Arte metafisica e De Chirico

Materie:Tesina
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

Arte Metafisica
Biografia de chirico:

Nasce a Valois, in Tassaglia, il 10 Luglio 1888 da una famiglia di origini italiane.
Fin dagli anni dell'infanzia sentì come ci dice egli stesso nelle Memorie, “i primi richiami del demone dell'arte”.
Si trasferì in varie località a motivo dell'attività paterna (il padre era un ingegnere ferroviario).
Nel 1899 si stabilì ad Atene. Qui ebbe modo di visitare un’ esposizione di pittura, di cui dà un ricordo molto preciso nella sua biografia, infatti dice: « i quadri che vedevo mi parevano bellissimi e molto più belli di tanti quadri antichi di cui in casa vedevo le riproduzioni». Dal 1900 frequentò per quattro anni la scuola del Politecnico di Atene.
Questi luoghi sono fondamentali per lui perché, come Nietzsche, vedeva nella Grecia la culla dell’Occidente. Inoltre si nutrì sempre della mitologia classica: eroi come Ettore, Andromaca, le muse sono temi ricorrenti nei suoi dipinti.
Dopo la morte del padre, nel 1906, si trasferisce a Milano. In seguito, con la mamma ed il fratello (Andrea il quale seguirà la strada di Giorgio e diventerà un abile pittore metafisico con lo pseudonimo “Alberto Savinio”, nonché bravo scrittore) va a Firenze, dove frequentò l'Accademia di belle arti.
Al 1909 risalgono i primi dipinti poi definiti metafisici.
Nel 1910 è a Monaco, in Germania, dove frequenta l’Accademia delle Belle arti, interessandosi molto anche di letteratura e filosofia tedesca. Nella città bavarese ha modo di approfondire la filosofia di Nietzsche, che già conosceva. L’ammirazione di De Chirico per il filosofo tedesco fu tale da tradursi quasi in un’identificazione, tanto che racconta:”Ero un grande ammiratore di Nietzsche, e capivo benissimo la natura esatta delle innovazioni di questo filosofo.” L’influenza del filosofo tedesco fu fondamentale, tanto che si legge: “Io sono tutti i nomi della storia”. Questa capacità di un individuo di incarnare se stesso e chiunque altro sta alla base della lunga serie di autoritratti.
Recatosi a Parigi nel 1911 espose le sue opere al Salon d’ Automne, i suoi quadri ottennero successo e qualche lode da parte dei critici.
Tra il 1913 ed il 1915, qui a Parigi, la sua pittura si approfondisce, lavorò intensamente maturando la sua filosofia metafisica in un accavallamento tra realtà e memoria, mitologia e iconografia.
Nel 1913 conobbe Guillaume Apollinaire, “un uomo macerato nel bagno caldo della melanconia”, come lo definisce il pittore. Egli fu il primo a definire vi suoi dipinti metafisici, in una recensione comparsa su “L’Intransigeant”, nello stesso anno. Dice:” L’arte di questo giovane pittore è un’arte interiore e celebrale […]. Sono dipinti stranamente metafisici”. Di fatto tra i due si instaura buon rapporto d’amicizia, tanto che con lui De Chirico condivide la situazione esistenziale di precarietà identitaria e la convinzione che esistano forme di conoscenza che sfuggono alla banale razionalità dei mediocri. Ad Apollinaire De Chirico dedica anche un dipinto:”Ritratto di Guillaume Apollinaire”, in cui il volto del poeta si staglia sul fondo verde, in modo da accentuarne “i tratti da centurione triste”, che alludono alla sua nascita romana. Sulla tempia un semicerchio bianco , che ricorda un bersaglio, sembra profetizzare la ferita che avrebbe ricevuto nel 1916, combattendo da volontario nell’esercito francese. In primo piano, un busto di gesso con occhiali scuri, tipicamente attribuiti ai non vedenti, emblema del poeta-veggente che, attraverso altri sensi, sa leggere il passato e il futuro. A destra stampi a forma di pesce e di conchiglia, richiamo all’idea dell’artifex, ovvero del creatore, che dà vita alle sue opere procedendo attraverso un lavorio mentale. L’ambientazione è una piazza italiana, come dimostra l’arcata sulla destra, che, come in tutte le sue opere, esprime la misura mentale, espressione dell’armonia presente in quel luogo. Il poeta francese risulta ritratto come nuovo cantore di una tradizione nata in Grecia e in Italia.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale rientra in Italia con il fratello ed ottiene Ferrara come destinazione, “città quanto mai metafisica”. Qui nel 1917 conosce Carlo Carrà, inizialmente legato al futurismo. Dal loro incontro nasce ufficialmente la pittura metafisica, (che De Chirico praticava autonomamente dal 1909); tanto che nella mostra tenutasi a Roma presso Galleria dell’Epoca nel 1918, De Chirico afferma: “Possiamo finalmente dire di aver anche noi un’arte nuova, […] un’arte severa e celebrale, ascetica e lirica che della magna terra ove nasce succhia lo spirito migliore quello spirito che alcuni grandi costruttori italiani seppero stampare nell’opera loro come indelebile […]. La nuova pittura metafisica, sorta ora per opera di pochi artefici italiani, si libera da ogni vincolo e apre la via ai più nuovi lirismi, mantenendosi, in quanto alla forma, in quella costruzione severa e solida che è come l’infaticabile segno di riconoscimento di un’opera veramente duratura […]. Arte che non è tentativo effimero forza astrale che sviluppa dopo averla pompata agli esseri e alle cose gravidi di demoni.
Arte che non è tentativo effimero o andazzo pretenzioso, come idiotamente crede quella tal schietta di bipedi vivipari che Nietzsche con malizia definiva: la plebaglia istruita”.
Il Nome:

Il termine “metafisica”, di origine greca, è inerente alla filosofia. Il primo a usarlo fu Andronico di Rodi nel I Sec. a.C. quando distinse gli scritti di Aristotele in due gruppi:
• Il gruppo costituito dagli scritti riguardanti la fisica, i fenomeni naturali, fu chiamato tà physikà;
• Il secondo gruppo costituito dagli scritti riferiti all’essenza delle cose, ai principi insiti nelle cose stesse, alla realtà di cui non abbiamo esperienza diretta e a cui giungiamo attraverso l’intuizione, il ragionamento, fu chiamato: tà metà tà physikà.

Nell’uso dei metafisici il termine ha come unico punto di contatto con quello filosofico l’allusione a una realtà diversa, che va oltre ciò che vediamo, in cui gli oggetti, decontestualizzati, sembrano rivelare un nuovo significato che sorprende. Pertanto nelle opere si trovano raffigurati oggetti indubbiamente riconoscibili ed elementi architettonici, calchi antichi, citazioni, ma i vari “pezzi” sono posti tra loro in relazioni inedite e sorprendenti. Da ciò deriva una mancanza di un legame diretto con la realtà (per questo arte metafisica, che prescinde dalla realtà naturale e storica) e un senso di mistero ed enigma. L’enigma va’inteso nel suo significato etimologico, pertanto indica l’idea per cui la realtà ci si presenta in maniera celata, non ci parla apertamentedi se, pertanto è necessario andare a scoprirne il significato reale e profondo. ( Ritorna l’dea dei simbolisti, in particolare Boudelaire per cui la natura è una foresta di simboli. Accetta da Gauguin, anche se ora è portata agli estremi perché, lì si dava una sorta di soluzione, era proposta un’interpretazione, basta ricordare il Cristo giallo in cui lì idea del sacrificio del Salvatore che ha una valenza non solo nel passato ma anche nel presente e nel futuro, è espressa tramite l’uso del colore giallo, in maniera molto innaturale. Mentre ora la soluzione non viene raggiunta, tanto che l’enigma presentato nei quadri rimane irrisolvibile. Comunque non per questo è destinato a produrre angoscia. Dice lo stesso De Chirico:” Nella parola metafisica non vedo nulla di tenebroso: è la tranquillità stessa e la bellezza priva di senso della materia che mi sembra metafisica […]. L’opera d’arte metafisica è quanto all’aspetto serena; dà però l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre a quelli già palesi, debbano subentrare nel quadro della tela. Tale è il sintomo della profondità abitata. Così la superficie piatta d’un oceano perfettamente calmo ci inquieta non tanto per l’idea della distanza chilometrica che sta tra noi e il suo fondo quanto per tutto lo sconosciuto che si cela in quel fondo”.
I contenuti di un dipinto metafisico, quindi, vanno al di là di ciò che vediamo; vanno pertanto oltre la natura.
Quello che ne emerge è una realtà nuova, “mentale”, nel senso che l’opera d’arte diventa un’opera autoreferenziale, non più portatrice di verità assolute, che va ad indagare il senso profondo delle cose, riscoprendo lo spirito, la sostanza reale, delle cose stesse. A ciò si giunge tramite l’esercizio di quella che il filosofo tedesco, Hussel, riprendendo un termine usato dagli scettici definisce “epokè”, ovvero una sospensione del giudizio, che nei quadri si traduce in una sospensione spazio-temporale e nella raffigurazione di dimensioni oniriche, in cui l’uomo si spogli delle considerazione fatte nel corso della storia riguardo agli oggetti presi in considerazione, delle convenzioni sociali che impongono una determinata visione del mondo che ci circonda, e ne recuperi l’essenza. Da tale esercizio deriva una nuova visione degli oggetti, che vengono decontestualizzati e fusi tra loro in modo innaturale, così come può accadere solo nella mente umana, originando una realtà nuova, appunto mentale. Ciò che ne deriva è un senso di smarrimento, di shock da parte dell’osservatore che si trova davanti ad una visione inattesa e non logica, tanto che a riguardo, cos’ì come con tutta l’arte d’avanguardia, ancora oggi è aperta una discussione sul fatto che sia o no una vera arte, o meglio sul fatto che essa rappresenti o no la morte dell’arte, partendo da Hegel per cui la forma tangibile del bello è la logica…(campana).
Quindi, nonostante i surrealisti lo considerino un loro precursore, nelle sue opere non c’è il ricorso al sogno, all’automatismo psichico, all’inconscio, ma il puro lavorio celebrale, tanto che Manritte, osservando l’opera dechiricana “Il canto d’amore” , afferma di avere la sensazione di assistere alla rappresentazione del pensiero.
Partendo da ciò tale arte può essere definita un’arte di evasione, non nel senso di fuga dalla realtà, ma ,come può essere riscontrato anche nell’arte astratta di Kandinskj, come riscoperta dell’essenza, dello spirito delle cose, della bellezza intrinseca del mondo che, nonostante la bruttura del contingente, è sempre presente e va riscoperta dall’uomo. Colui che può giungere a tali considerazioni, però, è solo il poeta, l’artista vate che, dotato di una particolare sensibilità riesce ad estraniarsi dal mondo circostante e riportare alla luce l’enigma caratterizzante il mondo stesso.
Ne deriva che l’arte non è più portatrice di verità, tanto che l’enigma rimane irrisolto, pertanto è un’arte che non trova più giustificazione nei soggetti trattati, bensì in quelli che sono i suoi unici dati referenziali: i colori; pertanto anche la sua è un’arte d’avanguardia, nonostante De Chirico abbia rifiutato sempre questa idea, affermando di essere “pictor classicus”, perché in linea con la tradizione italiana basata sul disegno, sulla forma e sul volume. Infatti nelle opere è riscontrabile uno spazio rigidamente geometrico, una prospettiva schematica, il colore omogeneo steso in maniera uniforme, un segno netto, una solida volumetria degli oggetti, il tutto chiara anticipazione al “richiamo all’ordine” rispondente alla condizione di smarrimento e di bisogno di certezze dovuta alla crisi delle certezze causata sia dal contesto storico, e prima da quello culturale, che sarebbe stato molto forte dopo la guerra, tanto che lo si riscontra non solo a livello artistico, ma anche letterario, basti pensare alle opere di Montale, in cui sono reintrodotti i versi classici(terzine e Quartine, nonostante siano ancora privilegiate le atmosfere sospese, in linea con De Chirico, Ossi Di Seppia, questa atmosfera in cui è sempre presente l’attesa che accada qualcosa di nuovo.

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