Caravaggio, Vocazione di San Matteo

Materie:Tesina
Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

Caravaggio
“Caravaggio, violento, assassino e geniale protagonista di una vita tormentata spesa tra il lusso e la raffinatissima cultura dei palazzi romani del principio del Seicento e la feccia della strada”
La vita e il periodo storico
Michelangelo Merisi nacque il 29 settembre 1571 a Milano da una famiglia proveniente da Caravaggio, una cittadina del Bergamasco. Il padre, Fermo Merisi, e la madre, Lucia Aratori, appartengono ad una piccola nobiltà; in particolare il padre, sovrintendente alle opere murarie del Marchese di Caravaggio Francesco Sforza, è un uomo con abilità di architetto, di disegnatore di progetti.
Il periodo storico in cui il Caravaggio vive non è certo facile; l’incertezza e l’instabilità economica erano le caratteristiche degli anni tra il Cinquecento e il Seicento, epoca in cui gli aristocratici godevano di particolari diritti in un mondo immorale e corrotto; nascendo quindi il Caravaggio in un ambiente benestante, gode del comfort e della tranquillità che l’agiatezza gli riserva, fino alla morte del padre in seguito all’epidemia di peste del 1577. Ha solo tredici anni quando la madre firma il contratto di apprendistato presso la bottega del pittore Simone Peterzano.
Ma la vita, drammatica e violenta dell’ artista, conduce quest’ultimo in primis a Roma, ove l’attività politico-culturale della Chiesa controriformista richiamava artisti da ogni parte d’Italia e d’Europa; a causa della sua indole fiera e ribelle è coinvolto in numerose risse che lo costringono ad abbandonare la città.
Si rifugia dunque a Napoli, ma sentendosi braccato, raggiunge Malta ove lavora per i Cavalieri dell’Ordine e da dove nuovamente fugge nascondendosi in varie città della Sicilia. Nel 1609 è ancora a Napoli ove è ferito in un agguato e infine a Porto Ercole in cui nel 1610 muore, solo e avvilito, stroncato dalla malaria.
E’ questo dunque il ritratto del Caravaggio, un artista violento e ribelle, vissuto in una di quelle saldature della storia in cui contrasti tragici sociali, religiosi, di mentalità, cambiamenti politici ed economici modificano l’aspetto del mondo. In personalità come la sua si esaurisce l’uomo del Rinascimento e subentra la novella figura dell’uomo barocco. Egli, intransigentemente pittore come pochi altri artisti, è anche un uomo che sente e vive una fede religiosa ardente, radicale, ostile all’ufficialità della gerarchia romana.
La formazione
La formazione del Caravaggio è legata soprattutto all’ambiente
lombardo influenzato, dalla seconda metà del XVI secolo, dal graduale affermarsi della nuova cultura protestante e dall’attività controriformista dei cardinali Carlo e Federico Borromeo.
La compresenza di due tendenze così inconciliabilmente opposte non poteva non riflettersi sul piano artistico rendendo la Lombardia particolarmente sensibile ai mutamenti del gusto e alla maturazione di nuove inclinazioni.
Durante il soggiorno romano il giovane artista entra in contatto con il
1.Canestro di frutta
Cavalier d’Arpino, pittore allora in gran voga, presso la cui bottega lavora per qualche tempo distinguendosi per l’ eccezionale maestria nel dipingere nature morte.
Grazie al suo straordinario talento, egli entra nelle grazie del cardinale Francesco Maria Del Monte, ricco ed influente mecenate toscano che commissiona al Caravaggio diverse opere; tra queste particolare rilievo assume il celeberrimo Canestro di frutta emblema del realismo caratteristico dell’artista attraverso il quale gli oggetti diventano l’unico e vero soggetto della rappresentazione dimostrando dunque come il risultato artistico sia di fatto assolutamente indipendente dai temi rappresentati.
Nel 1599 Caravaggio ottiene l’incarico per i tre dipinti che ornano la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, dedicata a San Matteo.
Tra il 1600 e il 1601 nascono la Crocifissione di San Pietro e la Caduta di San Paolo in cui l’artista elimina ogni richiamo agiografico e interpreta le vicende dei due santi come fatti semplicemente umani.
In generale si può affermare che l’evolversi dell’arte segue di norma un percorso paziente, progressivo; solo in rarissime eccezioni un maestro propone fin dalle sue prime opere un rinnovamento sostanziale spezzando di colpo il susseguirsi concatenato delle espressioni figurative. Fra questi “rivoluzionari”, il Caravaggio occupa un ruolo eccezionale: tra i suoi dipinti e quelli dei contemporanei c’è un’abissale differenza di concezione. Al tardo Manierismo romano e all’eclettismo culturale degli accademici bolognesi, il Caravaggio oppone l’emozionante impatto di una visione tratta dal naturale, ossia dalla diretta osservazione della realtà. Questo risultato è ottenuto mediante il ricorso a due innovazioni: l’ uso spregiudicato della luce e il ribaltamento del ruolo di chi osserva il quadro.
Diagonali luminose, sempre più strette con l’avanzare dell’età, attraversano le tele e fanno affiorare solo una ridotta ma espressiva selezione di particolari. Inoltre, di fronte a un’opera di Caravaggio il riguardante non è più solo uno spettatore esterno davanti a un’immagine dipinta, ma un testimone oculare di una vicenda reale che si svolge sotto i suoi occhi.
Il realismo caravaggesco così intenso ed esasperato nasce da una posizione concettuale molto distante dai precetti pittorici rinascimentali. Il pittore non era tenuto a conoscere la geometria precisa (conoscibile solo intellettualmente) dei corpi e dello spazio che rappresentava, ma ad osservare attentamente solo ciò che l’occhio proponeva alla visione. Le posizioni sono antitetiche: in un quadro rinascimentale vi è la chiarezza dell’immagine, che è chiara nella sua struttura interna anche se non sempre visibile. Nei quadri di Caravaggio l’immagine è solo ciò che appare dalla visione: ciò che non si vede non interessa. Un’attenzione così puntuale ed intensa a cogliere il dato visibile gli impedisce qualsiasi idealizzazione o trasfigurazione del reale. La sua pittura ha un’aderenza così intima e totale alla realtà che con lui nasce il realismo nella pittura moderna. E ne deriva una diversa concezione estetica: l’arte non è più il luogo dove la realtà trova un ordine nuovo basato sulle aspettative di bellezza e perfezione dell’animo umano, ma il luogo dove la realtà ci assale con tutta la sua drammaticità.
La cappella Contarelli
2.Particolare della Cappella Contarelli
La cappella è collocata nella chiesa di San Luigi dei Francesi ed era stata acquistata dal cardinale francese Mathieu Cointrel (il cui nome è stato poi italianizzato in Matteo Contarelli) nel 1565.
Il suo obiettivo era di decorarla con storie dedicate a san Matteo, di cui lui portava il nome.
Il piano iconografico fu da lui stesso stabilito: al centro vi doveva essere la pala d’altare con l’effige del santo e ai due lati le figure con la vocazione del santo e con il suo martirio.
Dei lavori fu incaricato un pittore bresciano di nome Girolamo Muziano, il quale in vent’anni non realizzò alcunché. Nel 1585 il cardinale morì e i suoi eredi decisero di rivolgersi ad altri.
Nel 1587 commissionarono ad uno scultore fiammingo di nome Jacob Cobaert la realizzazione di un gruppo scultoreo, che egli effettivamente consegnò quindici anni dopo, gruppo che però non incontrò i favori della famiglia Contarelli.
Nel 1591 gli eredi del cardinale si rivolsero al Cavalier d’Arpino per la decorazione pittorica della cappella, ma questi, in circa due anni, eseguì solo l’affresco della piccola volta. Così, all’avvicinarsi dell’anno santo del 1600, la cappella risultava ancora disadorna e gli eredi del Contarelli, anche grazie all’ incitamento del cardinal Del Monte, nuovo protettore di Caravaggio, decisero di rivolgersi al pittore di origine lombarda per far decorare la cappella. Ed infatti, Caravaggio, in poco meno di due anni, consegnò le due tele raffiguranti la «vocazione di san Matteo» e il «martirio di san Matteo».
È ormai indubbio che la prima tela che Caravaggio eseguì fu quella del martirio. Dopo diversi tentativi pervenne a questa composizione che risulta un po’ sovraffollata. L’intrico di corpi rimanda a composizioni manieriste mentre i nudi sono di palese derivazione michelangiolesca. Il santo è sopraffatto dal soldato etiope inviato dal re Hirtacus ad impedire che san Matteo proseguisse la sua opera di proselitismo. Un angelo si sporge da una nuvola per tendere a san Matteo la palma simbolo di martirio. Intorno vi è un aprirsi della folla che assiste atterrita a quanto sta accadendo. Tra le persone ritratte si distingue in fondo a destra un uomo con barba e baffi che probabilmente è lo stesso Caravaggio.
L’intera scena è circondata dal buio, come se il tutto stesse avvenendo di notte. Da ora in poi Caravaggio adotterà sempre il fondo scuro per le sue immagini. Qui, tuttavia, vi è una chiara incertezza sull’uso della luce che ha la funzione di rischiarare l’immagine dall’oscurità. Il distribuirsi delle zone chiare non segue una direzione precisa ed univoca, così che anche la composizione del quadro sembra dispiegarsi senza un motivo unitario.
Sicuramente il quadro con la «vocazione» di san Matteo risulta più efficace e compiuto.
Il terzo quadro con san Matteo e l’angelo fu realizzato da Caravaggio in un secondo momento, dopo che gli eredi del Contarelli decisero di rimuovere la statua eseguita da Cobaert. Caravaggio realizza una prima versione, ma gli eredi la rifiutarono. In questo quadro san Matteo assumeva l’aspetto di un popolano quasi analfabeta, al quale l’angelo dirigeva la mano per farlo scrivere. Anche in questo caso ciò che non fu compreso fu l’eccessivo realismo del pittore, il quale non aveva la predisposizione a trasfigurare la realtà ma a rappresentarla in maniera nuda e cruda.
La seconda versione apparve invece più accettabile. Qui il santo scrive da solo, mentre l’angelo gli dà dei suggerimenti. In questo modo si rispettava la tradizione, che voleva san Matteo ispirato da un angelo, ma al contempo si vedeva un santo con l’aspetto di un vecchio saggio, di certo non analfabeta.

3.Martirio di San Matteo 4..San Matteo e l’angelo

Vocazione di San Matteo
5.Vocazione di san Matteo
Contarelli aveva descritto dettagliatamente quello che voleva:
“San Matteo dentro un […] salone ad uso di gabella con diverse robbe che convengono a tal officio con un banco come usano i gabellieri con libri, et denari […]. Da quel banco San Matteo, vestito secondo che parerà convenirsi a quellarte, si levi con desiderio per venire a Nostro Signore che passando lungo la strada con i suoi discepoli lo chiama”
Il dipinto rappresenta dunque il momento in cui, secondo la tradizione, Gesù sceglie il gabelliere Matteo quale suo apostolo.
La scena è inserita in un locale oscuro e disadorno. All’estrema destra della tela vi sono Cristo, che tende il braccio destro in direzione del futuro apostolo, e San Pietro, ritratto quasi di spalle, che lo accompagna. Matteo, seduto al tavolo insieme a quattro compari, è colto nel momento in cui, stupito dall’inaspettato invito, reagisce con un gesto molto naturale, accennando interrogativamente a se stesso con l’indice della mano sinistra, come per sincerarsi che il Signore stesse rivolgendosi proprio a lui.
La successione delle teste è scandita dall’alto (Gesù) al basso da una serpentina tridimensionale (fig.7) costellata di luci, ombre, colori alla quale corrisponde il ritmo delle mani, delle maniche, delle gambe.
Dei cinque personaggi al tavolo solo Matteo e i due giovani di destra si accorgono della presenza di Cristo, con il quale incrociano un complesso gioco di sguardi. Il vecchio con gli occhiali e il paggio a capo tavola, invece, sono troppo intenti a contare i propri denari per rendersi conto di ciò che sta accadendo.
Lo schema geometrico dell’opera è quadrangolare, le linee guida sono orizzontali, verticali e curve, l’ombra risulta essere piuttosto marcata e si alternano colori cupi in contrasto con colori caldi quali quelli delle vesti esaltati dal fascio di luce.
La distribuzione dei pesi visivi è ben articolata ed è costituita dalle due masse dei personaggi rispettivamente a destra e a sinistra. Le linee guida (fig. 8) e la massa dei volumi si trovano nella parte inferiore dell’opera. Inoltre sono presenti linee immaginarie come quelle che congiungono San Matteo a Gesù (fig. 8 linee tratteggiate).
La composizione geometrica è studiata accuratamente dall’artista, infatti pur sembrando una scena di carattere quotidiano, essa è studiata nel dettaglio (tant’è che l’esame radiografico ha mostrato che la pittura che vediamo viene dopo correzioni e ripensamenti).
Possiamo ad esempio notare che:
6. Vocazione di san Matteo – distribuzione masse
il bordo anteriore dello scuro della finestra segna l’asse verticale di mezzaria del dipinto
la base della finestra e il bordo della tavola sono attraversate dalle rette che dividono al quadro orizzontalmente in tre fasce quasi della stessa altezza
la dimensione dell’anta è uguale alla dimensione laterale dello sgabello
la distanza tra la linea della parete con il bordo sinistro coincide con la distanza tra la linea della finestra e il bordo destro
la distanza tra la divisione centrale della finestra con il bordo superiore è uguale alla distanza tra la linea frontale dello sgabello con il bordo inferiore.
L’ impatto visivo è molto forte e soprattutto le due figure a destra attirano l’attenzione dell’osservatore. Il braccio teso di Gesù conduce lo sguardo verso la massa dei personaggi a destra che con il loro atteggiamento (San Matteo che indica se stesso, i volti ruotati verso un medesimo punto a destra) riconducono lo sguardo dell’osservatore verso Gesù. C’è dunque un continuo gioco di spostamenti visivi tra i personaggi dell’opera e tra personaggi e osservatore.
La simbologia caravaggesca è chiarissima: la chiamata di Dio è sempre rivolta a tutti gli uomini, ma ciascuno è libero, secondo la propria coscienza, di aderirvi o di respingerla decidendo quindi della propria salvezza o della propria dannazione.
La rappresentazione, nel suo complesso, non presenta alcun riferimento sacro e le sue caratteristiche sono più quelle di una scena di genere piuttosto che quelle di un evento religioso. Anche l’aureola sospesa sul capo di Cristo, unico indizio della sua natura divina, è appena percepibile e, secondo alcuni, è stata dipinta successivamente per compiacere una committenza insoddisfatta dal carattere troppo laico del dipinto. Ma l’incontro con la divinità, vuole dirci l’artista, può avvenire proprio nei luoghi apparentemente più inaspettati. Di conseguenza la vera grazia può essere anche nei cuori di coloro che, allo sguardo superficiale degli uomini, ne apparirebbero meno degni.
Al di là delle simbologie e dei significati religiosi, la vera protagonista della tela è la luce.
Grazie ad essa le figure assumono volume e risalto, staccandosi dalla tetra penombra del locale e modellandosi in tutti i loro particolari. Macchie di luce violenta illuminano le forme più significative della storia: le maniche del vecchio e del giovane che contano le monete del tributo e del gioco d’azzardo, il volto e la mano interrogativi di Matteo, il braccio dolcemente posato sulla sua spalla, il collo, l’orecchio, la guancia e il naso di Gesù. Su quella mano è il vertice di un arco (fig. 7) che si tende come segnando una media fra l’ombra e la luce.
Ma la caratteristica peculiare di quest’ultima è l’essere nel contempo reale e ideale.
Reale in quanto il Caravaggio la immagina provenire da una porta che dà sull’esterno, la stessa porta dalla quale sono entrati verosimilmente Cristo e Pietro. La luce giallastra squarcia la penombra del locale mettendone impietosamente in evidenza la povertà e lo squallore, simili a quelli delle bettole romane che l’artista era solito frequentare e alle quali senza dubbio si è ispirato.
Ma la luce è anche ideale in quanto sembra irradiarsi dalle spalle di Cristo che con il suo braccio teso la proietta simbolicamente sugli altri cinque personaggi che a loro volta ne risultano rischiarati e quasi accesi. Si tratta dunque di una luce spirituale, quella della grazia divina che, come in un lampo, congela la posizione e le espressioni di ciascuno, collocandole in uno spazio astratto e senza tempo.
Delle cinque figure al tavolo dei gabellieri affascina il racconto realistico: la brillante vanità nelle vesti dei più giovani, l’opulenza nel costume degli anziani, la spada alla brava del giovanotto, gli occhiali del vecchio, la purezza e le rughe degli incarnati, la vitalità dei capelli, così diversa secondo l’età.
Ma tutto ciò che è dettaglio e straordinaria capacità di pittura nel rilevarlo non sminuisce né offusca il disegno unitario, il vigore dell’insieme e il significato del quadro.

7.particolare vocazione di San Matteo 8.particolare vocazione di San Matteo

Bibliografia
• “Caravaggio” testi di Stefano Zuffi, l’Unità - Arnoldo Mondatori Arte, Milano, 1991
• “Caravaggio” presentazione di Renato Guttuso, Corriere della sera - Rizzoli, Milano 2003
• “Itinerario nell’arte” Giorgio Cricco, Zanichelli, Bologna, 1996
• www.francescomorante.it (curato da Francesco Morante)
• www.correrenelverde.it/storiadellarte/caravaggio/caravaggio.htm (diretto da Giorgio Gandini)
Immagini
1. http://www.francescomorante.it/pag_2/210bc.htm (curato da Francesco Morante)
2. http://www.francescomorante.it/pag_2/210bd.htm //
3. http://www.francescomorante.it/pag_2/210bd.htm //
4. http://www.francescomorante.it/pag_2/210bd.htm //
5. http://www.storiadellarte.com/biografie/caravaggio/vitacaravaggio.htm (a cura di Elena Farace)
6. http://www.thais.it/speciali/Caravaggio/AlteHTM/vocazione.htm
9. http://www.thais.it/speciali/Caravaggio/AlteHTM/vocazione_di_san_matteop.htm
10. http://www.thais.it/speciali/Caravaggio/AlteHTM/vocazione_di_san_matteop2.htm
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