Relazione:Ha ancora senso ciò che è "classico"?

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Testo

Ha ancora senso ciò che è “classico”?

GLI IDEALI CLASSICI NEL 2000

Dominio della ragione sulle passioni, equilibrio tra forma e contenuto, armonia e compostezza, moderazione: sono gli ideali del mondo classico, da sempre modello per quegli autori e non, che tentavano di riprodurli dopo averli fatti propri in quanto norme di comportamento da seguire.
Questi ideali sono parte del nostro bagaglio culturale, ma sono messi in atto giorno per giorno nel rapporto con gli altri o sono solo un peso, un retaggio scolastico imposto, come argomento didattico, dai nostri professori? E soprattutto sono ancora un valido modello di vita?
Non lo sappiamo, ma certo sarebbe auspicabile che questi valori, sentiti davvero come parte della nostra humanitas, fossero sempre presenti in noi come nei “magni viri” del passato perché ci guidino nel lungo e difficile “cammin di nostra vita” perché non sia smarrita la via giusta. Forse così avremo le risposte giuste per i grandi interrogativi del presente che tanto ci disorientano.

Omero 2000
CULTURA OCCIDENTALE

La figura dell’eroe “bello e coraggioso” è presente nel nostro immaginario collettivo come archetipo, le cui origini risalgono ad Omero. L’eroe nell’epica omerica incarnava, infatti, i canoni della “calocagathia”, secondo cui alla bellezza esteriore corrispondeva quella interiore in un legame strutturale ed indivisibile.
Una simile interpretazione dell’eroe si è trasmessa nei secoli ed è ancor oggi proposta dalla pubblicità, dal cinema, dalla televisione. Si creano, conseguentemente, i cosiddetti “falsi miti”: il successo, la bellezza, la forza, il denaro. Si tratta di un fenomeno che, pur nella sua degenerazione attesta la continuità tra la società moderna e l’antica Grecia.
Questa interdipendenza, questa continuità è rimarcata anche dalla presenza di altri archetipi o miti tipicamente omerici. Il mito di Ulisse potrebbe esserne un esempio. La figura dell’eroe astuto, collocato attraverso la sua scaltrezza, è forse una delle più frequenti nella storia della letteratura occidentale: da Dante che l’ha rielaborata in funzione di un determinato progetto religioso-politico, a Tennysos, D’Annunzio, Pascoli. Ognuno ha visto l’eroe sotto una luce particolare ed al sarcastico “Re di tempeste” di Gozzano fa da contrappunto il famosissimo “Ulisse” di Joyce creato nel ristretto cronotopo spazio-temporale di una città e di un giorno.
La ricerca degli aspetti risalenti ad Omero è finalizzata a dare una risposta ai dubbi di coloro che sono scettici riguardo allo studio del Greco nella scuola superiore.
Lo studio del Greco si rivela strumento indispensabile per comprendere la forma mentis di una realtà sociale, politica e culturale che ha fondato e, quindi, ha strutturato la nostra mentalità operativa.
Il mondo greco nel suo percorso evolutivo, che va dal periodo miceneo all’Ellenismo, ha elaborato una propria visione razionalistica del mondo, insita già nella tecnica compositiva per i registri dell’Epica e nello stile geometrico vascolare, in cui si iscrive una concezione dell’uomo secondo parametri che influenzeranno innegabilmente l’immaginario e la letteratura europea. Lo studio del greco diventa, dunque, un andare alle radici del nostro stesso essere per chiarificarlo e proiettarlo continuamente nel futuro.

L'ARTE: ESSERE ED APPARIRE

L’oggetto artistico si pone in relazione a due fattori fondamentali: l'ambiente, in cui si inserisce, ed il suo «referente visivo», cioè l'occhio umano.
L’atavico problema del rapporto tra l’ambiente e l'opera d'arte si rivela abbastanza complesso, poiché quest'ultimo è sempre qualcosa che interrompe la continuità naturale. Se è vero che il «mito della capanna primitiva» elaborato da Vitruvio cerca di annullare la dicotomia architettura - natura, altri miti la riaffermano. Basti ricordare alcuni miti orientali, la tradizione biblica che associa la nascita della città, dopo la cacciata dall'Eden, ad un personaggio prettamente negativo quale Caino, e la leggenda di Roma nata col solco e col delitto.
Il mondo antico, ma non quello delle civiltà con architettura megalitica, cercò a volte di attenuare questo rapporto. In particolar modo, l'architettura cretese, che raggiunge nel Labirinto la sua massima espressione, annullando le divisioni spaziali e adeguandosi all'ambiente naturale, si rivela un'architettura molto vicina all'idea di natura; in questa tenta di inserirsi senza traumi violenti.
Se ci allontaniamo dall'ambiente cretese, incontriamo una concezione dell'architettura e della statuaria nella quale sembra essere implicito un senso di staticità in opposizione al continuo trasformarsi della natura.
Gli autori classici greci, invece, imprimono alle opere d'arte una profonda vitalità che può sfuggire al senso comune. L'architettura greca all'occhio indagatore si rivela come qualcosa di vivo nello spazio. Ne è un esempio il tempio, la cui struttura è basata su linee convergenti a determinarne la dinamicità.
L’occhio profano riesce solo a percepire l'aspetto strutturale del tempio greco collegandolo all'apparenza visiva.
Il tempio greco, invece, presenta al suo interno concettuale un sistema minimale di effetti e correzioni ottiche che concorrono a determinarne l'immagine in movimento nello spazio. Non a caso Le Corbusier disegnò le colonne del tempio greco ondeggianti: egli intendeva sottolineare la dinamicità dell'immagine contrapposta alla staticità strutturale.
Ma per noi, se è possibile ricostruire la struttura del tempio, non sempre è possibile ricostruirne la visione. I Greci, come afferma L. Benevolo, erano in grado di percepire i sottotoni a noi sconosciuti, di vedere scatti che noi non vediamo. La caratteristica peculiare della Grecia consiste in una sensibilità eccessiva se misurata con i nostri parametri.
Una sensibilità che merita di essere riscoperta.

MUSICA A CONFRONTO

Mozart o Sting, Beethoven o Pink Floyd, Bach o Red Hot Chili Peppers, Weber o Ligabue, musica classica o musica leggera? Una scelta di gusto o di «imposizione», ma certo una scelta che deve essere vagliata in base all'esame di alcuni elementi culturali e qualitativi.
La produzione, la scelta e l'ascolto di musica sono stati da sempre condizionati dal grado di sviluppo di una società e dal livello intellettivo e culturale degli ascoltatori.
Recarsi a teatro per ascoltare musica classica nei secoli precedenti, dal '600 alla fine dell'800, era più che un fatto di cultura, un fatto di costume, tanto che persino durante un'esecuzione di Mozart, i nobili usavano banchettare nei palchi di loro proprietà, trascurando l'evento musicale.
Oggi la maggior parte degli ascoltatori, e soprattutto i giovani, preferiscono la musica leggera a quella classica.
Le ragioni di questa scelta sono individuabili nella immediatezza, nella orecchiabilità, nella ripetitività di frasi musicali e nella incidenza diretta sui sentimenti degli ascoltatori, condizionati anche dal conformismo sociale e dal principio del “così fan tutti”.
È poi diffusa la convinzione che la musica classica sia una musica impegnata, difficile, da “adulti”. Una concezione da sfatare!
La musica classica è certo musica impegnata, meditativa, ricca di forme e di ricerche sintattiche, semantiche e foniche, che rientrano in precise leggi di organizzazione, vere e proprie colonne portanti di un testo classico, a cui, però, può accostarsi un pubblico variegato, di qualsiasi condizione sociale e di diversa cultura, che abbia maturato un'educazione all'ascolto e un preciso gusto musicale.
Chi cerca di sapere qualcosa sull’essenza della musica, deve cercare di uscire dall'oscuro dominio del sentimento e indagare sul bello che si può scoprire, prescindendo dalle mille, diverse e mutevoli impressioni.
Il celebre assioma secondo cui il vero bello (e chi è giudice di questa qualità) non può perdere mai il suo fascino, neppure dopo lunghissimo tempo, è per la musica più che un modo di dire.
La ricerca del bello nella musica classica si realizza nella accuratezza dello specifico carattere del linguaggio musicale, nella perfetta scansione metrica, nella compattezza e «affiatamento» dei diversi strumenti musicali e delle diverse voci e nella armonia polifonica.
Queste qualità conferiscono a tale tipo di musica un carattere di durevolezza e eternità.
I testi di musica leggera, al contrario, sono fortemente commerciali, popolari, e per la spendibilità e momentaneità del prodotto, e per la monotonia delle frasi musicali e dei temi, tanto che lo stesso Sting ha definito la musica leggera come «roba da encefalogramma piatto».
La distinzione fra questi due tipi di musica non deve però essere discriminante perché ciascun genere ha una sua valenza storica e sociale.
Significativa, a proposito, è l'affermazione di Marcel Proust: «Non disprezzate la cattiva musica. Siccome essa si suona e si canta molto più appassionatamente della buona, a poco a poco essa si è riempita del sogno e delle lacrime degli uomini. Per questo vi sia rispettabile. Il suo posto è immenso nella storia sentimentale della società”.
Il ritornello che un orecchio fine ed educato rifiuterebbe di ascoltare, ha ricevuto il tesoro di migliaia di anime, conserva il segreto di migliaia di vite di cui fa l’ispirazione, la consolazione sempre pronta, la grazia e l’idea”.

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