Materie: | Riassunto |
Categoria: | Scienze |
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Numero di pagine: | 11 |
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Testo
La dinamica della litosfera
La deriva dei continenti
Alfred Wegener fu il primo a parlare in modo organico di “deriva dei continenti”, ma già a partire dal ‘600 si avevano avute intuizioni al riguardo:
• Bacone aveva ipotizzato che un tempo i continenti fossero uniti tra loro, a causa delle conformità delle coste di Africa e Sud America;
• Pellegrini ipotizzò una rottura e deriva dei continenti;
• Taylor diede una prima coerente formulazione a questo fenomeno, basandosi sulla distribuzione delle catene montuose, arricciamenti della crosta terrestre causati dallo slittamento dei blocchi continentali.
All’epoca di Wegener , era dominante una concezione fissista della Terra, che considerava il pianeta ancora in progressiva solidificazione. Secondo le teorie fissiste le catene montuose erano corrugamenti legati al graduale raffreddamento della Terra, originatesi per contrazione. I materiali più leggeri erano emigrati in superficie originando rocce magmatiche e metamorfiche di tipo granitico, i sial (silicato di alluminio). Queste rocce sormontavano rocce più dense, di tipo basaltico, i sima (silicati di magnesio).
Ma all’epoca già diverse argomentazioni mettevano in crisi questo modelli:
- Il raffreddamento necessario per produrre una contrazione sufficiente a formare una sola catena montuosa era altamente improbabile, considerata anche la radioattività delle rocce;
- La disposizione non uniforme e la formazione in tempi diversi delle catene montuose,
Wegener propose tra il 1910 e il 1929 una teoria mobilista, basata sull’esistenza di un primitivo continente, chiamato Pangea (in realtà vi erano già due blocchi, la Laurasia e Gondwana), comprendente tutti gli attuali continenti, che si sarebbe in seguito spaccato e suddiviso in blocchi. Questi avrebbero iniziato a migrare. Per compressione le catene montuose si sono gradualmente formate.
Le prove a favore della teoria di Wegener sono molteplici:
• Argomenti geofisici: per il principio dell’isostasia, se i continenti si possono muovere verticalmente attraverso il substrato fluido ma altamente viscoso delle crosta terrestre, non c’è motivo perché essi non possano muoversi anche lateralmente;
• Argomenti geologici: le somiglianze geologiche e strutturali trai vari blocchi continentali: grandi lineamenti strutturali della crosta e province geologiche combaciano quando si riattaccano tali blocchi.
→ La catena della Provincia del Capo, in Sud Africa, trova la sua prosecuzione nelle catene nella regione di Buenos Aires;
→ La serie di Karroo, successione di rocce sedimentarie formatesi in ambiente continentale 200 milioni di anni fa, è uguale a quello che affiora nella regione di Santa Caterina in Brasile;
• Argomenti paleontologici: il distaccamento e progressivo allontanamento delle zolle continentali spiega identità e similarità floristiche e faunistiche tra continenti differenti; ciò non poteva essere spiegato per mezzo di ipotetici “ponti continentali”, grandi lingue di terra successivamente sprofondate, poiché tale sprofondamento sarebbe stato impossibile sulla base di evidenze geofisiche e isostatiche;
• Argomenti paleoclimatici: l’andamento climatico del passato, ricostruito attraverso la disposizione delle tilliti e i giacimenti di carbone fossile, evidenzia come le terre emerse dovevano essere state riunite in un unico supercontinente.
→ Le tilliti, depositi di detriti di roccia trasportati dai ghiacciai, sono indizio sicuro di glaciazioni. Le tilliti del Carbonifero si trovano in Sud America, Sud Africa, India e Australia. Risalenti allo stesso periodo alle stesse latitudini si trovano in altre regioni depositi carboniferi che testimoniano un clima tropicale. È perciò impossibile supporre uno spostamento dei poli o una glaciazione esageratamente estesa, ma raggruppando i continenti australi più a sud della loro attuale posizione, si forma la cosiddetta Terra di Gondwana. Le aree glaciali formerebbero così una calotta quasi circolare.
Il punto debole di Wegener fu l’impossibilità di proporre un meccanismo credibile per giustificare il movimento dei continenti. Holmes propose perciò nel 1929, con una geniale anticipazione, che la deriva dei continenti fosse provocata da movimenti delle correnti convettive sub-crostali del materiale al di sotto della crosta terrestre.
L’espansione dei fondali oceanici
I fondali oceanici posso essere suddivisi in tre regioni principali:
1. Le dorsali medio-oceaniche, al centro;
2. I bacini oceanici, dai quali si ergono le dorsali;
3. I margini continentali, adiacenti ai bacini;
Vanno inoltre aggiunte le fosse oceaniche.
Le dorsali medio-oceaniche sono lunghe catene montuose sottomarine, in continuità tra loro e caratterizzate da una cresta accidentata, costituita da una fossa di sprofondamento o fossa tettonica, la rift valley: circondata da rilievi, è una profonda incisione di 2 km situata nel mezzo della dorsale. È geologicamente molto attiva: è una zona di terremoti a ipocentro poco profondo, caratterizzato da un elevato flusso di clore ed attività vulcanica effusiva.
Le dorsali medio-oceaniche sono costituite prevalentemente da basalti tholeitici e sono ricoperte da sedimenti pelagici formati da gusci di organismi planctonici.
Le dorsali medio-oceaniche sono suddivise in segmenti distinti da profonde fratture che ne tagliano l’asse. In corrispondenza delle zone di frattura i tronconi della dorsale sono rigettati (spostati) anche per centinaia di chilometri. Le zone di frattura sono sismicamente attive nel tratto compreso tra i due tronconi della dorsale. L’asse delle dorsali è anche sede di un intenso flusso di calore, che decresce man mano che ci si allontana dalla rift valley.
Heyss enunciò l’ipotesi di espansione dei fondali oceanici:
→ Secondo l’ipotesi, nel mantello esistono lenti moti convettivi e le dorsali oceaniche sono espressione superficiale dei rami ascendenti di tali correnti. Il materiale del mantello fuoriesce in corrispondenza delle rift valley delle dorsali, muovendosi poi lateralmente allontanandosene dall’asse. Lo spazio creato è riempito da nuova crosta prodotto dalla lava solidificata.
L’espansione dei fondi è necessariamente compensata per sovrapposizione o reingestione della crosta.
Al momento della loro formazione, le rocce ricche di minerali magnetici registrano il campo magnetico presente nel luogo e nel tempo di formazione. Queste rocce possono fornire importanti informazioni sul paleomagnetismo, cioè sulle caratteristiche del campo magnetico presente al momento della loro formazione.
Un particolare aspetto del paleomagnetismo, riguarda le inversioni di polarità del campo geomagnetico.
Mediamente ogni mezzo milione di anni, il campo magnetico della Terra cambia polarità (il polo nord diventa polo sud e viceversa). I periodi più lunghi, dell’ordine del mezzo milione di anni, sono chiamati epoche magnetiche. Durante le epoche si registrano anche brevi inversioni dette eventi magnetici.
La causa di queste periodiche inversioni del campo geomagnetico non è ancora nota. Non sappiamo neanche se il campo si affievolisce lentamente per poi aumentare gradualmente nella direzione opposta o se si inverte di scatto.
Le anomalie magnetiche sono piccole variazioni locali della intensità del campo magnetico terrestre. Responsabile di queste deviazioni è la presenza in prossimità della superficie di rocce contenenti minerali magnetici. In un’area con anomalia magnetica positiva, il campo magnetico prodotto dalla roccia si somma al campo terrestre e il campo complessivo ha intensità maggiore del normale. In un’area con anomalia magnetica negativa, il campo magnetico della roccia si sottrae a quello terrestre e di conseguenza l’intensità totale è inferiore al normale. Le anomalie magnetiche registrate nei fondali oceanici hanno caratteristiche completamente diverse da quelle misurate sui continenti.
Le anomalie magnetiche riscontrate negli oceani hanno un andamento a bande lineari e generalmente parallele, che continuano per centinaia di chilometri. Inoltre, presentano una distinta simmetria bilaterale rispetto alla dorsale medio-oceanica.
Quelle rilevate sui continenti sono distribuite in modo del tutto casuale. Ciò è dovuto alla disordinata distribuzione e concentrazione dei minerali magnetici nelle rocce sottostanti.
Nel 1963 i geofisici inglesi Vine e Mathews prospettarono una brillante ipotesi che spiegava le anomalie magnetiche nel contesto dell’espansione dei fondali oceanici. Il fenomeno delle inversioni dei poli magnetici costituisce la base della loro ipotesi. Essi supposero che la lava basaltica, uscendo dalla fenditura centrale delle dorsali oceaniche, si magnetizzasse durante il raffreddamento. Man mano che nuovo materiale viene aggiunto lungo l’asse della dorsale, le lave solidificate e già magnetizzate sono allontanate e trascinate in direzioni opposte rispetto alla rift valley. Ogni qualvolta il campo magnetico terrestre si inverte, tale evento viene “registrato” e fossilizzato nelle lave stesse. Dopo un certo periodo di tempo il fondo oceanico risulta perciò costituito da strisciate o bande a magnetizzazione normale e inversa, specularmente simmetriche rispetto alla rift valley.
La fenditura assiale lungo la quale si attua l’espansione delle dorsali oceaniche non è una struttura continua. Essa è interrotta e dislocata dalle cosiddette zone di frattura, che in alcuni luoghi determinano alte e scoscese pareti sottomarine.
J. T. Wilson, un geofisico canadese, nel 1905 propose una nuova classe di faglie, che egli chiamò faglie trasformi.
Le faglie trasformi non si prolungano necessariamente entro i continenti e inoltre i terremoti sono limitati alla parte compresa fra i due segmento della dorsale. Queste faglie non sono la causa della dislocazione dei vari tronconi di dorsale, ma rappresentano la conseguenza dell’espansione dei fondali oceanici avvenuta in corrispondenza di ciascun troncone di dorsale.
Se la faglia si comportasse in modo omogeneo per tutta la sua lunghezza, i due tronconi di dorsale dovrebbero avvicinarsi fino ad allinearsi.
La presenza delle faglie trasformi dimostra che l’espansione dei fondali oceanici avviene per fasce separate. Il senso del movimento ai due lati della faglia è opposto solo nel tratto situato tra i due tronconi di dorsale. E’ lungo questo tratto che si generano i terremoti per attrito. Nei tratti esterni ai due tronconi di dorsale, il senso del movimento ai due lati della faglia è concorde.
I carotaggi eseguiti si sedimenti dei fondali oceanici hanno mostrato che l’età della crosta oceanica aumenta con la distanza dalla rift valley. L’età dei fondali oceanici non risulta mai maggiore di 170-190 milioni di anni. E’ però assai probabile che l’espansione dei fondali oceanici e lo spostamento dei continenti si siano verificati anche in passato. La crosta oceanica più antica sarebbe ormai completamente riciclata nel mantello.
La tettonica delle placche
Secondo la teoria della tettonica delle placche, la superficie terrestre consiste in un guscio litosferico suddiviso in un certo numero di porzioni rigide dette placche litosferiche (o placche).
Le placche sono sempre in movimento reciproco: scivolano sull’astenosfera, la fascia più superficiale del mantello. Espressione di questo movimento è la sismicità; le fasce sismiche individuano quindi i confini delle placche. Si distinguono quattro tipi di zone sismiche:
- 1° tipo: terremoti, poco profondi, sono accompagnati da attività vulcanica e alto flusso di calore. Le placche si allontanano l’una dall’altra → Ha inizio l’espansione del fondale.
→ Asse delle dorsali medio-oceaniche;
- 2° tipo: vi sono terremoti poco profondi. Si nota l’assenza di attività vulcanica.
→ Faglia di San Andreas, Faglia dell’Anatolia;
- 3° tipo: i terremoti possono essere superficiali, intermedi o profondi, secondo un ipotetico piano inclinato, detto piano di Benioff (qui vi è concentrata l’attività sismica). Questo piano è l’evidenza di un fenomeno di subduzione, ovvero dello scorrimento dello scorrimento di una placca litosferica sotto un’altra e del suo riassorbimento nell’astenosfera.
→ Fosse oceaniche, archi insulari (Pacifico occidentale);
- 4° tipo: zona continentale con sismicità diffusa, ove i terremoti, superficiali, sono associati a elevate catene montuose originate da evidenti fenomeni di compressione.
→ Fascia asiatica che si estende dalla Birmania al Mediterraneo.
I margini di confine tra le placche possono essere:
• Costruttivi, in accrescimento, o divergenti = propri dell’asse delle dorali, dove le placche si separano, e tra le due si genera continuamente nuova crosta;
• Conservativi, o trasformi = sono propri delle grandi fratture oceaniche e faglie continentali a scorrimento orizzontale, dove le placche scivolano l’una accanto all’altra, mentre le superfici in gioco restano immutate;
• Distruttivi, in consunzione, o convergenti = sono propri delle zone di subduzione, dove le placche convergono e una di esse sprofonda nell’astenosfera, consumandosi.
I margini dei continenti possono trovarsi distanti dai margini di placca oppure coincidere con questi; nel primo caso si parla di margini continentali passivi o margini continentali trasformi, nel secondo caso margini continentali attivi:
• Margini continentali passivi: sono tipici dei continenti che si trovano ai bordi dei bacini oceanici in espansione. Segnano il confine tra continente e oceano delle medesima placca. Sono tettonicamente inattivi.
Si originano dall’apertura di nuovo bacino oceanico, che provoca la fratturazione di una massa continentale;
• Margini continentali trasformi: corrispondono a bruschi rigetti o deviazioni nella spaccatura iniziale;
• Margini continentali attivi: soggetti prevalentemente a sforzi compressivi, sono situati in posizione anteriore rispetto alla direzione dello spostamento e coincidono con il confine della placca.
Quando due placche convergono, si forma una fossa e la placca più densa sprofonda nell’astenosfera. La placca che scende, raggiunta una certa profondità, inizia a fondere; il materiale fuso e meno denso tende a salire come una bolla d’aria nell’acqua.
La fusione parziale della placca che sprofonda posta a un’attività plutonico-vulcanica che interessa la zona sovrastante. Si crea così un allineamento di vulcani chiamato arco magmatico. L’associazione di fossa di subduzione e arco magmatico è detta sistema arco-fossa. Cinque sono gli elementi morfotettonici principali:
• la fossa;
• la zona di subduzione;
• l’intervallo arco-fossa, raccordo tra zona di subduzione e arco magamatico;
• l’arco magmatico o arco vulcanico;
• l’area retroarco, generalmente occupata da una bacino marginale.
La subduzione provoca fenomeni vulcanici caratterizzati prevalentemente da lave neutre e porta anche alla formazione di plutoni. I bacini marini posti dietro gli archi insulari sono chiamati bacini marginali. Gli archi magmatici posso essere intraoceanici oppure situati sui margini continentali.
L’attività vulcanica è quasi interamente localizzata ai confini delle placche; solo una piccola percentuale si verifica all’interno delle placche. Si tratta dei cosiddetti punti caldi (hot spots), manifestazioni in superficie della risalita di pennacchi ascensionali di magma da zone profonde del mantello. Il movimento delle placche sopra i punti caldi, che rimangono fissi per tempi anche molto lunghi, origina catene di vulcani, dei quali solo i più recenti sono attivi.
Il meccanismo responsabile del movimento delle placche può per ora essere solo ipotizzato. Ci sono varie ipotesi:
1. Il nuovo materiale eruttato nelle dorsali spinge verso il basso l’estremità opposta della placca, appesantita dal raffreddamento;
2. Le placche sono trascinate dal moto delle sottostanti celle convettive;
3. Le placche sono spinte dalla risalita dei pennacchi;
4. La litosfera non costituisce altro che la parte più superficiale, raffreddata, delle celle convettive che is generano nel mantello.
L’orogenesi
Il termine orogenesi significa genesi delle montagne. L’orogenesi può derivare dalla collisione tra una placca con crosta oceanica e una con crosta continentale, oppure tra due placche entrambe con crosta continentale. Lo scontro è sempre caratterizzato dall’estinguersi della subduzione e dal suo necessario insorgere in corrispondenza di una zona oceanica adiacente.
Se un margine continentale collide con un margine oceanico, il margine continentale si deforma e si rialza. Si forma un arco magmatico sulla placca con crosta continentale e fenomeni sismici e vulcanici sono frequenti e intensi. Un esempio è la cordigliera delle Ande.
La collisione tra due placche con crosta continentale è preceduta dalla convergenza tra crosta continentale e crosta oceanica. In questa fase si forma un arco magmatico sul bordo del continente antistante la fossa oceanica.
In uno stadio successivo, quando i due continenti si stanno avvicinando, il bacino oceanico intermedio si chiude sempre più; la crosta oceanica si rompe in cunei che tendono ad accavallarsi verso la placca in subduzione. Il fenomeno si traduce nell’insorgere di rilievi e catene montuose sottomarine, che a volte possono emergere sotto forma di isole. i sedimenti marini nel contempo iniziano a essere deformati e variamente dislocati.
Alla fine, quando i due continenti si scontrano, la compressione e la deformazione raggiungono la massima intensità. Entrambi i margini continentali, assieme agli ultimi resti di crosta oceanica non ancora subdotta, sono ridotti in cunei e scaglie che si accavallano verso la placca in subduzione. Nella zona in cui avviene la collisione si ha un forte ispessimento della crosta.
A questo punto, non essendovi più in gioco forze compressive, l’intero edificio di scaglie e falde accavallate, l’una sull’altra si innalza, inarcandosi a causa della compensazione isostatica. la zona si sutura tra i due continenti è segnata da una catena montuosa in cui le rocce sono intensamente piegate e reciprocamente accavallate. Essi marcano la cicatrice do ve si attuò la saldatura tra le due placche e testimoniano l’avvenuta chiusura di un bacino oceanico.
Ne sono un esempio Alpi e Appennini. Una volta tra Africa, Europa, Arabia, India e Asia si estendeva nel senso della longitudine un antico oceano denominato Tetide. Resti di questo oceano sono considerati il mar Nero, il mar Caspio e il lago Aral. Un altro esempio è la catena dell’Himalaya. L’originario oceano Tetide fu continuamente inghiottito sotto il Tibet per circa 60 milioni di anni. In seguito anche il margine continentale indiano si incastrò sotto l’altopiano tibetano, il quale probabilmente è così elevato a causa del raddoppio dello spessore di crosta continentale.