Piero Della Francesca: breve appunto sulla sua opera

Materie:Riassunto
Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

Piero Della Francesca:
Ha scritto diversi trattati sulla geometria dei solidi per rappresentarli prospetticamente ed ha visto il corpo umano come un insieme di solidi geometrici da rappresentare in prospettiva.
Una delle sue prime opere è il battesimo di Cristo, nella quale si nota una nitidezza assoluta, poiché ogni particolare, lontano o vicino, è rappresentato con la stessa cura. La luce è diffusa, non c’è netto distacco tra luce e ombra. Il corpo di Cristo ha lo stesso colore dell’albero che gli è accanto. Le figure, che sembrano statue di cera, sono contraddistinte da solidità ed irrealtà.
Un frate domenicano, Jacopo da Varagine, scrisse storie sulla santità della croce sulla quale fu crocefisso Cristo. La rappresentazione pittorica di Piero Della Francesca, simile ad un sogno, si svolge nella notte. Quest’affresco si trova a San Francesco, ad Arezzo. Non è facile individuare dove stia il palo, non ci sono riferimenti prospettici chiari. Questo è il primo quadro notturno italiano. Piero Della Francesca rappresenta una tipologia di luce diffusa, costretta fra la sentinella e la tenda.
FLAGELLAZIONE DI CRISTO:
Prima di tornare a Borgo San Sepolcro, l’artista deve essersi trattenuto ad Urbino.
Probabilmente è proprio a questo primo soggiorno nella città (1450 circa) che risale uno dei dipinti su tavola più famosi dell'autore: la "Flagellazione di Cristo".
Un'opera che contiene velate allusioni alla realtà contemporanea, che oggi non ci è facile rilevare. L’immagine è come suddivisa in due scene, fra cui la colonna che sostiene il tempio segna il “confine”, ed entro le quali si svolge la Flagellazione di Cristo.
Sulla destra si possono notare tre figure disposte in semicerchio, di identità tuttora incerta.
L'importanza assunta dall'architettura in questo dipinto è evidenziata dalla luminosa tonalità del tempio classico e suggerisce la vicinanza di Piero agli studi contemporanei dell'Alberti.
Infatti nel Quattrocento ogni grande pittore prospettico aveva alle sue spalle un architetto.
Lo spazio della composizione è strettamente unitario (grazie allo studio di un unico punto di fuga), perciò il dipinto può essere osservato dal solo punto di vista centrale.
In secondo piano le figure dei presenti alla flagellazione sono avvolti da una nitida atmosfera. Nonostante lo spazio unitario, Piero non tralascia i minimi particolari: dal soffitto a cassettoni del tempio alla scultura bronzea sulla colonna che riflette la luce.
Questi effetti sono ottenuti con una tecnica sottile, certamente ripresa dai dipinti fiamminghi, che maschera la fonte a cui attinge con uno stile originale.
Lo splendore del damasco indossato dal personaggio all'estrema destra, nel suo contrasto fra l'oro e l'azzurro, rivela il gusto di Piero per il lusso dei vestiti e per gli abiti alla moda e lo contrappone al Masaccio, che aveva fornito un esempio nettamente più austero.
La lucentezza delle stoffe, di cui la tecnica ad olio esaltava la morbidezza vellutata, era un elemento che Piero aveva accolto dalla tradizione tardo-gotica e che aveva poi arricchito alla luce della cultura fiamminga.
Non c'è studioso di Piero della Francesca che non si interroghi sull' “enigma” della Flagellazione: questo perché è il soggetto stesso che resta oscuro, e il nesso logico che lega i tre personaggi di destra alla scena sacra sembra resistere ad ogni possibile decifrazione; sono state avanzate molte ipotesi: nel Settecento alcuni riconobbero nel giovane biondo a piedi scalzi Oddantonio duca di Urbino, ucciso insieme ai suoi consiglieri in una congiura dell'anno 1444 , istituendo un confronto tra il destino del principe e quello stesso della divinità. Secondo un’altra ipotesi del ‘900 i tre personaggi di destra sarebbero, dei contemporanei di Pio II, interessati a organizzare la riscossa cristiana in seguito alla conquista turca di Costantinopoli.
MADONNA DI SENIGALLIA:
Quest'opera si trovava in origine nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Senigallia, e GIUNSE alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino all'inizio del Novecento. Il restauro eseguito nei primi anni Cinquanta ha recuperato la leggibilità dell'opera e rivelato l’affinità di Piero con la pittura fiamminga in questa fase della sua attività, non solo dal punto di vista formale ma anche tecnico. Fra le figure del gruppo divino sono qui rappresentati la Madonna, il bambin Gesù e due angeli, caratteri in parte nuovi per lo stile dell’autore.
I volti conservano quell’aria di impassibilità e di saggezza, ma accompagnati da un senso di bellezza dai tratti di straordinaria originalità.
La luce, gioca un ruolo fondamentale sia come mezzo per mostrare nei minimi particolari le figure umane e le cose, sia come elemento simbolico; l’immagine è invasa di riflessi e di magiche trasparenze (il velo di Maria che si increspa sulla fronte, il corallo della collana del Bambino, le perle splendenti degli angeli…).
I capelli biondi dell'angelo sulla sinistra, per il riflesso della luce, acquistano una magica doratura e formano quasi un'aureola naturale.
Piero, infatti, tende ad eliminare la raffigurazione di questo elemento (l'aureola) ed ogni ingenuo simbolismo medioevale, bandendoli dalla sua pittura così solida, matura e consapevole.

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