Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia Dell'arte |
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GIORGIO VASARI
Giorgio Vasari (Fig.I) era originario di Cortona, tuttavia la sua famiglia, all'epoca del bisnonno Lazzaro Taldi (1399-1468) sellaio ma allo stesso tempo pittore,(del quale fino a poco tempo fa si ricordava un affresco presso la chiesa aretina di San Domenico), si era trasferita stabilmente ad Arezzo ed aveva acquistato una prima casa e poi una successiva abitazione nell'attuale via Mazzini, al numero 60. Il figlio di Lazzaro, Giorgio, nonno omonimo dell'autore delle "Vite", esercitò la professione di vasaio facendo successivamente trasformare il vero cognome Taldi in Vasari.
Giorgio nacque ad Arezzo nel 1511. Il padre, Antonio, morì nel 1527 in seguito ad una grave epidemia lasciando, oltre al summenzionato figlio di soli 16 anni, quattro figli più piccoli di lui, fra cui tre femmine e la moglie in stato interessante. Quando rimase orfano Giorgio aveva già chiaramente manifestato la sua predilezione per la pittura, incoraggiato anche dall'interessamento di Luca Signorelli, famoso pittore cortense parente dei Vasari che aveva sicuramente aiutato il suo trasferimento a Firenze per studiare sotto Andrea del Sarto e Baccio Bandinelli.
Nel 1532 Giorgio eseguì la Deposizione del Sepolcro, oggi conservata in casa Vasari (Camera di Abramo) che mostra chiaramente le varie componenti culturali della sua arte, e dovette rappresentare un vero e proprio biglietto da visita per farsi conoscere a Firenze.
Grazie a vari lavori riuscì fra l'altro a porre rimedio alla difficile situazione finanziaria delle sorelle, costituendo loro una distinta dote, per sposarsi o ritirarsi in convento, come si usava all'epoca.
A sedici anni Vasari non doveva già più essere un apprendista, ma sappiamo che pian piano la sua formazione si arricchì con lavori e studi in provincia, ad Arezzo, Firenze, Roma e Bologna, conquistando un sempre maggior numero di commissioni.
Di cultura eclettica ed erudita, grazie alle amicizie romane i suoi interessi mutarono, ampliandosi sino ad abbracciare oltre alla pittura anche la scultura, l'architettura e le arti minori, sfociando nell'opera che più d'ogni altra gli dette fama: le "Vite de'più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue insino a'tempi nostri".Stampate nel 1550 le Vite coincisero con l'attività fiorentina del Vasari quando, al servizio del duca Cosimo I de Medici, l'artista aretino tendeva programmaticamente a glorificarne il casato. E' lo scritto che ha consacrato, più della stessa produzione artistica, la sua fama nei secoli.
Ricordiamo che nel 1532, all'età di ventun'anni Giorgio eseguì la Deposizione del Sepolcro, oggi conservata in casa Vasari (Camera di Abramo) che mostra chiaramente le varie componenti culturali della sua arte e che dovette rappresentare un vero e proprio biglietto da visita per farsi conoscere a Firenze.
Grazie a vari lavori riuscì fra l'altro a porre rimedio alla difficile situazione finanziaria delle sorelle, costituendo loro una distinta dote, per sposarsi o ritirarsi in convento, come si usava all'epoca.
Vasari compì quindi molti viaggi in tutta la penisola. Si formò come pittore a Firenze e a Roma, sulla base dei modelli del tardo classicismo fiorentino (Andrea del Sarto, Albertinelli) e dei grandi maestri romani, elaborando una cultura figurativa eclettica, arricchita da stimoli pittorici veneziani, assorbiti durante un soggiorno nella città lagunare del 1541, dove ebbe contatti col fiorentino Francesco Salviati.
Un successivo soggiorno romano (1542/1546) e la frequentazione del circolo di letterati ed eruditi del cardinal Farnese portarono l'artista a realizzare il suo primo grande ciclo pittorico nel palazzo della Cancelleria Vaticana (sala dei Cento Giorni) e lo avvicinarono ad interessi architettonici ed all'elaborazione di una stesura in organica forma letteraria degli appunti e delle notizie sugli artisti italiani, che da anni andava raccogliendo nei suoi viaggi.
Non ancora trentenne, nel 1540, acquistò da Jacopo Nanni dei Cavaceppi una casa nel quartiere di San Lorentino, nell'attuale via XX Settembre. Iniziò repentinamente a ristrutturarla con numerosi cambiamenti e nel 1542 cominciò la decorazione dei vari ambienti che risulta terminata nel 1548. Due anni più tardi Giorgio Vasari sposa la
giovanissima Niccolosa Bacci, figlia quattordicenne, di Francesco Bacci, facoltoso cittadino aretino. La tradizione vuole che Vasari l'abbia raffigurata nella camera delle muse nell'unico pennacchio, con tre figure. Si tratta di una giovane molto florida ed elegante che oggi si stenta veramente a credere che non fosse ancora quattordicenne.
Col progressivo aumento del prestigio di Giorgio al servizio dei granduchi di
Toscana, i Vasari si trasferirono a Firenze nel 1554.
Assai intensa fu la successiva attività come uomo di fiducia al servizio di Cosimo I. La programmatica ristrutturazione del centro storico di Firenze ebbe in Vasari un regista imprenditore di formidabili capacità.
Nel 1568 vide la luce la seconda edizione delle Vite.
Giorgio Vasari si spense a Firenze il 27 giugno 1574, nello stesso anno della scomparsa del suo mecenate, Cosimo I.
LA CASA DEL VASARI E IL MUSEO
La casa del Vasari venne edificata dal 1540 al 1548, su fondazione e struttura di base già esistenti; è costituita dal seminterrato con volte ribassate costituito da più ambienti e l'appartamento signorile al primo piano oggi adibito a depositi e laboratorio della soprintendenza.
In origine la facciata doveva essere più stretta e presentare due file di quattro finestre
ed un portale, quello col bugnato, mentre le altre aperture devono essere aggiunte
più tarde. La facciata pertanto, secondo questa ricostruzione ipotetica di Albino
Secchi, doveva essere caratterizzata da una maggior proporzione ed armonia rispetto
a quella attuale che risulta eccessivamente amplificata in larghezza.
L'attuale scala di accesso al piano nobile dovrebbe essere originale e ideata dallo
stesso Vasari che aveva decorato personalmente il salone detto del Camino con
soffitto a cassettoni dipinto, un piccolo corridoio detto Cerere con volta a botte
dipinta, una stanza detta della Fama (Fig.II,III) e un'altra detta delle Muse (Fig.IV), entrambe con dipinti murali, attinenti a temi mitologici, sul soffitto voltato.
L'appartamento era costituito poi da un piccolo ambiente con pavimento in maioliche
cinquecentesco forse adibito a Cappella e da una cucina, oggi con affreschi del
pittore ottocentesco Raimondo Zaballi.
Attorno alla casa si estendevano orti di cui Vasari era molto orgoglioso nei quali
probabilmente lavorava personalmente quando gli impegni lo lasciavano un po'
libero. Attualmente l'appezzamento di terreno risulta ridotto e trasformato in giardino con la consueta struttura geometrica centralizzata tipica di tanti spazi verdi annessi a palazzi signorili del centro storico aretino.
Agli inizi del 1550 Vasari si sposò con la giovanissima Niccolosa Bacci che chiamava "Cosina", con la quale venne ad abitare nella dimora di San
Lorentino. La loro convivenza nella casa aretina però durò ben poco perché dopo
pochissimi mesi l'artista si trasferì a Roma al seguito del Cardinale Del Monte (cioè
Monte San Savino) eletto pontefice col nome di Giulio III, lasciando la moglie sola per anni nella nuova casa. Dopo l'attività prestigiosa a Roma dove lavorò alla Cappella Del Monte a San Pietro in Montorio e agli affreschi della villa e del palazzo del Banchiere Bindo Altoviti, tornò nella sua amata casa, ma per breve tempo poiché gli impegni sempre più pressanti al servizio dei Medici lo fecero trasferire, stavolta con la famiglia, a Firenze dove risiederà dapprima in una casa in affitto in via Larga e poi nella bella casa di Borgo Santa Croce concessagli in proprietà proprio dai Medici che sarà decorata con splendide pitture murali sempre sul tema delle Arti e degli Artisti.
Nonostante il trasferimento a Firenze comunque la casa aretina mantenne un ruolo importante poiché Vasari vi andava collezionando numerose opere d'arte fra le quali oltre ad una Madonna abbozzata dal Parmigianino, ad un modello di Michelangelo, alla copia in terracotta della "Notte" di Michelangelo eseguita dal Tribolo, "molte altre nobili pitture, sculture e marmi antichi". Ma nell'inventario steso alla morte di Vasari, che non ebbe figli, nel 1574 non risulta quasi più nulla della collezione probabilmente perché le opere dovevano essere state trasferite a Firenze. L'allarme che si creò ad Arezzo nel 1605 per un presunto furto di opere nella casa dell'artista farebbe supporre che la sua collezione dovesse esservi in parte tornata.
Comunque un fatto è certo: nella seconda metà del Settecento nella casa non c'era più niente.
Con l'estinzione della casata dei Vasari nel 1687, per volontà testamentaria dell'ultimo dei discendenti dell'artista, i beni immobili, fra cui la casa, passarono alla
Fraternita dei Laici. Ancor oggi infatti rimangono tracce di questa proprietà: troviamo infatti sul cammino della sala e su alcune porte lo stemma della Fraternita.
Dal 1871 al 1910 l'edificio appartenne alla famiglia Pagliacci e nel 1911 fu acquistata dallo Stato per destinarlo a Museo e a sede dell'archivio vasariano.
Dopo un primo allestimento che intese ricreare la dimora cinquecentesca del Vasari con mobili in stile ed alcune opere del pittore provenienti dal Museo di Arezzo, seguì una nuova sistemazione nel 1955 a cura di Luciano Berti, funzionario della Soprintendenza delle Gallerie di Firenze che è rimasta tuttora valida e sostanzialmente invariata. Il Berti, con una delle operazioni museografiche più raffinate ed intelligenti dell'epoca eliminò l'arredamento in stile ed espose una cinquantina di opere provenienti dai depositi dei Musei fiorentini che documentassero parte della pittura cinquecentesca fiorentina e non, con numerosi esemplari di artisti formatisi alla scuola vasariana, privilegiando opere di medio e piccolo formato che meglio si inserissero negli ambienti non grandi della casa dell'artista. Molti dei dipinti erano inediti e dal momento della loro pubblicazione ad opera di Berti è nato un vivo e fertile dibattito fra gli studiosi per stabilirne la
paternità e la provenienza.
Nel 1981 la collezione si è arricchita di un'opera autografa di Giorgio Vasari, il Giuda, proveniente dal mercato antiquario e riconducibile al periodo veneziano dell'artista di cui fino ad allora si conoscevano pochissime opere mobili.
ARCHIVIO VASARIANO
In Casa Vasari si conserva un importantissimo e prezioso archivio della famiglia nel quale sono raccolti diversi manoscritti, i più interessanti dei quali pubblicati. Alla morte dell'ultimo erede Vasari nel 1687, secondo te volontà testamentarie dello stesso Giorgio, i beni immobili passarono alla Fraternita dei Laici e con quelli avrebbero dovuto essere comprese anche le Carte Vasari, in quanto documentazione giustificativa dei diritti di proprietà. Per quanto riguarda i beni mobili, invece, tra cui era anche la preziosa raccolta di disegni di vari artisti, in seguito ad una convenzione dell'ultimo discendente, dovevano essere messi in vendita per costituire doti a fanciulle povere.
Le Carte Vasari però furono trattenute da uno degli esecutori testamentari, senatore Bonsignore Spinelli, che ne aveva necessità per assolvere al proprio mandato. Dalla famiglia Spinelli l'archivio passò in eredità ai Conti Rasponi di Ravenna. II fondo rimase pressoché ignorato per oltre due secoli, fino al 1308, quando Giovanni Poggi scoprì nella abitazione fiorentina dei Rasponi Spinelli 31 unita documentarie concernenti i Vasari. La famiglia decise allora di vendere il diritto di pubblicazione al tedesco Karl Frey che, insieme col figlio, fece uscire in due volumi nel 1320 e nel 1330 l'Epistolario, che rappresentava fa parte più consistente dell'archivio Vasari, con numerosissime lettere a principi, personaggi, letterati e artisti del tempo.
Scaduto il contratto con i Frey la famiglia Rasponi Spinelli decise di lasciare l'archivio in deposito perpetuo al Comune di Arezzo, con la clausola che venisse conservato in Casa Vasari. Nel 1337 Alessandro del Vita pubblicò il regesto dell'archivio e le Ricordanze, cioè il registro dell'artista, nonché lo Zibaldone. I manoscritti principali dell'archivio sono un "bastardello" con ricordi della famiglia Vasari dal 1461 al 1530; un libro di contratti dei Vasari dal 1450 al 1586, le "Ricordanze" dal 1527 al 1573 che sono fonte di ulteriori notizie soprattutto sulle opere dell'artista con dare e cifre che integrano quanto si conosce dalla sua autobiografia, il già ricordato Zibaldone che oltre a notizie storiche e contemporanee presenta appunti e invenzioni del Vasari e dei suoi amici letterari utili per la realizzazione delle sue opere. Esiste poi una biografia incompleta e di scarso interesse scritta dal nipote Marc'Antonio, entro la quale però, è un foglio attribuito ad un altro nipote, Giorgio Vasari il Giovane, che sembra essere il progetto di un'impresa pittorica sul tipo di quella a Casa Buonarroti a Firenze che oltre a segnalare le tappe pi ù importanti della vita dell'antenato, ne lasciasse memoria e gloria presso i posteri.
La parte più importante dell'archivio, come gi à accennato è quella che comprende i preziosi volumi del carteggio: diciassette lettere di Michelangelo Buonarroti (Fig.V) inviate al Vasari dal 1550 al 1557 che testimoniano la amicizia e confidenza esistente fra i due artisti, lettere di principi come Cosimo I e Francesco I dei Medici, di vari cardinali e vari alti prelati, di famosi letterati come Cosimo Bartoli, Annibale Caro, Lodovico Domenichi, Pier Francesco
Giambuliari e Pier Vettori, oltre a quelle di Vincenzo Borghini, caro amico e consigliere di Giorgio Vasari.
VASARI ARCHITETTO E PITTORE
La mia scelta di collocare assieme le opere architettoniche e pittoriche dell’artista è stata dettata dal fatto che entrambe si completano vicendevolmente, nonostante la produzione pittorica risulti meno vasta, eccezion fatta per gli affreschi di Santa Maria del Fiore.
LA GALLERIA DEGLI UFFIZI
Gli Uffizi ospitano, su una superficie di circa 8.000 mq, una delle più importanti collezioni artistiche di tutti i tempi, comprendente sculture antiche e dipinti su tavola e tela di scuole italiane e straniere dal XIII al XVIII secolo.
Il 23 marzo del 1560 il Vasari incominciò la costruzione degli Uffizi,collocati tra Palazzo Vecchio e l'Arno secondo la volontà di Cosimo I; la progettazione e soprattutto l'esecuzione dei lavori furono talmente impegnativi che Vasari stesso confessava a riguardo "di non aver fatto mai murare cosa né più difficile né più pericolosa per essere fondata in sul fiume e quasi in aria". L'edificio avrebbe dovuto essere la sede unica di tutti gli uffici amministrativi e giudiziari del ducato nonché degli archivi di Stato, mentre un intero piano avrebbe dovuto accogliere le collezioni artistiche medicee.
Per fare spazio a questo nuovo edificio nel cuore storico della città densamente popolata vennero espropriate ed abbattute numerose casette, senza che il duca Cosimo I si preoccupasse di indennizzare i proprietari.
Strutturalmente il palazzo si compone di due corpi di fabbrica paralleli e di uno, più piccolo, ad essi perpendicolare, racchiudenti una piazza stretta e lunga (Fig.VI,VII). Un'ariosa serliàna (un motivo architettonico a tre aperture di cui quelle laterali sono trabeate e quella centrale è sormontata da un arco a tutto sesto.Il particolare nome deriva dal fatto che questo motivo venne descritto per la prima volta dal trattatista Sebastiano Serio, benché fosse già noto fin dall'epoca romana.) nella porzione inferiore del lato breve si apre sull'Arno.
Per chi la guardi dalla riva opposta essa costituisce anche l'unico varco nel compatto tessuto urbano attraverso cui, guidati dai due corpi paralleli dell'edificio, lo sguardo è convogliato sino a Palazzo Vecchi e a Piazza della Signoria, centro politico, amministrativo e rappresentativo della città.(Fig.VIII)
L'edificio, costruito in pietra di fossato, dello stesso colore della pietra serena, ma decisamente più resistente, è intonacato nelle parti non in aggetto ed è composto da un piano terreno porticato, da un mezzanino e da due piani superiori. Originariamente quello più elevato costituiva un loggiato, che fu chiuso in un secondo momento.
L'edificio è modulare (Fig.IX) ed è costituito da blocchi fra loro divisi da paraste racchiudenti lo spazio occupato da tre aperture e, quando l'ultimo piano era un loggiato, si presentava meno monotono di quanto non possa apparire oggigiorno.
Nel 1565 gli Uffizi vennero congiunti con Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti tramite due distinti passaggi coperti, tra cui il famoso Corridoio Vasariano.
La Galleria degli Uffizi è stata anche il primo museo accessibile al pubblico: fin dal 1591 era visibile a chiunque ne facesse richiesta al Granduca. Con i suoi quattro secoli di storia, gli Uffizi sono da considerarsi il più antico museo del mondo.
Il Palazzo venne successivamene completato dal Buontalenti, che vi ideò la celebre Tribuna, fu concepito da Cosimo I de' Medici come sede degli uffici (allora denominati "uffizi") amministrativi di Stato, per i quali Palazzo Vecchio, anch'esso affacciato su Piazza della Signoria, era diventato troppo piccolo. Ad iniziare la trasformazione in museo fu invece suo figlio Francesco I che, nel 1581, fece chiudere con grandi finestroni la Galleria del secondo piano e vi raccolse parte delle collezioni granducali di statue antiche, medaglie, gioielli, armi, quadri e strumenti scientifici.
Instancabili collezionisti, i Medici arricchirono costantemente la Galleria: tra gli ingressi più cospicui quelli dovuti all'eredità di Vittoria della Rovere (1631), moglie di Ferdinando II, e agli acquisti del cardinale Leopoldo de' Medici (1617-1675), grazie al quale furono gettate le basi del Gabinetto Disegni e Stampe (al primo piano degli Uffizi, dove un tempo sorgeva il Teatro di Corte costruito da Bernardo Buontalenti) e della raccolta di Autoritratti oggi esposti nel Corridoio Vasariano che unisce gli Uffizi alla reggia di Palazzo Pitti. Alla morte dell'ultimo granduca Medici, Gian Gastone, la sorella Anna Maria Ludovica riuscì a impedire la dispersione del patrimonio artistico con il famoso "Patto di famiglia" (1737, riconfermato nel testamento del 1743) che lasciava tutto in eredità non ai successori della casa Asburgo-Lorena bensì alla città stessa di Firenze "per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei forestieri". Questo documento risulterà fondamentale anche per ottenere la restituzione delle opere prelevate e trasportate a Parigi in epoca napoleonica.
In quattro secoli di vita la Galleria degli Uffizi ha subito varie modifiche e con il passare dei secoli si è costantemente arricchita di opera di inestimabile valore
CORRIDOIO VASARIANO
Il Corridoio fu costruito da Giorgio Vasari in soli cinque mesi nel 1564, in occasione delle nozze tra Francesco I de' Medici e Giovanna d'Austria, per collegare Palazzo Pitti, residenza del Granduca, agli Uffizi (cioè uffici) dove il sovrano lavorava.Il Corridoio si può quasi definire un tunnel quasi segreto riservato alla passeggiata (o alla fuga) dei Medici.
Si tratta di un percorso coperto lungo quasi un chilometro, una passerella aerea che parte dal corridoio ovest della Galleria, scende, ornato da grandi arcate, quasi a precipizio lungo il Lungarno degli Archibusieri e lo percorre per una settantina di metri; poi corre sopra le botteghe del Ponte Vecchio (Fig.X), gira intorno alla torre dei Mannelli (poiché all'epoca i proprietari si rifiutarono di fare passare il Corridoio nella loro proprietà), attraversa via dei Bardi, sorvola l'arco fra Piazza Santa Felicita e Piazza dei Rossi, lambisce la facciata di Santa Felicita, rimpiattandosi dietro le case di via Guicciardini sbocca in prossimità dei Boboli (avendo un'scende fino a palazzo Pitti al quale arriva, dopo settecento metri, in due punti diversi. Questi due punti vennero certamente inventati in relazione al doppio senso di fuga e di passeggiata che il Corridoio ebbe nel tempo in cui fu costruito.
Piccola curiosità: nel Passaggio sul Ponte Vecchio, per non turbare con cattivi odori la passeggiata del granduca, fu cacciato dal ponte il mercato delle carni e al suo posto, a partire dal 1593, furono chiamati gli orafi che ancora oggi vi lavorano.
Il granduca poteva addirittura assistere alle cerimonie religiose celebrate in Santa Felicita restando celato allo sguardo degli altri fedeli poiché il Corridoio, essendo tangente alla Basilica, presenta alcune feritoie sulla facciata stessa dell'edificio sacro,protette da grate di ferro.(Fig.XI).
Vasari ha così concepito una monumentale traiettoria urbana che porta il potere assoluto del sovrano nel cuore storico della città. Un secondo corridoio collega infatti dall'altra parte, scavalcando via della Ninna, il Palazzo degli Uffizi con Palazzo Vecchio, dal XIII secolo sede del governo fiorentino.
Nel 1973 il Corridoio è stato restaurato e riaperto al pubblico ma solo su prenotazione e per visite di gruppo. Oltre alle splendide e inedite vedute sulla città che si possono godere dalle sue finestre tonde, il percorso offre al visitatore ben 700 dipinti, tutti del Sei e Settecento, e soprattutto la collezione degli Autoritratti dei più famosi maestri della pittura dal XVI secolo fino al Novecento.(Fig.XII).
PALAZZO VECCHIO: LA RISTRUTTURAZIONE VASARIANA
Sotto il governo di Cosimo I, duca di Toscana dal 1537, Palazzo Vecchio (Fig.XIII) muta completamente carattere pur mantenendo l'austero aspetto esteriore del palazzo di Arnolfo. Il Medici infatti sottolinea il cambiamento di rotta politica andando a vivere con tutta la famiglia nell'edificio che ospita da sempre il governo della città e incarica il suo architetto di fiducia, Giorgio Vasari, di adattarlo alla nuova situazione. Fra il 1540 e il 1565, quando i Medici si trasferiranno nella reggia di Pitti, il Palazzo sarà più che raddoppiato grazie alla costruzione di un nuovo blocco sul lato posteriore, lasciando intatte le strutture che si affacciano sulla piazza. Nascono così, al secondo piano, il Quartiere degli Elementi, con lo splendido Loggiato di Saturno da cui si gode un panorama impagabile, e il Quartiere di Eleonora di Toledo, moglie del duca, ristrutturato e affrescato fra il 1559 e il '62. Qui, nella Camera Verde, si apre il collegamento con gli Uffizi. Infine (al primo piano) il Quartiere di Leone X, dedicato ai personaggi più illustri della famiglia Medici, rammodernato da Vasari nel 1555-62 su strutture già modificate da Giovan Battista di Marco del Tasso, direttore dei lavori in "Palazzo Ducale" (così viene detto in quegli anni) fra il 1550 e il '55 e autore della porta su via dei Leoni. All'intervento vasariano si devono anche i due scaloni monumentali, il piccolo e sofisticato Studiolo di Francesco I (Fig.XIV), vero capolavoro del Manierismo fiorentino (1570- '75), e il complicato programma decorativo del Salone dei Cinquecento (Fig.XV, XVI), tutto teso a celebrare il regno e le vittorie di Cosimo I. Gli affreschi che Vasari eseguì per la sala dei Cinquecento rivelano l'involuzione che la pittura decorativa nell'arco di un ventennio aveva subito, soprattutto perché l'artista aretino non riuscì a riscattarla con l'estro della fantasia dal compito scopertamente celebrativo che le era affidato. L' intera decorazione di Palazzo Vecchio fu programmata per sostenere il potere di Cosimo, al quale alludono figure di eroi sacri e profani, come quella di Mosè, protagonista della cappella di Eleonora nella veste di secondo fondatore del suo popolo, o quella di Camillo, le cui vicende campeggiano nella Sala delle Udienze, mentre nella sala dei Cinquecento l'apoteosi di Cosimo nel soffitto, una raffigurazione che per volere del duca stesso aveva sostituito quella progettata dell'apoteosi della città di Firenze, sovrastava le scene che sulle pareti, seguendo un programma iconografico ideato dal Borghini, celebravano l'intera storia della città, quasi a voler innalzare il Medici a suo nume tutelare. In tal modo la glorificazione di Firenze diveniva la glorificazione di Cosimo. Vasari vi lavorò dal 1563 al 1566, riunendo in torno a sé una schiera di artisti destinati a divenire protagonisti della fine del secolo, come Giovanni Stradano, Giovan Battista Naldini, Jacopo Zucchi.
Sulla parete di fronte all'ingresso è anche la statua del Genio della Vittoria scolpita da Michelangelo nel 1506-34.
Fra le ultime realizzazioni ricordiamo la decorazione della Sala del Mappamondo (Fig.XVII), un tempo loggia e poi chiusa in occasione delle prime modifiche: qui i frati domenicani Ignazio Danti e Stefano Buonsignori dipingeranno fra il 1563 e l'84 una serie di 53 carte geografiche di grande interesse storico.
S.MARIA DELLA PIEVE
Il titolo di pieve già documentato nel l008 indica, da un lato, l'antichità della fondazione della chiesa, sorta in origine come edificio paleocristiano, dall'altro, la sua giurisdizione su tutte le altre chiese aretine, favorita di sicuro dalla lontananza della cattedrale, posta all'epoca sul colle del Pionta, oltre che dalla sua stessa posizione, molto prossima invece alla città.
Il momento di massimo splendore della Pieve è connesso a quello del libero Comune di Arezzo. Gli aretini venivano battezzati solo al fonte battesimale della Pieve, intitolata a Santa Maria Assunta. Il favore e la protezione riservata dal Comune, anche durante il conflitto con il potere feudale ecclesiastico, favorirono la costruzione di una nuova chiesa intorno alla metà del XII secolo. La struttura era a tre navate, con abside, con presbiterio rialzato e con cripta sottostante. Nel XIII secolo la Pieve divenne la vera e propria chiesa comunale, in concomitanza con il trasferimento urbano della cattedrale. A tale momento risale un secondo rifacimento, con aggiunta nella facciata di archetti ciechi loggette sovrapposte, secondo lo stile pisano/lucchese, tradotto in pietra ed esemplato su antichi modelli settentrionali. All'interno si ideò un transetto di fronte al presbiterio con pilastri a fascio Nel l 330 fu completata la torre campanaria. Aggiunte di cappelle, di edicole e di affreschi si verificarono nel Trecento e Quattrocento. Nel l390 le cappelle erano 27.
Ricchissimo è il numero di opere e pitture andate perdute. Tra queste un ciclo di affreschi di Pietro Lorenzetti, autore nel 1320 del bellissimo dossale, ancora oggi visibile nel presbiterio. Grandi interventi di trasformazione furono realizzati da Giorgio Vasari nel l560. L'altare maggiore con il polittico del Lorenzetti fu sostituito da quello dedicato alla famiglia Vasari dipinto dall'aretino stesso in collaborazione con il
fiammingo Jan van der Straet, detto Giovanni Stradano, e attualmente collocato nella Badia delle Sante Flora e Lucilla. Il complesso decorativo dell'altare vasariano fu smantellato nel l 864, in occasione di drastici lavori di restauro eseguiti in Pieve dal 1862 al 1875. Con l'intento di restituire alla chiesa il suo aspetto originale, furono eliminati gli altari e le cappelle costruite nel Seicento e nel Settecento.
BADIA DELE SANTE FLORA E LUCILLA
Documentati per la prima volta ad Arezzo intorno al 773, i Benedettini possedevano un monastero nei pressi dell'attuale Prato, andato distrutto nell' 843. I monaci si trasferirono allora in una casa adiacente alla chiesa di San Pietro Maggiore, venduta nel 1203 al vescovo Amedeo, per essere elevata a cattedrale urbana. I benedettini costruirono un grande monastero intitolato alle Sante Flora e Lucilla sulla collina di Torrita, presso l'Olmo, nel 900 circa. Nel 1196 l'edificio, divenuto uno dei baluardi del feudalesimo ecclesiastico aretino, fu distrutto dal Comune di Arezzo, che obbligò i monaci a trasferirsi in un'area cittadina posta vicino alla cinta muraria. Abitando nella chiesa di San Pietro Maggiore e trasferendosi invece in quella di San Pier Piccolo, al momento della cessione i monaci dettero avvio ai lavori di un nuovo monastero e di una nuova chiesa, dove si stabilirono nel 1209. La costruzione ha avuto varie fasi, cominciando da quella gotica del 1278 con una struttura ad una sola navata. Nel l3l5 fu rifatto anche il monastero. Lavori di rinnovamento furono realizzati nel Quattrocento. Al l489 risale la costruzione del chiostro progettato da Giuliano da Maiano nel l470. La chiesa venne poi completamente rinnovata su progetto di Giorgio Vasari, a partire dal l 565. l lavori, iniziati dopo la morte del Vasari, si protrassero fino all'inizio del Seicento e nel l 650 fu costruito il campanile. La chiesa è a tre navate composte da campate d'identica grandezza, rettangolari quelle laterali, quadrate quelle centrali. Di tre ambienti è composta la sagrestia. Nella parete di fondo della parte più ampia detta sagrestia grande, è la Cappellina delle Reliquie con portale ligneo intagliato e datato l659. Di particolare rilievò è l'Altare Maggiore, eseguito da Giorgio Vasari per la cappella della sua famiglia nella Pieve aretina di Santa Maria, nel 1563 e qui trasportato nel 1865. I1 complesso monumentale e costituito dalla tavola frontale con la "Chiamata degli Apostoli Pietro e Andrea" affiancata a destra da "San Giorgio e San Paolo", sormontati dalla "Fede" e sovrastanti una predella con "San Giorgio e la principessa', e a sinistra dai "Santi Donato e Stefano", con sopra la "Fortezza' e sotto il "Miracolo del calice".
ORDINE DEI CAVALIERI DI SANTO STEFANO
Il segno più profondo lasciato in Pisa da Cosimo I è legato alla Fondazione dell'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano (Fig.XVIII), con la costruzione attorno all'antica Piazza degli Anziani, di una cornice di edifici che fosse degna degli immancabili futuri fasti del nuovo Ordine. Il duca e Vasari attuarono una delle più significative operazioni di rimodellatura in forme manieristiche di una struttura urbana medioevale, realizzando un brano concluso e formalmente inedito di "città d'autore".
I lavori, vennero concepiti unitariamente nel piano vasariano; iniziarono nel 1562 col Palazzo della Carovana, eretto sullo scheletro di un preesistente palazzo medioevale, seguendone la leggera concavità, vennero anche ripresi i motivi della scala esterna che portava l'ingresso principale al primo piano secondo la tipologia del palazzo pubblico medioevale. La torre civica, mozzata, fu inclusa nel nuovo edificio. Il Palazzo venne terminato nel 1564 ma si lavorò ancora alla facciata cambiando, a partire dal 1588, il disegno di Cosimo I che prevedeva un fregio con i ritratti dei fondatori degli Ordini religiosi e militari, compreso il suo. Nel 1565 Vasari dava mano alla chiesa ed al Palazzo dello Spedale, l'anno successivo alla Canonica e nel 156 al Campanile. La facciata restò a rustico perché pericolante a causa di infiltrazioni d'acqua piovana. Il Palazzo dello Spedale, detto anche del Buonuomo, venne ribattezzato dell'Orologio; fu edificato su un progetto del Vasari stesso su due vecchi edifici (fra cui la Torre della Fame) collegati da un voltone. Ne risultò un volume articolato, aperto sulla Piazza con un angolo di 125 gradi; come nel Palazzo della Carovana la decorazione, che qui era in fresco, si sviluppa su tutta la superficie. Per la costruzione della Canonica si rese necessario abbattere e tagliare un numero tuttora imprecisato di case e tamponare la via che proveniva da Sant'Ambrogio. I lavori richiesero circa quarant'anni.
AFFRESCHI DELLA CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE
Il ciclo pittorico della Cupola di Santa Maria del Fiore (Fig.XIX) in Firenze è il più vasto ciclo murale di soggetto sacro che si conosca, con una superficie di circa 3.600 metri quadri accompagnata da notevolissime difficoltà di realizzazione dovute soprattutto all'altezza dal suolo.
Il restauro completo dell'intera superficie intradossale della Cupola, iniziato nel 1988 e terminato nel 1995 a cura delle Soprintendenze di Firenze, ha restituito a questo ciclo pittorico tutta la sua bellezza e grandiosità.
L'opera venne iniziata dal Vasari a partire dall'11 giugno 1572 fino alla sua morte; nella realizzazione vi fu una collaborazione di giovani artisti emergenti tra cui il bolognese Lorenzo Sabatini e Federico Zuccari che vi operò a secco successivamente.
Alla complessa organizzazione dottrinale del tema, in sintonia con le decisioni del Concilio di Trento, sovrintese l'erudito Don Vincenzo Borghini.
Il viaggio è organizzato in cinque percorsi, che, seguendo un itinerario ideale dall'Inferno al Paradiso, affrontano alcuni degli aspetti fondamentali dell'iconografia delle pitture.
Il soggetto del ciclo pittorico è il Giudizio Universale, nei suoi molteplici aspetti ed effetti, articolato in un'affollata serie di gruppi e figure ispirate all'Antico ed al Nuovo Testamento, con particolare attenzione per l'Apocalisse di Giovanni.
La costruzione del sistema d'immagini si avvalse di una solida "griglia" dottrinaria che ordinava in una chiara sistemazione i risultati della speculazione teologica medievale.
Gli otto settori procurarono non pochi problemi per la difficoltà di rapportare il numero otto ai numeri tradizionali del sistema dottrinario (sette e nove).
Il problema fu brillantemente risolto articolando le serie di sette (Doni dello Spirito, Virtù, Beatitudini, Peccati Capitali) (Fig.XX) in sette settori e riservando l'ottavo (posto ad Est e liturgicamente preminente) a Cristo Giudice con la corte celeste
Il settore assume cos ì un ruolo di cerniera che lo sottrae alla numerologia complessiva ed al tempo stesso gli subordina l'intera composizione.
Ogni settore comprende, a partire dall'alto verso il basso: la finta architettura del Tabernacolo con tre Seniori con cetre, gigli e corone; un coro angelico, con strumenti della Passione; una categoria di Santi ed Eletti; una triade di personificazioni raffigurante un Dono dello Spirito Santo, una Virtù, una Beatitudine, tra due angeli tubicini; una regione dell'Inferno, dominata da un Peccato Capitale.
Sotto al finto tabernacolo ad opera del Sabatini la concatenata serie di oggetti si organizza contro un fondale di cielo e su terrazzamenti di nubi (sui quali poggiano i gruppi di figure), per concludersi verso la base della cupola con la generica pianura della "Resurrezione dei corpi" sullo sfondo e, in primo piano, il desolato paesaggio infernale.(Fig.XXI).
Questo "Giudizio Universale" non più inteso come momento di dubbio e di conquista faticosa della salvezza, com'era stato per Michelangelo (anche se al noto affresco del Buonarroti si ispirano i primi disegni del Vasari), viene imbrigliato in una rete ideologica fatta di consequenzialità, richiami, concordanze teologiche e corrispondenze rigorose alla stregua di un dogma. La storia dipinta è una commissione di narrazioni neo testamentarie, con presenze visionarie desunte dall'Apocalisse di San Giovanni e folgorazioni dantesche.
I lavori in Cupola iniziarono, dopo una Messa, l'11 Giugno 1572, giorno di San Barnaba, protettore dei Fiorentini nella battaglia vittoriosa di Campaldino.
"A dì 11 di giugno 1572, in mercoledì mattina a ore 11, che fu nel giorno proprio che il duca Cosimo nacque nel 1519, Maestro Giorgio Vasari aretino cominciò a dipignere la nostra cupola di Firenze".
La dipintura in cupola iniziò dall'alto col tabernacolo dei Seniori, probabilmente con un ponteggio anulare continuo. Con l'allargarsi del diametro della cupola, il pittore fu costretto ad articolare le impalcature in due parti, ciascuna corrispondente ad una coppia di settori contigui, con strutture a "libro aperto" la cui "costola" coincideva con lo spigolo.
APPROFONDIMENTO SU COSIMO I
Figlio di Giovanni dalle Bande Nere e di Maria Salviati, a sua volta nipote di Lorenzo il Magnifico, riunisce in sé il sangue dei due rami della famiglia.Nacque presso Villa di Castello nel 1519; fu portato al potere, dopo l'assassinio del duca Alessandro, daimagnati della città (Filippo Strozzi, Niccolò Acciaiuoli, Baccio Valori e Francesco Guicciardini, che forse sperava di dargli in moglie la figlia Lisabetta) che pensavano di poter condizionare come volevano questo diciannovenne allevato in campagna. Si sbagliavano: in poco tempo Cosimo rivelò la sua tempra e riuscì nella manovra di accentrare tutto il potere nelle propria persona. Gli oppositori, riunitisi in armi sotto il comando degli Strozzi, furono sconfitti nella battaglia di Montemurlo il 31 luglio 1537. Salito sul trono, Cosimo ristabilì l'ordine nello Stato, favorendo la giustizia e proteggendo le classi meno favorite. Aiutò la ripresa dei traffici e delle industrie, iniziò la bonifica delle paludi della Maremma, fondò l'ordine dei Cavalieri di Santo Stefano per sventare la minaccia dei pirati barbareschi, organizzò una milizia toscana per evitare di ricorrere a mercenari.
Nel 1539 aveva sposato Eleonora di Toledo, bellissima e ricchissima figlia del Vicerè di Napoli, che gli regalerà undici figli e la reggia di Palazzo Pitti (morirà insieme ai figli Giovanni e Garzia nel 1562, a soli quarant'anni, durante un viaggio a Pisa, tutti e tre colpiti da febbri malariche).
Il segno più profondo lasciato a Pisa da Cosimo I è legato alla fondazione dell'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Successivamente, grazie all'appoggio dell'Impero, Cosimo riusciva poi a conquistare Siena e, dopo aver sfiorato una corona regia offertagli dai Corsi nel 1567, ottenne dal Papa Pio V e poi dall'imperatore Massimiliano II il sospirato titolo di granduca (1569), che lo equiparava a un re, mentre per il primogenito Francesco riusciva a combinare nozze imperiali unendolo a Giovanna d'Austria, sorella dell'Imperatore. I Medici entravano così nel gotha delle dinastie europee.
Cosimo morì nel 1574, anno in cui si spense anche lo stesso Vasari.
VASARI TRATTATISTA
Giorgio Vasari non fu solo abile pittore e brillante architetto, ma la sua grande fama è arrivata sino a noi grazie ad un'opera letteraria di grande importanza, si a dal punto di vista artistico che storico: le "Vite de' più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino a'giorni nostri".
La prima edizione venne stampata nel 1550, periodo che coincide con l'attività fiorentina del Vasari quando, al servizio del duca Cosimo I de Medici, l'artista tendeva programmaticamente a glorificarne il casato. La seconda edizione viene pubblicata da Giunti nel 1574.
Strutturalmente le Vite sono precedute da una introduzione alle tre arti maggiori (pittura, scultura e architettura),consistente in un insieme di note storico-critiche e un proemio precede poi ognuna delle parti in cui l'opera è divisa.
Analizziamo ora più in profondità quella che era la situazione ideologica del tempo e come si staglia, all'interno di essa, l'opera di Vasari.
Ai primi del '400, un massimo di influenza classica apparve in architettura mentre un minimo di influenza classica ed un massimo di naturalismo sembravano evidenti nella pittura di Masaccio.
Dopo breve tempo, tuttavia, la cesura tra le varie sfere dell'attività culturale cominciò a saldarsi da se: il concetto di proporzione collegava infatti le arti figurative dell'architettura (e, possiamo aggiungere, l'architettura alla musica) mentre i concetti di invenzione, composizione e colorito collegavano la arti figurative alla letteratura.
Primo ad affermare esplicitamente la consanguineità delle tre belle arti in quanto "nate di un padre che è il disegno" fu Vasari; primo a trattarle in una stessa opera, mentre tutti i suoi predecessori avevano considerato o si erano proposti di farlo, l'architettura, la scultura e la pittura in trattati diversi. Il Vasari vide la "rinascita dell'arte" come un fenomeno totale che egli battezzò con un nome complessivo la "rinascita". Dall'elevato punto d'osservazione del 1550 egli volse in dietro lo sguardo sul "progresso della sua rinascita" considerato come un'evoluzione in tre età, ciascuna corrispondente ad uno stadio della vita umana, con inizio, all'incirca al sorgere di un nuovo secolo ciascuno. La prima età, paragonabile all'infanzia, fu iniziata da Cimabue e Giotto nella pittura, da Arnolfo di Cambio nell'architettura e da Pisani nella scultura; la seconda, paragonabile all'adolescenza, ricevette la sua impronta da Masaccio, Brunelleschi e Donatello; la terza, paragonabile alla maturità, cominciò con Leonardo da Vinci e culminò con quel modello dell'uomo universale che fu Michelangelo. Il Vasari divise così le sue Vite in tre parti, e tentò di definire gli stadi dell'intera "rinascita" sia nella prefazione generale a questa triade, sia pure nelle prefazioni poste all'inizio di ciascuna parte. La prefazione generale non lascia dubbio che, nell'opinione del Vasari, la nuova fioritura dell'arte era dovuta al ritorno all'antichità classica.
Tuttavia nella prefazione alla prima parte, che tratta del Trecento, l’influenza classica non è affatto ricordata e Giotto è giudicato un naturalista; nella prefazione alla seconda parte, dedicata al Quattrocento, in Vasari fa la caratteristica distinzione tra il ruolo del Brunelleschi e quello di Masaccio. Solo nella prefazione alla terza parte, che descrive la fase culminante della “terza età” si dà pieno credito all’influenza dell’antico. Il Vasari dimostra qui la graduale realizzazione di cinque requisiti o principi “aggiunti” artistici: “regola, ordine, misura, disegno e maniera”. I maestri della seconda età fecero progressi giganteschi; tuttavia non riuscirono a raggiungere quella combinazione di precisione, grazia e libertà che per Giorgio rappresenta la perfezione.
Accademia delle Arti e del Disegno
Fondata A Firenze da Cosimo I nel 1563 con l'intento di dare rinnovamento e sviluppo alla prima corporazione di artisti costituitasi dall'antichissima compagnia di S.Luca (documentata sin dal 1339), vede l'intervento di Giorgio Vasari e dello scultore Fra Giovanni Angelo Montorsoli; per secoli rappresenta il più naturale e prestigioso centro di aggregazione per gli artisti operanti a Firenze; nel 1784 subisce un primo intervento di modifica allorché Pietro Leopoldo decide di dotare l'Accademia di una galleria di pittura (situata nei locali dell'ex Ospedale di S. Matteo) di antichi maestri da utilizzare come modelli didattici per gli allievi. Nel corso dei secoli l'Accademia ha avuto tra i suoi docenti non solo artisti illustri ma anche prestigiosi uomini di scienza: è il caso ad esempio di Paolo Mascagni che ricoprì l'incarico di docente di Disegno anatomico realizzando splendide tavole opportunamente elaborate in modo tale da congiungere, alla precisione scientifica, le esigenze estetiche ed artistiche peculiari di questa Accademia.
Da un punto di vista più prettamente concettuale la pluralità di competenze professionali dell'epoca in Toscana, dipende dal persistere della concezione dell'artista come "professore del disegno", codificata dal Vasari; deriva, cioè, dal permanere di un'idea di artista come individuo in grado di praticare la scultura. La pittura e l'architettura disponendo dello strumento basilare del disegno, inteso come arte di delineare, come capacità tecnica ma anche come capacità progettuale intellettuale, propria di uomini dotati di una vasta cultura. Tale convinzione è sostenuta tenacemente nell'ambito dell'Accademia del Disegno.
I disegni sono dunque considerati come veicoli fondamentali di creatività, oggetto di studio e fonte di insegnamenti. Le raccolte di Cosimo I e Vasari quindi rappresentano punti di partenza esemplari.
Di Vasari si ricordano anche altri trattati di minore importanza, come “I Ragionamenti” e “L’Autobiografia”. Spesso nelle vite l’autore fa riferimento ad un fantomatico “Libro dei Disegni”, contenente appunto disegni, schizzi e incisioni di tutti i più grandi artisti suoi coevi che lui si premurò accuratamente di collezionare e commenti riguardo ad essi. Tutt’ora di questo libro (che sarebbe un importantissima fonte di informazioni sull’evoluzione stilistica dei vari artisti quattro e cinquecenteschi, sembra dispersa tra molte collezioni.
lo sfumato di leonardo da vinci secondo giorgio vasari