San Liberatore a Maiella

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Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

SAN LIBERATORE A MAIELLA
Nel panorama dell’architettura romanica abruzzese la chiesa di S. Liberatore a Maiella riveste un ruolo di particolare interesse, quale monumento un tempo unito ad un vasto complesso monastico benedettino e in stretto contatto con l’abbazia madre di Montecassino.
L’architettura romanica abruzzese ha inizio proprio con la costruzione delle tre celebri ed importantissime chiese edificate a partire dallo stesso, breve arco di tempo: le cattedrali di S. Panfilo a Sulmona (1075), di S. Pelino a Corfinio (1075) e l’abbaziale di S. Liberatore a Maiella presso Serramonacesca di remota fondazione ma integralmente ricostruita intorno al 1080. Proprio quest’ultima chiesa si imporrà come modello di riferimento dei tanti edifici costruiti tra la fine del XI e la metà del XII secolo in territorio abruzzese, tanto da indurre alcuni studiosi a teorizzare l’esistenza di una “scuola benedettina” di S. Liberatore.
Il monumento, unito un tempo ad un importante complesso monastico benedettino, ha subito nel corso dei secoli numerose manomissioni, distruzioni, rifacimenti e restauri. Oggi non possiamo cogliere che vaghi accenni di quella che doveva essere la ricca e vivace decorazione dell’interno, ma non per questo è venuto meno il fascino della sua intensa spazialità, risultato di due distinte fasi costruttive risalenti all’XI secolo e di una lunga opera di completamento che, a partire dalla torre campanaria, si concluse con la realizzazione della pavimentazione ad opus sectile e con la stesura del ricco apparatopittorico a fresco.
Con il XVI secolo il monumento subì alcune trasformazioni, come testimoniano, ancora oggi, le finestre ad edicola che corrono lungo la zona di coronamento delle pareti della navata centrale. Nel Settecento vi furono altri interventi fino all’abbandono e la distruzione del monastero - favorita anche dall’erosione delle acque del fiume Alento - avvenuta nel secolo successivo.
Nella chiesa di S. Liberatore, edificata da maestranze cassinesi a pochi anni di distanza dalla ricostruzione dell’abbazia madre di Montecassino (1066-1071), è stata riconosciuta, pur all’interno di una concezione progettuale unitaria, una diversità di apporti: influenza della cultura classicistica campana, con scelta dello schema basilica a tre navate e tre absidi, che richiama da vicino le forme dell’architettura romana e paleocristiana; influssi lombardi, evidenti nel motivo ad archetti e lesene della facciata; spunti della cultura centroeuropea, in specie ottoniana, per l’uso dei pilastri quadrangolari invece delle colonne. La chiesa abruzzese si discosta dal modello cassinese soprattutto per l’assenza del grande transetto continuo, qui sostituito dal presbiterio articolato in tre campate che erano certamente coperte a volta – crociere sulle laterali, crociera o forse botte sulla centrale – mentre la navata maggiore aveva un tetto a capriate e le navatelle un controsoffitto piano, che conferiva all’interno l’aspetto di un’antica basilica romana del periodo paleocristiano.
Che i costruttori di S. Liberatore abbiano aderito allo spirito “classico” della casa madre di Montecassino è però dimostrato dall’analisi metrologica e proporzionale dell’edificio che ha condotto all’individuazione dell’unità di misura impiegata nella costruzione della chiesa abruzzese: il cubito di derivazione romana utilizzato anche nel cantiere cassinese. La pianta basilicale è composta inoltre per accostamento di moduli geometrici semplici, quattro quadrati per la navata centrale ed otto ciascuna per le laterali, ed anche sulla facciata e negli alzati interni si può verificare questa classica chiarezza di rapporti.
La pianta della chiesa di S. Liberatore, del tutto priva di transetto ma dotata di semplice presbiterio nonché di una successione di archi su pilastri, è comune a numerose chiese abbaziali. Nel caso abruzzese l’originale scelta di realizzare archi su pilastri anziché su colonne potrebbe essere messa in relazione con esigenze connesse all’alta sismicità del territorio in esame.
L’impianto planimetrico presenta una successione di pilastri a sezione rettangolare sormontati da cornici benedettine, provviste di una fascia inferiore a dentelli, di una intermedia a ovoli e fuseruole, inserita tra due cordoni, posti anche a bordare gli spigoli dell’abaco. Le cornici non si ripetono identiche in tutti i capitelli ma la varietà degli elementi decorativi adottati può essere comunque ricondotta all’interno di un repertorio classico e bizantino. Alla parete di controfacciata sono addossate semicolonne poggiate su un piedistallo poco sporgente. I capitelli, frutto della smussatura degli spigoli di un elemento cubico, sono raccordati al fusto della colonna. Nella zona terminale della navata centrale i pilastri a sezione rettangolare sono sostituiti da sostegni cruciformi che delimitano l’area presbiteriale. L’accentuata inclinazione del piano di calpestio della chiesa risponde ad una precisa scelta progettuale, ribadita dalla differente altezza dei pilastri a cui seguono differenti livelli del piano d’imposta degli archi stessi. Nell’edificio è inoltre piuttosto apprezzabile anche un dislivello trasversale, forse determinato dall’assestamento nel tempo del terreno di fondazione.
Analogamente a quanto accade in controfacciata, l’abside maggiore è inquadrata da due semicolonne con capitelli, nei quali stilizzate e grossolane foglie di palma hanno sostituito le più eleganti foglie di acanto dell’ordine corinzio.
Lungo la navata sinistra si apre poi il portale della sagrestia con architrave a lacunari occupati da fiori scolpiti e circoscritto da un tortiglione continuo che si riallaccia alla decorazione dell’unico stipite rimasto.
Il pavimento della navata centrale della chiesa, trasferito un tempo nella chiesa parrocchiale di Serramonacesca e ricomposto in loco durante gli interventi di restauro degli anni settanta, testimonia la prolungata influenza dei maestri bizantini chiamati dall’abate Desiderio per la realizzazione della chiesa madre di Montecassino. La pavimentazione risale al 1275 al tempo cioè dell’Abate francese di Montecassino Bernardo Ayglerio. L’opera si svolge all’interno di fasce marmoree perimetrali in riquadri ad opus sectile composti in fantasiosi motivi geometrici comprendenti anche il motivo del quincunx, disegno di origine bizantina. Poche sono le tracce della decorazione pittorica che un tempo ornava l’interno della chiesa. È sull’abside centrale che resta la parte più cospicua degli affreschi, commissionati nel XIII secolo ancora una volta dall’Abate Ayglerio. Nell’abside maggiore erano raffigurati alcuni momenti importanti per la storia del monastero come la donazione di cospicue proprietà, la presentazione di Teobaldo a S. Benedetto della chiesa da lui ampliata, ecc. Nonostante lo stato di conservazione, tali affreschi costituiscono un esempio significativo di pittura gotica al tempo di Carlo d’Angiò, il che li rende interessanti per la storia dell’arte dell’intero meridione d’Italia. I dipinti cinquecenteschi riecheggiano invece modi lombardi e veneti riferibili all’incirca al primo ventennio di quel secolo.
All’esterno, la facciata principale della chiesa presenta un tradizionale schema a capanna con articolazioni di poco aggettanti ed incassate. Gli spioventi del tetto, sottolineati sia in corrispondenza della navata centrale che delle laterali da una cornice sostenuta da archetti pensili su mensole, terminano su paraste angolari. Si percepisce nel prospetto una certa difformità tra la parte inferiore, organizzata con arcate cieche su esili semicolonne, riferibile agli influssi altomedievali bizantini, e la superiore dal profilo a capanna con archetti pensili, monofore e lesene. Tra gli interventi di rinnovamento cinquecenteschi vi fu anche la trasformazione del portico un tempo antistante la facciata, le cui tracce ancora visibili indicano che in origine esso doveva allinearsi alla facciata laterale del campanile. Dal modello della chiesa visibile nell’affresco conservato nell’edificio sacro è possibile farsi un idea del portico in periodo medievale. Il piano superiore, aperto in un loggiato formato da sei bifore e da un’arcata ribassata centrale, ricorda le aperture presenti al di sopra del portico della facciata di S. Clemente a Casauria ed occupa la stessa altezza del primo livello del campanile. I capitelli e gli archi sono fasciati da cornici di tipo benedettino e al di sotto della struttura si notano la successione delle tre volte a crociera di copertura.
I tre portali di facciata seguono uno schema di origine romana con un arco di scarico poggiato su architrave. I tre portali scandiscono un ritmo di arcate cieche, le quali occupano circa metà altezza della facciata, organizzate secondo gruppi di 2-4-4-2. Impostate su esili semicolonne con basi e capitelli, le arcate si interrompono in corrispondenza dei portali laterali e di quello centrale. I motivi ornamentali che ricoprono i piedritti, gli architravi e gli archivolti dei portali propongono un disegno a tralci e palmette disposti simmetricamente, in accordo con apparati decorativi tipici anche dei codici miniati cassinesi e di incisioni su legno di ambito benedettino di derivazione bizantina, presenti anche a Montecassino.
È evidente che i portali non appartengono tutti alla medesima fase costruttiva, ma per la diversa vivacità della decorazione si potrebbero pensare coevi: il centrale e quello di destra realizzati intono al 1100, mentre quello di sinistra sembra frutto di un intervento più tardo. Le differenze di quest’ultimo portale risiedono nella decorazione asimmetrica dello stipite destro e nell’appoggio dell’archivolto, non più sull’architrave, ma direttamente sui piedritti.
Le absidi, tangenti l’una all’alta e realizzate in pietra calcarea della Maiella, ripropongono gli stessi elementi decorativi già visti sui restanti prospetti: cornici benedettine poste al di sotto della copertura, archetti pensili e mensole, luci con triplice o duplice risalto.
L’abside maggiore e quella di destra presentano monofore a triplice incasso e gli archetti pensili delle absidi minori, privi di mensole scolpite, sono realizzati a sottosquadro, cioè semplicemente sottraendo materia all’ultimo concio di pietre. Come avviene in facciata, anche nel corpo posteriore gli archetti al di sotto degli spioventi inquadrano un oculo di forma circolare.
La facciata sud-ovest era un tempo parzialmente interrata per un’altezza pari alla zoccolatura visibile attualmente lungo il fronte, oggi interamente visibile grazie ad un percorso che, partendo in corrispondenza delle absidi, giunge ad una scala che circonda la torre campanaria. Gli otto contrafforti, realizzati nel tardo cinquecento per rispondere alla spinte delle nuove coperture a volta delle navate laterali, sono stati resi attraversabili con aperture semicircolari solo nel secolo scorso.
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