Il petrolio: effetti sull'ambiente e composizione

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Testo

La principale fonte d’energia di cui l’uomo moderno dispone è il petrolio (letteralmente significa “olio di pietra”). Esso trova applicazioni in ogni campo: da quello farmaceutico e quello edilizio, da quello aeronautico a quello tessile, da quello agricolo a quello dei trasporti.
• STORIA
Nel Rinascimento s’iniziò a distillare il greggio dei giacimenti superficiali per ottenere lubrificanti e prodotti medicinali. Il vero e proprio sfruttamento del petrolio ebbe inizio solo nel XIX secolo. All'epoca, la rivoluzione industriale e i conseguenti cambiamenti sociali stimolarono notevolmente la ricerca di nuovi combustibili. Nel 1852 il fisico e geologo canadese Abraham Gessner brevettò un procedimento per ricavare il Kerosene. I primi pozzi petroliferi veri e propri furono trivellati in Germania nel 1857-1859, ma l'avvenimento che ebbe risonanza mondiale fu la trivellazione di un pozzo nei pressi d’Oil Creek, in Pennsylvania, per opera del colonnello Drake. Nel 1859 questi fece numerosi sondaggi con lo scopo di trovare l'ipotetica "sacca madre", da cui dovevano provenire tutte le infiltrazioni di petrolio della Pennsylvania occidentale. In realtà il giacimento trovato era profondo solo 21,2 m, ma il petrolio era di tipo paraffinico, molto fluido, facile da distillare e il successo di Drake segnò l'inizio della moderna industria petrolifera. Presto il greggio suscitò l'interesse della comunità scientifica e furono sviluppate ipotesi plausibili riguardo alla sua formazione. Con l'invenzione del motore a combustione interna e con il crescente fabbisogno energetico causato dallo scoppio della prima guerra mondiale, l'industria petrolifera divenne una delle basi della moderna società industriale.

• COMPOSIZIONE
Il petrolio è il principale combustibile fossile liquido. E' costituito da una miscela d’idrocarburi (molecole costituite da carbonio e idrogeno) che derivano dalla decomposizione in ambiente marino, al di sotto delle coperture sedimentarie, di organismi animali e vegetali. Poiché i tempi naturali di formazione del petrolio sono di decine di milioni d’anni, e lo sfruttamento è invece rapidissimo, questa fonte è da considerarsi praticamente non rinnovabile.

Gli idrocarburi sono composti chimici formati esclusivamente da carbonio e idrogeno e, in base alle proporzioni tra questi due elementi e alla struttura molecolare che formano, gli idrocarburi si dividono in diverse serie:
• paraffine( o alcani). Questi idrocarburi sono detti saturi in quanto le loro molecole sono incapaci di incorporare altri atomi di idrogeno dal momento che la natura dei loro legami è di tipo semplice. Questo tipo d’idrocarburo forma catene lineari, ramificate o degli anelli. La più semplice delle paraffine è il metano (CH4) che è il principale gas naturale, ma vi è anche l'etano (C2H6), il propano (C3H8) e il butano (C4H10). Il propano e il butano possono essere liquefatti a basse pressioni e vanno a formare quello che è chiamato GPL (Gas Pressure Low). Le paraffine con molecole contenenti da 5 a 15 atomi di C sono liquide a pressioni e temperature ambiente. Al di sopra di 15 atomi sono estremamente viscose se non addirittura solide.

• Altra serie è quella degli idrocarburi non saturi dove gli atomi di carbonio hanno almeno un legame doppio. Tra queste possiamo avere l'isoprene ( gruppo caratteristico senza anelli) con un gruppo metilico (CH3), di cui fa parte il fitolo che costituisce una catena laterale della molecola della clorofilla.

• Infine si hanno gli idrocarburi aromatici che sono caratterizzati dalla presenza di un anello aromatico che permette solo reazioni di sostituzione di uno o più atomi di idrogeno con atomi o gruppi atomici come gli alogeni, - NO2, -SO3H, radicali alchilici e arilici.
Una caratteristica molto importante del petrolio è la sua densità che dipende dalla quantità e qualità dei legami degli atomi di carbonio. Normalmente gli olii sono più leggeri dell'acqua (quindi galleggiano), ma non è sempre così: vi sono anche olii che affondano. La densità si misura in gradi API (American Petroleum Institute) e si definiscono olii pesanti quelli con un API minore di 25 (peso specifico superiore a 0,9) e olii leggeri con API maggiore di 40 (peso specifico minore di 0,83) perfetti per fare la benzina.
Solitamente negli idrocarburi sono anche presenti i composti NSO così chiamati poichè nella molecola sono presenti uno o più eteroatomi, ossia atomi diversi dal carbonio e dall'idrogeno, e solitamente sono Azoto (N), Zolfo (S) e Ossigeno(O). Gli esempi più diffusi di questo tipo di idrocarburi sono le resine e gli asfalteni.
La formazione del petrolio è dovuta alla decomposizione di sostanze organiche, provenienti da organismi acquatici del regno animale e vegetale, a opera di speciali batteri. Dal fango formatosi in seguito alla putrefazione di tali sostanze, dopo un lavoro di secoli, in condizioni di temperatura e pressione elevate, ebbe origine il petrolio.
La maggiore o minore facilità d’estrazione dipende dal grado di fluidità del greggio e dalla permeabilità della roccia porosa che lo racchiude. La pressione che permette al petrolio di risalire in superficie, è data dalla presenza in soluzione d’idrocarburi gassosi: una volta effettuata la trivellazione della roccia, l’azione si distribuisce in tutte le direzioni e non solo verso l'alto, determinando la cosiddetta perdita di carico, che è inevitabile. Una volta esaurito il giacimento, resta una roccia spugnosa vuota.
Un tempo si recuperava solo il petrolio che usciva dal sottosuolo spontaneamente, invece oggi si procede al recupero secondario mediante i sistemi di gas injection oppure di water injection che consistono nel pompaggio sotto terra di gas o acqua, allo scopo di spingere verso l'alto il greggio rimasto nella roccia spugnosa che ormai è privo di pressione. Il petrolio greggio estratto non è immediatamente utilizzabile: deve essere deacquificato mediante riscaldamento, purificato per centrifugazione, separato nei suoi componenti principali (gas, benzina, gasolio, nafta, oli pesanti) mediante distillazione frazionata (topping) e trattato chimicamente per aumentarne il pregio (processi di cracking, di reforming e di alchilazione). Tutte queste pratiche costituiscono il processo di raffinazione del petrolio.
• LE TRAPPOLE PETROLIFERE
I luoghi in cui si accumula il petrolio sono molti.
L’anticlinale è una piega delle rocce dove gli strati sono convessi verso l’alto. In questa struttura geologica si trova l’acqua che satura tutti i pori liberi, gli idrocarburi liquidi ed il gas accumulatosi all’apice della piega.
La piega ad angolo è uno strato permeabile che termina al di sotto di uno impermeabile e permette l’accumulo di idrocarburi.
La faglia è una frattura nelle rocce che ha portato uno strato petrolifero permeabile a contatto con uno impermeabile. Questo permette l’accumulo d’idrocarburi.
Il diapiro è un’intrusione di sale che permette l’accumulo di petrolio in uno strato permeabile, in modo da bloccarne la risalita.
• ESTRAZIONE DEL GREGGIO
L’estrazione del petrolio grezzo (o semplicemente del grezzo) si effettua mediante trivellazione. All’inizio, la pressione dei gas interni è sufficiente a portare in superficie il petrolio. Nei casi meno favorevoli o alla fine dell’estrazione è invece utile l’utilizzo di pompe. Un impianto di estrazione è costituito da un incastellatura meccanica chiamata derrick che sostiene una serie di tubazioni di acciaio avvitate l’una sull’altra, con uno scalpello all’estremità inferiore e una testa rotante a quella superiore. Questo insieme di tubi, detto treno di perforazione, è internamente cavo e viene fatto circolare con pompe e fango liquido. Esso torna in superficie passando dall’intercapedine tra la parete del pozzo e il treno stesso. Il fango serve per sostenere le pareti del pozzo, lubrificare la testa di perforazione ed evitare la fuoriuscita del petrolio. Appena la trivella ha raggiunto una certa profondità, si cementa alle pareti un tubo d’acciaio sul quale si applica un sistema di saracinesche di tenuta e di prelevamento.

Giunti alla sacca si perfora ancora per conoscerne la profondità, quindi si ritira il macchinario cementando tutta la parete con tubi e a prelevando il petrolio. Il grezzo, mandato nei serbatoi di raccolta e decantato, è convogliato con oleodotti alle raffinerie o ai depositi costieri per l’imbarco. In mare il derrick poggia su una piattaforma galleggiante dove sono le saracinesche.

• IL PROCESSO DI RAFFINAZIONE
Essendo una miscela di vari idrocarburi con caratteristiche diverse, il petrolio non può essere subito utilizzato. Grazie ad operazioni di separazione, si ottiene una quantità enorme di prodotti. La prima distillazione del petrolio grezzo (distillazione primaria o topping) permette di separare le sei frazioni principali: gas ed eteri, benzina leggera (o nafta leggera), benzina pesante, cherosene e nafta, gasolio, residuo. Con il termine gasolina s’intende la frazione con punto d’ebollizione tra 60° e 200°. I gas vengono liquefatti e poi messi in commercio come combustibili per uso domestico, mentre la frazione gasolina viene lavata con soluzioni di soda caustica, deodorata per ossidazione e immagazzinata per essere riunita con quella proveniente da cracking e reforming. La frazione cherosene-nafta non destinata a questi processi è desolforata per idrogenazione catalitica e usata come Diesel o per impianti di riscaldamento. Il residuo e la frazione gasolio sono sottoposti ad una distillazione sotto vuoto che produce un distillato leggero, uno pesante e uno residuo.
➢ DISTILLAZIONE FRAZIONATA
La distillazione rappresenta la prima fase della raffinazione del greggio. Il petrolio inizia a vaporizzare ad una temperatura leggermente inferiore ai 100 °C: prima si separano gli idrocarburi a più basso peso molecolare, mentre per distillare quelli a molecole più grandi sono necessarie temperature sempre più crescenti. Il primo materiale che si estrae dal processo di topping è la frazione destinata a diventare benzina, seguita dal gasolio e dal cherosene. Durante il processo di distillazione sottovuoto (vacuum) che si attua sul residuo pesante, si ha il kerosene, il gasolio, gli olii lubrificanti ed un residuo. Nelle vecchie raffinerie, il rimanente era trattato con soda o potassa caustica e con acido solforico quindi distillato in corrente di vapore, ottenendo olii combustibili e olii lubrificanti dalla parte superiore della colonna di distillazione, e paraffina solida e asfalto da quella inferiore.
➢ REFORMING CATALITICO
Reforming è il processo, costituito da una serie di complesse reazioni chimiche, che ha per scopo l'aumento della resa di benzina nella distillazione. Il passaggio principale del processo di reforming è il cracking, cioè la rottura dei legami fra atomi di carbonio con la generazione di radicali alchilici (alchilazione). Il reforming esalta il potere antidetonante delle benzine
➢ IL PROCESSO CATALITICO DI IDRO-DESOLFONAZIONE
Esso permette non solo di recuperare lo zolfo presente nei petroli e di avviarlo alla produzione di H2S, ma di migliorare la qualità della benzina, evitando che durante la combustione si formi qualche composto cancerogeno. Durante questo processo, i derivati azotati degli idrocarburi sono espulsi sottoforma di NH3. I catalizzatori usati nell’idro-desolfonazione sono gli ossidi di cobalto e di molibdeno.
➢ IL PROCESSO DI CRACKING
Ha lo scopo di aumentare la produzione di benzine convertendo il gasolio ed il kerosene. Ciò si attua con due possibili modi:
a) Cracking termico: scaldando ad alta temperatura gli idrocarburi a grande massa molecolare, essi si scindono in molecole a catena più corta;
b) Cracking catalitico: si scaldano (insieme a catalizzatori) le frazioni petrolifere che bollono a temperatura più elevata, per ottenere molecole corte e ramificate (come l’iso-ottano, un antidetonante).

• L’INQUINAMENTO DA PETROLIO
Col termine “inquinamento da petrolio”, si intende la contaminazione dell'ambiente (del suolo, dell'aria e soprattutto dell'acqua) causata da ogni genere di idrocarburi liquidi, ovvero dal petrolio greggio o dai suoi derivati.
➢ INQUINAMENTO MARINO
L'inquinamento da idrocarburi può essere sistematico o accidentale. Quello accidentale è prodotto, nella maggior parte dei casi, dal riversamento in mare di ingenti quantità di petrolio da petroliere coinvolte in incidenti di navigazione (collisioni, incagliamenti, incendi, esplosioni, naufragi) ed è causa di considerevoli danni agli ecosistemi marini e litorali. Tra gli incidenti più gravi verificatisi negli ultimi decenni si ricordano quello della Torrey Canyon, che nel marzo del 1967 riversò nelle acque al largo della Cornovaglia 860.000 barili (107.000 tonnellate) di petrolio, e quello della Exxon Valdez, che nel marzo del 1989 contaminò l'intera baia di Prince William, nel golfo dell'Alaska, con ben 240.000 barili (38.000 tonnellate) di greggio, causando la morte di almeno 25.000 uccelli, più di tremila fra foche e lontre, e 22 balene.
Altri naufragi tristemente memorabili furono quello della Erika, nel dicembre 1999, che riversò sulle coste della Bretagna 13.000 tonnellate di greggio; quello della Jessica, verificatosi nel gennaio 2002 davanti alle isole Galápagos, che mise a rischio la preziosa oasi naturale e costrinse le autorità ecuadoriane a evacuare gli animali e dichiarare lo stato d’emergenza; quello della Prestige, che nel novembre del 2002 si spaccò in due tronconi, invadendo le coste spagnole della Galizia con 60.000 tonnellate di petrolio. Il più grave in assoluto fu, tuttavia, quello verificatosi nel 1979 al largo di Trinidad e Tobago: la collisione di due superpetroliere, la Aegean Captain e l'Atlantic Empress, provocò la fuoriuscita di circa 2.160.000 barili (270.000 tonnellate) di petrolio. Da ricordare anche l’incidente della Haven, che nell’aprile 1991 scaricò al largo di Genova 50.000 tonnellate di greggio.
Solo il 10% degli idrocarburi che contaminano i mari proviene, tuttavia, da riversamenti accidentali. Il resto proviene da fonti croniche, quali la ricaduta di particelle inquinanti dall'atmosfera, infiltrazioni naturali, dilavamento degli oli minerali dispersi nell'ambiente, perdite di raffinerie o di impianti di
trivellazione su piattaforme in mare aperto e, soprattutto, lo scarico a mare di acque di zavorra da parte di navi cisterna e petroliere. A causa del sabotaggio degli impianti petroliferi, durante la guerra del Golfo, nel 1991, furono riversate nel golfo Persico 460.000 tonnellate di greggio; sempre nel golfo Persico, nel 1983, si andarono a riversare 540.000 tonnellate di greggio fuoriuscite dalla piattaforma petrolifera Nowruz (il più grave incidente mai occorso a una piattaforma). La fonte principale dell'inquinamento marino da idrocarburi (20% dell'inquinamento totale) rimane, tuttavia, lo scarico in mare di acque contaminate nel corso di operazioni di lavaggio delle cisterne. Una volta consegnato il proprio carico alle raffinerie, le petroliere pompano nelle cisterne acqua che serve da zavorra per il viaggio di ritorno e che viene scaricata in mare prima di giungere ai terminali di carico, contribuendo, così, a produrre un tipo di inquinamento sistematico, o cronico, spesso molto più grave di quello accidentale. I grumi di catrame che si depositano sulle spiagge nelle località balneari derivano perlopiù dai residui contenuti nelle acque di zavorra scaricate in mare.
L'impiego di questa tecnica di lavaggio è stato limitato, a partire dagli anni Settanta, da una serie di convenzioni internazionali, che hanno imposto la realizzazione di petroliere progettate in modo tale da rendere minima la fuoriuscita di greggio in caso di incidente, l'installazione a bordo di sistemi per la separazione dei residui di petrolio dalle acque di zavorra e di lavaggio pompate in mare, l'adozione di dispositivi per il controllo del grado di inquinamento delle acque di zavorra e l'installazione di impianti per la raccolta e il trattamento delle acque contaminate presso i terminali di carico del greggio e i porti di scalo.
➢ INQUINAMEMTO DEI SUOLI
Anche i giacimenti di petrolio su terraferma possono provocare gravi danni all'ambiente. In questo caso, le fuoriuscite nocive sono dovute, nella maggior parte dei casi, alla cattiva progettazione, gestione e manutenzione degli impianti. Nell'Ecuador, ad esempio, il grave e diffuso inquinamento del suolo e dei corpi idrici di alcune zone è causato soprattutto da improvvise "eruzioni" di petrolio dai pozzi durante le operazioni di trivellazione, dalla dispersione abusiva del petrolio meno pregiato e dal cattivo funzionamento dei sistemi per la separazione del petrolio dall'acqua.
Il grave inquinamento da idrocarburi di alcune regioni della Russia è dovuto a cattiva manutenzione degli oleodotti. Nell'ottobre del 1994 nei pressi di Usinsk, non lontano dal Circolo polare artico, da una falla apertasi in un oleodotto fuoriuscirono 60.000-80.000 tonnellate di greggio che devastarono i delicati ecosistemi della tundra e della taiga. Alle alte latitudini, i naturali processi di degradazione del greggio si svolgono con molta lentezza e ciò contribuisce ad aggravare l'impatto di episodi come questo. Anche nelle regioni tropicali, tuttavia, i danni causati dal petrolio non sono indifferenti. Gli oleodotti che attraversano la regione del delta del Niger, in Nigeria, sono obsoleti e molto usurati; le perdite sono frequentissime e i tentativi di risolvere il problema bruciando i residui dispersi sul terreno o lasciando che il petrolio disperso finisca con il degradarsi al calore del sole hanno ottenuto un effetto deleterio: sui terreni si è formata una crosta sterile di un paio di metri che ha reso tali terreni praticamente inutilizzabili.
➢ CONSEGUENZE E RIMEDI
Di norma il petrolio scaricato in mare viene degradato naturalmente dall'ambiente attraverso processi fisici, chimici e biologici. Galleggiando sull'acqua, il greggio si allarga rapidamente in un'ampia chiazza, disponendosi in strati di vario spessore, che le correnti e i venti trasportano a grandi distanze e dividono in "banchi", disposti parallelamente alla direzione dei venti prevalenti. Le frazioni più volatili del petrolio evaporano nel giro di pochi giorni, perdendo in poche ore una notevole porzione della propria massa. Alcune componenti penetrano negli strati superiori dell'acqua, dove producono effetti molto nocivi sugli organismi marini e lentamente vengono ossidate biochimicamente a opera di batteri, funghi e alghe. Le frazioni più pesanti vagano, invece, sulla superficie del mare, fino a formare grumi difficilmente degradabili che affondano lentamente fino a raggiungere il fondo marino.
I tempi richiesti da questo processo di degradazione variano a seconda delle condizioni del mare, delle condizioni meteorologiche, della temperatura e del tipo di inquinante. Quando, nel gennaio del 1993, la petroliera Braer fece naufragio al largo delle isole Shetland, le condizioni meteorologiche (forti venti spiravano da terra verso il mare aperto), quelle del mare (burrascoso) e il particolare tipo di petrolio trasportato (relativamente leggero) favorirono la dispersione di 680.000 barili di greggio, cosicché solo un'area molto localizzata delle coste subì danni di una certa rilevanza (a essere danneggiati furono, perlopiù, alcune acquacolture e le popolazioni locali di uccelli marini).
Il petrolio disperso in mare può causare gravi danni alle specie marine di superficie, soprattutto uccelli, ma anche mammiferi e rettili. Il piumaggio degli uccelli marini, imbrattato dal petrolio, viene spesso irrimediabilmente rovinato e gli uccelli stessi, nel tentativo di ripulirsi, ingeriscono notevoli quantità di petrolio che causa intossicazioni talvolta letali. Il petrolio che va a riversarsi sulle coste può distruggere interi ecosistemi particolarmente sensibili (barriere coralline, paludi salmastre, foreste di mangrovie) e provocare seri danni a svariate attività commerciali, quali la pesca e l'acquacoltura, o al turismo.
Una delle soluzioni più utilizzate in passato per rimediare all'inquinamento accidentale da petrolio consisteva nell'irrorare le pellicole oleose con sostanze emulsionanti. Le emulsioni risultavano, tuttavia, in qualche caso molto più dannose del petrolio stesso e tale tecnica è stata pertanto progressivamente abbandonata. Oggi si preferisce ricorrere a barriere galleggianti o a speciali imbarcazioni che raccolgono il petrolio effettuando una sorta di raschiatura sulla superficie del mare; le macchie di petrolio vengono ancora spruzzate con agenti emulsionanti solo nel caso in cui minaccino di raggiungere la costa.
Il petrolio che si riversa sulle spiagge non viene sottoposto ad alcun trattamento: in genere si preferisce aspettare che a degradarlo provvedano i normali meccanismi di decomposizione. Nel caso in cui a essere colpite siano località balneari, si preferisce rimuovere gli strati superficiali di sabbia, piuttosto che ricorrere a solventi ed emulsionanti, i quali farebbero penetrare il petrolio più in profondità. I solventi vengono ancora utilizzati solo per ripulire impianti e attrezzature. Le pellicole oleose sono state in qualche caso irrorate con batteri capaci di degradare il petrolio. I risultati sono stati incoraggianti, anche se, per attivare i batteri e stimolarne la crescita, è necessario aggiungere alle colture nutrienti potenzialmente nocivi per gli ecosistemi litoranei e per la qualità delle acque.

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