"La popolazione nella storia d'Europa" di Massimo Livi Bacci

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Categoria:Storia
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Testo

Isabella Polettini – 3aF

“La popolazione nella storia d’Europa”
di Massimo Livi Bacci

1 - L’Autore

Uno dei maggiori storici e demografi contemporanei, Massimo Livi Bacci (Firenze, 1936) è ordinario di Demogrfia nella facoltà di Scienze politiche nell’Università di Firenze. Nella sua vastissima bibliografia, ricordiamo: Introduzione alla demografia (1990), Storia minima della popolazione del mondo (1998), La popolazione italiana dal Medioevo a oggi (1996).

2 - Sintesi

L’opera è suddivisa in sette capitoli, ognuno dei quali tratta un aspetto diverso della storia dell’Europa dal punto di vista demografico.

1 - NUMERI

Questa sezione, è essenzialmente usata dall’autore a scopo introduttivo: spiega i criteri di scelta dei dati inseriti, e a grandi linee l’argomento che verrà successivamente trattato, la fortissima crescita demografica della popolazione europea dall’anno mille al XX secolo, e le sue principali cause.
All’inizio del millennio da poco terminato, il nostro continente contava in totale qualche decina di milioni di abitanti. Come si è potuto passare da un numero così esiguo a quello attuale, di 800 milioni? Nella storia delle popolazioni si riscontrano sia casi di lunga e sostenuta crescita che casi di lunga e sostenuta diminuzione, ma la potenzialità biologica della specie umana di riprodursi e sopravvivere è una costante: ciò che varia sono i comportamenti e le manifestazioni concrete in funzione dell’ambiente, delle condizioni di vita e dei comportamenti sociali. In altre parole le trasformazioni demografiche sono il risultato della combinazione tra le forze di costrizione (spazio, clima, patologie, terra, energia, alimenti, insediamenti) e le scelte operate dalle persone. In determinati momenti storici, la popolazione si adatta all’ambiente, adeguando la propria velocità di crescita e le proprie dimensioni ad esso.
Questo saggio studia la dinamica di lungo periodo e si snoda in un intervallo di svariati secoli. Nella prima parte ci si concentra sull’antico regime, che prevale fino all’inizio della rivoluzione industriale. Il tasso di sviluppo di quest’arco di tempo si può definire lento, se messo in relazione con la crescita demografica dell’ultimo cinquantennio: in alcuni paesi poveri arriva fino al 4 per cento annuo. Bisogna però rendersi conto che, in questa fase, in circa 200 anni la popolazione totale europea è raddoppiata, e considerando che il numero è stato fortemente condizionato dal fattore epidemico ed emigratorio, ci accorgiamo che l’aumento è fortissimo, sapendo che la società poggiava su un’agricoltura quasi sempre di sussistenza, praticata dalla maggioranza della gente.
La seconda parte esamina l’arco si tempo dall’800 ai nostri giorni. Anche qui l’analisi è di tipo macro, o aggregativa, che trascura le particolarità locali dei piccoli paesi lasciando spazio alle larghe tendenze e differenziazioni territoriali, soprattutto tra le nazioni, con riferimenti all’insieme della popolazione.

2 - SPAZIO

Nei regimi demografici antichi, la popolazione dipendeva quasi totalmente dalla terra, da essa si ricavavano gli alimenti, le materie prime e l’energia. Per questo motivo è fondamentale capire in quali modi avveniva la conquista degli spazi aperti, che talvolta necessitavano d’interventi umani per potervi praticare l’agricoltura. Dal punto di vista geografico l’Europa ha due caratteristiche favorevoli al popolamento: l’esteso sviluppo costiero e fluviale in rapporto alla superficie del territorio, che ha reso alto il grado d’accessibilità del continente per uomini e cose; e l’influenza atlantica, che favorisce un clima temperato in tutta la parte occidentale.
Tra l’inizio del millennio e il XVIII secolo, la popolazione si è triplicata grazie ad una maggiore disponibilità di terreno coltivabile. L’estensione dei coltivi si articola su tre direttrici, che si muovono verso est: quella meridionale, lungo la via naturale del Danubio, in direzione delle pianure dell’Ungheria; quella intermedia, che si sviluppava nei territori aperti dei Paesi Bassi alla Russia occidentale, infine quella più settentrionale, che evitava i territori paludosi e le foreste della Germania che rendevano difficili le migrazioni e gli insediamenti e correva lungo la costa Baltica. Intorno al 1300 si colloca il processo di graduale riconquista da parte delle popolazioni germaniche dei territori occupati dalle etnie slave, e della Reconquista spagnola. Questo è il culmine del processo che ha portato alla fondazione di numerosissimi insediamenti urbani nell’Europa centrale; basti pensare che nell’ultimo decennio dell’1300 furono create più di 250 nuove città. I movimenti migratori interni cessano con la fine del Medioevo, quando la geografia umana del continente risulta stabilizzata e l’armatura urbana consolidata.
Per intensificazione dell’insediamento, s’intende il diboscamento, il recupero di incolti e la bonifica. La configurazione territoriale talvolta ha reso indispensabili queste opere artificiali per permettere l’agricoltura, particolarmente in aree quali le vaste foreste dell’Europa centrale o la Maremma in Toscana.
Per riassumere, l’aumento di terra da coltivare poteva avvenire essenzialmente in tre modi: in primo luogo, attraverso l’espansione dei coltivi esistenti per iniziativa individuale, a spese dei boschi o degli incolti prossimi agli insediamenti; in secondo luogo per mezzo della fondazione di villaggi o castelli da parte di signori, ordini monastici e cavallereschi, municipalità, e messa a coltura delle terre circostanti e intercalari tra nucleo e nucleo; in terzo luogo con la bonifica di terre paludose e, in ogni modo, poco adatte alla coltivazione.

3 - ALIMENTI

L’abbondanza o la scarsità d’alimentazione è il fattore condizionante principale dei cicli di crescita e contrazione di un popolo. Essa condiziona i fattori di scelta, perché la mancanza di cibo può spingere le persone a migrare in nuovi territori o cambiare occupazione, oltre che essere la causa principale di malattie e di conseguenza alta mortalità. Per riassumere il tutto in una catena logica si può dire che:
• La disponibilità di alimenti è collegata con i livelli di nutrizione
• I livelli di alimentazione determinano l’andamento della mortalità non solo nel breve periodo, ma anche nel lungo, poiché la malnutrizione crea le condizioni per l’insorgere di patologie che accentuano i rischi di morte
• Le alterne vicende della mortalità sono alla base della fluttuazioni e dei cicli di tasso d’incremento.
Il popolo ha vissuto quasi sempre nelle ristrettezze alimentari, cibandosi soprattutto di pane, ricavato dai cereali e, dopo la scoperta dell’America, di patate e mais. Ma le disuguaglianze sociali erano assai marcate, infatti alcuni esponenti delle classi privilegiate assumevano fino a 7000 calorie giornaliere, costituite per la maggior parte da carne, alimento del quale i ceti meno abbienti non hanno mai potuto godere. Quando un’annata era sfavorevole, i prezzi si alzavano bruscamente, e di conseguenza anche la mortalità. Ma la carestia aveva anche altri effetti demografici: la caduta dei matrimoni e dei concepimenti e, quasi sempre, un’accresciuta mobilità di affamati, poveri e mendicanti.

4 - MICROBI E MORBI

Esiste una sindrome di arretratezza, riconducibile essenzialmente alla combinazione di povertà di beni materiali e scarsità di conoscenze, che costituisce il più forte elemento di costrizione della crescita demografica. La trasmissibilità dei microbi dipende dalle caratteristiche di questo fattore: in primo luogo dalla maggiore o minore dotazione di beni e dai comportamenti di produzione e di consumo che ne seguono; in secondo luogo dal livello delle conoscenze, in particolare di quelle che si riferiscono alla trasmissibilità delle malattie e alla loro cura.
Alcune tra le malattie più diffuse furono: il tifo, la sifilide, il vaiolo, il “sudore inglese” (sweating sickness), il colera, la febbre gialla, l’influenza, la diarrea e la pellagra. Ma di sicuro il primo posto per il morbo più letale spetta alla peste bubbonica: mieté milioni di vittime in tutta Europa, arrivando in molti casi a dimezzare il numero di abitanti di alcune città. Questa malattia può essere trasmessa in due modi: con il contatto di animali infetti, come il topo o la pulce o stando vicino a persone ammalate. Vi furono, a partire dalla seconda metà del XIV secolo, diverse ondate di peste, che infuriarono periodicamente per tre secoli; le ultime epidemie furono nel 1600, quando la patologia diventò endemica e non provocò più una così alta mortalità.

5 - SISTEMI

Per “sistema” s’intende il combinarsi di comportamenti demografici secondo regole e relazioni stabili nel tempo.
• Il MATRIMONIO fu il principale regolatore del flusso delle nascite in società che non avevano ancora scoperto o adottato il controllo volontario delle nascite. La nuzialità di una popolazione può scomporsi in due fattori principali: l’età media al primo matrimonio e la misura del nubilato definitivo. Le variazioni di nuzialità avevano effetti sia sulla fecondità che sul tasso di crescita.
• L’ammontare delle nascite era quasi completamente dipendente dalla FECONDITA’ legittima e dalla frequenza delle donne coniugate. Occorre precisare che non esistevano metodi di contraccezione, e che quindi una donna sposata continuava ad avere figli per tutto il suo periodo di attività biologica. L’unico fattore che contrastava una nuova gravidanza era l’allattamento, per questo si può dire che la fecondità naturale ha una relazione anche con la mortalità infantile, perché la nascita e la sopravvivenza di un bambino poteva alterare i comportamenti sessuali della coppia.
• I livelli di MORTALITA’ INFANTILE erano elevatissimi nel regime antico, normalmente morivano, entro il primo anno di vita, tra un quinto e un terzo dei neonati. E’ presumibile che la salute del bambino, e la sua sopravvivenza, dipendessero in parte dalla salute della madre e dalla sua nutrizione, a loro volta connesse al livello di nutrizione della collettività, ricollegandosi al discorso sugli alimenti.
• Le MIGRAZIONI hanno sempre avuto una funzione riequilibrizzatrice essenziale nella storia della mobilità, che sia essa di lungo raggio o stagionale, in funzione del lavoro. Spesso si tratta di un processo di osmosi tra aree contigue, per uniformare la densità di popolazione, oppure dell’esilio di un’intera etnia che va ad occupare uno spazio rimasto fino a quel momento disabitato.

6 - LA GRANDE TRASFORMAZIONE (1800-1914)

Nel XIX secolo la situazione cambia: migliorano le condizioni di vita, inizia un sistema caratterizzato da alta sopravvivenza e bassa riproduttività e orientato alla stazionarietà. L’insieme dei mutamenti tecnologici e produttivi che vanno sotto il nome di rivoluzione industriale, comporta un rapido cambiamento nei modi di vivere. La conversione di materia inanimata in energia meccanica controllata determina la fine della dipendenza dalla produzione energetica dalla disponibilità di terra, necessaria per sostentare gli animali da trazione e da trasporto e per fornire combustibile. Migliora il tenore di vita: il reddito pro capite triplica in poco meno di un secolo. I ritmi interconnessi tra natalità e mortalità cambiano profondamente: il numero di nuovi nati è inferiore, anche grazie alla scoperta della contraccezione volontaria, ma la durata media della vita umana si alza considerevolmente, provocando un fortissimo aumento demografico. Ora non si bada più al numero di bambini che nascono, ma alla qualità della vita.
Con l’avvento delle macchine l’agricoltura diventa più produttiva e gli spazi coltivabili vengono sfruttati in maniera migliore, perciò le crisi di sussistenza che causavano gravi carestie nei secoli precedenti scompaiono quasi completamente. Il livello d’igiene delle abitazioni aumenta, grazie alla disponibilità di denaro, e anche questo fattore concorre all’attenuata gravità delle malattie, che colpiscono sempre meno persone. Inoltre nell’800 nasce la medicina moderna, con particolare importanza della vaccinazione, grazie alla quale peste e vaiolo gradualmente scompaiono.

7 - FINE DI UN CICLO

L’ultimo capitolo del libro giunge alle conclusioni in maniera logica e riassuntiva, spiegando le conseguenze di tutti gli avvenimenti precedenti, attraverso la presentazione dell’ultimo secolo: dalla prima guerra mondiale al 2000. Dall’800 la popolazione totale dell’Europa è quadruplicata, nonostante l’alto numero di vittime delle due grandi guerre. Ciò è dovuto all’abbondanza di risorse umane, nonché al processo di crescita economica che è proseguita a ritmo avanzato dalla fine del secondo conflitto mondiale agli anni ’90. L’emigrazione verso gli Stati Uniti è rallentata, il numero di nascite annuali ha raggiunto livelli stabili: la crescita dei paesi si è avviata alla stabilizzazione, sempre più vicina al livello 0.
Si possono individuare tre fasi cronologiche significativamente diverse: la prima copre il periodo tra le due guerre, marcato dalle perdite demografiche del primo conflitto mondiale, dalla fine della grande emigrazione, da un ripiegamento interno delle demografie nazionali non più rese comunicanti dal congelamento dei flussi migratori, conseguenza della grande depressione. La seconda fase, introdotta dal deficit demografico della seconda guerra mondiale e dal riassetto dei confini, è caratterizzata da una ripresa demografica attivata e ben metabolizzata dalla forte crescita economica dei paesi dell’Occidente europeo, dalla ripresa delle migrazioni internazionali oltrechè dalla mobilità interna; questa fase dura fino all’inizio degli anni ’70 e può farsi terminare con la crisi energetica e industriale e con lo spegnersi delle migrazioni interne al continente o provenienti da paesi vicini. La terza fase occupa gli ultimi tre decenni del secolo, segnata dalla bassissima fecondità, dal precipitoso invecchiamento, dalla graduale chiusura ai movimenti migratori dall’esterno.

3 - Tesi principale dell’opera

L’autore, attraverso lo studio dei dati oggettivi relativi alla crescita demografica europea, vuole farci scoprire le origini e le basi su cui poggia la nostra società. Dal punto di vista puramente tecnico ed economico l’Europa ha subito un graduale processo di aumento della popolazione, miglioramento delle condizioni di vita e cambiamento culturale. Oggi ne possiamo capire le conseguenze osservando l’economia, la distribuzione dei popoli, e anche le tradizioni del nostro continente.

4 - Osservazioni personali

Considero il libro di Massimo Livi Bacci un’ottima fonte di informazioni sulla storia europea, presenta i dati in modo chiaro ed esauriente, spiegando le motivazioni e le vere cause degli avvenimenti che si sono succeduti. Ho apprezzato particolarmente la presenza di numerosi schemi, grafici e tabelle, che integrano con dei supporti visivi i semplici numeri che altrimenti sarebbero difficili da interpretare.
L’analisi storica è eseguita in modo molto approfondito, considerando tutti gli aspetti e le variabili che concorrono alle variazionio aimenti demografici, e analizzando tuttofondito, considerando tutti gli aspetti e le variabili che concorrono alla modific demografiche, e analizzando in modo sistematico i comportamenti e le forze di costrizione che influiscono sulle masse popolari. Anche l’aspetto biologico della ricerca, come ad esempio le sezioni riguardanti le malattie o la fecondità, è trattato con perizia, nonostante l’autore non si occupi generalmente di questa materia.
Ciononostante ho trovato questo libro molto povero di informazioni sull’ambito dei valori, sull’aspetto personale delle vicende. L’autore tratta gli europei antichi in modo freddo e distaccato, con dati e semplici presentazioni degli avvenimenti, senza indagare sull’aspetto psicologico. Non mi è piaciuta la maniera in cui parla della mortalità infantile, spiegando che nell’antichità si badava più alla quantità di bambini che alla “qualità”, vale a dire la salute, perciò la mortalità era così alta. Mi sembra un affermazione assai crudele e limitativa: se non si sono rinvenute spiegazioni riguardanti i motivi di questo alto tasso, è ingiusto dare la colpa ai costumi dell’epoca, perché non credo che siano mai esisti né esisteranno genitori che ragionino in quel modo.
Ciò che mi ha più colpito di più è che non si limita a dare dei giudizi del genere solo su persone lontane nel tempo e nello spazio, ma il discorso ha questa impostazione anche nella sezione dal secondo dopoguerra in avanti: in questa classificazione siamo tutti compresi, anche l’autore, mi ha meravigliato che abbia il coraggio di sintetizzare la vita umana tenendo i sentimenti in così poco conto.
In ogni modo reputo La popolazione nella storia d’Europa un buon libro, e ne consiglierei la lettura a tutti coloro che ne vogliono sapere di più sugli avvenimenti del millennio appena passato.

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