Vulcanismo

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Testo

Le Eolie sorgono dal mare come visioni incantate: orizzonti infiniti, meravigliosi colori danno, soprattutto nelle giornate di brezza marina, un intensa suggestione alle albe ed ai tramonti.
Scogli vulcanici che emergono dalle acque e si innalzano al cielo, ricamati e traforati come antichi preziosi pizzi, castelli medievali, truci cavalieri che compaiono all’improvviso, sembianze di animali e di mostri: il tutto crea, particolarmente al calar della sera, un mondo magico.
Rocce scoscese si alternano a valloni a volte tormentati, a volte lisci, sempre definiti da altre pareti, che cadono a strapiombo sul mare: montagne vulcaniche ammantate di colori che vanno dal rosso e giallo dello zolfo, al nero dell’ossidiana, al bianco della pomice. Improvvise vedute di coste inaccessibili, innumerevoli grotte di un azzurro intenso, profondo, piccole pittoresche insenature formate da acque chiare e trasparenti come cristallo. Le Isole Eolie sono il regno incontrastato di Efesto. Qui sorgono i vulcani, qui il fuoco sgorga dalla terra e dal mare; qui le forze primigenie della natura- aria, acqua, terra, fuoco,- si manifestano con evidenza continua.
L’acqua ribolle, esalazioni gassose sgorgano dalle fenditure delle rocce; Stromboli scoppia, di momento in momento, con esplosioni di fuoco che ricreano in chiunque vi assista quel senso del tremendum che un tempo rendeva gli uomini devoti agli dei.
L’arcipelago eoliano, o arco delle Eolie, è una struttura molto più complessa ed articolata di quanto appaia al normale turista che normalmente ne vede soltanto la parte superficiale ignorandone quasi completamente tutta la porzione sommersa. La formazione dell’arco delle Eolie è legata ad una successione di eventi geologici la cui comprensione rende necessario fare un passo indietro e risalire alla genesi della catena appenninica e del mar Tirreno. La catena appenninica è costituita innanzitutto da due sistemi arcuati: quello dell’Appennino settentrionale e quello formato da Appennino Meridionale ed Arco Calabro-Peloritano. Questi due grandi sistemi si raccordano al piccolo blocco dell’Appennino Centrale mediante due grandi lineamenti tettonici trasversali funzionanti da cerniera: la linea Ancona-Anzio (a nord) e la linea Ortona- Roccamorfina (a sud).
La preistoria della catena si può far risalire a quando tra le paleo-placche europea ed africana si contrapponeva lo stretto di Gibilterra si contrapponeva lo stretto bacino oceanico ligure - piemontese che a causa dell'apertura del settore centrale dell'oceano atlantico comincerà a chiudersi con subduzione di crosta oceanica favorendo l'avvicinamento tra la placca adriatica e la placca iberica. La conseguenza di questo avvicinamento è la formazione del sistema Alpi - Appennini.
Bisogna sottolineare che allora l'ubicazione della protocatena non coincideva assolutamente con quella della futura catena appenninica.
In seguito si verificò una rotazione del blocco sardo - corso che provocherà della subduzione della placca adriatica al di sotto del blocco e quindi la formazione di una fossa in cui si vanno accumulando i materiali che costituiscono gli Appennini. Il periodo di assestamento è caratterizzato dell'apertura del bacino tirrenico che si attua ad impulsi e comporta un movimento a forbici provocando l'apertura di alcuni piccoli bacini.
La paleocatena risulta quindi traslata con rotazione in direzione in senso antiorario. Il risultato di tale riattivazione è testimoniato dalla formazione di due archi vulcanici: l'arco relitto - pliocenico che va dall'isola di Ponza ad Ustica e L'arco delle Eolie.
L’arcipelago è costituito da sette isole (Alicudi, Filicudi, Salina, Lipari, Vulcano, Panarea e Stromboli) e da numerosi rilievi sottomarini (“seamount”) disposti secondo una struttura semilunare di circa 200 KM di sviluppo lineare. Per alcuni di questi seamount (Sisifo, Enarete ed Eolo ad W di Alicudi e Lamentini, Alcione e Palinuro a NE di Stromboli), è stata riconosciuta una chiara origine vulcanica. Considerando che le isole si elevano da fondali di 1500-2000 metri di profondità e che possono raggiungere quasi 1000 metri s.l.m. (Monte Fossa delle Felci di Salina), si vede bene che alcuni dei complessi vulcanici emersi possono raggiungere un altezza di circa 3000 metri, comparabile, ad esempio, con quella dell’Etna.
La struttura dell’Arco eoliano è intersecata, nel suo settore meridionale, da un importante lineamento tettonico regionale (la linea Eolie-Tindari-Letojanni), che condiziona strettamente la distribuzione areale dei centri vulcanici nelle isole di Vulcano e Lipari, ed in maniera più ridotta di Salina (dove una tettonica E-W è pure piuttosto attiva). Anche gli altri due settori, quello occidentale ed orientale sono comunque condizionati dall’attività tettonica predominante che per Alicudi- Filicudi è orientata NW-SE e per Panarea-Stromboli NE-SW.
La disposizione anulare delle Isole e dei seamount sembra riflettere la forma concava a cucchiaio raggiunta dal relitto di placca Adriatica in subduzione sotto i resti della placca Iberica: presenza, orientazione e profondità del frammento di placca Adriatica sono testimoniate dalla distribuzione dei fuochi dei terremoti nel settore sudorientale del Mar Tirreno.
Le prime testimonianze di attività vulcanica sono fornite da alcuni campioni provenienti dal rilievo sottomarino Sisifo, che indica età circa un milione di anni, anche settori sommersi da altri apparati (Enarete, Eolo, Panarea) indicano tuttavia età relativamente antiche. Nella evoluzione cronologica del vulcanesimo eoliano si può tuttavia fare riferimento alla presenza o all’assenza nelle varie isole dei terrazzi abrasione marina tardo-quaternari.
Questi terrazzi si sono formati in seguito a movimenti relativi d’innalzamento e/o abbassamento sia delle isole che del livello del mare. Il “terrazzo” di abrasione è il risultato di una prolungata azione erosiva, svolta in momenti di stasi prolungata durante i quali il livello del mare e/o dell’isola rimaneva stabile: il risultato visibile di questo processo consiste in incisioni ( se i materiali coinvolti sono molti resistenti e con pareti ripide) o nella formazione di spiagge e zone pianeggianti caratterizzate dalla presenza di grossi ciottoli arrotondati dal movimento ondoso lungo la battigia (conglomerati marini).
Le indagini geologiche sottomarine hanno permesso di identificare la presenza di piattaforme di abrasione sommerse in corrispondenza dei settori più antichi di tutte le isole. Tali piattaforme di abrasione permettono quindi di distinguere una fase “Pre-erosiva” da una “post-erosiva”. Le due fasi non mostrano in generale una variazione nell’affinità dei prodotti magmatici emessi; tuttavia nel tempo si può notare una generalizzata evoluzione che partendo da scarsissimi prodotti tholeiitici, passa attraverso magmi calcalini e calcalini alti in K, arrivando sino a magmi shoshonitici. Una evoluzione di tal tipo si può tuttavia registrare anche nell’ambito di uno stesso complesso vulcanico senza che la variazione di affinità col tempo comporti una corrispondente variazione del luogo di emissione. Talora, inoltre, è possibile una sequenza di cicli magmatici caratterizzati dall’alternata emissione di prodotti a diversa affinità. La genesi di magmi così diversi, che tuttavia vengono emessi nello stesso punto, rappresenta uno dei problemi che più a lungo sono stati dibattuti dai geologi. Infatti se negli archi vulcani classici del Pacifico la variazione di affinità dei magmi emessi è sempre connessa al progressivo aumento di profondità raggiunto dalla placca subdotta, tale reazione non è valida per l’arco delle Eolie. Si è dovuto pertanto ricorrere ad un modello genetico che prevede condotti di alimentazione distinti per magmi diversi che, contemporaneamente,
alimentano i complessi eoliani. Questi condotti portano in superficie magmi che sono prodotti a diverse profondità ma a spese della stessa placca subdotta disposta ormai verticalmente; tali magmi sono dunque l’espressione di processi magmatici peculiari e caratteristici di materiali coinvolti a diverse profondità.
IL VULCANESIMO A LIPARI
Lipari è la principale delle Isole Eolie, la più estesa ed anche la più complessa dal punto di vista geologico.
I fenomeni più appariscenti sono le bianche cupole di pomice, visibili dal mare, le grandi colate di ossidiana, più nascoste. Pomice ed ossidiana, bianche e nere, sono materiali di origine vulcanica, aventi la stessa composizione chimica, entrambe costituite principalmente da silice ma di diversa struttura per le diverse modalità di eruzione e raffreddamento. Vetro amorfo a struttura compatta è la nera ossidiana, che non ha potuto cristallizzare per il rapido raffreddamento; vetrosa, ma tutta vacuoli simile ad una schiuma solida la bianca pomice, derivata da un magma acido e viscoso che solidificandosi non ha permesso l’uscita ai gas in essa contenuti.
L’ossidiana era utilizzata nei tempi lontani del Neolitico; la pomice, invece, è utilizzata ancora oggi nell’industria.
Emessa sotto forma di brevi colate di forte spessore e limitata estensione per la viscosità del magma, l’ossidiana; emessa durante violente eruzioni esplosive in grande quantità e sotto forma di piccoli brandelli arrotondati urtandosi, la pomice. Pomice ed ossidiana vennero emesse durante la fase più recente dell’attività vulcanica di Lipari.
Questa, iniziatasi circa 160 mila anni or sono, ebbe diverse fasi, fu assai varia, diede origine a numerosi edifici vulcanici, e si protrasse fino ad epoca storica intercalando periodi di intensa attività ad altri lunghissimi di stasi, durante i quali si formarono strati di paleosuolo che si ritrovano intercalati agli strati di materiali vulcanici.
Circa 100mila anni or sono iniziò una lunga serie di eruzioni esplosive, che diedero origine agli strato-vulcani di Monte S. Angelo e Monte Costa d’Agosto. La parte inferiore di questi strato-vulcani è costituita da tufi, che attestano come le eruzioni furono di tipo esplosivo, così come i paleosuoli intercalati agli strati di tufo denotano l’alternarsi di periodi di riposo ad altri di attività. La parte superiore è invece costituita da colate di lava emesse durante una attività di tipo effusivo, che fece seguito a quella esplosiva. I prodotti di questo periodo sono coperti da un paleosuolo, cui si fa corrispondere un periodo di riposo di circa 40 mila anni. Successivamente fra 40 mila e 8 mila anni or sono, i vulcani del terzo periodo eruttarono pomici e formarono cupole di ristagno, tra cui il Monte Guardia ed il Monte Giardina. Un altro paleosuolo rivela un periodo, che precedette l’ultima fase di attività eruttiva. Questa riprese dopo una lunga sosta, localizzandosi nella parte nord-est con imponenti eruzioni esplosive con lancio di enormi quantità di pomici che costituirono il Monte Pelato e con l’emissione della spettacolare colata di ossidiana delle rocche rosse. Questi ultimi eventi risalgono a pochi millenni or sono quando già a Lipari viveva l’uomo neolitico. I tufi pomicei emessi, durante la terza fase eruttiva, sono infatti ricoperti da un paleosuolo con reparti neolitici ed ancora dalle pomici bianche del Monte Pelato. La colata di ossidiana nelle Rocche Rosse si fa risalire a solo 1200 anni or sono. Anche in epoca storica vi furono eruzioni di pomici che ricoprirono rovine romane del IV e V secolo d.C.. Oggi Lipari presenta una modesta attività postvulcanica che consiste in alcune sorgenti termali, di cui le più importanti sono quelle di S.Calogero, ed in poche fumarole, di cui le principali sono quelle di Bagno Secco.
VULCANO
Quest’isola, si impone per l’interesse della sua singolare natura profondamente segnata ed impressa dal fuoco vulcanico e per la possibilità di osservare fenomeni endogeni che vi si manifestano numerosi e lasciano presagire una futura ripresa dell’attività eruttiva del vulcano, oggi allo stato quiescente. L’aspetto aspro e selvaggio dell’isola , l’odore penetrante dello zolfo, le spiagge e le rocce nere, il cono di Vulcano, le patine policrome provocate dall’attività fumarolica, il giallo crudo del Faraglione, l’aridità abbagliante dell’istmo, il ribollio di innumeri fumarole nel mare, i vapori sulfurei ed i fanghi ribollenti evocano immagini apocalittiche.
L’isola di Vulcano è la più giovane fra le tre isole che risultano allineati lungo la linea Eolie-Tindari-Giardini: infatti questa è l’unica sulla quale i terreni affioranti non risultano interessati da alcun livello di abrasione marina
Le prime eruzioni avvennero circa 100 mila anni or sono con la formazione degli strato- vulcani della parte meridionale dell'isola
Dopo la formazione di questi strato-vulcani, l'isola subì in epoche successive due grandi sprofondamenti. Il primo nella zona centrale della parte meridionale portò alla formazione della caldera del Piano; il secondo, portò alla formazione dell'ampia caldera della Fossa entro cui oggi sorge il vulcano.
All'inizio dell'epoca post-glaciale l'isola di Vulcano era più piccola di ora: il vulcano della Fossa cominciò ad edificarsi in epoca preistorica quando, al centro della Fossa si formò un primo cono. Successivamente l'asse eruttivo si spostò verso sud-ovest dando origine ad un nuovo edificio: perciò il Vulcano della Fossa è formato dalla compenetrazione di due coni vulcanici.
Del tutto storica è la formazione della parte più settentrionale dell'isola dove, a seguito di eruzioni sottomarine, sorse l'isola di Vulcanello.
Qui si formarono un basamento lavico circolare e due crateri: quello orientale, costituito da tufi e brecce piroclastiche con intrusioni di lave; ed il cratere intermedio più ad ovest, costituito da scorie e brecce eruttive.
Le eruzioni di vulcano, intercalate da periodi di quiescenza durante i quali si mantenne una più o meno intensa attività fumarolica, furono prevalentemente di materiali piroclastici.
L'ultima violenta eruzione esplosiva del secolo scorso, durata dall'agosto del 1888 al marzo del1890, diede nome all'attività vulcanica che viene definita "vulcaniana", caratterizzata dall'esplosione del tappo che ostruiva il condotto e dal lancio di una grandissima quantità di ceneri, materiali piroclastici e di molte bombe a "crosta di pane" e blocchi di grande dimensione, senza alcuna colata lavica.
Da allora si ebbe a Vulcano solo attività fumarolica.
Stromboli
Stromboli è l'unico vulcano in Europa ed uno dei pochi al mondo in attività eruttiva permanente. A Stromboli la presenza del vulcano incombe ed ammalia col fascino che sempre esercitano i fenomeni della natura. Esso si innalza fino a 924m della Serra Vancori da cui scendono da tutte le direzioni banchi di tufi alternati a colate laviche. L'isola s'inabissa fino a 2000m di profondità. La sua attività eruttiva è iniziata solo 40000 anni fa. L'isola è costituita essenzialmente dallo strato-vulcano di Vancori che subì a seguito di una frattura a vanga lo sprofondamento laterale del settore nord-occidentale. La sua sommità, la serra Vancori è quanto resta dell'antico cratere.
Il secondo cono formatosi subì un crollo da cui si formò un terrazzo detto La Fossa, su cui si aprono le bocche eruttive del cratere attuale. Le varie bocche possono essere in attività fumarolica esplosiva o caratterizzate da attività a fontana di lava. L'attività esplosiva è così tipica da avere suggerito il nome di "stromboliana". Si manifesta con l'emissione di nuvole di gas, spesso cariche di ceneri che si liberano da magmi ribollenti sul fondo del cratere e con il lancio di brandelli di magma che ricadono allo stato incandescente come scorie. Talvolta a fasi esplosive moderate si succedono veri e propri scatti, originati da improvvisi scarichi di pressione nel canale continuo e sono forse causati da penetrazioni laterali del magma nel fianco del vulcano. Spesso allo scatto fa seguito l'erompere tumultuoso di magma spumeggiante che discende in colate di lave lungo la Sciara del fuoco.
Rischio vulcanico e sismico nell'arcipelago Eoliano
La probabilità che si verifichi un sisma o un'eruzione con certe caratteristiche energetiche e interessante una certa area è legata esclusivamente alle caratteristiche sismotettoniche e vulcanotettoniche proprie e del contesto geodinamico in cui l'area ricade.
Sotto le Isole Eolie è stata riconosciuta una zona sismica di Benioff inclinata 50-60° verso WNW dal Mar Ionio al Tirreno; la sismicità attiva è stata riscontrata sino ad una profondità di circa 400km. Tale elemento fa ritenere che l'arco insulare delle Eolie abbia raggiunto lo stato senile della sua evoluzione e per tanto il processo di subduzione crostale al di sotto dell'arco Eoliano sarebbe quasi alla fine.
Sulla base dei dati a tutt'oggi conosciuti si può dedurre che concrete condizioni di rischio nell'arcipelago Eoliano esistano esclusivamente nelle tre isole di Vulcano, Stromboli e Lipari. Queste sono infatti le sole isole a vulcanismo attivo dell'intero comprensorio.
Vulcano:
Il settore settentrionale dell'isola è stato sede in tempi storici di numerose eruzioni esplosive dovute all'attività della Fossa di Vulcano e di Vulcanello. L'ultimo ciclo eruttivo (1888-90) ha prodotto depositi piroclastici a mantello sul cono della Fossa con spessori fino a 5 mm e bombe vulcaniche espulse fino ad 1 km dalla bocca. Attualmente l'attività di Vulcano è limitata ad emissioni fumaroliche e a fenomenologie termali locali.
Oggi un evento vulcanico di tipo esplosivo avrebbe effetti catastrofici sugli insediamenti localizzati tra la Fossa e la penisola di Vulcanello.
Questa zona, per la presenza del villaggio di Porto e per l'elevato sviluppo assunto in questi ultimi anni dagli insediamenti turistici, rappresenta il settore a maggior rischio dell'intera isola.
Misure effettuate recentemente hanno permesso di evidenziare che il tenore di CO2, nella zona di Vulcano Porto risulta più elevato dei valori normali.
Le condizioni di rischio hanno portato all'attivazione di un complesso sistema di sorveglianza che si avvale di differenti metodiche, finalizzate tutte alla previsione di possibili crisi vulcaniche della Fossa di Vulcano.
Stromboli
E' sede di attività persistente caratterizzata da esplosioni regolari e ritmiche alle bocche eruttive, poste immediatamente a ridosso della sommità dell'isola, con fuoriuscita di rare lave pastose accompagnate da nubi di vapore. Le lave tendono a solidificare nella parte superiore del condotto che si libera mediante blande esplosioni con espulsioni di frammenti incandescenti ed accumuli di scorie. Durante le fasi eruttive blocchi, scorie e lapilli scivolano per gravità lungo la "Sciara Del Fuoco", un pendio fortemente acclive originato da un collasso vulcano-tettonico, ubicato tra le bocche eruttive ed il mare.
Il rischio vulcanico a Stromboli rispetto a Vulcano può ritenersi meno elevato, ma non nullo, in considerazione del carattere più basico del magma, con conseguente minore esplosività e del minore numero di insediamenti abitativi.
Lipari
Attualmente l'attività si limita a manifestazioni post-vulcaniche quali le fumarole a bassa temperatura e le sorgenti termali di S. Calogero con temperatura di 55° .
Tuttavia Lipari, specialmente nella sua parte meridionale, più prossima a Vulcano, non è del tutto esente da rischio.
Rischio Sismico
A differenza dei fenomeni vulcanici, gli eventi sismici ad alto rischio rappresentano una maggiore omogeneità sia reale che tipologica.
Il quadro che emerge da una sintesi dei dati storici ci permette di individuare come centri di maggiore attività sismica:
a) La parte settentrionale dell'isola di Salina (Pollara e Malfa)
b) L'isola di Stromboli
c) Il gruppo Filicudi-Alicudi
In aree vulcaniche insulari, quali quelle Eoliane, non bisogna dimenticare la possibilità che in concomitanza con l'attività sismo-vulcanica si verifichino fenomeni correlati di estrema pericolosità. A questo proposito ricordiamo i ripetuti tsunami avvenuti a Stromboli in occasione di eventi vulcanici: maggio 1919, settembre 1930, agosto 1944, marzo 1954.
Le isole sono anche interessate dai terremoti profondi del basso Tirreno.
Tale sismicità, comunque, non ha mai superato nei centri abitati intensità superiori al 7° grado MCS.
Per una corretta valutazione dell'hazard sismico nell'arcipelago, oltre alla sismicità locale non va trascurata l'elevata sismicità regionale del dominio geodinamico di cui l'Arco Eoliano è parte integrante.
Esistono infatti focolai sismici limitrofi i cui effetti, sotto l'aspetto dell'intensità sismica alle isole Eolie, sono certamente non inferiori a quelli dedotti dalla sismicità locale. L'area sismogenetica più prossima è quella di Naso-Patti, dove sono state raggiunte intensità epicentrali che vanno dall'VIII al X grado . La sismicità di quest'area è prevalentemente connessa a strutture crostali con andamento NNW-SSE estrapolabili fino alle isole più meridionali dell'arcipelago. Il focolaio sismico si estende infatti fin nel golfo di Patti.
Altre aree sismogenetiche che interessano l'Arcipelago Eoliano sono lo Stretto di Messina e quelle del versante tirrenico della Calabria.
Rischio
Prescindendo da alcune problematiche comuni sia al rischio vulcanico che al sismico, quest'ultimo appare più strettamente connesso alla vulnerabilità degli edifici e, più in generale, dei manufatti esistenti.
Anche se nel comprensorio eoliano non è mai stato effettuato un censimento delle abitazioni in prospettiva sismica, sulla base della mia esperienza ritengo che la vulnerabilità media non sia bassa: ciò è dovuto alla tipica costruzione delle case oliane, senza tenere conto di misure antisismiche.
A conferma di ciò ricordiamo che nel terremoto del 1978 nell'abitato di Lipari si resero inagibili un gran numero di edifici.
Una delle principali cause dell'elevata vulnerabilità potrebbe essere cercata nelle mancanza in loco di adeguati materiali di costruzione.
La presenza di edifici fondati su versanti fortemente acclivi, condizione inevitabile in alcune delle isole, rappresenta un'ulteriore causa di vulnerabilità.
Esistono infine situazioni locali che aumentano la vulnerabilità degli edifici.
Un esempio: lungo la costa orientale dell'isola di Lipari a causa di movimenti di subsidenza parecchie fondazioni, seminterrati e scantinati prossimi alla linea di riva si trovano attualmente immersi nella falda salmastra, fino a 30-40 cm sotto il livello del mare.
Emerge quindi la necessità di un censimento delle costruzioni in funzione della loro vulnerabilità ed in particolare per le strutture pubbliche.
Il censimento sulla vulnerabilità va integrato poi da una microzonazione sismica, effettuata tramite approcci strumentali o tramite metodi di back analysis. Grazie alla microzonazione è possibile evidenziare le aree in cui il sistema costruzione-terreno di fondazione può determinare esaltazione degli effetti del sisma.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Da quanto discusso emerge che l’Arcipelago Eoliano è sottoposto a valori medio-alti di rischio sismico e vulcanico. Rischio sismico e vulcanico, analizzati nel contesto oliano, presentano molti fatti in comune. Il primo determina un’elevata variabilità temporale del rischio in funzione delle forti variazioni stagionali della densità demografica. Ne consegue la necessità di dimensionare opportunamente le strutture sociali di servizio e di prevenzione.
Il carattere insulare è il fattore che eleva maggiormente il rischio: frazionamento del territorio, viabilità limitata, difficoltà di collegamenti aerei e marittimi ; va ricordato che spesso le perturbazioni atmosferiche e lo stato del mare rendono impossibile qualunque tipo di collegamento con le isole.
Per quanto riguarda il rischio sismico, va ricordato che l’attuale normativa attribuisce ai tre comuni dell’Isola di Salina (Malfa, Leni, S. M. Salina) un livello di sismicità alto(S=12),mentre alle restanti isole un livello di sismicità medio(S=9). Ciò significa che gli edifici devono essere costruiti in modo tale da resistere ad un’accelerazione al piede rispettivamente di 0,35g e di 0,25g.
Vulcani sommersi
Immaginiamo di poter prosciugare il mar tirreno e di sorvolarlo in aereo: nella
zona tra il golfo di Napoli e la Sicilia saremmo colpiti da uno spettacolo che non ha uguale nel nostro pianeta. Quattro gigantesche catene montuose segnate dalle bocche di vulcani si innalzano a poca distanza l’una dall’altra, su pianure profonde fino a 3.600 m., culminando nella cima del Marsili, la più grande montagna di fuoco dell’intera Europa: è alta più di 3000 m.,si estende per 65km di lunghezza ed è larga 40 km. La regione terminale più profonda è segnata da coni vulcanici alcuni dei quali delle dimensioni del cratere dell’isola di Vulcano che giungono, nel caso del colosso sotto marino, a soli 500m. di profondità in prossimità dell’isola di Salina. Le lave del Marsili sono basiche e quindi non danno luogo a eruzioni esplosive, anche se a contenere gli effetti della attività intervengono le elevate pressioni del mare.Il Marsili , insieme agli altri tre fratelli (il Palinuro ad est, il Magnagni vicino alla costa sarda , il Vavilov tra Sardegna e Lazio) nel passato causarono enormi sconvolgimenti nel mare e nelle vicine coste, attualmente, però, si trovano in uno stato di quiescenza e gli studiosi prevedono al massimo un risveglio tra 1500 anni .Tuttavia, col tempo si sono verificati dei collassi di materiale in prossimità degli edifici vulcanici, quindi queste montagne di fuoco sono continuamente tenute sotto controllo .
I giganti sommersi si stagliano sopra una serie di pianure situate a 3600 metri di profondità. Le ricerche dei geologi hanno messo in luce il destino del materiale eroso dalle montagne che circonda il tirreno trasportato dai fiumi fino al mare. Sono stati evidenziati, infatti, sistemi di drenaggio marino, che trasportano sedimenti dalle coste agli abissi centrali del tirreno. Questi canali sottomarini, larghi fino a 4 km e profondi fino a 500 m, solcano i fondali del tirreno come nei grandi fiumi.
La presenza di questi, è stata rivelata grazie all’uso di sofisticati sonar, capaci di registrare la morfologia dei fondali con grande precisione.
Grazie all’analisi dei dati ottenuti si è riuscito a ricavare delle importanti informazioni sulla natura delle rocce. Sono state così scoperte tracce di solfuri di piombo, rame e zinco, idrossidi di ferro e di manganese, formatisi a 80 m di profondità che danno origine a miniere che in futuro potrebbero aprire proficui orizzonti produttivi.
Il tirreno risulta essere il mare più giovane del Mediterraneo e quindi anche molto instabile: si formò circa 10 milioni di anni fa. E’ stato l’ultimo mare a crearsi, lo avevano preceduto l’Adriatico e seguito dallo Ionio.
Tra le fasi delle grandi fratture geologiche che provocarono lo sprofondamento del Tirreno e la crescita dei grandi vulcani (dal più vecchio, il Vavilov, al più giovane, il Marsili) c’è stata una fase di prosciugamento completo del Mediterraneo che si conclude con l’arrivo della grande cascata dello stretto di Gibilterra, 5-6 milioni di anni fa. A quell’epoca le isole vulcaniche di Stromboli e Lipari non esistevano ancora, ma si potevano ammirare altri vulcani che svettavano come tanti Kilimangiaro. Nel corso dei millenni la “diga” naturale, che si era formata tra Spagna e Marocco cominciò a lesionarsi, e si ebbe un collasso generale di tutta l’area e le acque oceaniche si riversarono fragorosamente nella depressione del Mediterraneo: era nato lo stretto di Gibilterra .

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