"Giuditta" di Sandro Botticelli

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

NOTE SULL’AUTORE:
Allessandro di Mariano Filipepi (Firenze, 1445-ivi,1510), detto il BOTTICELLI. Fu allievo di Filippo Lippi; i suoi primi lavori risentono chiaramente dell’influenza del Pollaiolo e del Verrocchio, ma dal 1470 lo stile botticelliano appare del tutto formato e capace di produrre una serie di originali capolavori, in cui sembra trasporsi la leggerezza della poesia del Poliziano. Dinamismo e plasticismo espressi con chiarezza e leggerezza di linee e con delicato cromatismo nel dar vita a scene allegoriche, ora dall’incantato lirismo, ora dalla potente drammaticità, costituiscono i tratti salienti dell’opera del Botticelli, in cui si riflettono fedelmente le vicende e gli ideali della Firenze medicea. Verso la fine del XV sec, il clima fiorentino muta bruscamente e con esso la pittura di B., che si apre alla nuova spiritualità religiosa mettendo radicalmente in discussione la cultura precedente.
NOTE SULL’OPERA:
Oloferne, assediava la città di Betulia. Come estremo riguardo di tiranno ne richiedeva la resa entro tre giorni o la distruzione. Giuditta, saggia vedova ebrea, venne ispirata dal cielo di uccidere Oloferne. A ucciderlo doveva essere lei, creatura indifesa, perciò insospettabile. Oloferne era sensibile alle grazie femminili. Per porre in atto la sua ispirazione, doveva uscire fuori dalle mura e di notte. Non poteva lasciare sola la città, così venne accompagnata daal nutrice. Le donne si avvicinarono agli accampamenti nemici, dove le sentinelle le fermarono e le imprigionarono. Giuditta viene condotta davanti al generale. Oloferne impone di seguirlo nella tenda. Giuditta fida nel vino che il soldato berrà fino a farsi uccidere nella notte. Al mattino, le sentinelle, trovano il suo corpo disteso in un’orribile morte, lasciando il corpo dal collo mozzato e ancora sanguinante.
Camminando parallele al bordo del costone roccioso, da sinistra a desta, le due donne si muovono sinuosamente, l’una dietro l’altra, in relazione diretta e reciproca. Le forme dell’ancella hanno una loro ragione d’essere non separatamente ma unitamente a quelle di Giuditta: le parti avanzanti della prima si inseriscono nelle rientranze della seconda. Anche il ramoscello d’olivo e l’albero riprendono a accompagnano l’andamento del corpo di Giuditta; e la spada, ancora insanguinata, conclude tondeggiando l’armonica composizione del busto, delle braccia e del viso. La linea curveggiante viene creando dei rapporti sintattici sul piano non in profondità, ma singole immagini disegnate continuativamente.
Quando Botticelli ha concepito la duplice scena, ha diviso i soggetti come parti in un mondo diverso. Oloferne apparteneva alla guerra, alla violenza, ai suoi soldati attendati fuori le mura. Giuditta, con la testa di Oloferne nelle mani a certificarne l’uccisione. Simbolo di pace per la sgomenta città. Giuditta reca in una mano la spada, strumento di morte, e nell’altra un ramo d’olivo, segno di pace. Il viso della giovane tradisce una forte emozione, triste al ricordo della macabra scena. Botticelli accentua qui la sua natura travagliata. Nell’animo di Giuditta trasferisce quei dubbi esistenziali che lo tormentano. Giuditta, come frastornata in un paesaggio freddo e distante, evita anche lo spettatore. Suoi occhi fissano un punto lontano, inesistente. La libertà, pagata così a caro prezzo; la vita, la sua e di tutta Betulia, barattata con la morte, una sola ma ugualmente una violenza innaturale. Tutti gli artisti descriveranno Giuditta con questo gesto definitivo.

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