Rivoluzione pittorica di Giorgione

Materie:Tesina
Categoria:Storia Dell'arte

Voto:

2.5 (2)
Download:725
Data:26.02.2007
Numero di pagine:28
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
rivoluzione-pittorica-giorgione_1.zip (Dimensione: 2.49 Mb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_rivoluzione-pittorica-di-giorgione.doc     2664 Kb


Testo

La rivoluzione pittorica di Giorgione

Ricerca di Storia dell’Arte
Di
Bolletta Nicola & Perri Lorenzo
Classe IV H
Liceo Scientifico Statale “G. Galilei”
Perugia
Professore Fiorucci Romano

Indice generale
• Contesto storico:
• Rinascimento a Venezia;
• Le innovazioni del periodo di Giorgine:
o Il paesaggio pastorale;
o Il nudo femminile e l’erotismo;
o I ritratti maschili;
o I metodi dei pittori veneziani;
• Giorgine:
• La vita;
• La carriera;
• Le sue opere:
• Alcune delle sue opere più famose;
• Analisi di alcune sue opere:
o I tre filosofi;
o La Tempesta:
• Analisi generale;
• Interpretazione mitologica;
• Interpretazione psicologica;

Contesto storico
Rinascimento a venezia
Venezia è stata sempre mitizzata nei paesi nord europei per il suo indiscusso fascino e, fino a quando le rotte commerciali atlantiche e la concorrenza degli armatori inglesi e olandesi nel Mediterraneo non la spodestarono, fu il principale punto di collegamento con il nord europeo per i commerci delle preziose merci provenienti dall'Oriente. Con le Fiandre (più o meno l'attuale Belgio) e la Germania meridionale tra il XV e il XVI secolo fu particolarmente fitta la rete di rapporti tra i quali particolare rilevanza ebbero quelli artistici.
Nella prima metà del '400 l'arte veneta ondeggiava tra il gotico e gli ultimi influssi bizantini ancora alimentati dai rapporti mantenuti con il Medio Oriente, mentre le novità rinascimentali che Firenze andava proponendo stentavano a prendere piede. L'ambiente artistico era dominato da due famiglie, i Vivarini e i Bellini, che per buona parte del secolo monopolizzarono il mercato artistico con una produzione che si può definire "industriale".
Ma nella seconda metà del secolo l'umanesimo archeologico del Mantegna da Padova (che sposò la figlia di Jacopo Bellini), gli interventi di artisti toscani quali Paolo Uccello, Agostino di Duccio, Andrea del Castagno, Leonardo da Vinci, di architetti come il Ghiberti, l'Alberti e Michelozzo, la grande sensibilità del più giovane della famiglia Bellini - Giovanni detto Giabellino - e la presenza di pittori nordici, crearono i presupposti per la nascita della grande pittura veneta, anche se l'innesto e la progressiva traduzione dei nuovi valori architettonici e scientifici nel tessuto culturale della città furono comunque lenti.
Certamente importante fu la presenza di un artista proveniente dall'Italia meridionale, Antonello da Messina, di formazione artistica fiamminga - all'epoca dominante in gran parte dell'Europa e nel nostro meridione - il quale risalendo la penisola aveva conosciuto ed era stato sicuramente influenzato da Piero della Francesca. Con tale bagaglio, dopo un soggiorno in laguna attorno al 1474 durato meno di due anni, sicuramente apportò ulteriori stimoli all'evoluzione della pittura veneziana, confrontandosi con due eccezionali colleghi quali Giovanni Bellini ed Alvise Vivarini.
Questo crogiolo di scambi, contatti e sviluppi è il tema dell'esposizione "Il rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Durer e Tiziano" aperta fino al 9 gennaio del 2000 presso Palazzo Grassi a Venezia (catalogo Bompiani). L'argomento, ricco e complesso, è presentato attraverso circa duecento opere, tra cui i capolavori non si contano, divise in sette sezioni che identificano alcuni temi centrali con uno spettro temporale che va dal 1446 al 1599. Possiamo qui solamente dare alcuni spunti, rimandando chi intenda avere un approfondimento maggiore ad una paziente ma sicuramente inebriante visita della mostra e alla lettura del poderoso catalogo.
Uno dei primati sicuri della pittura fiamminga è il perfezionamento della tecnica della pittura ad olio, che permette una gamma di sfumature di colore molto vasta. Già descritta in un testo di Teofilo del XII secolo e proposta anche nel "Libro dell'arte" del toscano Cenninno Cennini verso la fine del XIV secolo, con i pittori provenienti dalle Fiandre, ed in particolare grazie a Jan van Eyck (1390 ca. 1441), raggiunse livelli di perfezione altissimi ai quali gli artisti veneti furono sensibili: Cima da Conegliano e Giovanni Bellini ampliarono la gamma cromatica creando eccezionali effetti di profondità.
Altro aspetto "importato" è l'attenzione al paesaggio ed al naturalismo in genere, tanto che ancora in pieno '500 i pittori nordici venivano chiamati a completare i quadri nelle parti del paesaggio. Ma come erano possibili questi scambi in un'epoca che non conosceva ancora Internet?
Se marginale era la presenza in luoghi pubblici di opere provenienti dal nord, si hanno invece notizie certe sull'esistenza di opere fiamminghe in collezioni private. Anche il soggiorno di artisti stranieri ha sicuramente aiutato il contatto tra le due culture, ma probabilmente il mezzo principale sono state le incisioni: grande è la tradizione in questo campo da parte dei tedeschi, e i pittori veneti già all'inizio del '400 trassero spunti e indicazioni da questa vastissima produzione. Proprio alle opere grafiche la mostra di Venezia offre giustamente un grande rilievo nel "Gabinetto delle stampe" che occupa ben sette sale, con opere prevalentemente nordiche.
Molti furono i grandi incisori d'oltralpe presenti a Venezia che oltre a proporre le proprie opere si ingegnarono a copiare quelle altrui, sia per fini di studio che di commercio ñ all'epoca non esisteva ancora il copywrite - e non per niente Tiziano scelse l'olandese Cornelis Cort per pubblicizzare i suoi dipinti.
Ma se si parla di artisti tedeschi che furono anche incisori e per giunta abbiano soggiornato a Venezia, si deve per forza menzionare Albrecht Durer. Due sono stati i suoi viaggi in Italia, nel 1494-5 e 1505-7. Purtroppo non ebbe vita facile a Venezia: "molti di loro sono miei nemici", rilevava in una sua lettera parlando dei pittori veneziani, e doveva inoltre difendersi dalle imitazioni delle sue incisioni che andavano di gran moda in tutta Italia. Ritornando dai suoi viaggi divenne il principale divulgatore dei principi del rinascimento nei paesi nordici, mentre in Italia aveva certamente influenzato la ritrattistica che, in particolare nell'area di Bergamo e Brescia, vantava una notevole serie di artefici - Lotto, Moretto, Savoldo, Romanino, Moroni - ed era già stata arricchita precedentemente da Antonello da Messina. Su questo tema la mostra di Palazzo Grassi permette un confronto diretto grazie allíesposizione di numerosi ritratti di entrambe le scuole.
Si deve lamentare l'assenza di Giorgione (a cui però verrà dedicata una mostra monografica più in là), autore insieme al giovane Tiziano delle decorazioni del Fondaco dei Tedeschi nel 1508-9, delle quali ogni tedesco che passava per Venezia doveva per forza vedere e ammirare gli audaci nudi e le elaborate finte architetture classicheggianti.
Vittore Carpaccio, più aggiornato ed attento di quello che spesso si é fatto intendere, riceve il giusto rilievo grazie anche alla riunificazione dopo cinque secoli di un opera divisa tra il Museo Correr a Venezia, "Due dame veneziane" e il Getty Museum di Malibu, "Caccia in laguna", anche se questo "avvenimento" non chiarisce però ancora l'oscuro soggetto dell'opera.
Tiziano fu indubbiamente l'artefice del successo internazionale della pittura veneta, divenendo il ritrattista e pittore prediletto di imperatori e signori vari, dominando per tutto il '500 la scena da vero mattatore, sia per la sua indiscussa eccellenza artistica sia per la costanza nel perseguire committenti potenti. Nel secolo di Tiziano l'arte veneta dilagÚ divenendo un modello a cui ispirarsi per tutti gli artisti fiamminghi e tedeschi che potevano ammirare anche le opere di Jacopo Bassano, Paolo Veronese e del Tintoretto, mentre l'architettura del Palladio farà da riferimento per secoli negli edifici del nord Europa. Così i dipinti di grandi artisti come Lambert Sustris, Bartholomeus Spranger e Adam Elsheimer mostrano con chiarezza la loro ascendenza veneta i cui riflessi non si spensero neanche nel '600 barocco.
A chi va il primato dunque? Usando una metafora calcistica, al girone d'andata ci fu un pareggio con i pittori nordici, mentre a quello di ritorno i veneti la fecero da padroni imponendo un netto predominio del campo.
Le innovazioni del periodo di Giorgione

Questo periodo rappresenta infatti, visivamente e intellettualmente, la fase più vivace del Rinascimento a Venezia, quando l’anziano Bellini († 1516), Giorgione († 1510), il giovane Tiziano, Sebastiano Luciani più tardi soprannominato del Piombo (attivo nella città lagunare fino al 1511), e Jacopo Negretti, meglio noto come Palma il Vecchio († 1528), lavoravano tutti fianco a fianco. Oltre a celebrare le opere di Bellini e dei suoi allievi più famosi, la mostra presenta anche maestri più conservatori, come Cima da Conegliano e Vincenzo Catena, e comprende altri artisti, come Lorenzo Lotto, che a quel tempo lavoravano, anche se non esclusivamente, a Venezia.
Nella Venezia del primo Cinquecento, gli artisti si rivolsero verso nuovi temi tratti dall’antichità classica e svilupparono nuovi stili e nuove tecniche per rappresentarli. Soggetti provocanti e un’esibizione virtuosistica del loro talento erano apprezzati da nuovi committenti dai gusti sofisticati. Uno dei momenti cruciali dell’esposizione sarà non a caso la presentazione abbinata del “Baccanale degli Andriani” di Tiziano (1522 – 1524) e del “Festino degli Dei” di Bellini e Tiziano (1514 e 1529), due dipinti che un tempo erano appesi fianco a fianco nello studiolo di Alfonso d’Este Duca di Ferrara, considerata la stanza più magnifica dell’Italia del Rinascimento.
Si enfatizza il trattamento del tutto nuovo che questi artisti fecero di diversi temi pittorici, descritti di seguito, e dimostra le trasformazioni che sopravvennero nella pittura religiosa, genere allora ancora largamente dominante. Essa esplora anche come concetti quali la musica, l’amore e il tempo pervadano l’arte di quel periodo.
Il paesaggio pastorale
Il paesaggio pastorale, con i motivi arcadici delle ninfe, dei pastori e di boschetti ombrosi, diventò una moda pittorica tipica di Venezia. La mostra comprende l’epitome di questo genere, il “Concert Champêtre” di Tiziano. Lo sviluppo del genere pastorale cominciò anche a pervadere la pittura religiosa, con l’inclusione di figure o scene cristiane o bibliche ritratte in ambienti idilliaci. In uno dei molti abbinamenti rivelatori proposti dalla mostra, si può confrontare la “Vergine con il Bambino Benedicente” di Bellini (1510) e la “Madonna con Bambino” (“Madonna Gitana”) di Tiziano (c. 1511); nell’opera Tiziano sposta le figure fuori dall’asse centrale per mettere l’accento sul paesaggio. E’ anche esposta la “Adorazione dei Pastori” (o “Natività Allendale”) di Giorgione (c. 1500), in cui sono compresi elementi del genere pastorale: l’esposizione comprende tre varianti di quest’opera.
Il nudo femminile e l’erotismo
Immagini di donna di qualsiasi tipo erano di per sé rare nella pittura veneziana: l’introduzione di nudi o di figure semivestite nella pittura del primo ‘500 fu perciò tanto più rivoluzionaria. Nella mostra, la celebra “Laura” di Giorgione (1506), che “lanciò” il nuovo genere, per la prima volta è presentata affiancata alla “Flora” di Tiziano (c. 1520). Ancora oggi non è noto se queste immagini femminili sono ritratti idealizzati di vere donne oppure immagini di una bellezza muliebre ideale.
I ritratti maschili
Giorgione e i pittori del suo secolo introducono un nuovo tipo di ritratto idealizzato, in cui un individuo viene mostrato nelle vesti di un amante, un poeta, un musicista, o un soldato. Chiamati “ritratti d’azione “, questi lavori ritraggono giovani uomini che recitano dei ruoli, come in “Ritratto di poeta” (c. 1520) di Palma il Vecchio, o “Uomo con armatura” (c. 1511/1512) di Sebastiano del Piombo. Oltre al ritratto singolo, ci sono ritratti doppi o tripli di uomini insieme, come nel “Concerto” di Tiziano (c. 1511/1512) e il “Concerto” di Cariani (c. 1518). L’esposizione si chiude con “L’uomo dal guanto” di Tiziano (c. 1523/1524), il cui realismo infrange la idealizzazione poetica di Giorgione.
I metodi dei pittori veneziani
Le moderne tecnologie hanno rivoluzionato la nostra comprensione delle tecniche dei pittori veneziani. La mostra comprenderà una stanza interamente dedicata agli studi conservativi effettuati sui dipinti veneziani realizzati da Elke Oberthaler del Kunsthistorisches Museum e Elizabeth Walmsley della National Gallery di Washington, ivi comprese immagini a raggi x e all’infrarosso di diverse delle opere in mostra. Allo stesso modo, il catalogo comprende nuovi studi sulle tecniche e i materiali della pittura veneziana.
I dipinti veneziani del primo Cinquecento sono stati fra i primi ad essere studiati utilizzando i Raggi X, che rivelarono pentimenti sopravvenuti mentre gli artisti lavoravano alle loro composizioni. In tempi più recenti la riflettografia all’infrarosso ha qualificato l’affermazione di Vasari secondo cui gli artisti veneziani non disegnavano, rivelando invece dei disegni preparatori (underdrawings) che giacciono sotto le superfici dei dipinti. Sarà esposta una nuova riflettografia all’infrarosso dei “Tre Filosofi” di Giorgione (c. 1506), che rivelano il processo creativo dell’artista, un metodo complesso di continua revisione. Allo stesso modo, una radiografia a Raggi X, sulla “Madonna Gitana” di Tiziano, mostra come l’artista abbia cambiato la sua caratterizzazione della Vergine.
Nel catalogo della mostra Barbara Berrie, scienziata del Dipartimento di Conservazione della National Gallery of Art, e la storica dell’arte Louisa C. Matthew dell’Union College, presentano i risultati delle loro ricerche circa la famosa “paletta di colori veneziana” e la sua straordinaria luminosità. L’industria del vetro veneziana, concentrata sull’isola di Murano, fiorisce nel tardo XV secolo. Secondo Matthew e Berrie, i pittori ottenevano particolari pigmenti di qualità superiore dai “vendecolori” e vi aggiungevano sabbia utilizzata per la produzione di vetro e vetro polverizzato per aggiungere brillantezza alle tonalità delle loro pitture.
Giorgione
La vita
Poco o nulla si sa della vita di Giorgione, primo grande pittore veneto del Cinquecento.
Le date di nascita e di morte vengono tramandate dal Vasari, il quale descrive nelle sue "Vite" l'uomo, l'artista ed alcune caratteristiche della sua opera. Seppure sia incerto dove il Vasari avesse preso le informazioni sulla vita del misterioso pittore, la data di nascita, il 1477, sembra verosimile. Essa corrisponde, infatti, al periodo in cui Giorgione presumibilmente lavora a Venezia, nella compagine culturale di fine '400.
Nulla si sa del suo cognome: egli è conosciuto solo come Giorgio, in veneto Zorzo o Zorzi, da Castelfranco Veneto, luogo di nascita. Pare che l'accrescitivo del nome, Giorgione, gli venga attribuito dal Vasari "dalle fattezze della persona e dalla grandezza dell'animo". Lo storico parla dell'artista come "nato d'umilissima stirpe", fatto che pare essere smentito da Carlo Ridolfi ne "La Maraviglia dell'arte" (1648), ove si scrive che "Giorgione nascesse in Vedelago d’una delle più comode famiglie del contado, di Padre facoltoso".
Certo è che il pittore trascorre una vita agiata, frequentando circoli nobiliari, allegre brigate, molte belle donne. E' celebre in vita, adorato dai collezionisti d'arte, protetto dalle famiglie veneziane dei Contarini, Vendramin, Marcello, che acquistano le sue opere e le ammirano nel segreto dei propri salotti. E' questa una delle motivazioni principali della scarsità di notizie sull'artista e anche della difficoltà di attribuzione per lunghissimo tempo da parte storici dell'arte. Le opere profane, realizzate a partire dai primi anni del Cinquecento, non seguono i canoni ben delineati dell'arte sacra. Le scene rappresentate sono spesso difficili da interpretare, ritraggono personaggi immaginati dagli autori, a volte volute dai committenti. Tali committenti, inoltre, tengono per loro i quadri, nel chiuso degli ambienti nobiliari. E' così che, lontano dall'ufficialità della Chiesa e dei luoghi pubblici, le opere si perdono, vengono vendute, cedute ad altri proprietari. A ciò s'aggiunga, nel caso di Giorgione, l'alone quasi mitico che circonda la sua figura e che lo ha tenuto "prigioniero" nei secoli. Molte informazioni relative all'opera giorgionesca e di altri autori coevi provengono da un fortuito ritrovamento.
All'inizio del secolo scorso, viene rinvenuto e pubblicato un libretto di appunti, redatto nel Cinquecento, inizialmente chiamato "Anonimo Morelliano" - dal nome dello scopritore abate Morelli - e poi attribuito a Marcantonio Michiel. Questo nobile veneziano, appassionato d'arte, descrive ciò che vede nei salotti nobiliari, splendide tele collezionate dai patrizi veneziani: Giorgione è tra i pittori da lui menzionati.
Alcuni documenti pubblici rendono ragione di pagamenti per opere di Giorgione: nel 1507, 20 ducati per un teller, grande dipinto su tela; nel 1508, per l'opera svolta nel Fondaco dei Tedeschi, 150 ducati, cifra stabilita da una commissione formata da Giovanni Bellini, Vittore Carapaccio, Lazzaro Bastioni, Vittore di Matteo. Il 25 ottobre del 1510, la peste infuria a Venezia ed Isabella d'Este, Marchesa di Mantova, sembra già avere notizia della morte del pittore, come si evince dalla corrispondenza con Taddeo Albano. Egli, il 7 novembre, scrive alla Marchesa "ditto Zorzo morì più dì fanno da peste".
La carriera
Sulla breve carriera di Giorgione, una delle personalità più significative del Rinascimento veneziano, morto di peste poco più che trentenne, abbiamo poche e sporadiche notizie. Appassionato di musica e poesia, frequenta gli ambienti umanisti e i salotti delle migliori famiglie veneziane. Nella sua opera sono evidenti le influenze di Giovanni Bellini, Durer e Leonardo. Il suo stile, caratterizzato da un sempre maggiore predominio del colore sulla linea e la composizione, costituirà una delle cifre più caratterizzanti della pittura veneziana e sarà di esempio per molti artisti fra i quali Tiziano, Sebastiano del Piombo e Palma il Vecchio. Nelle opere tradizionalmente assegnate al periodo giovanile, come l'Adorazione dei pastori (Washington, National Gallery), la Giuditta (San Pietroburgo, Ermitage) e la Sacra Conversazione (Venezia, Gallerie dell'Accademia), Giorgione manifesta una spiccata attenzione alla luce e ai toni sfumati che compendia le coeve esperienze venete e toscane. Nei dipinti più maturi, nella pala con la Madonna col Bambino e i santi Liberale e Giorgio (Castelfranco, Veneto) e nelle due tavolette degli Uffizi con La prova di Mosè e Il giudizio di Salomone, il paesaggio e la magia evocativa della natura cominciano a prendere il sopravvento, fino a dominare completamente la figura umana, come accadrà nei capolavori successivi, la Tempesta (Venezia, Gallerie dell'Accademia) e i Tre filosofi (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Nel 1508 Giorgione realizza un ciclo di affreschi per il Fondaco dei Tedeschi, di cui è rimasto solo un frammento che rappresenta un nudo femminile (Venezia, Gallerie dell'Accademia). Di grande suggestione sono i ritratti, fra i quali ricordiamo il Doppio ritratto Borgherini (Vienna, Kunsthistorisches Museum), e il Ritratto di capitano con scudiero (Firenze, Uffizi), di attribuzione incerta. Nelle ultime opere, Venere (Dresda, Gemäldegalerie), Concerto (Firenze, Galleria Palatina) e Concerto campestre (Parigi, Louvre), la tavolozza e di conseguenza le attribuzioni si mescolano con quelle dell'allievo Tiziano.

Le sue opere
Alcune opere di Giorgine

Adorazione dei Magi
National Gallery, Londra

Concerto campestre
1508-09
Oil on canvas, 110 x 138 cm
Musée du Louvre, Paris

Giuditta
c. 1504
Oil on canvas, trasferred from panel, 114 x 66,5 cm
The Hermitage, St. Petersburg

Tramonto
c. 1505
Oil on canvas, 73,3 x 91,5 cm
National Gallery, London

Madonna incoronata tra i S. Francesco e S. Liberale, detta anche “Pala di Castelfalco”
c. 1505
Oil on wood, 200 x 152 cm
Duomo, Castelfranco Veneto

Donna anziana
c. 1508
Oil on canvas, 68 x 59 cm
Gallerie dell'Accademia, Venice

Ritratto di un giovane
1500-1510
Oil on canvas, 72,5 x 54 cm
Museum of Fine Arts, Budapest

Autoritratto
Paper on wood, 31,5 x 21,5 cm
Museum of Fine Arts, Budapest

Adorazione dei pastori
1505-10
Oil on canvas
National Gallery of Art, Washington

La tempesta
c. 1505
Oil on canvas, 82 x 73 cm
Gallerie dell'Accademia, Venice

I tre filosofi
1509
Oil on canvas
Kunsthistorisches Museum, Vienna

Venere dormiente
c. 1510
Oil on canvas, 108,5 x 175 cm (detail)
Gemäldegalerie, Dresden

Ritratto di un guerriero con il suo scudiero
c. 1509
Oil on canvas, 90 x 73 cm
Galleria degli Uffizi, Florence

Ritratto di ragazzo
Wood, 69,4 x 53,5 cm
Alte Pinakothek, Munich
Analisi di alcune sue opere
I tre filosofi
Il quadro " I tre filosofi" venne dipinto da Giorgione intorno al 1505, su commissione di Taddeo Contarini. Taddeo Contarini, Gerolamo Marcello e Gabriele Vendramin erano tre giovani nobili veneziani che commissionarono a Giorgione alcune tele ispirate all’esoterismo e all’alchimia. Di certo erano loro ad esporre i soggetti, mentre toccava poi al pittore metterli su tela. Sappiamo anche che Taddeo Contarini prendeva in prestito libri di astrologia e filosofia dalla biblioteca del cardinale Bessarione e proprio uno dei tre personaggi mostra un foglio coperto di calcoli astronomici.
Sull’interpretazione del quadro molti si sono sbizzarriti. Marcantonio Michiel, nel 1525, li definisce "li tra phylosophi". In un inventario del 1659 viene definito come "I tre matematici". Mechel, in un inventario del 1783 li definì " I tre Magi che aspettano l’apparizione della stella cometa". Nell’Ottocento e nel Novecento vennero definiti, di volta in volta, come Marco Aurelio insieme ad altri due filosofi; figure allegoriche dell’antico aristotelismo, l’aristotelismo averroistico (l’uomo col turbante) e la Scienza Nuova. Qualcuno ha identificato l’uomo più giovane con Copernico e gli altri come astronomi antichi: Tolomeo e Al Battani.
Prima di addentrarci nello studio del quadro, però, facciamo una premessa: sul finire del Quattrocento l’Arte Reale era diffusissima. Molti suoi cultori sono sconosciuti perché a noi mancano moltissimi documenti. Non dimentichiamo che ci furono persecuzioni tremende da parte della Chiesa contro coloro che, con spirito libero, indagavano i misteri della Natura. E non fu solo la Chiesa a farlo, anche loro occasionali lacché seguirono l’esempio. Valga per tutti la proibizione promulgata in Francia da Francesco I , nel 1537, che divorò moltissime opere alchemiche ed ermetiche.
Da qui, come già era avvenuto in passato (vedi ad esempio la poesia dei Fedeli d’Amore), la necessità di simbologie dietro le quali occultarsi, sempre più personalizzate e spesso ormai per noi incomprensibili. Federico Zeri afferma, secondo me a ragione, che ogni momento storico è irripetibile e irrimediabilmente perduto, giacché non sarà mai possibile per chi viene dopo immedesimarsi completamente in quello che c’era prima. Il passato è passato, morto, e con esso gran parte di ciò che allora viveva nella mente e nel cuore delle persone.
Tuttavia è possibile trovare delle tracce... e tutto in questo capolavoro punta verso l’alchimia.
Focalizziamo l’attenzione sul personaggio che Lensi Orlandi identifica con Basilio Valentino. Forse è stato ispirato in questa identificazione da una figura che ha visto in un libro e che egli stesso descrive così:"L’edizione de Le Dodici Chiavi della Filosofia, pubblicata a Parigi dal
Canseliet nel 1956, riproduce sulla copertina un’antica stampa dove Frére Basile Valentin in abito di benedettino col cappuccio in testa, sorregge una bilancia con le coppe in equilibrio, una piena d’Acqua e l’altra piena di Fuoco e sotto il braccio destro stringe un Libro Chiuso a conferma dell’ermetico significato dell’immagine. Quella bilancia allude ai due giudizi ciclici dell’umanità, il primo realizzato con l’Acqua del Diluvio, il secondo col Fuoco preannunziato dal Battista."
Basilio Valentino richiama subito alla mente l’acrostico VITRIOL, sicché se nel quadro di Giorgione è celato un messaggio alchemico (cosa secondo me indubitabile), non è affatto assurdo che l’ipotesi di Lensi Orlandi sia giusta.
Ciascuno di noi nasconde dentro di sé la propria Pietra Occulta e ogni Artista, nel segreto del proprio laboratorio alchemico, lavora, distilla, rettifica, separa il pesante dal sottile per conquistarla. Molti sono gli strumenti che ci aiutano a percorrere la via, ma il vecchio saggio ha nella mano sinistra un compasso, un utensile i cui bracci possono essere divaricati in infiniti angoli, da 0 a 360 , ad abbracciare il punto e il cerchio, simbolo della padronanza assoluta dei propri mezzi, della propria personalità, della propria mente.
L’altra mano è occupata da una pergamena dove sono visibili il Sole e la Luna. Ritorna subito in mente M.Maier quando scrive: "il Sole è suo padre, la Luna sua madre". Non vi poteva essere un richiamo così forte all’alchimia, escludendo naturalmente ciò che si legge nella veste dell’uomo col turbante.
Eravamo rimasti alla figura che, secondo alcuni, potrebbe essere BasilioValentino. Dico potrebbe perché altre ipotesi sono altrettanto verosimili. Il vecchio che tiene in mano la pergamena (dove alcuni hanno visto un’eclissi di sole, simbolo di congiunzione mistica dell’anima (Luna) con Dio (Sole), lasciando nell’oscurità il corpo (Terra)) ha svelato alcune cosa all’esame con i raggi X. In una prima stesura la figura aveva sul capo un diadema a forma di raggi solari e ciò ha fatto asserire che potesse trattarsi di Mosè (Calvesi - Il mito dell’Egitto nel Rinascimento), ma un copricapo del genere a me richiama subito in mente Zeus. Il fatto che poi Giorgione ci abbia ripensato e sia passato a una figura vestita di un saio, farebbe immaginare un intervento del committente, quel Contarini così versato in ermetismo e alchimia.
Già, alchimia.... è innnegabile che il motivo conduttore del quadro sia proprio l’alchimia, non fosse altro per un piccolo, minuscolo ma enorme particolare, che il pittore ha abilmente celato pur mettendolo in primo piano, sotto i nostri occhi, dando corpo ai numerosissimi richiami dei Saggi che più volte hanno affermato che solo chi ha occhi per vedere può davvero vedere.
L’uomo col turbante, al centro, ha un lungo vestito rosso e grigio. Sul bordo di questo, proprio sopra il piede destro, si legge una scritta sul ricamo: ALCH.
Se vi fosse qualche dubbio sulle intenzioni di Giorgione, credo che questo particolare li abbia fugati definitivamente.
Nel Rinascimento era comunemente accettata una tripartizione della vita del Saggio in attiva, contemplativa, voluttuosa. Dante Alighieri ammetteva soltanto una vita attiva e una contemplativa, ma quasi tre secoli erano passati dalla sua morte e la filosofia del Rinascimento era ormai pregna di Platone, Macrobio e Plutarco. Ficino, in una lettera a Lorenzo de’ Medici, poteva scrivere: "...
Non esistono ragionevoli dubbi che vi sono tre tipi di vita: contemplativa, attiva, voluttuosa...".
La vita attiva ha il suo culmine nell’impegno nelle cose del mondo, la vita contemplativa nella teologia, la vita voluttuosa occupa il mezzo e riguarda l’amore.
I tre filosofi possono anche interpretare questi ruoli.
Si hanno altri esempi famosi in opere letterarie e non di questa tripartizione. Nell’enigmatica Hypnerotomachia di Francesco Colonna, pubblicata nel 1499, i tre tipi di attività sono rappresentate come tre porte scavate nella montagna e fra queste il protagonista, Polifilo, è chiamato a scegliere.
Per tornare ai filosofi, posto che l’ipotesi della rappresentazione delle "vite" sia corretta, identificheremmo il vecchio come rappresentazione della teologia ( contemplativa), il più giovane come vita attiva e il filosofo col turbante, in mezzo, l’alchimia, come la vita voluttuosa, cioè Amore.
Dunque l’alchimia è Amore?
Non so se tratta di una coincidenza singolare , quella che un mio amico chiamerebbe sincronicità (ma io propendo per la non casualità), ma giorni fa qualcuno - al momento non ricordo chi, scusate - ha postato nella sezione "file" del gruppo una foto de "I coniugi Arnolfini" , proprio mentre si parlava di Giorgione.
Il dipinto è stato commentato, tra l’altro, da Federico Zeri in "Dietro l’immagine", ma ero certo di aver letto di questo quadro da un’altra parte, anche se non mi tornava in mente dove.
Oggi me ne sono improvvisamente ricordato. Trascrivo. " ... Lo sviluppo dell’ego ha portato a una nuova sensibilità per la libertà individuale, libertà dai lacci sia religiosi sia politici. I primi a intravedere i germi di questa nuova concezione ancora in nuce furono i poeti e gli artisti, i quali hanno avuto antenne particolarmente sensibili a cogliere i mutamenti spirituali... La lunga e famosa firma apposta da Jan Van Eych sul dipinto I coniugi Arnolfini, ora alla national Gallery di Londra, non rappresenta soltanto il nome dell’autore del quadro, ma ne ricorda il ruolo di testimone di nozze: il pittore dice :"Io c’ero". Ma non sempre i segni dell’ego erano così elaborati e non sempre si trattava di una firma..."
Ricordo che il termine di ego in senso esoterico è diverso da quello psicologico.
Il discorso continua in nota : "...la firma completa del pittore "Johannes de Eyck fuit hic,1434" compare su un documento legale , mentre nello specchio si vede la sua immagine...E forse non è un caso, che è il marchio dell’ego, l’artista compaia riflesso in uno specchio che ha la forma dello zero. La firma che l’autore appone alla sua opera è il segno di un cambiamento di visione: ora egli non dedica più il suo lavoro interamente a Dio, ma a se stesso, all’ego". Queste parole sono tratte da "L’iniziato", di Mark Hedsel.
L’ego, esotericamente inteso, è la scintilla della divinità, della Mens divina che si è immersa nella materia. Finché ha a che fare con il mondo materiale, l’ego deve cercare la strada per guadagnare il divino. La materia, l’uomo, è dotato, secondo le dottrine esoteriche, di tre corpi: fisico, attività cellulare; eterico, sede della memoria; astrale, sede delle emozioni, desideri, ecc...
L’ego, non a caso, è raffigurato nella letteratura ermetica come un cigno o un pellicano dotato stranamente di tre ali.
Orbene, trasferiamo questo discorso ai tre filosofi di Giorgione e probabilmente troveremo qualche altro significato nascosto.
Finora ci siamo occupati soprattutto di Basilio Valentino (o del supposto tale), ma ora dedichiamo uno sguardo anche al personaggio col turbante. La scritta ALCH che si scorge sul ricamo del bordo inferiore del vestito lascia ben pochi dubbi sull’allegoria del personaggio. Lensi Orlandi propone che si tratti di Djabir Ibn Hajjan, meglio conosciuto come Geber, nato a Kufa sull’Eufrate, a sud di Babilonia, intorno all’ottavo secolo.
Potremmo definirlo un "alchimista spirituale" , se questo termine significa veramente qualcosa, giacché conosco persone che contestano vivamente questa denominazione dell’alchimia e affermano che l’alchimia deve essere necessariamente pratica. Torno dopo sull’argomento. Su Geber ci sono certamente indagini e scritti più approfonditi di questo mio, molto sommario.
Tuttavia una frase di questo alchimista mi ha colpito profondamente, una frase riportata proprio da Lensi Orlandi.
Trascrivo. "... Per Geber gli alchimisti avevano la certezza di raggiungere l’immortalità contraria alle intenzioni di Dio, per questo scrisse nel Libro della Misericordia:" Se Dio ha messo nell’uomo elementi contrastanti è perché ha voluto assicurare la fine dell’essere creato. Siccome non volle che ogni essere vivesse per sempre fuori di lui, inflisse all’uomo la differenza delle quattro essenze naturali che lo conduce alla morte con la separazione dell’anima dal corpo"."
L’autore prosegue affermando che se si riuscisse a riequilibrare le essenze naturali dopo averle scomposte, l’uomo non potrà morire e potrà raggiungere uno stato inalterabile. A tanto si arriverebbe non con i libri o il ragionamento ma solo con un salto della mente, con un "impeto dello spirito". Il punto che mi ha dato da pensare è quel "contraria alle intenzioni di Dio". A parte il fatto che è piuttosto difficile per un umano capire le intenzioni di Dio :-), l’alchimia si troverebbe ad essere, così intesa, un’operazione contro natura e contro Dio, situazione che mi sembra esattamente all’opposto dell’idea alchemica. Forse questa è solo un’interpretazione di Lensi Orlandi e non il pensiero originale di Geber.
Più sopra ho accennato all’alchimia pratica.
Confesso che fino a qualche tempo fa ero piuttosto in dubbio sulla reale possibilità di un’alchimia pratica, nonostante avessi letto (molti anni or sono) l’affascinante " Il mattino dei maghi" e fosse rimasta dentro di me una specie di sospensione del giudizio. Volente o nolente io sono figlio dell’idea scientifica tramandata dall’illuminismo e, nel caso specifico, dalla chimica classica.
Oggi come oggi invece dubito delle bellissime teorie che tutto comprendono e tutto spiegano, salvo poi accorgersi, da parte degli scienziati, che la teoria non era proprio esatta al 100%. Prima della scoperta della fusione nucleare gli "scienziati" erano convinti che il sole fosse fatto di carbone incandescente e non riuscivano a capire come potesse bruciare per tanto tempo senza consumarsi. Ne "Il mattino dei maghi" è postulata, se non ricordo male, l’intervento di qualche forma di energia saltuaria e incostante che potrebbe dare la spinta finale al processo e permettere la trasmutazione dei metalli. Il lunghissimo tempo necessario alla trasformazione dei metalli con metodo alchemico (a volte una vita intera), potrebbe essere proprio in rapporto a questo fenomeno incostante.
Detta così la cosa appare poco scientifica.
Però... però... non avevo mai sentito parlare prima di Piccardi. Giorgio Piccardi era professore di chimica-fisica all’università di Firenze ed è morto nel 1972. Fu emarginato dagli scienziati perché "eretico". Qual era il suo problema? Lo scaldabagno. Come eliminare le incrostazioni dal boiler? , questa fu la domanda che gli incasinò la vita. La soluzione che trovò era piuttosto ingegnosa. Si trattava di "attivare" l’acqua in una sfera di neon a bassa pressione, aggiungendo una goccia di... mercurio. La tecnica si dimostrò efficiente, però aveva un difetto: era incostante, ossia a volte funzionava benissimo e altre volte non aveva performance da capogiro. Dopo molte riflessioni Piccardi concluse che l’acqua fosse il prototipo dei "fenomeni fluttuanti" perché questo elemento, trovandosi in uno stato di equilibrio delicato, subisce l’influenza di tali e tanti FATTORI ESTERNI che l’esperimento alla fine non é facilmente PREVEDIBILE né RIPRODUCIBILE in modo costante!
Detto in altre parole Piccardi dette bel colpo alla sperimentazione scientifica che, ricordiamolo, si basa proprio sulla prevedibilità e riproducibilità dei fenomeni.
Ho letto di Piccardi su "Il genio incompreso" di Federico Di Trocchio, un bel libro sulle bufale e sul dogmatismo della scienza. Se si ammette con Piccardi la non costante riproducibilità dei fenomeni allora si può pensare che gli autori de "Il mattino dei maghi" non abbiano detto cose false. Perlomeno esiste la POSSIBILITA’ che abbiano ragione. Per non parlare , poi, di altre forme di energia ancora non ben conosciute (vedi fusione fredda), che ci indicano come siamo ben lontani dall’aver capito tutto.
La Tempesta
Analisi generale
La tempesta contrassegna un nuovo metodo ai paesaggi della pittura. La pittura consiste in due figure situate in primo piano, mentre nello sfondo una tempesta fermenta sopra un paesaggio rurale. Il cambiamento principale da notare è quello invece di accompagnare le figure, il paesaggio è ora prominente. Venturi Lionello scrive: “Poiché non realizzano azione, le figure non sono gli elementi più importanti e lasciano il centro dell'immagine aperta verso lo sfondo mentre lo sfondo acquista il ruolo di protagonista della scena„ (13). C’ è molto dibattito sopra l'identità delle due figure. La donna, seduta a destra, è nuda tranne un velo bianco che le copre spalle e sul quale si siede. Allatta il suo bambino al seno. Osserva fuori verso il visore, un'occhiata impassibile che non ne rende chiare le emozioni. La donna può essere vista come figura di fertilità. Il suo stato di nudità, il suo stomaco rotondo, i suoi seni pieni ed il fatto che si prende cura del suo bambino in giovane età aumenta la sua femminilità. La donna giovane, tuttavia, simbolizza una figura di fertilità che dà risalto alla procreazione piuttosto che alla sessualità. Marilyn Stokstad scrive: “Ia sua nudità sembra materna piuttosto che erotica…„ (707). La donna giovane ed il suo bambino quindi simbolizzano la rigenerazione di vita, che aumenta il lussuria della natura che la circonda. Il giovane è vestito in un'uniforme militare, anche se Jaynie Anderson suggerisce che può essere il costume portato dai membri della Compagnia della Calza, un club per giovani scapoli, che organizzavano le festività, i banchetti ed i giochi (168). La figura è indicata in contrapposto. Tuttavia, la variazione nel suo peso non sembra essere sostenuto in alcun senso dal bastone lungo che tiene nella sua mano destra. Guarda sopra la donna giovane con un sorriso divertente sulla faccia. La sua figura è più aperta ad invitare, in confronto alla donna che è seduta rannicchiata a terra, tuttavia sembra più distante ed ingenuo. I colori associati con le due figure sono contastanti con l'impressione che danno. Il colore rosso simbolizza la fertilità, mentre il bianco simbolizza la purezza e l’ innocenza. Il giovane, che è figura non colpevole, porta gli indumenti rossi e la donna, un simbolo di fertilità e procreazione, è coperto da un velo bianco. Marcantonio Michiel nel 1530 ha identificato le figure come una giovane madre e un soldato. La radiografia ha rivelato che il soldato giovane nella pittura era precedentemente un nudo femminile (giorno e Williams, 235). Venturi crede che i raggi X “… confermino che Giorgione dipinse l’opera senza alcun tema in mente„ (9). Il cambiamento nel tema inoltre dimostra che Giorgione ha disegnato direttamente sulla tela di canapa invece di fare le illustrazioni preparatorie (Gerten). Non c’è contatto fra le due figure, oltre all'occhiata del soldato verso il gypsy. La mancanza di rapporto è messa in risalto dal paesaggio. Anderson dichiara: “La divisione emozionale fra l'uomo e la donna… [è] enfatizzata dal flusso che li divide in maniera permanente…„ (168). Anche se le figure occupano l'attenzione del visore per un certo tempo, ma lo sfondo è la funzione più notevole della pittura. Giorgione ha dipinto un paesaggio con le figure, piuttosto che delle figure in un paesaggio. Parecchie tecniche, compreso colore e luce, danno risalto al paesaggio piuttosto che alle figure. I colori usati da Giorgione sono semplici e naturali. Il colore verde blu del cielo completa il verde scuro degli alberi e della vegetazione. Il cielo non sembra particolarmente tempestoso tranne che per il lampo che erutta dalle nubi. La parola tempesta suggerisce una tempesta violenta. Anche se la pittura è denominata la tempesta, la tempesta rappresentata non sembra molto feroce. Giorgione sembra più interessato nella descrizione dell'atmosfera della tempesta imminente piuttosto che il naturalismo della tempesta in se. Giorgione usa la luce per aumentare i colori. La luce ed i colori generano l'atmosfera che domina l'immagine. “L'illuminazione è morbida e nebbiosa ed è usata per generare l'umore piuttosto che definire acutamente gli oggetti nella scena„ (Gerten). Tutto sembra prevedere la violenza della tempesta. Gli alberi sono ancora fermi, le figure attendono pazientemente ed il villaggio è calmo. La tranquillità della pittura può inoltre essere vista nel flusso: non c’è ondulazione nell'acqua, niente che indichi che l'agitazione si sta avvicinando. L'unica indicazione della tempesta è il lampo. Il flash del colore giallo interrompe il colore del cielo. Sembra essere un cambiamento brusco perché tutto altrimenti nella pittura sembra statico. Il lampo illumina le costruzioni trovate sotto esso, attirando l'attenzione sul paesaggio rurale nei precedenti. Il ponticello serve da linea orizzontale che separa il primo piano e lo sfondo. Gli alberi, trovati da qualsiasi lato del ponticello, generano un senso di equilibrio e di simmetria. Il paesaggio di Giorgione non serve più solamente da sfondo per la pittura. Infatti, il paesaggio svolge un ruolo grande quanto le figure. L'attenzione del visore comprende l'intera pittura piuttosto che una singola funzione. Il senso di uguaglianza nella pittura è aumentato dalla simmetria delle due figure e dei due alberi. L’alone di mistero che circonda il tema è congruo con la vita di Giorgione generalmente. La qualità enigmatica della tempesta è migliorata dalla conoscenza che ha dipinto la tela senza il tema specifico in mente. Il risultato, tuttavia, è un’opera nella quale il paesaggio svolge un ruolo importante nella pittura invece di accompagnare le figure ritratte.
Una mitologica interpretazione della Tempesta di Giorgione
La tempesta fu commissionata (1507-1508) a Giorgione dal nobile veneziano Gabriele Vendramin ed era destinata a divenire oggetto di interpretazione all'interno del circolo di dotti del quale il gentiluomo faceva parte. Si trattava infatti di un dipinto cifrato, realizzato ad olio, il cui soggetto doveva appunto essere spiegato dagli eruditi amici del Vendramin. Nel 1530, in visita nella dimora del raffinato intellettuale, Marcantonio Michiel descrisse il quadro in questi termini: “El paesetto in tela cun la tempesta, cun la cingana et soldato fo de mano de Zorzi da Castelfranco”.
In mancanza di una fonte specifica, la decifrazione rimane tuttora sottoposta alle arbitrarie congettura degli studiosi, che ne hanno ricavato spiegazioni in chiave allegorico-alchemica, ma anche veterotestamentaria, come nel caso di Salvatore Settis, secondo il quale la scena allude alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, effigiato sullo sfondo: il bambino allattato sarebbe dunque Caino e il lampo alluderebbe alla punizione divina.
Sulla scorta di una attestazione del Ridolfi (Le meraviglie dell'arte, Venezia 1648), si potrebbe ipotizzare un ambito mitologico, peraltro assai caro agli eruditi del XVI secolo, infatti Giorgione si dilettava a realizzare "rotelle, armari e molte casse in particolare, nelle quali faceva per lo più favole d'Ovidio". Entrando nello specifico, possiamo osservare che sono pervenute alcune opere facenti parte di una sorta di ciclo di Paride, ad esempio: Paride abbandonato sul monte Ida (Princeton, University Art Museum), Ritrovamento di Paride (Budapest, Szépmüveszeti Muzeum), Paride consegnato alla nutrice (Milano, Collezione Gerli). Le fonti testuali rimandano, in questo caso, ad Apollodoro (Biblioteca, III). Ritornando alla fonte ovidiana, un'opera risulta essere, a nostro avviso, particolarmente suggestiva, per aprire una nuova pista di ricerca, nel campo delle congetture che l'enigma Tempesta continua ad alimentare: si tratta delle Heroides, ossia delle lettere d'amore che, nella poetica finzione, le eroine abbandonate inviano ai loro amanti. Nel caso di Paride, a scrivere è Enone, una ninfa, figlia del dio fluviale Cebren, moglie del bellissimo troiano, prima che questi la abbandonasse per Elena. Gli amori di Enone e Paride hanno avuto come testimoni i boschi della Frigia: “Spesso tra le greggi riposammo protetti da un albero / e l'erba mista alle foglie ci offrì un letto” (Eroides, 5, 13-14). Spinto dalla passione, il giovane ha addirittura inciso il nome della ninfa sulla corteccia dei faggi, un gesto che, come noto, avrà grande fortuna nella tradizione letteraria del '500, basti pensare ai nomi di Angelica e Medoro, nel celebre episodio della follia d'Orlando.
Veduta di Castelfranco, disegno a sanguigna,
Rotterdam, Museo Boymans Il paesaggio presenta molte affinità con quello effigiato sullo sfondo della Tempesta

Anche i due personaggi dell'invenzione giorgionesca sono ambientati in un luogo naturale, nei pressi di un corso fluviale (allusione al dio Cebren), mentre sullo sfondo si scorge la reggia di Priamo e nel cielo incombe la tempesta della futura guerra troiana; ma l'uomo sembra, per la verità, prendere commiato: guarda la donna, rimanendo infatti a distanza, con il braccio destro appoggiato al pastorale.
L'interesse per le avventure di Paride lascia tuttavia spazio ad un altro enigma, questa volta legato alla biografia stessa dell'artista: l'eroe troiano effigiato nelle tele potrebbe indicare un metaforico omaggio a Paris Bordon, il pittore di Treviso nato nel 1500, supposto figlio naturale del Giorgione, come il Vasari ha avuto modo di lasciar trasparire nelle sue Vite, raccontando proprio il dolore del piccolo Paris (aveva a quel tempo dieci anni), alla morte del grande artista: “dolendosi infinitamente che di que' giorni fusse morto Giorgione [...] Ma, poi che altro fare non si poteva, si mise Paris in animo di volere per ogni modo seguitare la maniera di Giorgione”(Vasari, Vite, 1568).
Frammento del rinvenimento di Paride,
Budapest, Szépmüveszeti Muzeum
Una "tempesta" che minaccia ma in lontananza
Commento psicologico al quadro "La tempesta" di Giorgine
Il dipinto sembra rappresentare il conflitto tra due etiche, quella pubblica (religiosa), simbolizzata in alto dal cielo tempestoso (che giudica) e dallo sfondo urbano (che vi si adegua supino), e quella privata (laica) rappresentata in basso dalla coppia, che rivendica libertà in uno stretto rapporto con la natura.Lei è nuda ma allatta (ecco la riserva morale), lui la guarda ma scostato e vestito. Si vorrebbe libertà nella naturalezza ma il risultato è l'ambiguità, l'indeterminatezza, proprio perché il giudizio incombe dall'alto, inaccioso, ineludibile. L'arbusto che in parte copre la nudità della donna, deve essere stato realizzato successivamente, come forma di scrupolo, di ripensamento morale al fatto che si era scelto di alzare la gamba destra della donna invece che la sinistra. La donna è ambigua perché da un lato risente delle immagini stereotipate della Vergine che allatta il Gesù neonato, dall'altro vuole rappresentare l'innovazione della donna moderna, che posa nuda per il pittore e che guarda con sfida, con sicurezza lo spettatore. Non ha senso una puerpera che nuda allatta il proprio figlio in un contesto spazio-temporale come quello dipinto, ma ne ha molto se la si osserva in maniera simbolica, come appunto fa l'uomo di fronte a lei, che è poi l'artista stesso. Tutto quindi ruota attorno alla figura della donna, tutto trae significato dal rapporto con essa: è lei il vero centro focale e spirituale del dipinto. L'uomo guarda la donna con la consapevolezza che il superamento della morale religiosa si gioca sull'interpretazione della sessualità in generale e di quella femminile in particolare, oggetto di grandi tabù da parte della chiesa romana. Non c'è nel quadro nessuna forma di volgarità, proprio perché il tentativo è quello di superare il pregiudizio religioso non in maniera superficiale, ma nella convinzione che solo una robusta morale laica può costituire una valida alternativa. Il Giorgione anticipa qui fortemente alcuni temi dell'umanesimo laico secondo una modalità indubbiamente metaforica ma efficace. Viceversa, la sua capacità artistica la si nota soprattutto nel tratteggio con cui sono stati dipinti gli alberi e la vegetazione nel suo complesso - un artista che doveva amare la natura come se stesso. Tra laicità e religione sta una concezione della natura che oggi si ritrova solo nelle coscienze ambientaliste. Le colonne spezzate in primo piano, nonché il ponte o l'acquedotto romano in disuso, indicano proprio la volontà della natura di riprendersi ciò che le appartiene. La natura in se stessa, nei confronti della storia, e la natura nell'essere umano, nei confronti delle ideologie dominanti, dei poteri costituiti. Si noti che sullo sfondo la città è indistinta e strettamente legata, anzi prona, al pregiudizio religioso in vigore, mentre in primo piano sta il tentativo, intellettuale, artistico, di trovare un'alternativa credibile. Un tentativo individuale e quindi, inevitabilmente, sofferto.

Esempio



  


  1. Prudy

    Superb information here, ol'e chap; keep bruinng the midnight oil.