A proposito di neo-imperialismo: tema di storia

Materie:Tema
Categoria:Storia
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Testo

Casonato Elena

A PROPOSITO DI “NEOIMPERIALISMO”….

Riflettere sulle reali cause delle guerre dei nostri giorni significa anzitutto prendere atto che, molto spesso, esse vengono combattute in paesi del mondo ricchi di importanti risorse naturali.
Il Word Watch Institute di Washington ed altre istituzioni internazionali hanno negli ultimi anni approfondito l’analisi di molti conflitti in atto ipotizzando che proprio l’obiettivo di controllare quelle ricchezze starebbe all’origine delle guerre fra Stati, ma soprattutto di tante guerre civili.
A quest’ultimo proposito la Banca Mondiale è arrivata persino a formulare una preoccupante teoria, nota come “greed versus grievance”, secondo la quale le popolazioni dei Paesi del Terzo Mondo ricchi di risorse naturali sarebbero a maggior rischio di guerre, e paradossalmente destinati alla povertà, in quanto l’avidità di gruppi di ribelli determinati a controllare il lucroso commercio di preziose materie prime starebbe all’origine dei conflitti interni (ad esempio in Angola, in Sierra Leone ed in Liberia con riguardo al traffico di diamanti); e nel contempo quel commercio sarebbe inevitabilmente destinato a finanziare con i suoi illeciti proventi le guerre civili stesse.
Questa teoria è stata giudicata da una parte eccessivamente riduttiva, laddove giunge ad escludere ogni connotazione ulteriore di tipo politico o etnico ai conflitti interni, e d’altra parte è stata criticata in quanto trascurerebbe il ruolo negativo ed ulteriori responsabilità riconducibili anche ai governi locali (inetti, corrotti, non democratici) ed a Paesi terzi, che pure trarrebbero vantaggi economici in danno delle popolazioni locali.
Portando l’attenzione appunto al ruolo dei Paesi progrediti nelle guerre civili del nostro tempo, di quegli Stati che in apparenza “stanno solo a guardare” da lontano, c’è subito da chiedersi se si rinvengano o meno oggi sulla scena mondiale fenomeni assimilabili all’imperialismo moderno del XIX° secolo che, non più aggressivo e supportato da motivazioni politiche e sociali come in passato, rispondeva prevalentemente alle esigenze di allargamento dei mercati che all’epoca provenivano dalle forze economiche e finanziarie dei Paesi europei, come del resto era stato anche per l’America.
Lo studioso John Atkinson Hobson ebbe allora a teorizzare, non senza critiche, come “sovrapproduzione” e “capitale eccedente”, che non riuscivano a trovare solidi investimenti all’interno di quei Paesi, stimolarono “una politica di espansione politica così da integrare le nuove aree”. A lui deve essere in ogni caso riconosciuto il merito di aver proposto per primo un’interpretazione economica dell’imperialismo. Altre ne seguirono e vi fu chi come Lenin sostenne nell’omonima opera che l’imperialismo rappresentasse la “fase estrema del capitalismo”.
Ora, al di là di teorie che sono state e saranno più o meno smentite dai fatti, si può concludere riconoscendo che l’imperialismo del XIX° secolo si è all’evidenza evoluto fino ai giorni nostri senza perdere nella sostanza il connotato fondamentale di rispondere prevalentemente a logiche ed interessi economico-finanziari.
Questo di conseguenza significa che le condizioni per il realizzarsi di una cultura della pace dipendono, prima di ogni altra cosa, da un riequilibrio delle risorse economiche a favore delle popolazioni numerosissime di tanti Paesi “poveri” anche se ricchi di risorse, che siano equamente ricompensate per quanto di prezioso viene loro tolto e possano così progredire e raggiungere una soglia minima di benessere.
Ma è realistico pensare che ci siano – oppure interverranno in un prossimo futuro - le condizioni perché “sfruttamenti” di ogni genere, che durano da oltre un secolo, possano arrestarsi?

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