Vulcani

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Testo

VULCANI
L’ATTIVITÀ IGNEA EFFUSIVA
Quando si parla di attività vulcanica la mente evoca subito l’immagine di un monte a forma di cono, dalla cui sommità fuoriescono nubi di vapori e scendono colate di lava incandescente. In realtà questo è solo un aspetto, certo il più appariscente, ma non il più importante, del vulcanismo, fenomeno semplice come significato di base (trasferimento di roccia fusa, e quindi di energia, dall’in terno all’esterno della Terra), ma molto complesso nelle sue manifestazioni. Magmi diversi (per composizione chimica, contenuto in gas, temperatura), che fuoriescono in situazioni geologiche diverse (sul fondo del mare, dopo aver attraversato la relativamente sottile crosta oceanica; o in terra ferma, attraverso la spessa crosta continentale), danno origine a differenti tipi di eruzioni; queste, a loro volta, a seconda del meccanismo con cui si verificano (da effusioni tranquille a esplosioni violente, in varie combinazioni, con varie intensità), danno origine a prodotti vulcanici differenti e a differenti tipi di vulcani.
• Caratteristiche dell’attività vulcanica
Tra i fattori che determinano la natura di un’eruzione ci sono la composizione chimica del magma, la sua temperatura e la quantità di gas disciolti in esso. I primi due fattori, temperatura e composizione chimica, influenzano principalmente la mobilità del magma, cioè la sua viscosità. Quanto più un materiale è viscoso, tanto maggiore è la sua difficoltà a scorrere.
Una delle maggiori differenze tra le varie rocce ignee, e quindi tra i magmi dai quali esse si originano, è il contenuto in silice. I magmi che producono rocce basaltiche contengono circa il 50% di silice, mentre le rocce granitiche (e la loro corrispondente effusiva, la riolite) contengono oltre il 70% di silice. I tipi intermedi di roccia contengono intorno al 60% di silice. La viscosità del magma è strettamente legata al suo contenuto in silice: quanto più alto è il contenuto in silice, tanto più elevata è la viscosità del magma.
Le lave basaltiche, a basso contenuto in silice, tendono a essere molto fluide, mentre le lave a composizione granitica sono molto viscose anche a temperature relativamente alte e non riescono a percorrere lunghe distanze.
Anche la quantità di gas contenuti nel magma influisce sulla sua mobilità: i gas disciolti aumentano infatti la fluidità del magma. Ma ancor più importante è il fatto che il rapido liberarsi dei gas dal magma esercita una forza sufficiente a sospingere la massa fusa fuori dal cratere. Quando, come avviene all’interno di un vulcano, il magma raggiunge una zona prossima alla superficie terrestre, la pressione di confinamento nella parte superiore del corpo magmatico si riduce notevolmente: ciò provoca una repentina liberazione dei gas che, a profondità maggiori, erano appunto mantenuti disciolti nel magma dalla pressione. A temperature dell’ordine di 1000 °C, e alle basse pressioni che esistono in prossimità della superficie, i gas disciolti si espandono fino a occupare un volume centinaia di volte maggiore di quello originario. I magmi basaltici molto fluidi permettono ai gas in espansione di salire verso l’alto e di fuoriuscire dal cratere con relativa facilità. Al contrario, i magmi ad alta viscosità ostacolano la fuoriuscita dei gas, i quali raggiungono così pressioni molto elevate, prima di prorompere all’esterno con grande violenza, provocando improvvise esplosioni.
In poche parole, sono soprattutto la quantità dei gas disciolti nel magma e la maggiore o minore facilità con cui questi ne fuoriescono a determinare le caratteristiche di un’eruzione vulcanica. Risulta ora chiaro perché, mentre le eruzioni dell’Etna e delle Isole Hawaii, alimentate da lave basaltiche, sono relativamente tranquille, quelle di alcuni altri vulcani del Mediterraneo e dei vulcani che sorgono attorno al Pacifico sono esplosive e costituiscono una grave minaccia per le popolazioni: i magmi che alimentano questi vulcani contengono infatti in genere una gran quantità di gas e sono molto viscosi.
• Eruzioni vulcaniche e prodotti vulcanici
Anche se molti credono che il materiale più comunemente eruttato da un vulcano sia la lava, ciò non sempre è vero. Infatti, altrettanto frequenti sono le eruzioni esplosive, che lanciano fuori enormi quantità di frammenti di rocce, di bombe vulcaniche, di ceneri e di polveri finissime. Inoltre, ogni eruzione vulcanica immette nell’atmosfera una grande quantità di gas.
Per il loro basso contenuto in silice, le lave basaltiche sono in genere molto fluide e scorrono in colate e lingue ampie, ma di piccolo spessore. Nelle Isole Hawaii tali lave possono anche raggiungere, su pendii molto ripidi, una velocità di 30 km/h. Tuttavia velocità così elevate sono piuttosto rare: in genere, la velocità di queste lave è compresa tra i 10 e i 300 metri all’ora. All’estremo opposto, il movimento di una lava riolitica è spesso così lento da non poter essere neppure percepito.
Quando le fluide lave basaltiche si raffreddano e cominciano a cristallizzare, sulla loro superficie si forma una crosta abbastanza sottile e liscia, che viene trascinata dalla massa fusa sottostante in deflusso. Questo tipo di lava, le cui colate presentano una superficie piana o poco articolata, è detto, con termine hawaiiano, “pahoehoe”. Se la colata fluida rallenta il flusso, la pellicola superficiale, plastica, viene corrugata e forma una serie di pieghe. Quando la lava è, invece, mediamente viscosa, la superficie della colata, poco plastica, si rompe in numerosi frammenti simili a scorie taglienti e assume un aspetto scabro e accidentato: si parla, in tal caso, con un temine anch’esso hawaiano, di lava “aa”. Al crescere della viscosità della lava, la crosta superficiale, attraversata da numerose fessure da contrazione per raffreddamento, viene trascinata dal flusso sottostante e si frantuma in grossi blocchi spigolosi.
Lo spiccato dualismo nel comportamento dei magmi, viscosi o fluidi, determina la distinzione delle eruzioni in effusive ed esplosive.
Eruzioni effusive
Quando un magma basico (come quello basaltico), molto fluido e povero di gas disciolti, risale verso la superficie lungo una frattura, l’anidride carbonica e il vapore acqueo in esso disciolti si separano gradualmente al diminuire della pressione. Le bolle di gas e vapore si espandono, favorite dalla bassa viscosità, rendendo il magma spumeggiante. Se la parte terminale del condotto lungo cui il magma sta risalendo non è ostruita, ben presto gas e lava si libereranno in superficie; se invece è ostruita da materiale più antico consolidato o da detriti franati, la pressione dei gas crescerà fino a far saltare l’ostruzione. In entrambi i casi i gas prorompono con violenza trascinando all’esterno e lanciando in aria brandelli di lava, che ricadono al suolo, ancora incandescenti, tutto attorno al punto di emissione (chiamato, genericamente, bocca vulcanica), ove raffreddano come scorie, spesso saldandosi tra loro. Dopo queste prime esplosioni arriva a traboccare la lava con tale veemenza da formare, a volte, fontane di lava, con zampilli alti anche centinaia di metri.
La lava trabocca e scorre tranquillamente in colate o si espande tutto attorno, a seconda della morfologia del terreno prossimo al punto di eruzione. Tali effusioni possono durare mesi o addirittura anni, finché all’interno del condotto il magma, ormai degassato e tornato più denso, non rifluisce in profondità.
A volte, la lava che arriva in superficie si raccoglie in qualche depressione, dove forma un lago di lava, sotto la cui superficie, che ben presto solidifica, la lava può restare fusa per anni.
Le effusioni laviche possono avvenire anche lungo i fianchi del vulcano (eruzioni laterali), quando questo si è accresciuto fino a diventare un alto cono. In tal caso la lava fuoriesce da fratture che partono dal condotto principale, lungo il quale il magma sta risalendo trascinato dai gas.
Eruzioni esplosive
Nella risalita verso la superficie di magmi viscosi con alto contenuto in gas, questi ultimi si liberano in bolle che però, per l’elevata viscosità del magma, non riescono a espandersi: si accresce di conseguenza la loro pressione interna, che arriva a centinaia di volte la pressione atmosferica normale. Quando tale pressione supera la resistenza dello spessore di materiale sovrastante, avviene una violentissima esplosione e i gas surriscaldati, in rapida espansione, trascinano via dalla parte alta del condotto roccia sbriciolata e lava polverizzata in minuscole goccioline. Si forma così una gigantesca nube incandescente, una specie di sospensione di frammenti solidi, anche roventi, di gas e di vapori ad altissima energia.
Queste nubi ardenti si muovono a velocità di oltre 100 km/h e hanno un grande potere distruttivo. Se l’esplosione è diretta verticalmente, la nube sa le vorticosamente per migliaia di metri, con un boato pauroso; alla base della colonna che si innalza si osserva una nube anulare in rapida espansione centrifuga, simile al base surge (onda di base) riconosciuto per la prima volta nello studio delle esplosioni nucleari.
Quando la spinta dei gas si esaurisce, la colonna in ascesa “collassa” (si parla di nube ardente ricadente), cioè il materiale solido ricade in massa sul vulcano e fluisce lungo i suoi pendii, formando una colata piroclastica, capace di percorrere velocemente decine di chilometri, prima di arrestarsi e di formare un deposito piroclastico o piroclastite.
I frammenti solidi espulsi dal vulcano hanno dimensioni che vanno da una polvere molto fine, a una cenere vulcanica, delle dimensioni di una sabbia, ai lapilli, della dimensione di sassolini, fino ai blocchi (frammenti di lava già indurita) e alle bombe vulcaniche (brandelli di lava ancora semifusa). Mentre il materiale più fino sale con la nube ardente, i frammenti più grossi ricadono intorno alla bocca vulcanica; in alcuni casi, però, blocchi di alcuni chilogrammi sono stati lanciati a diversi chilometri di distanza.
I frammenti più minuti (polveri) possono salire con i gas fino nell’alta atmosfera e rimanervi per mesi, trascinati su grandi distanze dai venti.
Quando, invece, la nube ardente si forma per un’esplosione diretta lateralmente, la sospensione densissima di materiale solido e semifuso e di gas caldissimi scende lungo il pendio con velocità ancora più elevata e con una forza devastante. Si parla in tal caso di nube ardente discendente, o di tipo peléeano.
Un cenno a parte merita, nel processo esplosivo, l’importanza che vi può assumere l’acqua di falda (cioè quella che impregna i terreni permeabili) quando viene in contatto, in profondità, con il magma o con le rocce fortemente riscaldate da questo. Il passaggio istantaneo dell’acqua dallo stato liquido a quello di vapore può produrre una eruzione idromagmatica (o freatomagmatica), di grande potenza. La nube che si forma, ricchissima di vapore acqueo, trascina con sé i frammenti delle rocce fatte saltare dall’esplosione, spesso con il meccanismo di base surge: la colonna di vapore ascendente è accompagnata cioè alla base da una nube di forma anulare, in rapida espansione radiale, che abbandona ben presto il materiale solido, formando accumuli di piroclastiti. Per completare il quadro dell’attività esplosiva, vi sono infine le eruzioni sottomarine, meno note nei dettagli per ovvie difficoltà di osservazione, ma certamente le più importanti per le enormi quantità di lava che vengono in superficie a formare continuamente nuova crosta oceanica lungo l’intero sistema delle dorsali sottomarine. I magmi che alimentano tale attività sono in genere basaltici, quindi fluidi, e la pressione esercitata dall’acqua sovrastante impedisce la fuga tumultuosa dei gas e vapori; la lava sgorga tranquillamente dalle fratture del fondo oceanico. A contatto con l’acqua del mare, la lava si raffredda bruscamente in superficie e si riveste di una tipica crosta vetrosa; ben presto, però, l’arrivo di nuova lava sgretola tale crosta e dalle numerose fratture sgorgano fiotti di lava; la colata che si raffredda appare alla fine come una catasta di sfere schiacciate, saldate tra loro, e si parla di “pillow lava” (cioè “lava a cuscini”).
Quando, invece, l’effusione lavica avviene in acque poco profonde, l’interazione tra acqua e magma, non più frenata da forti pressioni, provoca violente esplosioni, che si manifestano in superficie come gigantesche nubi di vapori bianchissimi. L’emissione subacquea di lava lungo fratture porta alla formazione di un edificio vulcanico che presto può emergere: l’attività esplosiva (cenere, scorie, lapilli) si alterna a quella effusiva e l’edificio vulcanico si accresce e si consolida, formando una nuova isola.
Tipi di eruzioni: classificazione riassuntiva
E’ ormai chiaro che lo svolgimento di una eruzione dipende da numerosi fattori, che possono variamente combinarsi in più modi, anche in un medesimo vulcano, in momenti diversi. Tutto questo toglie significato a una classificazione delle eruzioni, perché un singolo vulcano può passare da un tipo all’altro di attività, spesso dando origine a tipi di attività intermedi o misti. E’ utile, tuttavia, riportare, in un breve riassunto, la classificazione più nota, perché i termini in essa impiegati sono entrati ormai nell’uso, anche se vengono adoperati con il significato, più ristretto, di fasi dell’attività complessiva di un vulcano.
Tipo hawaiano: effusioni abbondanti di lava molto fluida, sia da laghi di lava entro crateri a pozzo, sia da fratture laterali. I gas si liberano in modo tranquillo, ma a volte provocano la formazione di fontane di lava incandescente entro i laghi di lava. Danno origine a vulcani a scudo, come nelle Hawaii.
Tipo stromboliano: la lava, abbastanza fluida, ristagna nel cratere e si ricopre di una crosta solida; i gas si raccolgono sotto tale crosta e a brevi intervalli (da pochi minuti a un’ora o poco più) la mandano in frammenti con moderate esplosioni, lanciando in aria brandelli di lava incandescente. I gas in violenta espansione risalgono attraverso la lava, dando vita a fontane spettacolari.
Tipo vulcaniano: la lava di Vulcano è più viscosa di quella di Stromboli, per cui l’ostruzione che si forma nel condotto dopo un’eruzione è più spessa. I gas impiegano molto tempo per raggiungere la pressione necessaria: l’esplosione iniziale è molto violenta e scaraventa in alto lava polverizzata e ceneri in una grande nube scura.
Tipo vesuviano: espulsione estremamente violenta del magma, divenuto saturo di gas durante un lungo periodo di quiescenza. La turbolenta corrente di gas in ascesa fa svuotare bruscamente il condotto; altro magma risale allora velocemente da profondità maggiori e si espande esplosivamente, uscendo dal cratere sotto forma di minutissime goccioline: si forma così una gigantesca nube “a cavolfiore”.
Tipo peléeano (dalla Montagna Pelée, sull’isola Martinica): la lava ad altissima viscosità viene letteralmente estrusa dal condotto e forma una cupola o una torre. Dalla base della “torre” partono a intermittenza nubi ardenti discendenti.
Tipo pliniano: è l’aspetto più violento delle eruzioni di tipo vesuviano. La colonna di gas e vapori sale con gran forza per vari chilometri, prima di espandersi in una grande nuvola a forma di pino marittimo. Le particelle di lava trascinate in alto dai gas si raffreddano bruscamente e ricadono come pomici su una vasta area.
• I vulcani centrali
L’accumulo di materiale tutto intorno al punto di emissione forma una struttura chiamata edificio vulcanico o, più genericamente, vulcano. In realtà, il termine vulcano indica una fessura della crosta terrestre attraverso la quale risale materiale fuso, che, accumulandosi in superficie, costruisce un edificio vulcanico. Comunemente, però, si usa il termine vulcano anche per indicare l’edificio, e in tal senso verrà qui di seguito usato. Forme e dimensioni dei vulcani sono quanto mai variabili, non solo perché dipendono dai tipi di eruzioni, che possono originare prodotti molto differenti tra loro, ma anche perché, come già accennato, in uno stesso luogo possono susseguirsi nel tempo eruzioni con caratteristiche diverse. Gli edifici vulcanici che ne risultano possono essere da molto semplici, con un singolo apparato (per esempio un singolo rilievo a forma di cono), a molto complessi, con numerosi apparati, differenti tra loro per posizione (centrali o eccentrici), per forma, dimensione, età.
I vulcani centrali sono quelli in cui il materiale fuoriesce da una zona molto ristretta della superficie (spesso da un unico punto di emissione), che rappresenta l’apertura verso l’esterno di una fessura che, almeno nell’ultimo tratto, è grossolanamente cilindrica. Elementi comuni ai diversi vulcani centrali sono, in ogni caso, il cratere (o i crateri), cioè l’apertura (o le aperture) attraverso cui arrivano all’esterno i prodotti dell’attività vulcanica, e il condotto, o camino, vulcanico, che collega tale apertura con la camera magmatica, situata ad alcuni chilometri di profondità entro la crosta. La fuoriuscita e l’accumulo del materiale intorno al cratere danno origine a varie forme, in base alle quali si possono distinguere tre tipi fondamentali di vulcani centrali: i vulcani a scudo, i coni di cenere e gli strato-vulcani (o vulcani compositi).
Vulcani a scudo
Quando la lava che fuoriesce è molto fluida, il vulcano assume una forma bassa e larga, un po’ a cupola, e viene chiamato vulcano a scudo. I vulcani a scudo sono costituiti fondamentalmente da colate di lava basaltica e contengono solo una piccola percentuale di materiale piroclastico. Hanno una pendenza di pochi gradi lungo i fianchi, come mostrano i vulcani delle Isole Hawaii. Il Mauna Loa, il più grande vulcano della Terra, è uno dei cinque vulcani a scudo che compongono l’Isola Hawaii. Esso sorge direttamente dal fondo dell’Oceano Pacifico, a 5000 metri di profondità, e la sua sommità si innalza a 4170 metri sopra il livello del mare.
A fianco dei vulcani a scudo di tipo hawaiiano, i “giganti della famiglia”, esistono quelli di tipo islandese: hanno origine simile, ma la loro altezza oscilla tra 100 e 1000 metri, mentre la loro base ha un diametro pari a circa 20 volte l’altezza.
Vi sono poi i coni di cenere, che, come suggerisce il nome stesso, sono costituiti da frammenti di lava proiettati fuori. Dato che il materiale piroclastico incoerente ha un angolo di riposo elevato, tali vulcani sono quelli che hanno i versanti più ripidi. I coni di cenere sono di piccole dimensioni, in genere inferiori ai 300 metri d’altezza, e spesso sono coni avventizi su vulcani più grandi.
Vulcani compositi
I vulcani compositi, o strato-vulcani, sono costituiti da strati alternati di colate laviche e di materiale piroclastico. In questi vulcani il magma è relativamente viscoso. Per lunghi periodi di tempo uno strato-vulcano può emettere lava; poi, di colpo, può presentare periodi di violente emissioni di materiale piroclastico. Alcuni vulcani sono passati attraverso stadi in cui, in una stessa fase eruttiva, si sono avuti entrambi questi tipi di attività.
La struttura che ne risulta è un cono elevato più scosceso alla sommità e dai fianchi con pendenza via via più dolce. Molti tra i più suggestivi edifici vulcanici della Terra sono di questo tipo: ne sono esempi il Fujiyama, in Giappone, il Mayon, nelle Filippine, e l’Etna e il Vesuvio in Italia. Quando prevale l’attività esplosiva lo strato-vulcano risulta formato soprattutto da materiale piroclastico (lapilli, ceneri, pomici) e i suoi fianchi sono piuttosto ripidi. Se invece prevale l’attività effusiva, l’abbondanza di colate laviche dà origine a un cono con versanti meno ripidi, come avviene per l’Etna.
Una caratteristica frequente negli strato-vulcani è la complessità dei loro edifici; spesso si originano veri e propri vulcani multipli, nei quali si sommano nel tempo edifici diversi, prodotti da differenti momenti di attività nel corso di una lunga evoluzione.
Un esempio di tale complessità è l’Etna, di cui si parlerà più avanti.
Oltre alla complessità dell’evoluzione, un’altra caratteristica comune a molti strato-vulcani è la presenza, alla loro sommità, di una cavità insolitamente ampia, chiamata “caldera”. La maggior parte delle caldere si forma quando la sommità di un vulcano sprofonda nella camera magmatica sottostante, parzialmente svuotata da una lunga attività. Altre volte, invece, la caldera è il risultato di un evento esplosivo violento in uno strato-vulcano, il cui cono appare ampiamente troncato alla sommità.
Le eruzioni fissurali
Le eruzioni vulcaniche da un camino centrale sono certamente le più familiari, ma la maggior parte del materiale vulcanico viene emesso da particolari fratture nella crosta terrestre, chiamate fessure. Invece di portare alla formazione di un cono, queste fratture lunghe e strette fanno sì che il materiale vulcanico venga distribuito su una vasta superficie. Si è formata in tal modo un’ampia zona degli Stati Uniti nordoccidentali, conosciuta col nome di Columbia Plateau. In tale zona si ebbero numerose eruzioni fissurali costituite da una lava basaltica molto fluida. Colate successive, spesse anche una cinquantina di metri ciascuna, ricoprirono il preesistente paesaggio formando una distesa di lava. L’elevata fluidità di questa lava è provata dal fatto che alcune colate arrivarono fino a una distanza di 160 km dal punto di emissione. La denominazione “espandimenti basaltici” descrive appropriatamente il dilagare di tali lave.
Quando l’eruzione fissurale è alimentata da un magma più ricco in silice, cioè più viscoso, il materiale eruttato dà origine a un particolare tipo di nube ardente, che forma le cosiddette ignimbriti: si chiamano così i depositi piroclastici formati da frammenti di vetro (derivato da un rapido raffreddamento di gocce di lava), di rocce e di cristalli, più o meno saldati tra loro. Il meccanismo eruttivo di tali nubi caldissime, vere emulsioni surriscaldate di frammenti di lava incandescente e gas ad elevata temperatura non è ben chiaro, ma si tratta comunque di gigantesche nubi ardenti emesse da grandi fratture, che si incanalano lungo valli e depressioni e riescono, per la loro velocità, a superare piccoli rilievi, arrivando ancora caldissime a centinaia di chilometri di distanza. L’effetto distruttivo di un’eruzione ignimbritica è totale, senza alcuna possibilità di difesa.
Il vulcanismo in Sicilia ha radici antiche e straordinarie manifestazioni ancora attuali, che sono rappresentate soprattutto dai due grandi vulcani della regione: l’Etna e lo Stromboli.
ETNA
Situato in prossimità della costa della Sicilia orientale, è il più elevato vulcano d'Europa e uno dei maggiori del mondo: l'altezza attuale è di 3323 m, ma la quota è ampiamente variabile, così come la forma stessa del cono terminale. Posto tra i corsi dell'Alcantara a nord e del Simeto a sud e a ovest, pressoché prospiciente il mar Ionio a est, è una mole poderosa di circa 1600 km2 di superficie e oltre 200 km di perimetro, che domina l'intera provincia di Catania. Ha forma conica abbastanza regolare sin verso i 2950 m di quota, dove è troncato da un vasto altopiano, residuo di un antico cratere, sul quale si eleva il cono terminale. I fianchi sono in più punti intagliati da solchi ampi e profondi anche parecchie centinaia di metri, come la valle del Bove, sul lato orientale.
Le differenze climatiche e quindi ambientali sono notevolissime. I piani più elevati sono coperti di neve per la maggior parte dell'anno; più in basso si ha una fascia di terreni nudi e di arbusteti; ad altitudini minori si stende una vegetazione forestale che ancora più in basso assume le caratteristiche della macchia mediterranea. Il piano submontano, sotto i 900-1000 metri di altitudine, dal clima caldo e dai fertili terreni vulcanici, irrigati dalle abbondanti acque di fusione delle nevi, è una zona di fiorente e intensiva agricoltura (agrumi, vite e olivi in prevalenza) ed è costellato di centri abitati, tuttavia minacciati dalle eruzioni. Un osservatorio vulcanologico è posto a 2942 metri, alla base del cono terminale.

L'attività vulcanica ha inizio 700-500000 anni fa con intrusioni magmatiche sottomarine nella zona di Aci Castello ed effusioni laviche subaeree nei pressi di Paternò. Negli ultimi 100000 anni l'asse eruttivo migra verso ovest costituendo almeno sei principali edifici vulcanici sovrapposti, con emissione di magmi appartenenti alla serie alcalino-sodica. L'aspetto attuale del vulcano è il risultato di un evento esplosivo che risale a circa 14000 anni fa con la formazione della caldera del Cratere Ellittico. L'Etna ha quattro crateri sommitali attivi (Cratere di Sud-Est, Bocca Nuova, Voragine, Cratere di Nord-Est), tre zone principali di frattura disposte a raggio e numerose bocche eccentriche (circa 250). L'attività storica è consistita in un degassamento continuo dai crateri sommitali associato a fenomeni stromboliani e pliniani, dei quali il più violento è avvenuto nel 122 a.C. Le maggiori quantità di lava sono state emesse anche in tempi recenti dalle bocche eccentriche.
L'attività eruttiva dell'Etna è sotto continuo controllo. La prima manifestazione vulcanica accertata risale al II millennio a.C., ma sicuramente ve ne furono di precedenti. Si contano in epoca storica una novantina di manifestazioni eruttive, spesso disastrose: in epoca non lontana, nel 1669, una colata lavica con un fronte di due chilometri investì la città di Catania, distruggendola in gran parte. Nel 1693 un terremoto non meno catastrofico causò la morte di due terzi della popolazione. Vari centri alle falde dell'Etna sono stati sistematicamente investiti o lambiti dalle colate laviche, anche in tempi molto recenti.

STROMBOLI
L'isola di Stromboli è nota al mondo perché ospita l'unico vulcano in Europa in perenne attività da almeno 2500 anni. Lo Stromboli è uno strato-vulcano, in cui cioè rocce derivate da colate laviche si alternano a strati di materiali piroclastici e si presenta con un cono di forma regolare, con fianchi molto ripidi. Anche se dal livello del mare affiorano soltanto meno di 1000 metri, esso si eleva dai fondali per circa 3000 metri.
L’isola è di formazione molto recente, l'ultima fra l'Eolie ad essere emersa dal mare. Probabilmente la sua nascita è stata preceduta da quella dello Strombolicchio, un piccolo vulcano di cui l'ultimo resto è lo scoglio isolato nel mare, ad una distanza di un chilometro e mezzo dall'isola attuale. Questo scoglio rappresenta ciò che resta della lava consolidatasi nel condotto eruttivo, mentre il cono vulcanico, costituito da materiali piroclastici incoerenti e da piccole colate laviche posatesi su di essi, è stato completamente demolito dal mare. In quanto allo Stromboli si riconosce nella sua storia, sia attraverso la morfologia, sia attraverso la differenziazione delle lave, due periodi nettamente distinti. Nella prima fase, fra 40000 e 12000 anni fa, si è formato un regolare cono vulcanico, che ha raggiunto l'altezza di quasi mille metri. E' il Paleo Stromboli; le sue lave sono molto simili a quelle dello Strombolicchio, che si potrebbe quindi considerare come un cono avventizio di esso. Infatti la profondità marina fra questo e l'isola di Stromboli non supera i venti metri. Il vulcano così formatosi è in realtà la parte sommatale di un edificio vulcanico che, seguitandone il più o meno regolare pendio, scende fino alla profondità di 3000 metri dal livello marino. E' un vulcano cioè di dimensioni simili all'Etna, di cui non si vede altro che il cocuzzolo. Ad un certo momento la metà Nord-Ovest del Paleo Stromboli è sprofondata nell'abisso. Il vulcano è stato sezionato quasi assialmente. Ma su questo sprofondamento è sorto ben presto un altro vulcano, che si è venuto ad appoggiare a ciò che rimaneva del precedente, senza raggiungerne l'altezza. E' Neo Stromboli, al quale appartiene il cratere attualmente attivo. Anche il Neo Stromboli ha dei centri eruttivi secondari, come la Sciara del Fuoco, un piano inclinato sul quale, dall'altezza di 700 metri, rotolano fino al mare i materiali lanciati in aria dalle intermittenti esplosioni del cratere o scendono le lave di periodiche eruzioni. La Sciara, che al livello del mare ha l'ampiezza di circa 1 Km, è limitata su due lati da creste rocciose molto accidentate entrambe solcate da dicchi intrusivi. La Sciara continua ininterrotta al disotto del livello marino fino ad una profondità di almeno 500 metri. Oggi sono aperte cinque principali bocche eruttive, dalle quali si può assistere ad uno straordinario spettacolo. Stromboli ha infatti un' attività vulcanica particolarissima, che dura ininterrotta attraverso i millenni; è un continuo succedersi di esplosioni, ora dall'una ora dall'altra delle sue bocche, che lanciano in aria brandelli di lava incandescente. Le esplosioni si succedono con ritmo abbastanza regolare, che può variare da pochi minuti a qualche ora, sempre accompagnate da impressionanti fragori e da emissioni di nuvole di gas che generalmente, spinte dal vento, si spostano rapidamente. Con questa attività, che si può considerare normale, si alternano talvolta a distanza di anni, periodi di più di intensa attività, aperture di nuove bocche, colate laviche che scendono fino al mare e che costituiscono spettacoli di eccezione.
Di notte, spettacolari bagliori, a ogni esplosione, a intervalli variabili da pochi minuti a un’ora o poco più, illuminano la sommità del vulcano, tanto che sin dall'antichità gli è stato dato l'appellativo di “Faro del Mediterraneo”.

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