Tesina sull'architetto Mario Botta

Materie:Tesina
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

BIBLIOGRAFIA:
➢ SERIE DI ARCHITETTURE "MARIO BOTTA" (ZANICHELLI, A CURA DI EMILIO PIZZI)
➢ MARIO BOTTA "ARCHITETTURE 1960-1985"
(ELECTA, A CURA DI FRANCESCO DAL CO)
BIOGRAFIA DI MARIO BOTTA:
1943_ Nato a Mendrisio (Canton Ticino) il 1° aprile.
Scuola primaria a Genestrerio.
Scuola secondaria a Mendrisio.
1958-61_ Tirocinio di disegnatore edile presso lo studio di architettura Carloni e Camenisch a Lugano.
1961-64_ Liceo artistico a Milano.
1964-69_ Studi all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia.
1965_ Pratica di lavoro presso lo studio di Le Corbusier nel progetto del nuovo ospedale a Venezia.
1969_ Incontro con Louis Kahn a Venezia e collaborazione per l'allestimento dell'esposizione del progetto per il nuovo Palazzo dei Congressi. Laurea all'UIA a Venezia. Relatori: Carlo Scarpa e Giuseppe Mazzariol. Inizio dell'attività professionale con uno studio a Lugano.
1970_Inizia attività didattica e di ricerca con conferenze, seminari e corsi di architettura in numerose Scuole di Architettura d'Europa, Asia, Stati Uniti e America Latina.
1976_ Professore invitato a l'Ecole Polytechnique Fèdèrale di Losanna.
1982-87_ Membro della Commissione Federale Svizzera delle Belle Arti.
1984_Membro onorario dell'AIA (Honorary Fellow of The American Institute of Architects).
1985_Premio architettura Beton.
1986_Chicago Architecture Award. Mostra al Museum of Modern Art di New York.
1987_Professore invitato alla Yale School of Architecture di New Haven, Connecticut.
1989_Baksteen Award della Royal Dutch Brick Organization dei Paesi Bassi. Premio CICA (comitato internazionale dei critici d'architettura). Biennale internazionale di architettura, Buenos Aires. Professore onorario. Scuola de Altos Estudio del CAYC, Buenos Aires.
CASA UNIFAMILIARE A RIVA SAN VITALE, CANTON TICINO
1. L'IMPORTANZA DEL LUOGO E IL RAPPORTO CON L'AMBIENTE:
Botta tra architettura e paesaggio, tra architettura e luogo individua un reciproco rapporto di dare e avere; se l'architettura ha bisogno di un luogo, è soprattutto il luogo ad aver bisogno dell'architettura per trovare una precisa identificazione: la casa unifamiliare di Riva San Vitale, nella ricca geografia del paesaggio ticinese si propone come punto fisso, punto di riferimento e di lettura per l'intero paesaggio che la circonda ("l'architettura non è uno strumento per costruire in un luogo, ma è lo strumento per costruire quel luogo"). Di conseguenza un luogo non si da in astratto, restituito dalla cartografia, ma esiste in quanto luogo determinato, qualificato dal fatto architettonico che ne coglie l'intima vocazione. Trasformare e prefigurare un equilibrio diverso da quello dato, significa rompere tale stato di equilibrio, a volte operando in maniera traumatica. Il territorio reca tracce profonde degli interventi dell'uomo susseguitesi nel corso del tempo, mentre oggi un diffuso atteggiamento di sfiducia verso ogni nuova trasformazione o forma d'espressione ha portato a privilegiare la difesa dell'esistente, e ha negato l'idea della possibilità di una trasformazione continua. Una volta stabilita la legittimità di un nuovo intervento, Botta concepisce il progetto come una scelta capace proporsi non quale integrazione, ma come occasione di confronto rispetto alla situazione data. Lo sforzo che Botta compie è volto a riaffermare che vocazione dell'architettura è di tornare a confrontarsi con il suo territorio, con il contesto "naturale" e con quello urbano, poiché paesaggio e città forniscono al progetto i termini e i luoghi nei quali esprimersi. La casa di Riva San Vitale, la cui pianta misura 10 m per lato circa, con la sua presenza ha modificato la percezione di un brano caratteristico del paesaggio ticinese. La piccola "torre" che si contrappone così diversa agli elementi naturali, all'andamento del terreno, alla superficie lacustre, stabilisce una sorta di confine ideale all'espansione del villaggio vicino e si propone come contrappunto rispetto alla chiesa che sorge a mezza costa sulla sponda opposta del lago di Lugano. Per accentuare la pregnanza di simili interventi circoscritti, rappresentati per lo più da case unifamiliari, l'architettura di Botta non accoglie quegli elementi tradizionali che possono conferire ai progetti una scala precisa, e ricondurli così alle dimensioni proprie della normale edilizia residenziale che li circonda. Infatti, le aperture, le finestre e le porte paiono scomparire, annegano nel gioco tra i pieni e i vuoti dei volumi, così come sono abbandonati gli spazi di mediazione tra edificio e intorno: se il tema del giardino è ignorato, il rapporto con il contesto naturale è però sottolineato dall'evidenza delle scelte di scala rapportate al paesaggio. In ogni occasione, viene così reinventato il rapporto con il terreno, che si traduce nel radicarsi delle costruzioni nella terra e nell'esaltazione formale di tale presa di possesso. L'articolazione di queste immagini disseminate nel paesaggio viene attentamente costruita attraverso i percorsi di avvicinamento: un ponte o il declinare delle curve di livello permettono di scoprire le facciate che dominano la valle. I percorsi continuano poi entro la casa, fino a riproporre la vista del paesaggio ora inquadrato da grandi logge o da piccole aperture. La costruzione del paesaggio e quindi l'identificazione del luogo non si risolvono solo in questo rapporto di ordine visivo. Che si tratti di piccoli edifici o di progetti più complessi, vi è alla base del lavoro di Botta la medesima inclinazione a scomporre analiticamente il contesto, nel tentativo di definire le singole parti e i campi d'influenza, a cui il progetto provvede a rispondere per elementi diversi.
2. UBICAZIONE:
Ai piedi del monte San Giorgio, sulle rive del lago di Lugano, la casa stabilisce un gioco dialettico con l'ambiente, enfatizzato dalla minima occupazione del terreno (100mq circa su 850mq a disposizione) e dal sottile ponte metallico che stabilisce il rapporto fisico della casa con la montagna. In questa torre l'insieme degli scorci visuali subisce una dilatazione. Qui il tema di un coinvolgimento più ampio dell'edificio con la dimensione del territorio al contorno si arricchisce grazie anche agli ampi vuoti con cui viene scavato il volume del prisma. L'impianto, a base rigorosamente quadrata, al cui centro è collocata la scala, anch'essa a base quadrata, si modifica a vari livelli con densità via via decrescenti del volume abitabile, che lasciano il posto a terrazze interne e a vuoti sui quali si affacciano i diversi locali.
3. LE APERTURE E LA FUNZIONE DELLA LUCE:
Rinunciando alla successione delle finestre, Botta è indotto ad articolare le funzioni assolte dalle aperture tradizionali tramite soluzioni architettoniche diverse. Queste ultime si configurano quali spazi di mediazione, oppure come piccole aperture nei muri, ma, soprattutto, si risolvono nel privilegio accordato alla fonte di luce zenitale, cui è demandato il compito di illuminare e far vivere sia le parti più nascoste che quelle più importanti dell'edificio. La riduzione e la concentrazione in pochi punti delle aperture e il rafforzarsi della presenza dei muri esterni si accompagnano così alla creazione, all'interno della casa, di pareti vetrate che si affacciano su logge, ovvero spazi di relazione protetti lateralmente, coperti, orientati verso il paesaggio esterno, che formano un "microclima" intermedio tra l'interno e l'esterno, veri e propri prolungamenti dell'habitat interno; questo tipo di illuminazione lascia filtrare una luce schermata, già regolata dai muri esterni. In questo modo le aperture e i tagli ricavati sui diversi fronti del volume esterno offrono scorci prospettici che mutano secondo il punto di vista ora in direzione del lago, ora della montagna, ora verso i prati o ancora verso il bosco a nord; mentre al contempo, la presenza delle quinte, costituite dagli spigoli in muratura che sorreggono in alto la copertura, rafforza il senso di protezione degli spazi aperti, recuperandoli alle funzioni dell'ambiente domestico. Analizzando l'opera di Botta, come nel trattamento dei muri e delle aperture si nota la tendenza a semplificare i problemi riportandoli al loro contenuto originario di rapporto tra pieno e vuoto, così anche per quanto concerne il trattamento della luce si può osservare come tenda a coincidere con un elemento fondamentale della strategia messa in atto per organizzare e definire lo spazio. In quest'opera emerge immediatamente l'idea della "casa dentro la casa". L'importanza dell'elemento di mediazione tra interno ed esterno viene immediatamente percepita da Botta, che lo arricchisce sino a recuperare la tradizione dei porticati e delle logge, e a proporlo come uno spazio autonomo che avvolge la casa vera e propria. All'immediatezza della transizione tra interno ed esterno si sostituisce così una graduale sequenza di soglie, di passaggi, in grado di creare percorsi che attraversano i volumi. La casa unifamiliare potrebbe quindi essere pensata come casa di vetro protetta da un involucro murario, a partire appunto dal modello rappresentato dalle logge tradizionali, capaci di proteggere dalle intemperie le retrostanti pareti vetrate. La presenza e le dimensioni delle aperture, inoltre, stabiliscono la gerarchia delle facciate. L'architettura di Botta presuppone una progettazione estremamente precisa del rapporto verso l'esterno, il quale piuttosto che concretizzarsi in aperture indifferenti verso il paesaggio, si esprime in chiusure selettive di alcune parti, rifiutando il panorama, per privilegiare una veduta.
4. L'ELEMENTO MURARIO:
Il muro non è soltanto un fatto costruttivo ma rappresenta l'elemento di separazione tra spazio interno ed esterno. L'immagine e la funzione del muro sono componenti primari dell'architettura di Botta, che utilizza la muratura come strumento privilegiato per la creazione di un microclima. Secondo una visione assai poco "moderna", il muro esprime la volontà di separazione, in opposizione al pilastro che afferma la volontà d'integrazione tra lo spazio interno e quello esterno. Il muro permette una definizione dei volumi, caratterizzati da forme primarie, e stabilisce un preciso rapporto con il contesto. I progetti più complessi di Botta si risolvono sempre in un'aggregazione di volumi primari, che rispetto al paesaggio o alla città si pongono come manufatti dotati di una solida presenza fisica. Con l'inclinazione al pieno e al massiccio, le opere dell'architetto ticinese intendono esprimere un'idea di forma e di protezione, che il muro materializza nelle modalità dell'abitare, acquisendo significati morali e valori simbolici. La tendenza ad attribuire uno spessore sempre maggiore al muro corrisponde al desiderio di sottolineare anche formalmente la separazione tra interno ed esterno. Questa tendenza ad evidenziare la differenza rifiuta strumenti usuali: Botta, infatti, utilizza muri pieni, ignorando a differenza di molte architetture contemporanee, il vetro e le trasparenze, che implicano in ogni caso l'utilizzazione di particolari fonti energetiche per assicurare il comfort agli ambienti interni. Secondo un'immagine che l'architetto ticinese ama ripetere, la casa non può essere concepita come un "grande ammalato" alimentato da condotti, ma deve ritrovare una propria realtà fisica da contrapporre all'ambiente esterno. Il desiderio di conferire sempre maggiore importanza al muro si scontra però con le condizioni dell'operare contemporaneo, che rendono problematica la realizzazione di murature massicce: è per questo motivo che Botta adotta la soluzione del doppio muro contenente l'isolamento termico.
5. LA DISPOSIZIONE DEI LOCALI:
L'accesso all'edificio avviene dall'alto attraverso una passerella che enfatizza il distacco dall'ambiente esterno con attimi di suggestiva sospensione nel vuoto, prima di approdare al coperto nella parte alta del bastione e immettere poi agli ambienti interni. Lo sviluppo verticale della casa (che deriva dall'influenza di Le Corbusier) è mantenuto nell'organizzazione funzionale: nella parte alta a quota 0.00 m si trovano l'atrio d'ingresso, uno studio con terrazzo coperto e la scala che porta ai piani inferiori, dove sono distribuite per due piani le diverse camere: a quota -2.46 m troviamo appunto la camera dei genitori, il bagno adiacente e un balcone anch'esso coperto, sopra il quale è posta la passerella; a quota -4.92 m troviamo invece la camera dei ragazzi, un piccolo bagno ad essa adiacente e un locale per lo studio che si affaccia sul soggiorno a doppia altezza (4.92 m) del piano inferiore. Questi livelli sono parzialmente aperti e comunicanti con la zona sottostante di pranzo e soggiorno a quota -7.30 m, mentre gli impianti tecnici e di servizio sono alloggiati nel piano seminterrato: l'altezza di questo piano rimane costante a 2.26 m come tutti gli altri piani, eccetto la zona caldaia alta 2.47 m che abbassa leggermente la zona soprastante dove è posto il camino.
6. IL SISTEMA COSTRUTTIVO:
Il sistema costruttivo è in pareti esterne ed interne portanti, in blocchi di cemento a vista dello spessore di 50 cm, internamente tinteggiati di bianco. I solai sono in calcestruzzo armato con superficie a vista sui plafoni. I piani sono collegati tra loro attraverso un collegamento verticale. Il corpo delle scale è di forma parallelepipeda con base quadrata (2.05 x 2.05 mq) con un anima centrale, anch'essa di forma quadrata (0.57 x 0.57 mq); inoltre ogni piano ha un pianerottolo di base, che regola l'accesso ai locali del piano stesso, e due pianerottoli intermedi. Nell'architettura di Botta, quindi, la scala (oltre alle aperture) è il segnale più evidente di una ricerca tesa a configurare una precisa gerarchia interna degli spazi e a dar loro un'organizzazione prevalentemente verticale. Il tetto è costituito da una copertura piana con isolamento termico e impermeabilizzazione; ma come i muri portanti vengono sottoposti a un'opera di erosione, così anche il tetto viene scavato e presenta un foro di 3.00 m di diametro dal quale si eleva il camino fino ad un'altezza di 1.00 m. I serramenti sono realizzati con profilati di ferro dipinti di nero con vetri a doppia camera, mentre i pavimenti, nei locali abitabili, sono realizzati con tavelle di argilla cotta. La passerella è costituita da profilati di ferro di 6.5 cm per lato, verniciata di rosso, mentre il piano di calpestio è di grigliato zincato (misure della passerella 18.20 x 1.10 x 2.20 m). Tutta la costruzione, è stata realizzata con materiali "poveri" cercando di mettere in evidenza qualità e struttura.
7. L'ORIENTAMENTO:
Per quanto riguarda l'orientamento, la vista dal lago presenta la veduta del fronte est, mentre la vista opposta (quella della montagna) la veduta del fronte ovest. Lungo l'asse nord- sud (con il sud rivolto verso valle), invece, è possibile notare il profilo della passerella e il declinare delle curve di livello dalla montagna verso il lago.
8. CONTESTO STORICO-CULTURALE:
La casa di Riva San Vitale è stata progettata da Botta nel 1971, con la collaborazione di Sandro Cantoni, su commissione di Carlo e Leontina Bianchi; la costruzione risale invece al 1972/73. Botta antepone la fiducia nella tettonica del muro alla razionalità dello scheletro, privilegiando la lezione kahniana a quella lecorbusieriana. La colonna o il pilastro sono destinati a fini prevalentemente decorativi. Se l'ombra è completamento essenziale per la percezione della luce, il muro è la figura che materializza il vuoto. Il disegno di Botta è attratto dalle figure capaci di separare, disporre, ordinare. Per tali ragioni, quindi, contro le convinzioni diffuse nella pratica contemporanea favorevole alla progressiva smaterializzazione degli involucri edilizi, l'architetto ticinese tenta di ricondurre, tramite tecniche ed immagini tradizionali, la costruzione a riconoscersi nelle virtù dei propri materiali. Osservando gli studi attraverso i quali quest'opera si viene definendo, sorprende la varietà delle tematiche sondate prima di giungere alla configurazione di un'immagine rigorosa, che si realizza in un difficile equilibrio di proporzioni. Ricercando tale stabilità, Botta abbandona l'ipotesi di utilizzare per la casa di Riva una copertura simile a quella costruita da Le Corbusier per la Maison De L'Homme, a Zurigo. L'edificio finisce così per presentarsi come una torre solitaria. Libera dall'abbraccio della natura, la casa si radica bruscamente al suolo, avendo come fine primario quello di esibire la propria diversità. In tal modo l'architettura, ancora una volta, stabilisce un rapporto biunivoco con il luogo. Il trattamento dei materiali, dal calcestruzzo agli infissi in ferro verniciato, non è incline ad alcun compiacimento. Le manipolazioni e gli scavi operati nei volumi mettono a nudo in facciata l'intelaiatura portante, trattata come una loggia gigante che accoglie un gioco di sprofondamenti. L'insieme si squaderna in una sorta di catalogo, costruito con una sapiente successione, di citazioni lecorbusieriane, stando anche a quanto gli ambienti interni confermano. All'edificio, inoltre, si accede dal piano superiore, scendendo poi attraverso una serie di successione di piattaforme libere, illuminate da numerose aperture. Da Le Corbusier, inoltre Botta coglie l'insegnamento concernente la logica della forma architettonica, in rapporto con la luce, orientamento, clima e materiali. L'assemblaggio geometrico, dal quale emerge la soluzione angolare studiata per il principale corpo di fabbrica, che comporta l'isolamento di una libera forma parallelepipeda su cui poggia la copertura, è di derivazione Kahniana.
L'ARCHITETTURA DI MARIO BOTTA:
CASE UNIFAMILIARI
Linee marcate che staccano netti profili di una sagoma che si ritaglia nella natura circostante; superfici scolpite da geometrie regolari che rimandano il riflesso della luce in un gioco di vibrazioni luminose; la penombra di un recesso che ti accoglie al coperto e ancora dall'interno grandi visoni degli spazi che hai appena lasciato, inquadrato dalle linee semplici di muri, archi, pilastri. L'incontro con uno degli edifici progettati da Mario Botta suscita in ognuno, sensazioni ed emozioni profonde. Interrogandoci su queste sensazioni riusciamo a cogliere la complessità di un segno apparentemente semplice, di un ordine compositivo che appare scaturito dagli stessi materiali che lo compongono. Da lontano le linee geometriche dei volumi primari ci avvertono di una presenza inconsueta che tuttavia appare radicata da sempre in quel luogo, sfidando il tempo e il contagio di un'umanizzazione del territorio sempre più disordinata e casuale. Questa sensazione di perennità è merito del Botta che dedica una straordinaria attenzione al sito ogni volta che si accinge a collocare sul territorio una nuova casa. Inoltre questa sensazione esprime l'opposizione decisa alla natura che da sempre contraddistingue ogni atto dell'uomo, con manufatti che rifiutano ogni compromesso mimetico e di rassegnata accettazione di regole insediative correnti, resa ancor più evidente dall'uso di forme primarie: il cubo, il cilindro, il prisma triangolare. Forme attraverso le quali è possibile cogliere quel "carattere arcaico del nuovo", identificabile in una quarantina di edifici nell'arco di un trentennio, quindi una ricerca che affonda le sue radici nella storia dell'architettura, reinterpretando forme ed elementi propri della tradizione rurale unitamente ad archetipi e segni della cultura architettonica. Il tema della casa unifamiliare diviene così l'occasione per una riconsiderazione dei valori dell'abitazione, della loro origine antica e del loro impoverimento ad opera della civiltà del nostro tempo. Ognuna delle case che Mario Botta realizza, contiene gli elementi di questa reinvenzione; in ciascuna di esse sono ricomposti gli spazi elementari, che riprendono la semplicità e l'ordine delle costruzioni tradizionali. Una casa che si afferma come residenza stabile, come rifugio in cui l'architettura "difende, rassicura, dura", in opposizione al tipo di residenza della villa, identificato solo quale luogo rappresentativo di una certa condizione sociale. Attraverso l'aggiunta di spazi- filtro esterni viene a modificarsi la condizione di rigida separazione fra interno ed esterno, riproponendo una nuova funzionalità per l'intero organismo. Le grandi aperture protette e arretrate, così come i piccoli spiragli e le feritoie che interrompono la continuità dei muri, divengono punti di osservazione privilegiata sul paesaggio circostante, ne introiettano la presenza all'interno misurandone l'essenzialità. Questa relazione con l'esterno viene rafforzata anche dai grandi lucernari posti sulla copertura e dalla loro continuità, realizzati lungo la sezione longitudinale, riportandovi oltre la luce anche altri elementi come la pioggia, la neve e la grandine. Fragili membrature che riconnettono parti solide e ancora compatte: come un guscio incrinato che si sta dischiudendo, l'architettura di questi edifici sembra veder contrassegnare la nascita di un uomo nuovo, in cui l'esigenza di un rifugio, di una protezione, cede il posto a uno spirito di rinnovata fiducia e apertura verso il mondo esterno. Architettura saldamente ancorata alla terra del Ticino, alla straordinarietà di questi luoghi dove le ombre allungate, che la montagna ritaglia sul paesaggio, rendono la luce una cosa preziosa e indispensabile alla vita. Un'architettura generata da questa terra, ma un'architettura che sembra travalicare i confini per divenire il simbolo di una nuova condizione dell'abitare.
POLITECNICO DI MILANO
INGEGNERIA EDILE – ARCHITETTURA
Storia dell’architettura
MARIO BOTTA, CASA UNIFAMILIARE A RIVA S. VITALE
Di Paolo Bellatti & Luca Cusini
INDICE GENERALE
RELAZIONE
CASA UNIFAMILIARE A RIVA S. VITALE
Importanza del luogo e il rapporto con l’ambiente
Ubicazione
Le aperture e la funzione della luce
L’elemento murario
La disposizione dei locali
Il sistema costrittivo
L’orientamento
Contesto storico culturale
L’ARCHITETTURA DI MARIO BOTTA: CASE UNIFAMILIARI
L’ADESIONE AL “MODULOR” E AL “MODERNISMO”
BIOGRAFIA DI MARIO BOTTA
BIBLIOGRAFIA
ELABORATI TECNICI
PIANTA A QUOTA + 3.89 m
PIANTA A QUOTA + 0.00 m
PIANTA A QUOTA – 2.46 m
PIANTA A QUOTA – 4.92 m
PIANTA A QUOTA – 7.30 m
PROSPETTO OVEST
PROSPETTO SUD
PROSPETTO NORD
PROSPETTO EST
SEZIONE
SCHEMA DEI PERCORSI


"Una cosa costruita è infinitamente più ricca delle idee, dei disegni, dei progetti degli architetti stessi. La cosa costruita si arricchisce del rapporto della realtà. Si arricchisce della fatica del lavoro, delle compromissioni che rendono questa idea futuribile, la rendono patrimonio, testimonianza delle contraddizioni, ma anche delle aspirazioni della nostra società."
L'ADESIONE AL "MODULOR" E AL "MODERNISMO"
Il modulo indica un parametro (o unità di grandezza) che viene scelto come riferimento per determinare il coordinamento dimensionale delle parti ai fini del proporzionamento armonico dell'organismo architettonico, oppure per scopi meramente produttivi a livello di sistema costruttivo; costituisce la minima entità dalla cui ripetizione deriva un insieme ordinato, nel quale tutti gli elementi risultano commensurabili (secondo multipli interi o frazioni semplici) con il modulo stesso. Il modulo può concretizzarsi in forme diverse, spesso tra loro interdipendenti, e precisamente: può fare esplicito riferimento ad una unità di misura lineare o "astratta" (come per esempio il piede greco o il cubito romano, oppure di tipo convenzionale, come per esempio il metro), e in tal caso lo si può definire propriamente "modulo-misura", oppure relativa ad una dimensione di un elemento costruttivo facente parte dell'organismo edilizio (per esempio il diametro della colonna nei templi greci; la "testa", cioè la larghezza, del mattone nelle murature tradizionali); può fare riferimento a un'entità piana o spaziale che a sua volta può essere un oggetto concreto materiale definito e ripetibile (per esempio la mattonella come entità piane, il mattone come entità tridimensionale) per cui si parla di "modulo-oggetto reale", oppure può essere puramente geometrica (per esempio un quadrato o un rettangolo di prefissate dimensioni) e in tal caso si ha il "modulo-oggetto virtuale". È evidente che le suddette "forme" del modulo non sempre sono nettamente distinte: esemplificativo in tal senso è il modulo assunto nella definizione degli ordini del tempio greco, cioè il diametro della colonna che non solo corrisponde a una misura, ma si identifica, anche a livello percettivo, con la colonna stessa, e risulta chiaramente leggibile nella composizione d'insieme. La modulazione ha avuto nel tempo finalità e contenuti diversi: per esempio l'uso del modulo risponde principalmente ai criteri e alle regole del proporzionamento armonico nell'architettura classica (emblematica è specialmente l'arte greca), criteri a cui si riconduce in particolare l'opera di trattatisti e artisti del Rinascimento, nella quale la costruzione proporzionata delle forme si raggiunge attraverso un'arte fondata sulla conoscenza scientifica; nel xx° secolo con il fenomeno dell'industrializzazione dell'edilizia il modulo diventa uno "strumento" rispondente a precise esigenze legate alla produzione seriale dei componenti edilizi e all'applicabilità di questi a livello di sistema costruttivo. Premesso che in questo secolo la modulazione mantiene anche il significato di regola di proporzionamento, com'è emblematicamente riscontrabile nell'opera di Le Corbusier, che con la formulazione della scala dimensionale detta "modulor" esprime la volontà di creare spazi architettonici commensurati alle dimensioni della figura umana legate tra loro da un rigoroso rapporto matematico, per l'edilizia industrializzata il coordinamento dimensionale su basi modulari costituisce il legame pratico tra il progetto, la produzione industriale (cioè il mercato) dei componenti, la costruzione propriamente detta (montaggio dei componenti in cantiere) e risulta fattore determinante ai fini dell'applicabilità dei componenti stessi (di dimensioni, appunto, modulari) in organismi edilizi (progettati secondo parametri dimensionali di riferimento impostati sul medesimo modulo) che possono essere di un solo specifico tipo ("industrializzazione a ciclo chiuso") oppure di tipi e categorie differenti ("industrializzazione a ciclo aperto"). In particolare l'adozione di un sistema di coordinamento dimensionale modulare tende a garantire la "combinabilità" sul piano geometrico dei componenti, cioè la loro possibilità di risultare dimensionalmente compatibili e correlabili con altri componenti o insiemi assemblati, alla quale si deve accompagnare l' "accoppiabilità" sul piano costruttivo, intesa come reale possibilità di connessione materiale. Le principali capacità che in questa ottica il modulo deve poter assicurare agli elementi costruttivi prodotti industrialmente possono essere così sintetizzate: l'intercambiabilità, che risponde all'esigenza di consentire al progettista la massima libertà di scelta tra prodotti " paragonabili"; la riduzione della varietà, intesa come possibilità di offrire una gamma di formati sufficientemente ampia ma non illimitata, con lo scopo di una razionalizzazione della produzione ( e di notevole ampliamento del mercato, se il modulo è accettato internazionalmente); la facilità di assemblaggio diretto in cantiere, che permette un'economia di costruzione tramite la riduzione sia dei tempi di montaggio sia degli sfridi. Il modulo base di un sistema di coordinamento dimensionale modulare, in quanto denominatore comune delle dimensioni dei vari componenti, deve essere tanto piccolo da garantire sufficiente flessibilità nelle dimensioni (ovviamente multiple del modulo) dei componenti stessi, ma anche abbastanza grande da evitare un numero troppo elevato delle dimensioni, in accordo con l'esigenza della riduzione della varietà. Nel 1961 la dimensione del "modulo-base" è stata quindi internazionalmente fissata nel sistema metrico decimale in 1 M = 10 cm (corrispondente con buona approssimazione a 4 pollici), che consente di avere rapporti semplici con le dimensioni modulari, eliminando così quote frazionarie. Il semplice modulo-base unitario, comunque, non è sufficiente a fini progettuali e produttivi per realizzare compiutamente e in modo operativamente efficace la semplificazione e l'integrazione che sono all'origine della sua introduzione: tanto a scala di organismo edilizio quanto a livello di componente industrializzato si rende dunque necessario effettuare "scelte multimodulari", cioè riferirsi a valori multipli del modulo-base. È evidente che il passaggio dal modulo-unitario, che intrinsecamente consente di coprire qualsiasi campo modulare, al "multimodulo" (per esempio, 3 M = 30 cm) implica una selezioni delle dimensioni più ricorrenti e più convenienti per le varie categorie di componenti ai fini della loro collocabilità in intervalli o campi modulari di ordine superiore (per esempio, pannelli- facciata da inserire in una data maglia di scheletro portante). Le scelte multimodulari, che comportano una linea o un reticolo piano o un reticolo piano di riferimento preferenziale a seconda che il multimodulo sia ripetuto lungo una, due o tutt'e tre le direzioni dello spazio, possono essere semplici, cioè basate sull'adozione di un multimodulo unico, o composte, cioè con linee o reticoli di riferimento basate sulla combinazione di multimoduli. Le scelte composte possono a loro volta dar luogo ai cosiddetti reticoli "scozzesi" (combinazioni di più reticoli, al limite tanti quanti sono le diverse categorie di componenti da applicare all'organismo edilizio) oppure a "linee o reticoli variabili" secondo il sistema della coppia di numeri per cui, se a e b sono le dimensioni modulari prime tra loro di due componenti, al di sopra del valore critico dato dalla relazione (a-1) (b-1) è possibile coprire con quei soli componenti tutti i campi modulari crescenti in 1M tornando in pratica ad una modulazione impostata sul valore unitario. Si ricorda, infine, che, oltre alla dimensione modulare del componente, devono essere considerate anche la dimensione "nominale" (pari alla differenza tra quella modulare e il "giunto" che consente l'unione con altri componenti) e la dimensione "effettiva" (pari alla nominale +- il valore della "tolleranza" implicita a livello produttivo) alle quali sono legate le effettive capacità di accoppiabilità tra componenti dello stesso tipo o di tipo diverso.
Botta oltre a vivere l'esperienza di un contatto diretto con grandi maestri del Movimento Moderno come Le Corbusier o Louis Kahn partecipa a un ambiente così promettente come quello della scuola ticinese dei Carloni, degli Snozzi, dei Tami, dei Galfetti, dei Vacchini. La critica contemporanea, con giudizio unanime, considera Mario Botta come l'ideale continuatore del messaggio degli ultimi grandi maestri dell'architettura del nostro tempo, una figura che ha avuto la capacità di gettare un ponte fra le utopie del Movimento Moderno e le incertezze proprie del nostro tempo sui destini dell'architettura. All'atteggiamento di fiducia illimitata nelle capacità dell'architettura di anticipare le trasformazioni della storia che ha caratterizzato il declino delle ideologie del Movimento Moderno (che tra l'altro tentava di trasformare l'uomo mediante la rivoluzione dell'architettura e la cancellazione della memoria del passato, minacciando di fare violenza alla dignità umana e alla coscienza della sua identità), Mario Botta oppone la propria sintesi soggettiva solidamente radicata alla consapevolezza della positività del costruire: "Una cosa costruita è infinitamente più ricca delle idee, dei disegni, dei progetti degli architetti stessi. La cosa costruita si arricchisce del rapporto della realtà. Si arricchisce della fatica del lavoro, delle compromissioni che rendono questa idea futuribile, la rendono patrimonio, testimonianza delle contraddizioni, ma anche delle aspirazioni della nostra società". Forte di questo convincimento, egli rivendica un ruolo decisivo per l'architettura quale unica vera interprete della storia, dei mutamenti e trasformazioni del paesaggio che ci circonda, nel rapporto che essa istituisce con il sito, ma soprattutto nella capacità di riassumere antiche vocazioni e nuove aspettative. È al costruire che egli pensa sin dai primi momenti in cui affronta un nuovo tema progettuale, alla importanza del misurarsi con il costruito e con la storia che è in esso: per questo le sue opere hanno la straordinaria capacità di rispecchiare una permanenza e di apparire "amiche" come una presenza di sempre. Con abilità artigiana egli sceglie, tra la babele delle tecnologie disponibili oggi, quelle maggiormente in grado di rappresentare una condizione di durabilità e di solidità e nel contempo quelle che maggiormente si prestano a ripercorrere con nuove forme archetipi antichi, riscattando materiali semplici come il mattone a vista o la pietra o il blocchetto in cemento. Gli edifici acquistano così una solidità che sembravano aver perso definitivamente, i muri tornano ad essere compatti, rassicuranti, richiudendosi agli spigoli in un gesto netto e deciso. Con questi materiali egli inizia un lavoro di affinamento che lo porta a saggiarne di continuo le potenzialità compositive, asservendoli docilmente a un disegno di tessiture sempre mutevole e nuovo.

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