Scuola e vita: convergenze e inconciliabilità

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Scuola e vita: convergenze e inconciliabilità.

Il futuro della scuola Italiana: unica prospettiva, il cambiamento.

E’ il mito dell’ultimo della classe, di Gian Burrasca che riesce sempre a cavarsela dopo aver messo il rospo nel cassetto della maestra. Il vecchio Alex, dopo aver passato la sua prima adolescenza tra i brufoli e gli specchietti sinottici di latino e greco aveva deciso che era meglio, per la propria autostima, per la stima che gli altri avrebbero avuto di lui e per poter coltivare le proprie passioni, ritirarsi nell’ultimo banco, lontano dalle profie, da quegli esseri sovrumani che sudando nelle loro calze contenitive il giorno degli scrutini, avevano la possibilità di vendicarsi del costante disinteresse dell’ultima fila… La scia è quella del giovane Holden, che una volta fattosi cacciare dai migliori college degli Stati Uniti, si ritrova nel parco più grande di una surreale New York sotto la neve a chiedersi dove vadano le anatre l’inverno, più preoccupato per la reazione dei genitori alla sua ennesima espulsione, piuttosto che del proprio domani.
Il cinema e la letteratura continuano a presentarci il solito modello del ragazzo che, rinunciando al proprio futuro (paradossalmente collocato in ciò che una scuola potrebbe fornirgli), fugge per qualcosa di diverso: la vita, la Vera Vita; e siamo ad un passo dal paragone tra la scuola e una prigione. E i giovani odiano la scuola, questo è un dato di fatto. I professori odiano gli studenti, i genitori, che ripongono tutte le proprie aspettative nei loro figli, sentendosi criticati in prima persona, odiano gli insegnati “che non capiscono” e i figli dei quali sanno solo vergognarsi. E quello in cui la scuola italiana sembra essersi inserita è un circolo vizioso e controproducente che sembra semplicemente opporsi a quello per cui è stata creata e ancora vive, demolisce la sua funzione educativa e l’importanza dei contenuti della quale è portatrice che dovrebbero essere patrimonio comune a tutta l’umanità.
I motivi per cui i giovani stessi sono così fissi sulle proprie posizioni ribelli credo vadano ricercati proprio nelle basi del sistema scuola: lo studente viene collocato in una “classe”, la “classe” è un gruppo di persone con la quale avrà a che fare per molti anni e con la quale dovrà cercare di andare d’accordo; venti persone che sono un po’ una società in miniatura, una piccola comunità che è chiusa in quattro mura, che condivide quelle quattro mura, qualche professore e un po’ dell’aria che respira se le finestre sono chiuse: questo è il clima costrittivo nel quale lo studente tipo si adagia; e lo studente tipo dopo qualche anno di “quattro mura e stessa aria” si annoia e decide che la scuola è una cosa, la vita un’altra… una vita a tinte forti e assolute, ideali alti, altissimi, irraggiungibili, ribellione ed autonomia, un’autonomia non riconosciuta semplicemente dal sistema scolastico che dovrebbe formare il piccolo italiano il quale spesso non riesce nemmeno a capire il perché dell’esistenza delle materie studiate.
Credo che dovremmo ispirarci al sistema scolastico americano nel quale lo studente è libero di scegliere le lezioni da frequentare e organizza la propria settimana esattamente secondo i propri interessi, si muove all’interno della scuola cambiando compagni di corso ed insegnanti: si trova all’interno di una comunità di diverse centinaia di ragazzi che si conoscono tutti, che considerano la scuola quasi come la propria casa, che amano le materie studiate e conoscono il motivo per le quali studiano, situazione ben diversa da quella del mondo piccolo in cui lo studente italiano è collocato.
Il circolo vizioso di odio tra le varie parti in causa, la paura del nuovo e del diverso da parte degli adulti e la necessità di affermarsi in un mondo nel quale il divario generazionale è praticamente un abisso potranno mai sfociare in un radicale cambiamento?

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