Il surrealismo

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Categoria:Storia Dell'arte

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Il Surrealismo
La corrente:
• L’origine
Erede e continuatore del Dadaismo, il Surrealismo è una corrente artistica e letteraria organizzata che nacque ufficialmente in Francia nel 1924 – in seguito alla pubblicazione del “Manifeste Surréaliste” di Andrè Breton – e si diffuse poi in tutta Europa e negli Stati Uniti.
Il pensiero Surrealista, rispecchiando le contraddizioni e lo smarrimento di un momento di cambiamenti epocali, prende le mosse da una critica radicale alla razionalità cosciente, affermando la superiorità e la potenza immaginativa dell’inconscio in cui vede la via d’accesso ad un mondo al di là della realtà (sur-reale). Non a caso, il suo principale teorico – nonché autore del Manifesto – oltre che un intellettuale era anche uno psichiatra di scuola freudiana.
Nasce, si è detto, dal Dadaismo che in esso si converte quasi interamente, sebbene alcuni artisti – come Duchamp – non abbiano mai effettuato il passaggio. Del Dadaismo permangono la spregiudicatezza dell’uso dei materiali e l’atteggiamento titanico di sfida ai vuoti valori della società borghese e di sprezzante non curanza per il gusto dell’epoca (si ricordi che si definisce “corrente d’avanguardia” quel movimento che rifiuta l’arte d’atelier ed i canoni estetici tradizionali). Tuttavia, se – secondo una definizione di Debor – , >.
• La poetica
Breton – ne “Le Surrealisme et la Peinture” (1924) – definì il Surrealismo . Questa affermazione esprime con esemplare pregnanza la poetica del movimento. Si evince, infatti, l’affermata superiorità dell’inconscio (di chiara provenienza freudiana) sulla ragione; il concetto di arte come comunicazione dell’inconscio, comunicazione libera da qualsiasi forma di repressione del super-io; il procedimento tecnico, che deve essere irrazionale stesura del linguaggio immaginifico e onirico dell’inconscio; la necessaria assenza di fini morali o moralistici e di obiettivi o condizionamenti estetici. Altra caratteristica fondante della poetica surrealista è una concezione della storia dell’arte simile a quella futurista. Questa non viene rifiutata o negata, ma semplicemente smantellata, eliminata dal momento creativo. L’obiettivo è ritornare ad una pre-arte, ad una “arte prima”, senza però percorrere a ritroso il percorso di evoluzione formale.
Per certi versi, all’interno della produzione surrealista si possono trovare influenze simboliste. Sebbene gli artisti rifiutino la consapevole “trasposizione” in simboli, sono convinti – in accodo con i Simbolisti e sotto l’influenza dell’esperienza psicoanalitica di Breton – che sia proprio l’inconscio ad esprimersi attraverso delle corrispondenze – di baudelairiana memoria – alogiche, prerazionali, di straordinaria efficacia. Tuttavia l’irrazionale non si spiega, ma si esplicita, attraverso il simbolo. Da qui la grande polemica contro la tendenza simbolista di spiegare le opere surrealiste secondo elucubrazioni razionali.
Le tecniche, gli autori, le opere:
Come si è detto, il Surrealismo si caratterizza proprio per l’assenza di una linea tecnica ben definita. D’altronde, se l’arte è “automatismo processuale” dettato dall’inconscio, ogni artista sarà necessariamente diverso dagli altri.
• Max Ernst
Strenuo sostenitore delle avanguardie, Max Ernst – dopo aver aderito al Dadaismo e ancora prima all’espressionismo – fu tra i firmatari del Manifesto del Surrealismo pittorico.
Fu definito “il più surrealista dei surrealisti” ed effettivamente la sua produzione, estremamente varia e sempre in evoluzione, gliene dà atto. Il grande merito di Ernst fu quello di non smettere mai di sperimentare nuove tecniche creative. Il suo campo d’azione è principalmente quello delle arti visive, sebbene non gli siano estranee la scultura e l’happening.
Davanti ad un opera di Ernst, ci si trova solitamente spiazzati. Sebbene siano spesso presenti figure familiari o addirittura oggetti tridimensionali raccolti qua e là, questi sono associati e combinati senza logica.
Si prenda ad esempio il suo “Ubu Imperator”: è perfettamente riconoscibile una figura antropomorfe avvolta nel manto degli imperatori romani, tuttavia non ci si trova davanti ad un uomo. È un omaggio alla farsa satirica “Ubu Roi” scritta dal francese Alfred Jarry. L’Ubu Roi mette in scena un Edipo Re rivisitato in chiave grottesca. Ubu è un uomo rozzo e triviale che diventa un potente Re spodestando l’aristocrazia nobiliare di stampo feudale. Il re Père Ubu, qui promosso a imperatore, rappresenta una sorta di maschera prototipo del vizio e dell’ingiustizia e personificazione della follia del potere. Il pittore lo raffigura come un oggetto dal volume tondo e cavo, in equilibrio su un puntale, come una trottola. La parola “puntale”, se opportunamente coniugata, assume in lingua tedesca significati particolari e ambigui. Materializzazione onirica estranea a ogni regola del senso comune, la figura ci appare inserita, con l’ombra che proietta sul suolo, in un paesaggio desertico. Il deserto è secchezza, è sterilità, è morte. La trama simbolica è, come si vede, sub-razionale e niente affatto palese.
Ernst fece uso dei materiali più disparati, con la sola condizione che fossero strumenti al servizio dell’immagine e mai protagonisti, che fossero oggetto e mai soggetto. La tecnica più importante da lui inventata è il frottage che ha come base un comune gioco grafico, che diventa nelle mani dell'artista uno dei più seri esperimenti in arte di tutto il Novecento. Si tratta di appoggiare il foglio su una superficie ruvida qualunque e strofinare con una matita per far apparire il disegno delle asperità sottostanti. Dalle forme così emerse, l’artista inizia il proprio percorso fantastico. In questo modo non è solo l’opera a nascere dall’immaginazione, ma l’immaginazione a nascere dall’opera.
• Joan Mirò
Davanti ad un dipinto di Mirò, l’osservatore si trova catapultato nella realtà onirica dell’artista, in un mondo sognante di strane creaturine, dove si trovano scale che non portano a nulla, stanze al cui interno sono presenti stelle comete, oggetti sospesi per aria. Il passaggio è diretto, senza intermediari razionali di sorta. È proprio nei propositi dell’artista, infatti, quello di non dare adito alla tendenza simbolista di cercare un significato dietro le immagini. A tal scopo, oppone alla volontà esplicativa delle immagini così nitide e nette da imporsi come verità uniche e autosufficienti. Questo perché “spiegare” l’immagine, che è espressione dell’inconscio, significherebbe volerlo giustificare, come se non si considerasse un qualcosa valido e giusto di per sé. Mirò è forse il più fedele al concetto di arte come automatismo psichico fine a se stesso. Ogni suo dipinto ne è prova.
In “Donne e uccello al chiaro di luna”, ad esempio, figure appena riconoscibili sono giustapposte senza logica o gerarchia alcuna. Si tratta di figure pre-artistiche, mitiche, che ricordano quasi l’arte rupestre. L’inconscio non si manifesta minacciosamente: una volta che si è smesso di reprimerlo, esso perde tutta la sua carica minacciosa.
In assenza gerarchie e di soggetti predominanti, lo sfondo ed il tessuto coloristico assumono importanza pari al resto: il quadro avvolge l’occhio che si perde e naviga da una nota cromatica all’altra.
• Renè Magritte
“Si possono creare nuovi rapporti tra le parole e gli oggetti, e precisare alcune caratteristiche del linguaggio e degli oggetti generalmente ignorate nella vita quotidiana”
Magritte è, tra i surrealisti, quello che meno si è soffermato sul concetto di arte come automatismo puro. Lo scopo della sua produzione – per quanto non siano assenti eccezioni – è quello di evidenziare la misteriosità del reale. I temi portanti sono essenzialmente due.
Primo tra questi è il rapporto tra significante, simbolo e significato. In tal senso, è emblematico “Ceci n’est pas une pipe”. Il dipinto rappresenta la riproduzione (più o meno realistica, a seconda delle versioni) di una pipa e reca scritto in basso la frase francese “Questa non è una pipa” che ritroviamo, appunto, nel titolo. La rappresentazione non è la realtà e non può carpirla, lo stesso mondo reale viene messo in discussione agli occhi dello spettatore. Decontestualizzando gli oggetti, attraverso accostamenti per dissimilitudine o – come in questo caso – accompagnandoli con affermazioni apparentemente paradossali, Magritte incrina le certezze di chi guarda.

In altri quadri, Magritte gioca con il rapporto tra immagine naturalistica e realtà, proponendo immagini dove il quadro nel quadro ha lo stesso identico aspetto della realtà che rappresenta, al punto da confondersi con essa.
Nella Condizione umana, l'illusione ottica dovuta alla sovrapposizione del paesaggio sul cavalletto e di quello fuori dalla finestra è svelata, ma resta intatto il mistero della soglia tra realtà e rappresentazione.
Magritte non vuole che chi guarda si senta rassicurato e coinvolto dal dipinto. Quello che vuole creare è un sentimento di disagio vigile in cui la “simpatia” dell’osservatore non lo distragga dal riflettere e comprendere. È un ulteriore passo verso un’arte sempre più distante dalle masse, sempre più criptica e concettosa.

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