva permesso di realizzare.
La riforma principale a cui aspiravano, era quella agraria, cioè quella che prevedeva di dare ai contadini, che erano stati i principali combattenti, la proprietà della terra.
La classe liberale non poteva utilizzare la vittoria per aggregare il consenso dei diversi strati sociali da qui la nascita del Partito Popolare Italiano guidato da Don Luigi Sturzo.
Esso nacque principalmente per impedire in Italia un’avanzata del socialismo di tipo bolscevico. Il programma prevedeva la libertà di insegnamento, il riconoscimento dell’importanza dei valori religiosi e della famiglia. Chiedevano anche un sistema elettorale di tipo proporzionale e l’ampliamento del voto alle donne.
Sul piano economico cercavano di far si che le classi sociali invece di lottare tra di loro cooperassero per trovare insieme soluzioni vantaggiose per esempio per la riforma agraria.
I leader più rappresentativi del Partito Sociale Italiano alla fine della guerra vennero messi in minoranza. L’area massimalista il 18 dicembre 1918 rifiutando accordi con il governo borghese pose all’ordine del giorno “Istituzione della Repubblica sociale e dittatura del proletariato”.
Il giornale “Ordine nuovo” credeva che fosse fondamentale trasportare all’interno della classe operaia italiana il modello dei Soviet ed organizzare consigli di fabbrica capaci in breve tempo di autogovernare le aziende.
La crescita della disoccupazione seguita a ruota dalla aumentata inflazione non penalizzo moltissimo i lavoratori dell’industria grazie ai loro sindacati. Là dove i sindacati non esistevano come ad esempio nel settore agrario, lì la crisi si fece sentire abbastanza. Anche i ceti a reddito fisso vennero penalizzati e i borghesi che in tempo di guerra avevano ricoperto cariche importanti adesso si sentivano solo opachi lavoratori.
Nacque l’Associazione Nazionale Combattenti con l’obbiettivo di dare voce alle aspettative dei combattenti pur restando estranea ai partiti.
Mussolini a Milano, fece nascere i fasci di combattimento. Il suo programma parlava di Repubblica, di suffragio universale e di ordinamento sociale corporativo. Voleva pure la formazione di un unico “superpartito” chiedeva inoltre che la giornata lavorativa fosse di 8 ore. Difendeva chiunque avesse combattuto la guerra, facendosi considerare nemico dei socialisti e neutralisti in genere mostrando verso questi i lati più aggressivi e arrivando anche all’incendio dell’“Avanti!”. La difesa della guerra e l’idea della vittoria mutilata fecero guadagnare ai fascisti ampi consensi.
Differentemente i Democratici volevano abbandonare ogni idea espansionista per dedicarsi maggiormente a rapporti di amicizia con gli stati neonati.
Orlando e Sonnino a Versailles non riuscirono a prendere Istria e Dalmazia e preferirono lasciare la sede come segno di protesta. I trattati di pace continuarono ugualmente e le colonie tedesche vennero divise tra Francia ed Inghilterra. Quando Orlando e Sonnino furono costretti a tornare era stato tutto già deciso, all’Italia non restava che restare delusa e soprattutto umiliata.
Torna all'indice
Nitti e la questione Fiumana
L’esito insoddisfacente della conferenza di Versailles costrinse Orlando alle dimissioni. Al suo posto salì il liberale Nitti.
L’idea di Nitti era quella che bisognava produrre di più e consumare di meno a tal fine accelerò i processi di riconversione, favorì l’esportazione e diede un prezzo politico al pane. Le misure fiscali più severe toccarono ai ceti più alti. Sotto richiesta dei socialisti e dei popolari sostituì il sistema elettorale uninominale con quello proporzionale.
Nonostante ciò la crisi non passò e nell’estate del 1919 cominciarono agitazioni popolari causate anche dall’aumento dei prezzi e dalla mancata promessa della “terra ai contadini”.
La crisi si fece ancora più acuta quando D’Annunzio con l’aiuto di giovani “sensibili” occupò la città di Fiume. D’Annunzio non sopportava Nitti e lo accusava di non tutelare gli interessi dello Stato. Dal canto suo, Nitti non fece nulla per fermare l’avventura fiumana ma stese solo ad osservare il comportamento delle altre nazioni.
Alle elezioni del 1919 vi fù il crollo dei Democratici a favore delle nuove organizzazioni PSI e PPI. Il governo Nitti in seguito all’aumento del pane fu costretto a dimettersi a favore dell’ormai ottantenne Giolitti.
Torna all'indice
Giolitti e l’occupazione delle fabbriche
Giolitti doveva ridurre il debito pubblico favorendo una ridistribuzione dei redditi a vantaggio di quelli meno abbienti. Propose di nominare i titoli azionari in modo da poterli rendere fiscalmente individuabili.
In politica estera con il trattato di TIRANA rinunciava al mandato italiano sull’Albania riconoscendogli l’indipendenza.
Con il trattato di RAPALLO, rinunciava alle pretese sulla Dalmazia ad eccezione della città di Zara ottenendo in cambio, dalla Yugoslavia, Istria e Lussino. Fiume venne considerata una città stato indipendente.
I nazionali non videro di buon occhio questi trattati e li considerarono come una conferma della vittoria mutilata. Quando poi fu fatto cannoneggiare il palazzo dove D’Annunzio governava, nel dicembre 1920, parlarono di Natale di sangue.
Il partito popolare aumentò i problemi interni non essendo d’accordo alla nominatività dei titoli azionari perché tale riforma avrebbe colpito soprattutto la chiesa cattolica.
Dal 1920 cominciarono le occupazioni delle fabbriche. La linea di governo di Giolitti fu piuttosto statica infatti attese che le sommosse terminassero da sole.
I gruppi socialisti più intransigenti diedero vita al PCI ad ispirazione leninista.
Si pensò che i problemi del dopoguerra dovessero essere risoti in maniera autoritaria. I primi gruppi organizzati militarmente vennero utilizzati per fare aggressioni ai movimenti sindacali e cattolici. Erano sostenuti economicamente da agrari ed industriali e in poco meno di un anno passarono da 200 unità a 200000 unità.
Alla luce dei fatti, Giolitti non poteva sperare nell’aiuto socialisti né in quello dei cattolici e di lì a poco decise di utilizzare l’appoggio dei Fasci. Questa mossa doveva solo servire a prendere più voti “le candidature fasciste sono come i fuochi ‘artificio: fanno molto rumore ma si spengono rapidamente” J
Le elezioni non andranno come previsto da Giolitti. I socialisti perderanno pochissimi seggi mentre i 35 fasci eletti più 10 nazionalisti passeranno all’opposiione. A Giolitti non resterà che rassegnare le dimissioni.
Torna all'indice
Il fascismo
Il governo successivo vedeva a capo Bonomi, socialista, che però era sostenuto solo dai cattolici. Si vide subito che era inadeguato e contemporaneamente la popolarità dei fascisti cresceva perché visti come rappresentanti di ordine e legalità.
Da semplice gruppo, quello fascista, con il Congresso di Roma del 1921, si trasformò in partito: il PNF.
Alla base del suo programma troviamo la Chiesa con i sui principi cattolici, la Repubblica e la Proprietà Capitalista.
Dopo essersi rifiutato di intervenire per salvare la Banca d’Italia, Bonomi fu sostituito da Facta.
Tutte le organizzazioni sindacali, al fine di chiedere al governo Facta un comportamento più energico contro le violenze fasciste, organizzarono lo Sciopero Legalitario. Questo si mostrò un fallimento e come risultato ebbe che le violenze fasciste aumentarono così come la loro popolarità visti ancora di più come portatori di ordine e legalità violati dagli scioperi.
Mussolini si allontana dall’ideale iniziale di Repubblica, infatti adesso crede di più nella monarchia riconoscendole un ruolo nazionale importantissimo. In realtà se il Re avesse provato a ribellarsi, sarebbe stato subito sostituito dal cugino Duca Amedeo D’Aosta aperto sostenitore del fascismo.
Con la nascita del Partito Socialista Unitario, guidato da Turati, si andava perdendo ogni possibilità di una forte coalizione antifascista.
Il consenso aumentava di giorno in giorno, il Re quasi necessariamente doveva appoggiare i fasci, le coalizioni antifasciste si erano seriamente indebolite. Alla luce di ciò, nel 1922 si tenne a Napoli un’enorme adunata di Camice Nere decise da lì a marciare fino a Roma per prendersi il potere. Si dice che le 20000 camice nere, non fossero bene armate, ma la figura incolore di Facta decise ugualmente di dare le dimissioni.
Inizialmente Vittorio Emanuele, Re d’Italia, era deciso ad intervenire duramente contro i manifestanti, ma successivamente i rese cono che se i fascisti avessero avuto la meglio il suo trono sarebbe vacillato, se invece lui avesse vinto, l’Italia sarebbe potuta cadere in una dilaniante guerra civile. In questo clima, decise di Affidare il governo a Mussolini.
Il governo Mussolini ebbe il voto di fiducia dai liberali e dai popolari così da fare credere che nonostante le violenze esteriori in realtà questo fosse un governo in linea con la tradizione costituzionale.
Le intenzioni di Mussolini erano tutt’altre; nel discorso tenuto il 16 novembre 1922 disse: “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo: ma non ho almeno in questo primo tempo, voluto”.
Agli organi di Stato a poco a poco si sostituivano organi di partito. Il Gran Consiglio del Fascismo si sovrapponeva al Parlamento; la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale all’esercito nazionale.
Il partito fascista nel 1923 si alleò al partito nazionalista. Sempre nello stesso anno venne varata la Riforma Scolastica Gentile che partendo da un progetto elaborato da Croce, istituiva un esame alla fine degli studi superiori così da permettere l’esistenza delle scuole private cattoliche e valorizzare maggiormente la cultura.
Quando i popolari si ribellarono all’evoluzione autoritaria che stava prendendo il governo, Mussolini chiese a loro le dimissioni, sicuro che il mondo cattolico gli sarebbe stato sempre vicino. A Don Luigi Sturzo non restò che dare le dimissioni.
Con la Legge Acerbo, venne modificato il sistema elettorale; la legge infatti attribuiva i 2/3 dei seggi in Parlamento, al partito che avesse avuto il maggior numero di voti purchè non inferiore al 25%. Lo scopo di questa legge era quello di far affiancare il maggior numero di forze liberal-moderate intorno al partito fascista.
Autorevoli leader come Salandra e Orlando, appoggiarono il listone mussoliniano mentre le altre forze antifasciste, troppo frammentate, non rappresentarono una vera minaccia infatti il listone ebbe il 65% dei voti.
All’apertura della nuova camera nel 1924 Giacomo Matteotti osò denunciare le ripetute illegalità e violenze che accompagnarono la campagna elettorale e ne chiese l’annullamento. Pochi giorni dopo venne rapito e assassinato da dei sicari fascisti.
Il delitto sembrò avere compromesso il potere fascista perché tutte le forze si rifiutarono di partecipare ai lavori della Camera e seguendo l’esempio degli antichi romani con la Secessione dell’Aventino ma non ebbero l’appoggio del Re.
Mussolini si assunse tutte le responsabilità del delitto Matteotti e proclamò la volontà di eliminate ogni forma di democrazia esistente.
Seguirono nuovi atti di violenze e repressioni. Nel corso del 1925 venne soppressa anche la libertà di stampa e le sedi dei giornali per continuare a lavorare dovevano allinearsi alle posizioni del regime.
Ormai lo Stato totalitario si era affermato. Con la legge del 24 dicembre 1925 il presidente del Consiglio assumeva il nome di Capo del Governo e doveva dare conto delle sue azioni non più al potere legislativo ma solo al Re.
Le leggi del novembre 1926 determinarono la fine del sistema parlamentare. Furono sciolti tutti i partiti antifascisti e giudicati illegali. Chiunque si fosse opposto al regime sarebbe stato giudicato da un tribunale speciale ed inviato al confino.
Con le leggi del 1926 si modificavano le amministrazioni locali, il sindaco era sostituito dal podestà di nomina governativa.
Con la legge del 1928 si modificava il sistema elettorale; si sottolineava il principio della lista unica nella quale erano presenti 400 candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo che bisognava approvare o respingere in blocco.
Con i patti Lateranensi firmati dal Duce e dal cardinal Gasparri, si poneva fine alle lotte tra Stato e Chiesa. Alla chiesa veniva riconosciuta l’importanza della religione cattolica e gli venivano dati maggiori poteri per quanto riguardava la nomina dei vescovi e la celebrazione del matrimonio sia in forma civile che religiosa.
Per quanto riguarda il territorio la chiesa riconosceva lo Stato italiano con Roma capitale e al piccolo Stato Vaticano venivano dati 750 milioni come prezzo per le terre espropriate.
Questi erano gli anni della fabbrica del consenso. I giovani da fanciulli fino all’età universitaria, venivano squadrati in gruppi tipo Balilla, Avanguardisti, Giovini italiane, Figli della Lupa e così via.
Il regime di sicuro fu molto attento alle innovazioni, infatti per diffondere le notizie si servi moltissimo oltre che della stampa che però esisteva già da tempo, anche del cinema e soprattutto della radio.
Tra il 1922 e il 1926 il fascismo mantenne una politica economica liberale. Protagonista fu Alberto De Stefani, ministro delle finanze, il quale si affrettò a ritirare il progetto sulla nominatività dei titoli e abolì il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita. In pratica cercò di ridurre il controllo pubblico sulla vita economica promuovendo l’iniziativa privata.
In questi anni l’industria italiana incrementò molto la produzione grazie soprattutto alle aumentate esportazioni. Nonostante ciò De Stefani venne sostituito da Volpi che era più in linea con i caratteri totalitari dello Stato fascista.
Per permettere la ripresa del settore agricolo, fu lanciata la “battaglia del grano”; furono alzati i dazi doganali sui cereali importati per incoraggiare la produzione nazionale e giungere all’autosufficienza nei consumi.
Furono estese le aree coltivate a grano sostituendo culture specializzate che in un mercato estero sarebbero state maggiormente richieste.
Mussolini nel discorso di Pesaro nel 1926 annunciò di volere fissare il cambio della lira con la sterlina a 90 “quota novanta”. Questa riforma era tesa a fare aumentare l’importanza italiana in una futura politica estera autoritaria ma ciò preoccupava molto le classi medie del paese sottoposte al pericolo dell’inflazione. Per venire incontro agli industriali, il duce, fece alleggerire i salari del 10-30% con un conseguente aumento della disoccupazione.
Il duce aveva pensato a tutto; i nuovi disoccupati vennero impiegati in un vasto programma di opere pubbliche culminanti con la Bonifica dell’Agro Pontino. Le zone paludose furono rese agricole ed abitabili, furono edificate nuove città quali Latina, Pomezia, Sabaudia ed altre.
In questo modo, l’Italia si allontanava sempre di più dal mondo industriale e dal commercio estero.
Con il “Patto di palazzo Vidoni”, la confederazione degli industriali e quella dei sindacati fascisti, con una legge vietarono gli scioperi ed istituirono un magistrato del lavoro che doveva risolvere i problemi riguardanti i contratti collettivi di lavoro.
Gli anni trenta furono gli anni del consenso; ogni italiano si poteva riconoscere con convinzione nelle forme politiche realizzate dal PNF. L’isolamento dell’economia fece in modo che la crisi del ‘29 fu meno cocente rispetto agli altri stati.
La crisi colpì le banche e le industrie siderurgiche. Il duce per evitare il tracollo dell’economia assunse il controllo tramite l’IRI e l’IMI delle principali industrie e banche italiane. Queste società avevano lo scopo di riorganizzare le industrie e le banche per farle risollevare dalla crisi.
Il regime finì per avere il monopolio del credito e ¼ del capitale industriale. Tutto questo non faceva parte di un processo di socializzazione, ma al contrario, era teso a facilitare l’iniziativa privata tramite sgravi fiscali e tariffe protette. In cambio di queste facilitazioni, gli industriali si impegnavano ad appoggiare il regime.
L’Autarchia, produrre e consumare solo prodotti nazionali, divenne una delle parole d’ordine del regime. Il sistema produttivo del paese gravò assai poco sulle classi medie che per questo si sentirono legate al Duce.
Torna all'indice
La politica estera del fascismo
Anche in questo campo si poterono notare quelle contraddizioni (tra continuazione e rottura con il liberalismo) che avevano contraddistinto il fascismo. Mussolini, se da un lato aveva sempre in mente i piani di revisione dei trattati di pace, dall'altro non voleva mettersi contro le grandi potenze europee di Francia e Inghilterra. Il suo obiettivo era quello di rendere l'Italia al pari rispetto alle suddette potenze ma, da uomo realista qual' era, si rendeva conto delle disparità tra la sua nazione e le altre due. Nonostante questo, non rinunciava a gesti esteriori come quando, dopo l'assassinio di un suo generale sul fronte greco - albanese, occupò l'isola di Corfù, che abbandonò solo dopo la mediazione inglese. Di lì a poco, con la firma del trattato di Roma con la Iugoslavia Fiume divenne città italiana. Fino al patto di Locarno la diplomazia italiana aveva sostanzialmente mantenuto una rigorosa applicazione dei trattati di pace e il principale obiettivo era quello di mantenere indipendente l'Austria, per scongiurare un'annessione con la Germania.
Il trattato di Locarno, se aveva definito i confini occidentali della Germania, lasciava molte libertà su quelli orientali, e di questa situazione ambigua ne voleva trarre vantaggio il governo fascista, con il ministro Dino Grandi. Gli indirizzi revisionistici ebbero così modo di emergere nuovamente e vennero stipulati una serie di trattati e di patti d'amicizie con le regioni balcaniche (Albania, Ungheria, Romania, Bulgaria). Avvantaggiandosi dell'avvento in questi paesi di governi filofascisti, il regime inaugurò una politica di sostegno alle nazioni sconfitte, in rottura con la tradizione liberale.
Ma nonostante le ambizioni espansionistiche del Duce, non vi fu mai vera rottura con le grandi democrazie occidentali. La situazione cominciò a mutare con l'affermarsi del nazismo in Germania e con la ripresa della politica espansionistica giapponese. Hitler in particolare voleva anch'egli una revisione dei trattati di pace, quindi Mussolini si ritrovava con un agguerrito riferimento internazionale. Tuttavia però decise di muoversi ancora verso un'intesa con Francia e Inghilterra, per paura di iniziative tedesche in Austria. Fu firmato dunque, nel 1933 il patto a quattro tra Italia, Germania, Francia e Inghilterra con l'impegno di una revisione dei trattati.
Le proteste scatenate dall'URSS e dagli stati balcanici indussero però la Francia a limitare la revisione all'interno della Società delle Nazioni, rendendo inattuabili i disegni mussoliniani di una revisione consensuale dei trattati di pace. Rimase però in lui un atteggiamento di protezione verso l'indipendenza austriaca, atteggiamento favorito anche dalla politica antitedesca francese.
La Francia firmò infatti con Mussolini un trattato che prevedeva ufficialmente una rettifica dei confini somali, ma ufficiosamente il via libera all'Italia per la conquista dell'Etiopia.
La guerra d'Etiopia era dettata da due principali motivi: prima di tutto la crescente disoccupazione dovuta alla crisi economica (quindi la colonizzazione era ritenuta una valida alternativa all'emigrazione), in secondo luogo la necessità da parte di un regime che aveva ostentato una militarizzazione seppur superficiale di un atto importante di politica estera.
Con grande propaganda quindi si diede avvio alle operazioni militari, condotte prima da De Bono e poi da Badoglio sul fronte eritreo, e da Graziani su quello somalo.
Conclusa vittoriosamente e brevemente la guerra, scattarono subito le ripercussioni internazionali. In particolare l'opinione pubblica inglese si dimostrò ostile a questo atto e nonostante un tentativo di rendere l'Etiopia protettorato italiano(rifiutato dal popolo inglese), la Società delle Nazioni condannò l'Italia a delle sanzioni economiche che, per quanto blande, furono usate dal regime per fini propagandistici.
Torna all'indice
L’antifascismo
Il fatto che il fascismo usufruisse di organizzazioni paramilitari, significò che qualsiasi forma di opposizione al regime si doveva sviluppare clandestinamente. Di conseguenza caddero i vari giornali socialisti e personaggi importanti di sinistra furono costretti ad andare via dall’Italia.
I socialisti formarono nel 1926 la convenzione antifascista mentre i comunisti si organizzarono in società segrete vivendo nelle zone malfamate ed agendo in segretezza.
Antonio Gramsci fu incarcerato nel ’27 e nelle sue lettere inviate dal carcere possiamo riscontrare il suo pensiero politico. Il socialismo che sarebbe dovuto salire in Italia sarebbe dovuto essere diverso da quello Russo poiché la realtà Italiana è diversa dal punto di vista sociale, economico e intellettuale.
Le società antifasciste formate, non andarono mai d’accordo tra di loro e questa fu la causa dei loro fallimenti.
Per ovviare a ciò Carlo Rosselli instaurò un movimento chiamato “giustizia e libertà” che prevedeva la riorganizzazione delle forze antifasciste per potersi opporre al regime in modo più deciso.
Questo movimento fu caratterizzato dalla componente generazionale in quanto si credeva che bisognava fare cambiare mentalità ai giovani per potere risolvere il problema alla radice.
Allo scoppio della guerra in Spagna parteciparono molti antifascisti con la speranza di dimostrare che la resistenza armata alla dittatura mostrata contro il franchismo potesse essere d’esempio contro il regime mussoliniano; da qui il grido “Oggi in Spagna domani in Italia”.
Torna all'indice
La Germania di Weimar e il problema delle riparazioni
La difficile fase iniziale della Repubblica di Weimar sembrò superata già nel 1921 quando il sistema industriale tedesco aveva riacquistato l’importanza che aveva nell’anteguerra.
Tuttavia nello stesso anno venivano fissate le riparazioni di guerra intorno ai 132 miliardi di marchi-oro; una cifra assolutamente sproporzionata alle possibilità di pagamento tedesche. Queste riparazioni così pesanti erano state volute prevalentemente dalla Francia la quale era desiderosa di vedere la Germania in una posizione di subalternità per parecchi decenni. D’altra parte vi erano pure i debiti che Francia ed Inghilterra avevano contratto con gli Usa e a causa di questi ogni richiesta da parte tedesca di una riduzione della cifra veniva rifiutata.
All’inizio del 1923 la Francia a causa di un ritardo nel pagamento di una rata, decide insieme al Belgio di occupare il ricco bacino carbonifero tedesco della Ruhr. La valorosa popolazione tedesca si ribellò rifiutandosi di lavorare.
Il desiderio tedesco di rivincita andava crescendo e l’8 novembre del 1923 si tento il “Putsch di Monaco” organizzato da Hitler in persona all’interno di una birreria bavarese. Il colpo di stato non andò a segno e Hitler venne arrestato per un anno durante il quale scrisse il “Mein Kampf” nel quale esponeva le sue idee sulla razza tedesca e sulla Germania.
L’occupazione della Ruhr e la decisione dei tedeschi di astenersi dal lavoro, fece si che nel 1923 la Germania dovette affrontare la crescita dell’inflazione alle stelle. Durante quest’anno il marco giunse a valere fino ad un trilionesimo del valore che aveva nel 1914. Solo con l’inizio del 1924 a poco a poco la Germania iniziò a riprendersi.
Sia gli Usa che l’Inghilterra non avevano mai approvato l’occupazione francese della Ruhr e misero appunto un piano per il salvataggio dell’economia tedesca.
Con il “piano Dawes”, gli Usa concedevano nuovi prestiti per consentire alla Germania di riavviare le industrie.
Con il “piano Young” al posto del vecchio marco ne venne creato un altro scambiato a 1000 miliardi di marchi vecchi e si fece in modo che non si ripetesse la situazione precedente di inflazione.
Il nuovo ministro degli esteri tedesco firmò insieme a quello francese il “Trattato di Locarno” in base al quale le frontiere occidentali tedesche non dovevano essere mai più violate. Sempre nello stesso anno (1926) la Germania entrava a far parte delle società delle Nazioni.
Con il “patto di Briand-Kellogg”, Francia ed Usa si impegnavano a non ricorrere più alla guerra per risolvere le controversie internazionali, ma di rivolgersi ad un tribunale internazionale a cui aderirono altre 57 Nazioni tra cui Germania e Urss.
Il trattato di Locarno, riguardava solo la frontiera occidentale tedesca e non quella orientale per la quale non esisteva nulla. Locarno lasciava così immaginare eventuali mire espansionistiche tedesche verso est.
Alle elezioni presidenziali tedesche a causa dell’intransigenza dei comunisti, i quali non appoggiarono il candidato socialdemocratico al ballottaggio, salì il conservatore, eroe della I guerra mondiale, Hindenburg. Nelle elezioni generali successive però i socialdemocratici ebbero la meglio riuscendo ad equilibrare le forze.
La Repubblica di Weimar si fondava su basi troppo deboli e all’interno vi erano interessi troppo divergenti. I gruppi paramilitari andavano aumentando sempre di più e facevano perno sulla piccola borghesia sempre più sensibile, dopo l’inflazione, ai richiami all’ordine e all’onore da riscattare.
Torna all'indice
Gli Stati Uniti: dagli anni “ruggenti” alla grande crisi
Gli Usa avevano avuto un ruolo da protagonista nei trattati di pace, però i disegni planetari di Wilson non erano piaciuti all’opinione pubblica la quale nelle elezioni del 1920 decise di sostituirlo dando fiducia al democratico Harding che voleva attuare una politica isolazionista secondo cui gli Usa avrebbero dovuto usufruire delle risorse economiche del paese incrementandole.
Dopo Harding salirono Coolidge e Hoover i quali però si sono mostrati di scarso rilievo.
Questo periodo è ricordato anche per la proiezione della produzione e vendita delle bevande alcoliche: il cosiddetto proibizionismo. Quest’ultimo però favorì le organizzazioni criminali e la nascita di grandi figure come quella di Al Capone.
Questo periodo è ricordato pure come l’età del Jazz, una nuova musica suonata soprattutto da neri.
Contemporaneamente si ha l’esplosione dei consumi individuali e all’interno di ogni abitazione americana era possibile trovare l’aspirapolvere e una radio. Questo aumento dei consumi coincise con l’aumento dei salari dovuto ad un aumento di produttività e dei profitti.
Vennero favorite le grandi concentrazioni industriali come la Goodyear e la General Motors a discapito delle piccole società.
Sempre in questi anni nascono forti contrasti dovuti prevalentemente a questa politica isolazionista che non voleva l’ingresso di immigrati all’interno. I contrasti più forti si ebbero tra bianchi e neri o cattolici e protestanti. Si ebbe anche un deciso affermarsi di associazioni che difendevano i valori tradizionali americani.
Per favorire l’acquisto dei beni anche alle classi operaie, vi furono una serie di crediti che le banche furono disposte a concedere. La piccola borghesia abbagliata da futuri guadagni decise di investire in borsa.
Nel momento in cui si nutrivano maggiori sicurezze, i prodotti cominciarono a non essere più assorbiti dal mercato. La crisi di sovrapproduzione che si ebbe fu la causa del crollo della borsa di New York durante il giovedì nero di Wall Street in cui tutti i titoli azionari ebbero un evidente flessione.
Il Primo tentativo di porre fine a questa crisi, fu quello di immettere nel mercato europeo i prodotti in eccedenza ma il problema non si risolse. La crisi che era partita dai mercati americani, a poco a poco arriva pure in Europa a causa dei grossi debiti che Francia ed Inghilterra avevano contratto con gli Usa durante la guerra.
La Germania che con i piani Dawes e Young si era lentamente ripresa, subì un ulteriore crisi.
Torna all'indice
Il “New Deal”
Il crollo di Wall Street rappresentò per l’America non solo l’inizio di una crisi economica ma anche ideale e morale. Fin dall’inizio della sua storia l’America aveva percorso un cammino ascendente verso la prosperità. Con la crisi, crollava il sogno americano e l’America non veniva più vista come il paese delle grandi opportunità.
Chi nonostante la crisi si mostrò ottimista, fu democratico Roosevelt il quale aveva vinto le elezioni presidenziali del 1932.
Per lui superare la crisi non era impossibile, le risorse umane e materiali non mancavano certo all’America, bisognava solo recuperare lo spirito americano originario.
Appena eletto Roosevelt annunciò l’inizio del “New Deal”, un nuovo accordo che sarebbe servito a riportare il Paese nelle grandi sfere. Bisognava vincere gli egoismi e valorizzare la solidarietà. Per far sì che questo messaggio fosse percepito da tutti, periodicamente nelle “conversazioni di caminetto” tramite la radio lo ribadiva.
In economia si basò molto sulle tesi di Keynes. Keynes era sempre stato contrario ai trattati di pace in quanto avevano creato pericolose barriere per la circolazione delle merci e dei capitali. Inoltre era in disaccordo con gli economisti classici (Say, Ricardo) i quali credevano che il mercato fosse capace di regolarsi da solo. La crisi del ’29 li smentì pienamente.
Il maggiore ostacolo alla “legge della domanda” di Say e Ricardo era rappresentata da l’ineguale distribuzione delle ricchezze.
Bisognava quindi che fosse lo Stato a ridistribuire le ricchezze e a garantire una vita dignitosa ai cittadini.
Il risparmiatore non veniva più visto come un saggio cittadino, ma era colui che doveva essere sollecitato a aumentare il suo consumo di merci prodotte dal sistema industriale. A tal fine venne favorita una politica di alti salari in modo da permettere più facilmente al danaro di circolare.
Al fine di rendere l’economia ancora più vivace, seguendo l’esempio inglese, Roosevelt decise di abbandonare il sistema di cambio fisso. Ciò consentì una maggiore libertà nell’uso della spesa pubblica e quindi una nuova politica di opere pubbliche.
Per risollevare il settore agricolo, elaborò un programma col quale sosteneva i prezzi dei prodotti crollati durante la crisi e concedeva sussidi governativi a coloro i quali avessero ridotto la produzione e le terre coltivate.
Ciò serviva a garantire i redditi degli agricoltori che rappresentavano la potenziale domanda d’acquisto per i beni prodotti dall’industria.
Per permettere la ripresa del settore industriale, invitò le industrie a mantenere alti sia i prezzi, che i salari.
Nonostante l’iniziativa privata venisse un po’ penalizzata dai programmi del Presidente, in meno di 2 anni la disoccupazione era diminuita e oltre 2 milioni di persone erano tornate a lavorare. In breve tempo nacquero leggi tramite le quali si dava assistenza alla disoccupazione.
Si cercava in pratica di creare un “Welfare State”. Lo stato interveniva garantendo ai cittadini condizioni di esistenza minime, con sussidi alla disoccupazione, salari minimi, pensioni e servizi sociali gratuiti.
Con il “Wagner Act”si dava riconoscimento giuridico ai sindacati e si obbligava le aziende a riconoscere come vincolanti i risultati della contrattazione collettiva.
L’economia americana ricominciava ad andare forte e potè contare pure sulle prospettive di un imminente riarmo che avrebbe fornito ulteriore linfa alle industrie.
Torna all'indice
Il nazismo al potere
La crisi Americana si ripercuotè in Germania facendo vacillare la già precaria Repubblica di Weimar. Le spinte conservatrici ed autoritarie si accentuarono; una prova tangibile di ciò fu l’ascesa di Hindenburg e la formazione di gruppi paramilitari.
A differenza del Fascismo, che non aveva fin dal principio un programma ben delineato, il Nazismo fondava le proprie solide basi nel “Mein Kampf” l’opera che Hitler scrisse durante il suo anno di prigionia. Il testo riprendeva molto le teorie di Rosenberg e Chamberlain e affermava che tutte le vicende umane potessero essere interpretate come un eterno conflitto tra razze superiori, ariani, e razze inferiori, ebrei. Il concetto di razza doveva essere inteso proprio come biologico – genetico. A capo della razza Ariana doveva esserci il Fuhrer, un capo capace di interpretare le esigenze del popolo.
Le esigenze primarie dovevano essere quella dello spazio itale e quella che doveva vedere unito nello stesso territorio tutte le popolazioni germaniche. Inoltre il movimento era anticomunista in quanto l’ideologia ugualitaria è frutto delle tendenze livellatrici e mortificanti delle razze inferiori.
Nelle elezioni del 1928 il nazismo non ebbe molto successo, appena il 2,6 % dei voti. Man mano che la crisi economica si faceva più dura, crescevano i consensi e nelle elezioni del 1930 i nazisti ebbero oltre 6 milioni di voti diventando il II partito dopo i socialdemocratici.
Come avvenne per il fascismo, anche il nazismo si servì delle squadre SS e SA per incutere timore nell’opposizione e nella popolazione in generale. Memore della sfortunata impresa di Monaco, Hitler non tentò mai il colpo di stato, ma cerco sempre di fare affluire nel suo partito tutte le forze nazionalistiche e conservatrici.
Dopo la figura incolore di Bruning, alle presidenziali del 1932 venne rieletto Hindenburg. A tali elezioni si era presentato pure Hitler ma a lui non toccarono più del 37% dei voti.
Alle elezioni politiche dello stesso anno i nazisti ottennero oltre 13 milioni di voti e si affermarono come I partito del paese. Furono le pressioni della grande industria, della finanza e della proprietà terriera a indurre Hindenburg ad assegnare ad Hitler la guida del governo e ad indire nuove elezioni per il 5 marzo 1933.
Le violenze da parte delle SS e delle SA si fecero sempre più evidenti e culminarono con l’incendio del Reichstag di cui però vennero incolpati i comunisti. In seguito a quest’avvenimento, furono emanate le 28 leggi eccezionali con le quali si limitavano le libertà civili e veniva dichiarato fuori legge il partito Comunista.
Alle elezioni del 1933, Hitler non ebbe il successo sperato, ma grazie all’appoggio dei gruppi nazionalisti riuscì ugualmente ad avere la maggioranza.
Subito dopo fece approvare la “legge dei pieni poteri” che porto alla liquidazione dell’opposizione e all’abolizione dei Lander ridotti a entità amministrative dipendenti dal governo centrale.
Il 30 giugno nella notte conosciuta come “notte dei lunghi coltelli”, utilizzando le SS Hitler fece uccidere i principali capi della cosiddetta sinistra nel partito (SA) che agitavano ancora l’idea di una rivoluzione sociale.
Qualche mese dopo le elezioni Hindenburg morì. Hitler decise di non sostituirlo e nonostante mantenesse solo la nomina di cancelliere in pratica assunse anche la carica di presidente.
A poco a poco tutta la vita tedesca cominciò ad essere controllata dal regime che tra l’altro cominciò a mettere in pratica alcuni dei punti presenti nel programma come ad esempio quello della bonifica razziale; vennero bruciati tutti i libri ebrei ritenuti fautori di teorie democratiche e socialiste.
Anche in Germania come in Italia il regime andò alla ricerca del consenso. Moltissimi erano i discorsi del Fuhrer trasmessi via radio, le grandi adunate e i campi di maggio adornati con splendide coreografie rappresentanti i simboli del potere.
La liquidazione dei rimasugli d’opposizione era stata affidata alla Gestapo, una polizia segreta che prendeva gli oppositori e li deportava in campi di lavoro.
Con le leggi di Norimberga del 1935, gli ebrei furono privati della cittadinanza tedesca e gli vennero ridotte altre libertà.
Il 9 novembre nella “Notte dei cristalli”, molti ebrei furono deportati in campi di lavoro, incendiate sinagoghe e attività ebraiche.
L’industria tedesca venne agevolata dal rigido inquadramento dei lavoratori in strutture cooperative guidate dal partito. La ripresa economica tedesca era affidata pure a un vasto programma di lavori pubblici e di riarmo.
Hitler mostrò subito la sua volontà nel rivedere il trattato di Versailles e dopo avere firmato un patto a 4 con Italia, Inghilterra e Francia per il mantenimento della pace, decise di abbandonare la Conferenza di Ginevra sul disarmo nell’ottobre del ’33 e poco dopo fece uscire la Germania dalla Società delle Nazioni.
Il 25 luglio 1934 un gruppo di Nazisti austriaci guidati da Hitler assassinò il cancelliere austriaco Dollfuss sperando nella confusione di potere facilitare l’annessione dell’Austria alla Germania. Mussolini, ancora vicino ad Inghilterra e Francia, si fece garante dell’indipendenza austriaca mandando truppe alla frontiera del Brennero.
Il ’35 fu l’anno definitivo del riarmo tedesco, la popolazione del Saar decise dopo un referendum di tornare alla Germania. Hitler fregandosene del trattato di Versailles ripristinò la leva obbligatoria e procedette al riarmo aereo e terrestre.
Torna all'indice
L’incontro di Monaco
Molti furono i paesi europei che tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta avevano abbandonato le forme di democrazia parlamentare per sistemi autoritari. La destra autoritaria era salita pure in Belgio, Portogallo e Grecia.
Germania ed Italia avevano superato ogni divergenza. Il cancelliere Austriaco fu spinto alle dimissioni da Hitler e al suo posto ne salì uno filonazista che nel marzo ’38 adducendo l’improbabile pretesto di disordini in atto fece giungere truppe tedesche in Austria e con un plebiscito nell’aprile dello stesso anno proclamò l’annessione alla Germania.
Di fronte a ciò Mussolini si dichiarò indifferente poiché tutto sommato si era realizzato il principio di autodeterminazione dei popoli. Di simile opinione, anche per conservare la politica dell’appeasement, si mostrarono pure Francia ed Inghilterra.
Pochi mesi dopo Hitler decise di riappropriarsi del territorio dei Sudati, interno al territorio Cecoslovacco e a maggioranza tedesca. La Cecoslovacchia era legata con una alleanza alla Francia e faceva parte della Società delle Nazioni. Per evitare l’apertura di un nuovo conflitto, Mussolini fece da mediatore e fece convocare a Monaco il 29 e 30 Settembre ’38 una conferenza a cui dovevano aderire lui stesso, Chamberlain, Daladier e Hitler. Il tutto si concluse con il totale cedimento alle richieste naziste. Si voleva mantenere la pace, Churcil affermava: “Potevano scegliere tra disonore e guerra, hanno scelto il disonore, avranno la guerra”.
Di lì a poco le truppe tedesche occuperanno Praga e imporranno alla rimanente Cecoslovacchia il controllo tedesco. Hitler non aveva più nessuna giustificazione e i timori di Churcil si confermavano sensati.
Torna all'indice
La crisi Polacca e lo scoppio della guerra
Il 21 marzo ’39 Hitler chiese l’annessione di Danzica e l’extraterritorialità del corridoio. Di lì a poco i tedeschi occuparono anche Mamel città lituana. Hitler voleva occupare tutta la Polonia e il 3 marzo Churcil espresse la sua volontà di garantire i confini polacchi invertendo la marcia alla politica dell’appeasement.
Tutto sommato la Germania, nuovamente forte, rappresentava un sicuro baluardo contro l’avanzata del comunismo in Europa. Sia Chamberlain che Daladier al ritorno dalla conferenza di Monaco furono accolti dalla folla plaudente ancora all’oscuro che di lì a pochi mesi sarebbero dovuti entrare in guerra.
Sull’esempio di Hitler, Mussolini occupò l’Albania proclamando Vittorio Emanuele III Re d’Italia e di Albania.
Il 22 maggio ’39 il ministro degli esteri tedesco, Ribbentrop e quello italiano, Ciano, firmarono il patto d’Acciaio col quale si impegnavano ad un aiuto militare reciproco sia in offese che in difesa. Mussolini disse però che l’Italia non sarebbe stata pronta ad un grosso conflitto di lì a tre anni.
Francia ed Inghilterra per rispondere al patto d’Acciaio, cercarono di raggiungere accordi con la Russia la quale a sorpresa, firmò il patto Ribbentrop-Molotov con la Germania. Con questo patto le due potenze si impegnavano per dieci anni a non aggredirsi e prevedevano un eguale spartizione della Polonia.
Stalin con il patto d’Acciaio voleva guadagnare tempo e prepararsi all’inevitabile scontro con la Germania sua antagonista ideologica.
Così il 1 settembre ’39 le truppe tedesche entravano in Polonia e Francia e Gran Bretagna il 3 settembre onorando le garanzie di protezione dichiaravano guerra alla Germania.
Torna all'indice
La “Strana Guerra” e l’ingresso dell’Italia nel conflitto
L’Italia, consapevole della sua impreparazione ad un conflitto decise di dichiararsi potenza non belligerante. In modo simile si dichiararono pure gli Stati Uniti e il Giappone.
La guerra, appena iniziata era diversa rispetto alla I G.M. Le truppe si muovevano in modo più rapido grazie all’utilizzo di mezzi di trasporto e di combattimento veloci. Inoltre l’utilizzo di bombardamenti aerei su vasta scala e il perfezionamento dei sommergibili rendevano la guerra ancora più dura.
Dopo l’occupazione polacca, la Russia spostò il suo fronte in Finlandia per conquistare l’istimo di Camelia al fine di proteggere meglio la città di Leningrado. Dopo un breve combattimento, la Finlandia cedette l’istimo e contemporaneamente Hitler conquistava la Norvegia e la Danimarca per potere lottare con l’Inghilterra da posizioni più favorevoli.
Sul fronte ovest, si parlò di “Strana Guerra” infatti sia le truppe anglofrancesi che quelle tedesche stavano ferme, senza combattere, rispettivamente lungo la linea fortificata di Marginot e lungo la linea di Siegfried.
Sottovalutando i progressi fatti dalla macchina bellica tedesca, i poveri francesi, avevano concentrato tutte le loro forze solo sulla linea di Marginot.
Il 10 maggio 1940 cominciò finalmente anche la guerra su questo fronte. L’esercito tedesco invase il Belgio e l’Olanda sfondò la linea anglofrancesi. Sotto i bombardamenti tedeschi, gli inglesi riuscirono a malapena a mettere in salvo utilizzando qualunque imbarcazione il loro esercito e parte di quello francese abbandonando però tutto il loro materiale bellico nelle spiagge. Il 4 Giugno 1940 le valorosissime truppe tedesche erano già a Parigi costringendo i francesi a chiedere un armistizio che firmeranno nello stesso vagone dove qualche anno prima avevano fatto firmare la capitolazione alla Germania Guglielmina.
L’armistizio firmato dal francese Petain divise la Francia in due: la parte nord comprendente i 2/3 della popolazione andava alla Germania, la parte meridionale, con capitale Vichy veniva affidata al nuovo capo di Stato Petain il quale instaurava un governo autoritario incline a collaborare coi nazisti.
Ad un trattato così umiliante si ribellava De Gaulle il quale dai microfoni di Radio Londra il 18 giugno ’40 esortava i francesi alla resistenza.
In pochi giorni era crollato l’esercito più solido del continente e lo stato che fino a poco prima era considerato il punto di riferimento per la vita culturale e politica europea.
Superando ogni perplessità grazie anche alle difficoltà Francesi, Benito Mussolini in un celebre discorso annunciava, il 10 giugno ’40 al popolo italiano, l’entrata in guerra.
Contemporaneamente in Inghilterra al posto del remissivo Chamberlain, saliva Churcil. L’Inghilterra dopo la caduta della Francia si era trovata da sola contro le potenze dell’asse, i territori occupati (Belgio, Olanda, Francia, Danimarca, Norvegia, Polonia) e i nuovi governi filofascisti (Spagna, Ungheria, Romania, Portogallo, Bulgaria). Non vedendo nella Germania la capacità di essere uno stato guida per l’Europa capace di garantire un futuro di pace, Churcil rifiutò qualsiasi trattato e affermò di voler combattere fino all’annientamento del nemico tedesco.
Hitler preparò il progetto di invasione dell’Inghilterra denominato “Operazione Leone Marino”. L’aviazione tedesca doveva distruggere le città e i centri nevralgici inglesi demolarizzando la popolazione.
La popolazione inglese, rinvigorita dai discorsi di Churcil si riorganizzò e in breve tempo riuscì ad apportare ai nemici, grazie all’invenzione del radar, perdite tali da convincere Hitler a rimandare il progetto.
Falliva così ogni probabile speranza di guerra lampo e il conflitto diventava sempre più grande e coinvolgeva sempre più potenze.
L’Italia intraprese una guerra autonoma parallela,In caso di vittoria, avrebbe avuto il dominio sul Mediterraneo. Ciò voleva dire confrontarsi subito con gli inglesi sia sul piano navale che su quello terrestre. Inizialmente l’Italia ebbe delle vittorie navali, ma già nella seconda parte del ’40 gli inglesi mostrarono la loro superiorità attaccando la base di Trento e rendendo impossibili i rifornimenti per i militari in Africa.
Sul fronte africano, i primi scontri furono favorevoli per gli Italiani guidati dal Duca Amedeo D’Aosta. Il nostro obiettivo era quello di conquistare l’Egitto, colonia inglese importantissima, spostandoci dalla Libia.
Le truppe stanziate in Libia e guidate da Graziani, inizialmente vinsero, ma gli inglesi con la loro controffensiva fecero retrocedere gli italiani di 1000 km.
Il 28 ottobre 1940 si decise di invadere la Grecia, ma il progetto si rivelò un fallimento a causa del territorio aspro e dell’accanita resistenza.
Contemporaneamente i Greci attaccavano il porto di Valona in Albania. Grazie all’aiuto tedesco, gli italiani riuscirono a riprendere in mano la situazione e Hitler conquisto la Jugoslavia, la Grecia e Creta.
I tedeschi si spostarono sul fronte africano, riconquistarono la Libia ma ciò non servì a bilanciare la perdita dell’Africa Orientale subita dall’Italia quando nel maggio ’41 gli Inglesi occuparono l’Etiopia rimettendo sul trono il Negus Haile Selassie.
Ogni illusione di guerra parallela andava scemando mostrando l’Italia in un ruolo di subalternità.
Nel patto Tripartito firmato da Germania, Italia, Giappone a Berlino il 27 settembre ’40 veniva descritto il modo con cui le potenze si dovevano dividere il mondo: alla Germania, l’Europa settentrionale, all’Italia il predominio sul Mediterraneo, al Giappone il controllo dell’Asia orientale.
Torna all'indice
L’operazione Barbarossa e l’entrata in guerra degli Usa
Con l’operazione Barbarossa, che per la necessità di concludere prima la guerra nei Balcani iniziò in ritardo, Hitler decise di attaccare l’Urss impiegando un’enorme schieramento di mezzi. Anche l’Italia partecipò a questa spedizione con il suo esercito.
La natura del conflitto si evidenziava dalle brutalità delle devastazioni nei territori occupati e dal trattamento riservato ai prigionieri. La II guerra mondiale fu vissuta dai russi come una grande guerra patriottica contro i tedeschi.
L’esercito tedesco conquistò in breve tempo città importanti giungendo a pochi chilometri da Leningrado e da Mosca. Con l’arrivo dell’inverno, l’offensiva tedesca però poteva dirsi esaurita senza che la Russia si fosse arresa, infatti le truppe russe passarono al contrattacco riuscendo a far arretrare io tedeschi di almeno 200 chilometri.
Nel 1941 anche gli Usa entrarono in guerra. Roosevelt, per aiutare ulteriormente Francia ed Inghilterra nel conflitto, estese la normativa CASH AND CARRY (paga e porta via) anche al materiale bellico e fece approvare dal congresso le nuove leggi LEND AND LEASE (affitti e prestiti) che consentiva di fornire aiuti militari senza un pagamento immediato.
Nella carta atlantica, firmata da Roosevelt e Churcil, si ha l’intesa tra Usa e Gran Bretagna desiderosi di annientare la tirannia nazista.
Mentre vi era l’ipotesi di un ingresso ufficiale degli Usa in guerra contro la Germania, il Giappone sorprese tutti e conquistò Cina ed Indocina
Usa ed Inghilterra reagirono con il blocco delle forniture economiche intimando al Giappone di fermare la propria avanzata in Cina e di riconoscere il governo nazionalista giapponese. Il 7 dicembre senza alcun preavviso aerei siluranti giapponesi distrussero la flotta statunitense nel porto di Pearl Harbour nelle Hawaii.
L’attacco agli Usa fu seguito dalla dichiarazione di guerra all’Inghilterra. La guerra adesso poteva davvero dirsi mondiale!
Torna all'indice
1942 – 43: Una svolta nel conflitto
Importante fu la confitta subita dai tedeschi a Stalingrado. Nella loro avanzata in territorio Sovietico, la gran parte delle forze tedesche era concentrata nel settore meridionale e aveva posto sotto assedio Stalingrado. La città venne conquistata a poco a poco. I sovietici però passarono alla controffensiva; con tre armate l’esercito tedesco venne accerchiato e nonostante l’ordine contrario di Hitler il comandante tedesco Von Paulus decise di arrendersi.
Con Stalingrado la II guerra mondiale registrava una svolta decisiva. La Russia di Stalin, confortata dall’enorme prestigio acquisito, cominciava a pensare ad iniziative offensive verso i Paesi dell’Europa orientale.
In Africa settentrionale l’esercito Inglese guidato da Mongomery, attaccò le truppe italo-tedesche ad El Alamein. Da quella sconfitta iniziò la ritirata delle truppe italo-tedesche che persero pure la Libia a favore di Mongomery.
Contemporaneamente forze americane guidate da Eisenhower sbarcavano in Marocco appoggiati da contingenti francesi comandati da De Gaulle. In Europa i tedeschi procedevano con l’occupazione militare della Francia di Vichy.
In Africa, nel maggio 1943, venivano conquistati dagli americani il Marocco e l’Algeria; e grazie all’arresa degli italo-tedeschi anche la Tunisia.
Presero avvio con il 1943 le conferenze interalleate nella quali venivano discusse le imminenti questioni del conflitto. La prima di queste si tenne a Casablanca tra Churcil e Roosevelt che fece emergere "quella questione del secondo fronte" che avrebbe dominato i rapporti tra gi alleati fino alla conclusione del conflitto. Gli americani infatti erano favorevoli a concentrare lo sforzo militare in uno Sbarco in Francia per aprire un nuovo fronte contro la Germania; mentre Churcil credeva fosse meglio uno sbarco nei Balcani così da impedire che le truppe sovietiche si impadronissero di quell’area.
Lo sbarco in Italia, deciso nella conferenza TRIDENT nel maggio 1943, tra Roosevelt e Churcil, si presentava come un fronte di secondaria importanza rispetto a quello francese o dei Balcani. Era una soluzione di compromesso imposta dalle circostanze ma che non corrispondeva alle visioni strategico – politiche degli Usa, dell’Inghilterra e dell’URSS.
Le operazioni militari proseguirono con molta prudenza nel sacrificare uomini e mezzi e ci vollero più di due anni per risalire l’intera penisola imponendo enormi sofferenze al popolo italiano.
Torna all'indice
La guerra in Italia e la resistenza
Il deterioramento del rapporto tra fascismo e opinione pubblica fu causato dal fallimento militare e dai sacrifici che dovette sostenere la povera gente. Tutto ciò spinse gli italiani a credere che la guerra fosse inutile e che responsabile di questo malessere fosse Mussolini ed il Fascismo.
L’opinione popolare finiva per coincidere con quella della monarchia e degli alti gradi dell’esercito, convinti che il prolungarsi della guerra avrebbe esposto le istituzioni a grave rischi. Riprese così l’opposizione antifascista, da ricordare il Partito d’Azione il cui obiettivo era quello di riunire la tradizione liberal-democratica ed esigenze del moderno socialismo creando una nuova Repubblica fondata su una nuova Costituzione.
Da ricordare pure gli scioperi del marzo 1943 sollevati, contro il regime, dal partito comunista, unico rimasto operante ma clandestino, a cui aderirono gli operai della FIAT e di altre fabbriche.
Nel frattempo a Roma si cercava la soluzione più rapida per mettere fine al Regime ed uscire dalla guerra. Le forze antifasciste si riorganizzarono e tramite Bonomi fecero sentire la loro voce presso il Re. Caduta Pantelleria il 10 luglio gli americani sbarcarono in Sicilia.
Mussolini nell’incontro con Hitler del 19 luglio, preferì non affrontare il discorso di una pace separata dell’Italia e ciò indusse il Re ad accelerare i tempi di una destituzione di Mussolini. Il 19 luglio veniva bombardata Roma.
Con la riunione del Gran Consiglio del Fascismo, tenutasi nella notte tra il 24 e il 25 luglio, Ciano, Grandi e Bottai, preventivamente accordati, rivedevano il ruolo di Mussolini (in pratica le dimissioni) e affidavano tutti i poteri alla Corona. Nel pomeriggio del 25 luglio il Re incontrò Mussolini e gli comunicò la sua volontà di sostituirlo con il maresciallo Pietro Badoglio. Alla fine dell’incontro, ad aspettare il Duce, vi era un drappello di carabinieri che lo arrestarono e lo portarono a Ponza.
Per una sorta di congiura era caduto il fascismo. Badoglio si rivelò subito un fallimento e le sue decisioni disastrose. Nel messaggio radio del 25 luglio Badoglio dichiarava di proseguire la guerra con la Germania. I tedeschi preoccupati della cattura di Mussolini, a scopo cautelativo, fecero affluire in Italia notevoli contingenti militari che assunsero di fatto il controllo militare dello Stato.
Finiti questi 45 giorni (periodo che va dalla caduta del fascismo, 25 luglio, all’armistizio), gli alleati passavano dalla Sicilia alla Calabria. L’armistizio "senza condizioni" veniva firmato tra l’americano Eisenhower e Castellano a Cassibile il 3 settembre 1943 ma annunciato solo l’8.
Senza lasciare alcun ordine, il Re e Badoglio cercarono di mettersi in salvo lasciando Roma per raggiungere Pescara e successivamente Brindisi, protetti dagli alleati. La Capitale rimase quindi nelle mani dei tedeschi , i quali furono vanamente contrastati da deboli eserciti o da cittadini scesi spontaneamente in strada.
Molti soldati furono catturati dai tedeschi, gli altri senza ordini, non sapendo cosa fare cercarono in ogni modo di tornare vivi a casa.
Il 12 settembre 1943, Mussolini trasferito a Campo Imperatore, venne liberato magistralmente dai tedeschi e nei giorni successivi, lui, annunciò nel territorio occupato dai tedeschi, la nascita della Repubblica Sociale Italiana (Salò). Questo però non era il Mussolini di una volta, anche nei filmati luce a noi pervenuti, si nota che la sua forte personalità era pesantemente oppressa dal controllo tedesco. L’unico gesto clamoroso che fece, fu il processo intentato a Verona contro De Bono, il suo genero, Galeazzo e Ciano, i quali furono fucilati con l’accusa di tradimento.
Gli alleati giunsero a Napoli il 1 ottobre 1943 dopo che la popolazione aveva già cacciato da sola i tedeschi. Fino al giugno 1944 i combattimenti tra alleati e tedeschi si svolsero lungo la linea GUSTAV che divideva i territori liberati e restituiti all’amministrazione italiana con la nascita del "Regno del Sud" da quelli ancora occupati dai tedeschi.
In ottobre il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, così da entrare nelle grazie americane e spianare la strada ad eventuali trattative di pace.
Il congresso dei partiti comunisti che si tenne a Bari nel gennaio 1944, ritenne essenziale, per ritornare alla democrazia, l’abdicazione del Re e la costituzione di un governo espressione di tutte le forze democratiche.
Le opposizioni a questo tipo di soluzione erano appoggiate anche dagli alleati che temevano un’incontrollabile crisi politica. Questa situazione di forte tensione si sbloccò a marzo con la "Svolta di Salerno" con la quale l’URSS riconobbe il governo Badoglio costringendo gli USA a fare lo stesso e contemporaneamente il leader comunista Pietro Togliatti affermò di essere pronto a collaborare senza pregiudizi con Badoglio ed il Re. In aprile fu costituito il nuovo governo con a capo Badoglio, appoggiato dalle forze antifasciste e dal Re il quale si impegnava a trasferire i propri poteri al figlio Umberto, non appena Roma fosse stata liberata. Si stabilì inoltre che, del mantenimento o meno della monarchia si sarebbe discusso solo alla fine della guerra e con un referendum popolare.
Dopo lo sbarco di Anzio avvenuto nel gennaio del 1944 ci vollero più di sei mesi per liberare Roma a causa dell’accanitissima resistenza tedesca. Ad agosto si liberò pure Firenze; poi il fronte si stabilizzò lungo l’appennino tosco-emiliano (linea GOTICA) superato solo nell’aprile del 1945.
A Roma dopo che i poteri erano passati dal Re al figlio Emanuele, si ebbe la formazione di un governo Bonomi appoggiato dai socialisti, dai comunisti, dai democratici, dagli azionisti, dai liberali e dai democratici che avevano dato vita al Comitato di Liberazione Nazionale.
Sull’evoluzione della situazione politica pesava adesso, anche l’andamento della lotta partigiana sviluppatesi in tutta l’Europa e soprattutto nell’Italia del centro-nord che ancora era in mano tedesca.
Per la loro guerriglia si distinsero le Brigate Garibaldi e le Brigate Giustizia e Libertà legate agli ideali di Carlo Rosselli e del partito d’Azione. La resistenza assunse un enorme significato morale e politico e voleva l’affermazione di nuove istituzioni politiche e sociali. Ciò agitava i comandi alleati preoccupati dell’avvento delle teorie socialiste e proprio per questo motivo non aiutarono molto i partigiani anzi li invitarono ad abbandonare la lotta.
Torna all'indice
Il crollo della Germania e del Giappone
Nella conferenza di Teheran svoltasi alla fine del novembre 1943 parteciparono Roosevelt, Churcil e Stalin e si discusse riguardo all’apertura di un nuovo fronte che fu deciso in Normandia nonostante Churcil pensasse che fosse più opportuno aprirlo nei Balcani.
Il fronte italiano venne declassato, probabilmente dipese anche da questo gli anni impiegati per la liberazione italiana.
Si discusse pure del futuro assetto dell’Europa: i Paesi vincitori avrebbero diviso la Germania in Stati; la Russia teneva i territori occupati con il patto Ribbentrop-Molotov e la Polonia avrebbe integrato parte del territorio tedesco.
Con gli accordi monetari firmati a Bretton Woods nel luglio 1944 fu definito un sistema di cambi fisso che aveva come suo punto di riferimento non più solo l’oro ma anche il dollaro che diventava in questo modo il fondamentale mezzo di scambio dell’economia capitalista occidentale.
Mentre i Russi nella prima metà del 1944 riconquistavano le città occupate dai tedeschi, gli alleati comandati da Eisenhower, il 6 giugno sbarcavano in Normandia. L’operazione vide impegnati più di mezzo milione di soldati approdati utilizzando una poderosa flotta. Il 15 agosto si aprì un’ulteriore fronte, questa oltre nel sud della Francia "operazione Avil"al quale aderirono pure le forze "della Francia liberata" comandate dal generale De Gaulle. Il 24 agosto 1944 dopo più di due anni di occupazione tedesca, Parigi veniva liberata.
Hitler decise di resistere ad oltranza sperando nelle armi di nuova concezione (missili V1 e V2) capaci di colpire direttamente il suolo Inglese. La guerra però era perduta. Si pensò di eliminare Hitler e il 20 luglio si ci era quasi riusciti. L’attentato però fallì e moltissime furono le fucilazioni e gli arresti ordinati da Hitler sempre più desideroso di continuare nel conflitto.
Adesso gli americani erano indecisi su da farsi: da una parte si voleva liberare prima il Belgio e l’Olanda per poi passare all’occupazione della Germania; l’altra parte preferiva occupare subito Berlino per poi eliminare i rimasugli di resistenza nazista.
Non appariva chiaro il comportamento tenuto dai Russi davanti a Varsavia che sapendo del loro arrivo era insorta sotto la guida della resistenza non comunista rimasta in contatto con il governo in esilio a Londra. Le truppe russe restarono ad attendere, nei sobborghi di Varsavia, consentendo ai nazisti la repressione dell’insurrezione. Rimase così il dubbio se ciò fosse accaduto per difficoltà militari o per annientare le forze del movimento antinazista i ispirazione non comunista.
I governi filotedeschi di Romania, Bulgaria e Ungheria, conclusero armistizi con gli alleati. Churcil e Stalin nell’incontro di Mosca dell’ottobre 1944 definirono le sfere di influenza: Romania e Bulgaria sotto influenza russa; la Grecia sotto controllo Inglese; Ungheria e Yugoslavia divise in ugual modo tra Inghilterra e Russia.
A Yalta nel febbraio 1945 si discusse della Polonia; l’accordo raggiunto fu però assai vagoe prevedeva la formazione di un governo costituito da antinaziti e sucessivamente gli elettori polocchi avrebbero dovuto decidere da soli il loro governo. In realtà accordi segreti lasciavano il via libera all’avanzata russa.
Si parlò anche della Germania e della divisione in zone d’occupazione a cui doveva seguire una completa smilitarizzazione. Si satbilì che a governarla dovesse esserci un Consiglio di Sicurezza composta da 16 membri + 5 appartenenti a Usa, Urss, Cina, Francia ed Inghilterra e le decisioni dovevano essere prese con il consenso unamine delle grandi potenze mondiali.
Mentre gli angloamericani fronteggiavano l’ultima disperata controffensiva tedesca nelle Ardenne, l’esercito russo avanzava da est. Le città tedesche furono bombardate per mesi e mentre gli angloamericani si erano stanziati come d’accordo nella linea del fine d’Elba, i russi entravano nell’ormai distrutta Berlino dove Hitler insieme ad altri gerarchi nazisti si era dato la morte all’interno del bunker della cancelleria.
In Italia veniva varcata la linea Gotica e le varie città, sotto l’appello del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia si liberarono; prima Bologna, poi Milano, Genova e Torino. Il CLNAI assunse i poteri civili e militari delle citta liberate.
Mussolini in fuga verso la Svizzera venne arrestato dai partigiani e fucilato.
L’8 maggio 1945 la Germania con Donitz firmava la resa incondizionata che poneva fine alla guerra in Europa.
Sul fronte orientale, per evitare la lunga durata e le inevitabili perdite umane, Henry Truman, successo a Roosevelt, si prese la responsabilità ed utilizzò le terribili bombe atomiche facendole sganciare su Hiroschima e Nagasaki intorno il 10 agosto 45. Il 2 settembre il Giappone firmava la resa incondizionata mentre si dava inizio all’era atomica!.
Torna all'indice

Esempio



  


  1. Perla Di Felice

    appunti sulle scoperte della seconda rivoluzione industriale