crisi del '29 politica economica di lenin stalin mussolini hitler

Materie:Riassunto
Categoria:Storia
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Testo

La crisi del ’29 e il New Deal americano
1. Economia e società fra le due guerre mondiali
- fine del primato economico dell’Europa e inizio del primato americano;
- grave crisi del sistema industriale occidentale;
- sviluppo della produzione di massa e nuove forme di organizzazione del lavoro;
- processo di modernizzazione economica-sociale favorito dalla 1° GM.
La 1° guerra fu combattuta su territorio europeo, assorbendone le risorse economiche, mentre gli altri stati aumentavano la produzione e il commercio mondiale. Il primato economico passò agli Stati Uniti che, al termine della guerra, erano i maggiori creditori mondiali. Il sistema economico-finanziario europeo si legò a quello americano, soprattutto per quanto riguarda la Germania. Nel corso degli anni ’20 la ripresa economica europea fu graduale, tuttavia il sistema economico internazionale era precario. Il principio gold standard faceva corrispondere il valore delle monete all’oro presente nelle casse dello stato, la guerra esaurendo le riserve di oro europee, costrinse i paesi belligeranti a stampare carta moneta in eccesso rispetto al valore dell’oro presente nelle casse, provocando l’inflazione. Si abbandonò il sistema gold standard e si adottò come moneta di riserva la sterlina, ma ben presto anche questa moneta dovette essere svalutata. Nell’economia internazionale mancava una potenza in grado di garantire, con la propria economia, stabilità finanziaria.
2. Le contraddizioni dell’economia americana
Tra il ’22 e il ’29 il boom economico americano fu caratterizzato dal dominio del Partito Repubblicano (Harding-Hoover) favorevole al capitalismo (proprietà privata dei mezzi di produzione), trascurando la classe operaia. Di orientamento conservatore e autoritario, la società americana accentuava il suo conformismo attraverso scelte contraddittorie come il proibizionismo, che alimentò l’illegalità. Nonostante ciò il reddito nazionale aumentò, come la produzione, e i profitti. Era l’epoca dei consumi di massa e dei beni di consumo durevoli. Dal ’29 si aprì una crisi economica che ebbe ripercussioni anche in Europa. Economisti e storici dichiarano che si trattò di una crisi di sovrapproduzione, amplificata dalla speculazione sui titoli azionari.
3. I punti deboli del sistema economico americano
La crescita della produzione era stata superiore a quella dei salari, il potere d’acquisto della popolazione era minore rispetto al valore della produzione offerta sul mercato, da qui l’indebolimento della domanda. Il mercato era saturo. Emersero difficoltà nel settore agricolo che, durante la guerra, era molto produttivo. I paesi esportatori di cereali, trovandosi davanti un mercato ampio e prezzi crescenti, effettuarono investimenti, indebitandosi con le banche. La ripresa agricola europea costrinse i coltivatori americani a ridurre investimenti e consumi.
4. Speculazioni e facili guadagni
I profitti industriali venivano dirottati verso la Borsa (mercato di scambio delle azioni), i finanzieri avviarono un gioco di speculazione borsistica al rialzo: compravano azioni facendone crescere il prezzo e rivendendole, guadagnando la differenza. Molte persone investivano per ottenere un guadagno immediato. Ingenti capitali europei, disponibili dalla ripresa economica dopo la guerra, arrivarono a Wall Street.
5. Crollo del’29
A questo enorme incremento del mercato finanziario, non corrispondeva una aumento della ricchezza. Il 24 ottobre 1929 (giovedì nero) l’indice di Wall Street iniziò a cadere: venivano offerte più azioni di quante ne venissero richieste, la tendenza al rialzò si invertì. Gli speculatori vendevano e il valore delle azioni diminuiva.
La recessione negli Stati Uniti
Si innescò una reazione a catena: i risparmiatori si precipitarono a ritirare i propri depositi, le banche ridussero i prestiti, ci fu una crisi della liquidità. La domanda diminuì, le industrie ridussero la produzione, emerse il problema della disoccupazione.
6. Le conseguenze della crisi del ’29
- Le importazioni americane diminuirono;
- si interruppe il flusso di capitale statunitense verso l’Europa;
- caduta dei commerci internazionali;
- in Gran Bretagna paralisi del commercio internazionale, sua principale fonte di reddito;
- la Francia subì le conseguenze dal ’34, quando gli altri paesi si riprendevano;
- in Germania e Austria l’economia, sorretta dai capitali americani, venne sconvolta. Questo favorì l’ascesa al potere del regime nazista.
La crisi causò instabilità economica/politica, spinse gli stati alla chiusura economica con il protezionismo, accentuando la concorrenza.
Tutti gli stati adottarono come criterio l’accrescimento del ruolo dello stato nell’economia, incapace di riequilibrarsi autonomamente.
Negli Stati Uniti venne eletto nel ’32 il democratico Roosevelt che diede il via al New Deal, nuovo corso.
7. Il New Deal, un nuovo corso economico-sociale
La crisi provocò un ripensamento delle teorie economiche. L’economia, abbandonata a se stessa, era precipitata in un baratro da cui occorreva farla uscire attraverso una diversa linea di politica economica. Fu soprattutto l’economista inglese Keynes a sostenerne la necessità.
Keynes sosteneva che lo Stato non doveva intervenire solo per alleviare la disoccupazione attraverso lavori pubblici, ma anche concedendo crediti a basso interesse e favorendo una politica di alti salari, intesa ad accrescere il consumo, e quindi ad allargare il mercato interno. Allo stesso modo, occorreva favorire una equa redistribuzione del reddito, introducendo imposte progressive, che colpissero le rendite improduttive. Per Keynes lo Stato non doveva assumere le funzioni dei capitalisti privati, ma solo correggere gli squilibri e le distorsioni di un’economia priva di regole.
Il New Deal fu il programma economico elaborato da Roosevelt (e dal suo brain trust) che introduceva nel sistema capitalistico americano l’intervento dello stato nell’economia, con il sostegno della domanda, misure di controllo del capitalismo americano, per la ripresa economica (industriale-finanziaria), e introduzione di una legislazione sociale. Si abbandonò il legame dollaro-oro e si lasciò che il dollaro si svalutasse per favorire le esportazioni. Roosevelt instaurò un rapporto con i sindacati, investì in opere pubbliche per diminuire la disoccupazione, sostenne l’aumento dei salari per favorire l’aumento dei consumi e della domanda.
8. Bilancio del New Deal
I risultati del “New Deal” furono inferiori alle attese: i problemi economici erano ancora consistenti; tuttavia una piena ripresa economica si verificò solo con l’aumento della produzione dovuto alle produzioni belliche nell’imminenza della 2°GM. Roosevelt venne riconfermato nel ’36, ’40, ’44, egli non metteva in discussione l’iniziativa privata e il sistema capitalistico, che uscì dal New Deal rafforzato e non appianò i dislivelli sociali all’interno del paese, a danno delle masse povere, neri e immigrati.
Politiche economiche di Lenin, Stalin, Mussolini, Hitler
9. Lenin
L’impero russo era vasto ma arretrato e lo Zar deteneva il potere. Tra gli oppositori del regime zarista c’erano:
1. occidentalisti, proponevano l’Europa come modello di sviluppo;
2. slavofili, rifiutavano il capitalismo e l’industrializzazione (detti populisti perché idealizzavano il popolo contadino;
3. marxisti, miravano ad una rivoluzione borghese, democratico-liberale, come base per la rivoluzione socialista.
Nel 1989 i socialisti russi fondarono il Partito Socialdemocratico che dal 1903 era diviso al suo interno da una maggioranza i bolscevichi (rivoluzionari) capeggiati da Lenin, che voleva guidare gli operai all’abolizione della proprietà privata e alla collettivizzazione dei mezzi di produzione; e una minoranza i menscevichi (riformisti) capeggiati da Martov, che volevano realizzare riforme sociali/politiche accettando l’alleanza con la borghesia.
Con la rivoluzione del 1905 venne creato il soviet, consiglio dei lavoratori presieduto dal menscevico Trockij.
Con la rivoluzione del febbraio 1917 il regime zarista fu sostituito dalla repubblica; il potere venne assunto da un governo provvisorio borghese, e dal soviet di Pietrogrado.
Nell’aprile 1917 Lenin presentò, al partito bolscevico, le sue tesi d’aprile: pace, potere ai soviet operai, terra ai contadini. I bolscevichi, inizialmente in minoranza nel governo provvisorio Kerenskij, conquistarono la maggioranza nell’ottobre 1917, attuando un’occupazione strategica del Palazzo d’Inverno, sede del governo stesso. I primi provvedimenti del governo bolscevico furono:
1. nazionalizzazione delle banche;
2. la gestione delle fabbriche agli operai;
3. il decreto sulla pace, invitava i paesi belligeranti a una pace immediata;
4. decreto sulla terra, aboliva la proprietà privata della terra.
Lenin, all’elezione per l’assemblea costituente era in minoranza, così nel 1918 la sciolse adottando il principio di dittatura del proletariato, contro la democrazia borghese. Il Partito Comunista bolscevico avendo promesso al popolo la pace, la ottenne nel 1918 a Brest-Litovsk, a condizioni durissime che alimentarono le armate bianche (controrivoluzionarie), appoggiate dalle potenze occidentali, e si scontrarono con le armate rosse di Trockij. La guerra civile si concluse nel ’20 con la vittoria delle armate rosse. Nel 1922 nacque l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), regime di carattere autoritario.
Nel 1917, quando i bolscevichi salirono al potere, le condizioni economiche russe erano pessime:
• i contadini producevano per l’autoconsumo e non rifornivano le città;
• l’inflazione era elevata;
• il controllo operaio nelle fabbriche era fallito.
Per far fronte alla guerra civile, Lenin attuò il comunismo di guerra, politica economica autoritaria:
• la terra fu nazionalizzata, le industrie statalizzate, il libero mercato venne soppresso a favore del controllo dello stato in tutti i settori dell’economia.
Questa politica da un lato assicurò il rifornimento agli eserciti nel periodo di guerra civile, dall’altro provocò l’opposizione contadina. Lenin propose nel 1921 la Nuova Politica Economica (NEP), dopo aver appurato che in occidente era fallita la rivoluzione, e l’URSS sarebbe rimasto l’unico stato socialista in Europa:
• possibilità per i contadini di vendere le eccedenze del raccolto;
• legalizzazione del commercio spicciolo, in modo da stroncare il mercato nero;
• lo stato controllava le medie/grandi industrie e si creò un sistema di produzione misto, statale e privato.
Conseguenze positive della NEP:
• Le condizioni dei contadini migliorarono e la produzione agricola aumentò;
• le potenze occidentali, interpretando la NEP come un ritorno al capitalismo, riconobbero il governo sovietico e ripresero le relazioni diplomatiche/commerciali
Conseguenze negative della NEP:
• difficoltà di scambio fra città e campagna, poiché l’economia era manovrata in parte da aziende statali e in parte private;
• i prezzi dei prodotti industriali erano bassi rispetto a quelli agricoli e ciò causò l’aumento dei prezzi agricoli;
• la ripresa industriale era bloccata dalla mancanza di capitali.
Bucharin vedeva nella NEP l’unica via per lo sviluppo del paese, mantenendo il consenso dei contadini.
Trockij sosteneva la necessità di accelerare l’industrializzazione trasferendo la ricchezza dall’agricoltura alle industrie.
10. Stalin
Alla morte di Lenin nel 1922, si aprì la lotta fra Stalin e Trockij, per assumere la guida del partito, che aveva assunto sempre più carattere autoritario e centralista. Controllare il partito significava controllare lo stato e la società, Stalin ebbe la meglio. Con la crisi economica del 1927, la NEP venne accusata dai bolscevichi di aver penalizzato la grande industria. Stalin decise di realizzare il controllo completo dell’economia da parte dello stato con l’attuazione dell’:
• industrializzazione forzata, dal 1928 al 1939 vennero attuate una serie di trasformazioni economiche/sociali:
- 1928 primo piano quinquennale per l’industria, che favoriva l’industria pesante;
• mobilitazione ideologica, l’industrializzazione prevedeva uno sforzo produttivo e investimenti enormi. Il regime organizzò un’abile operazione di propaganda per motivare e mobilitare gli operai; in pochi anni l’URSS si trasformò in una potenza industriale;
- 1932 secondo piano quinquennale, avrebbe dovuto porre le basi del socialismo, ma fu interrotto dallo scoppio della 2°GM;
• collettivizzazione forzata, l’agricoltura venne piegata alla necessità dell’industria, le terre vennero confiscate ai kulaki e i contadini trasferiti forzatamente nelle fattorie collettive.
Negli anni ’30 ogni possibile opposizione a Stalin venne eliminata. Il paese progredì economicamente, ma fu cancellata ogni libertà. L’URSS divenne uno stato totalitario, lo stato esercita il controllo della società e della vita dei cittadini.
• Mussolini
Dal ’23 al ’25 Mussolini seguì una politica liberista: libertà agli imprenditori, facilitazioni fiscali per le imprese, prestiti di capitali agli imprenditori per agevolare produzione e investimenti.
Dal 25’ al ’26 iniziò la fase corporativa ovvero la gestione diretta dell’economia da parte delle categorie produttive, sotto il controllo dello stato.
Dal 1926 il regime attuò il dirigismo economico, con il protezionismo e l’autarchia. Per ridurre le importazioni, il regime, lanciò la battaglia del grano e la bonifica integrale, in modo da migliorare la produttività agricola e ridurre la dipendenza alimentare dalle importazioni.
Per ridurre l’inflazione, Mussolini rivalutò la lira, con il protezionismo tutelò i settori industriali più forti e, difese i piccoli risparmiatori.
Le ripercussioni della crisi del ’29 in Italia si sentirono maggiormente tra il ’31 e il ’35: si accentuò il corporativismo e portarono a compimento l’indirizzo dirigistico e autarchico dell’economia (avviati nel ’25-’26).
Lo stato fascista si assunse il compito di gestire i settori produttivi e controllare il sistema bancario.
Fu costituito l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) ente di credito di stato; e l’Istituto per la ricostruzione Industriale (IRI) che consentì di salvare molte industrie precarie.
L’autarchia si consolidò, le importazioni e le esportazioni cessarono.
Lo stato fascista divenne uno stato-imprenditore, ma la pressione dei principali gruppi economici rimaneva forte.
L’impresa coloniale in Etiopia rientrò nella politica del dirigismo economico, promossa con lo scopo di allargare le opportunità di mercato per le merci italiane.
• Hitler
Nel nazismo esisteva un legame molto stretto fra economia, politica, ideologia e guerra: il deficit pubblico creato per finanziare le spese presupponeva una politica estera aggressiva, rivolta alla conquista di una posizione di supremazia nell’economia e nelle relazioni internazionali, che permettesse alla Germania di espandersi per sfruttare nuove ricchezze.
Il regime attuò una politica di dirigismo, la costante presenza dello stato accentuò il carattere monopolistico del capitalismo: si instaurò un legame fra interessi dei grandi gruppi industriali e le scelte economiche del regime che avevano 4 obiettivi principali:
1. il superamento della crisi economica provocata dal crollo del ’29;
2. il raggiungimento della piena occupazione attraverso l’avvio di imponenti lavori pubblici;
3. la preparazione della Germania alla guerra e il rilancio dell’industria pesante con la politica del riarmo;
4. il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare grazie al costante controllo, da parte del Reich, del settore agricolo
Lo stato totalitario assunse quindi, dall’ascesa di Hitler nel 1933, il pieno controllo anche dell’economia (oltre che della politica e della società):
- tutta la produzione fu organizzata secondo le finalità dell’economia di guerra, l’obiettivo era quella di raggiungere l’autosufficienza comprimendo le importazioni e favorendo la produzione interna.
Tutta l’economia era monopolizzata del regime che tra il ’34 e ’35 varò leggi che:
- impedirono la libera scelta del posto di lavoro;
- istituirono il servizio di lavoro obbligatorio per i giovani fra 18 e 25 anni.

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