Progetto Genoma

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Indice
1. Area Storica 3
1.1 Da Mendel alla Biotecnologia 3
1.2 Storia della Genetica 7
2. Area Scientifica 10
2.1 Presentazione 11
2.2 Il DNA: Strutture e funzioni 11
2.3 Mitosi 15
2.4 Cariotipi 17
2.5 Tre cromosomi umani 17
2.6 Clonazione 20
2.7 La favolosa impresa della Celera… 23
2.8 Conclusione: possibili conseguenze di una Rivoluzione Genetica… 24
3. Area Etica 30
3.1 Il dibattito etico sul Progetto Genoma 30
3.2 Ma che cosa e’ la Bioetica? 30
3.3 Bioetica e Filosofia 30
3.4 I due paradigmi dominanti della Bioetica 31
3.4.1 La “Bioetica Religiosa” 31
3.4.2 La “Bioetica Laica” 32
3.5 Il problema etico del Progetto Genoma.. 33
3.6 ...Ed anche il Problema Giuridico 33
3.7 Provvedimenti da prendere 34
3.8 Conclusione 34
1. Area Storica
1.1 Da Mendel alla Biotecnologia

1909 Karllandesteiner individua i gruppi sanguinei. Le trasfusioni diventano più sicure.Paul Ehrlich scopre il primo chemioterapico anti sifilide

1910 La scienza comincia ad interrarsi di geni e cromosomi, riscoprendo gli studi dell'abate austriaco Mendel sulle leggi genetiche dell'ereditarietà (di cinquant'anni prima) e dell'embriologo tedesco Walter Fleming sui cromosomi (di trent'anni prima).
1913 Inizia l'era delle radiografie, un'applicazione della scoperta dei raggi X avvenuta nel 1895
1921 Il canadese frederick Gran Banting e l'americano Charles Herbert Best scoprono l'insulina
1929 Alexander Fleming scopre la pennicilina, il primo antibiotico Ma solo nel 1942 ne riesce a provare l' efficacia contro le infezioni.in pochi anni ne verranno scoperti molti altri
1932 Il tedesco Gerhard Domagk sintetizza il Prontosil rosso, capo stipite dei
sulfamidici
1942 L'americano o Selman Warsman sintetizza la streptomicina, efficace contro la tubercolosi

1943 George Papanicololaou mette a punto un metodo per la diagnosi precoce del cancro del col19 dell'utero(pap test)
1944 I tratti ereditari di gran parte degli esseri viventi sono dawero contenuti nel Dna della cellula.
Lo provano tre microbiologi americani guidati da Oswald Avery.
1950 Richard DolI dimostra che il fumo di sigaretta è cancerogeno. Nei paesi industrializzati la mortalità per cancro e infarto supera quella per malattie infettive
1951 Henri Laborit sperimenta la clorpromazina. Il primo farmaco
1953 Il modello a doppia elica del Dna viene scoperto da JamesWatson e Francis Crick.

1955 Iniziano le prime campagne di immunizzazione contro la poliomielite con il vaccino di Jonas Salk. Due anni dopo entra in uso il definitivo vaccino antipolio per bocca, scoperto da Albert Sabin
1956 Viene sperimentata la pillola antifecondativa di Gregory Pincus
1958 Messi a punto i primi pacemarkers a batteria
1960-1970 Sviluppati i betabloccanti, per le malattie cardiovascolari e la cimetidina, per l'ulcera
1967 Primo trapianto di cuore sull'uomo, eseguito da Chistian Bamard. Primo trapianto di fegato sull'uomo eseguito da Thomas Starzl.
1971 Ingegneri inglesi inventano la Tac (Tomografia Assiale Computerizzata)

1973 Comincia l'era delle biotecnologie con il brevetto di una tecnica per combinare materiale genetico provenienti da specie animali diverse

1978 Nasce in Inghilterra Louise Brown, la prima bambina concepita in provetta

1979 L'Oms annuncia l'eliminazione del vaiolo
1980 Nasce la risonanza magnetica nucleare

1981 A San Francisco si registra una nuova malattia: l' Aids (sindrome di immunodeficienza acquisita). Nel giro di due anni Luc Montagneir identifica il virus responsabile, I'Hiv
1982 Lanciato il primo farmaco biotecnologico: insulina umana prodotta dai maiali

1985 Individuato il gene della fibrosi cistica. Si effettuano i primi interventi in chirurgia endoscopica: si entra nel corpo umano attraverso incisioni piccolissime
1988 Brevettato negli USA il primo topo transgenico
1990 Una bambina americana è la prima paziente ad essere curata con una terapia genica (la sostituzione di geni difettosi con geni sani). Si avvia il progetto Menoma per compilare il codice di 140mila geni umani
1995 Prima vittoria contro I'Hiv grazie agli inibitori della proteasi.
Nasce in Scozia Dolly, pecora clonata dalla madre; arriva il Viagra che cura alcune forme di impotenza.
1998 Entusiasmo per gli inibitori dell'angiogenesi; iniettate nei topi, queste sostanze distruggono i tumori.
2000 Favolosa impresa dell’Associazione privata Celera che annuncia di avere identificato ben il 92% dell’intera mappatura del DNA
1.2 Storia della Genetica
Pur avendo sostanzialmente scoperto le leggi dell'ereditarietà, Gregorio Mendel non usò mai il termine di "gene": questo termine fu di fatti coniato soltanto nel 1909 da W. Johannsen.
La localizzazione dei geni fu invece legata alla scoperta, nel nucleo delle cellule, dei "cromosomi" e agli esperimenti di rh. Morgan (Premio Nobel 1933) sulla trasmissione dei caratteri ereditari del moscerino della frutta (Drosophila me/anogaster). Ogni gene, stabilì Morgan, occupa una posizione ben precisa (locus) in un dato cromosoma, secondo un'ordinamento lineare costante.
Successivamente si vkfe che nell'essere umano i cromosomi ammontano a 46, disposti in paia (ve ne sono quindi 23 coppie) differenti tra loro per alcune caratteristiche in base alle quali vengono classificati e numerati da 1 a 23.
Fu poi accertato che le cellule sessuali femminili e maschili (gamèti) mature, che sono preposte alla fecondazione e altaliproduzione, contengono la metà dei cromosomi lispetto alle anre cellule del corpo. Fu Johannsen a ipotizzare l'esistenza nei cromosomi di alcuni elementi chimici -che chiamò appunto "geni" ai quali è devoluta la trasmissione dei caratteli ereditali.
In pratica, quindi, in dascuna cellula sessuale femminile (ovulo) e in quella maschile (spennatozoo) sono presenti soltanto 23 cromosomi; e nella coppia n. 23, che detennina il sesso, essi sono dIversi tra femmina e maschio: l'ovulo possiede due cromosomi simili (XX), lo spermatozoo due cromosomi dissimili (X e Y). E' dalle varie loro possibili combinazioni che risulta il sesso del nascituro.
La conoscenza dell'intima costituzione chimica dei geni è stata possibile in virtù di sofisticati metodi per lo studio delle proteine, che hanno pennesso di stabilire che il gene non è una proteina come si credeva negli anni '30, ma una lunga molecola filamentosa di acido desossiribonucleico (DNA). Le ricerche furono allora dirette alla precisazione della fonna e della costituzione di questa misteriosa molecola.
Sulla base di precedenti conoscenze, agli inizi degli anni '50 il giovane chimico statunitense J.O. Watson e il fisico inglese F. Crick riuscirono a disegnare un modello di molecola di ONA in perfetto accordo con i fatti già noti. E partendo dal presupposto che per poter portare una quantità così vasta di informazioni il ONA non poteva che avere una costituzione molecola re molto complessa, e che il suo meccanismo di riproduzione doveva essere necessariamente molto rapido e preciso, giunsero alla condusione che la struttura del ONA non è elicoidale singola come quella delle proteine, ma doppia.
La "doppia elica" di Watson e Crick ha in effetti la fOlma di una scala a pioli attorcigliata SU se stessa, i cui gradini sono pertanto perpendicolari aH'asse di rotazione.
I due "montanti" della scala sono formati da molecole alternate di zucchero e di fosfato, mentre i pioli sono costituiti da una serie di composti chimici indicati con le lettere A, G, C e T, dai rispettivi nomi di Adenina, Guanina, Citosina e Tirnina. l due studiosi dimostrarono che A si lega solo con G, e C solo con T; altre com~nazioni non sono possibili. Ciascuna di queste coppie -complementare all'altra- prende il nome di "base". Nell'insieme dei 46 aomosorni esistono 3 miliardi di basi: sino a 250 milioni nel cromosomi grandi, 50 milioni in quelli più piccoli. In tal modo, ogni paio di basl costItuisce uno dei tanti pioli della scala, i quali possono avere sequenze diverse: e l'informazione contenuta nel DNA dipende proprio dalla sequenza delle sue basi, proprio come, in una pagina, il significato del testo dipende daHa successione delle lettere che compongono le parole.
Watson e Crick si resero conto che nel momento in cui, durante la riproduzione cellulare, i cromosomi si duplicano, 18 doppia elica si apre 8 metà. e di fronte 8 ciascuna delle due metà se ne fonn8 una nuova
utilizzandO materiali presenti nella nuova ceUula. polche da ogni metà molecola di DNA se ne origina una che è 18 COpia esatta. 81 tenni ne del processo si hanno due molecole di DNA identiche 8 Quella originaria.
Questa scoperta, per la quale Watson, Crick e Wilkins ricevettero il Premio Nobe11962 per la Medicina, ha chiarito definltlvamente I'intricato problema del meccanismo di trasmissione dei geni, delle infinite infom1azioni che essi trasportano e delle innumerevoli com~nazioni che possono derivarne.
Nel decennio 1960-70 si riconobbe che è l'acido ribonuclelco (RNA) I'intennediario del trasferimento dell'infonnazione iscritta nel DNA a quelle piccolissime strutture presenti neU'intemo deUa cellula
("ribosòmi") nelle Quali ha luogo la sintesi delle molecole proteiche.
Con la scoperta dei geni si è cominciato a cercar di localizzare la loro posizione sui singoli cromosomi: una ricerca gigantesca che si inquadra nell'ambizioso "progetto genoma" ideato da R. Dulbecco (Premio Nobel1975 per la Medicina): si tratta di un'opera immane~-essendòìl numero dei geni valutato tra i 50.000 e i 100.000. Sinora ne sono stati localizzati circa 10.000. "Se si volesse stampare il genoma dell'Uomo -ha detto Dulbecco - calcolando una media di 10.000 caratteri per pagina, si riempirebbero 300 volumi di 1000 pagine ciascuno".
Poiche’ a ciascun gene corrisponde un carattere ereditario, non SOlo i caratteri soffiatici e psichici normali sono legati ai geni, ma anche alcune malattie: malattie "ereditarie" per eccellenza, dovute alla trasmissione di un gene "dominante" o alla sommazione di due geni "recessivi". Inoltre, nell'interscambio di geni di provenienza femminile e maschile possono verificarsi "errori", che si traducono in vario modo: per esempio si conoscono oltre 2.000 malattie a carico del metabolismo delle proteine, dei carboidrati, dei grassi e dell'emoglobina dovute a "difetti" genici.
Di conseguenza, in attesa di individuare e di localizzare tutti i geni responsabili di queste malattie, per quelli noti si sta cercando di correre ai ripari con ardite tecniche di inserimento nelle cellule della persona colpita di un gene al posto di quello difettoso.
L'inizio della moderna "terapia genica" reca la data del 14 settembre 1990, quando W.F. Anderson e R.M. Blaese trasferirono per la prima volta in un essere umano (una bambina di 4 anni) il gene di una grave malattia da immunodeficienza. A questo esperimento seguì un secondo a breve distanza di tempo da parte della stessa equipe, e un terzo nel 1992 da parte di C. Bordignon dell'Ospedale S. Raffaele di Milano.
Se ne aggiunsero presto numerosi altri, estesi essenzialmente alle malattie ereditarie a carattere recessivo, le più passibili - almeno sul piano teorico - di questo tipo di terapia.
Tra le malattie legate a difetti genici per le quali sì profilano ottime speranze di trattamento, peraltro già dimostrate da risultati concreti, figurano la fibrosì cistica del pancreas (mucoviscidosi}, numerose forme di anemia drepanocitica, gli "errori del metabolismo (ad esempio fenilchetonuria, ipercolesterolemia, rene policistico}. Si ricorre oggi in alcuni casi alla terapia genica per potenziare le difese dell'organismo contro il cancro. inserendo nel paziente il cosidetto "gene TNF", cioè del "fattore di necrosi tumorale".

2. Area Scientifica
IL PROGETTO GENOMA UMANO

2.1 Presentazione
Il progetto Genoma Umano nasce intorno alla metà degli anni '80 per opera di un gruppo di ricercatori, tra i quali figura il premio Nobel italiano Renato Dulbecco, con lo scopo di cominciare a studiare in modo più profondo ed organizzato il genoma umano.
Fu sottolineato che la ricerca nelle varie aree della biologia umana avrebbe tratto beneficio da un programma volto a determinare l'intera sequenza nucleotidica del nostro genoma.
Lo studio delle malattie ereditarie rappresenta un esempio calzante: come abbiamo visto un numero rilevante di malattie ancora oggi non curabili deriva da difetti nella struttura e nel funzionamento dei geni umani.
La ricerca di cure adeguate per queste malattie dipende principalmente dall'identificazione dei geni coinvolti e dalla comprensione di come essi sono regolati.
Il Progetto Genoma Umano è nato quindi come risposta della comunità scientifica internazionale a questa sfida e consiste in un programma su scala mondiale che ha come obiettivo quello di completare la sequenza entro l'anno 2005.
Tuttavia, grazie ai notevoli progressi nel campo scientifico tecnologico e all’ausilio di numerosi e potenti super-calcolatori, l’associazione privata Celera Genomics nell’Aprile dell’anno 2000, come e’ ampiamente illustrato più’ avanti, ha annunciato di aver completato il 90 % della sequenza del Genoma Umano .
In questa sfida sono coinvolti numerosi laboratori negli USA, in Europa, soprattutto in GB e in Giappone.
2.2 Il DNA: Strutture e funzioni
Gli studi che portarono all'identificazione del materiale ereditario iniziarono negli anni Venti con gli esperimenti di F. Griffith sulla trasformazione batterica. Griffith, nei suoi esperimenti, osservò che i topi uccisi dai pneumococchi di ceppo S (smooth) sopravvivevano, invece, all'iniezione di cloni R (rough) vive e di colonie S uccise con il calore. Se iniettavano insieme colonie R e S uccise, i topi contraevano la polmonite e quindi morivano: dal loro sangue venivano isolati batteri S vivi. La conclusione era che qualcosa, presente nelle cellule S uccise, era in grado di trasferirsi nei batteri R trasformandoli da ceppo non virulento in virulento. Di qui il nome di trasformazione batterica dato al fenomeno.
E' nel 1944 che O. T. Avery, C. M. MacLeod e M. McCarty dimostrarono che l'agente trasformatore degli esperimenti di Griffith era il DNA e non invece proteine o polisaccaridi, come fino a quel momento si riteneva.
L'esperienza di Griffith permise, quindi, la definitiva identificazione del DNA quale materiale ereditario; da quel momento i progressi della genetica derivarono proprio dallo studio della molecola del DNA, molecola uniformemente distribuita in tutto il mondo vivente.
La genetica mendeliana o formale (quella che si occupava esclusivamente della trasmissione dei caratteri da una generazione all'altra) si trasformò così in genetica molecolare. La composizione chimica del DNA era già stata chiarita da Miescher, però non si conosceva nulla circa la disposizione dei singoli atomi e quindi della struttura spaziale della molecola di acido desossiribonucleico
Solamente agli inizi degli anni Cinquanta (1953) M. Wilkins, R. Franklin e R. G. Goslin iniziarono una serie di studi si diffrazione dei raggi X su micro cristalli di DNA fornendo basilari informazioni a J. D. Watson e F. H. Crick sulla struttura dell'acido nucleico, una molecola regolare, costituita da due filamenti associati tra di loro e avvolti ad elica.

Il DNA (insieme con l'RNA) è un acido nucleico (composto da carbonio C, idrogeno
H, ossigeno O e azoto N), così chiamato perché si trova, anche se non unicamente, nel nucleo delle cellule. Il DNA è un polimero costituito dall'unione di numerosissimi nucleotidi, la cui impalcatura è costituita dal polidesossiribosiofosfato (fosfato + desossiribosio + base purinica o base pirimidinica). Ciascun nucleotide è costituito dall' insieme di una base azotata, di una molecola di acido fosforico (o gruppo fosfato) e di uno zucchero pentoso (desossiribosio per il DNA, ribosio per l'RNA). L'acido desossiribonucleico è una molecola a doppia elica, formata da due filamenti
uniti l'uno all'altro da legami fra quattro subunità (ripetute in sequenza variabile), che sono chiamate basi azotate e comprendono l'adenina (A), la guanina (G) (basi puriniche), la citosina (C) e la timina (T) (basi pirimidinache). Esse sono sostanze costituite, oltre che da idrogeno e ossigeno, da atomi di carbonio e azoto legati insieme in strutture ad anello. Nellatimina, nella citosina e nell'uracile (presente solo nell'RNA a sostituzione della timina) vi è un anello semplice, mentre nell'adenina e nella guanina vi è un anello doppio. Uno degli aspetti caratteristici del modello di Watson e Crick è quello della complementarietà delle basi: cioè le basi azotate che si vengono a trovare una di fronte all'altra nel modello a doppia elica sono sempre le
stesse. All'adenina si oppone sempre la timina e alla guanina la citosina. Nellecatene di DNA e RNA i nucleotidi si uniscono tra loro mediante un legame tra ilgruppo fosfato e il carbonio in posizione 3' dello zucchero. Come già anticipato le molecole di DNA consistono in realtà di due filamenti o catene avvolte a elica: i nucleotidi di ciascuna catena sono orientati in modo tale che le basi siano rivolte all'interno, cioè si trovino una di fronte all'altra, mentre i gruppi fosfati sono rivolti all'esterno.La stabilità della doppia elica è assicurata dalla formazione di legami aidrogeno tra le basi azotate delle due catene e dalla stessa struttura elicoidale. Questa particolare struttura a doppia elica, con i due scheletri portanti saldamente uniti e "avvitati" e con le basi rivolte versol'interno, quasi a proteggerle da ogni interazione con l'ambiente esterno al nucleo che potrebbe alterarne la sequenza e quindi il messaggio informazionale, dà un'impressione di rigidità e di inerzia. Il DNA, invece, si è rivelato una molecola molto flessibile, capace di reagire con altre molecole presenti nella cellula deformando un po' la propria struttura per meglio accoglierle. Ciò è di estrema importanza poiché la cellula si avvale della plasticità strutturale del DNA per regolare il modo in cui l'informazione contenuta nel DNA deve essere espressa. L'intuizione di Watson e Crick costituisce una pietra miliare nella storia della biologia; nasce con essa la biologia molecolare, le cui acquisizioni nei decenni successivi hanno consentito di approfondire le conoscenze sui meccanismi dell'eredità biologica e dell'espressione di geni e hanno aperto nuove prospettive teoriche e pratiche, quali quelle relative agli interventi sui geni (ingegneria genetica). La struttura del DNA appena descritta suggerisce anche alcune ipotesi circa il modo di esprimersi dei geni, cioè di quei segmenti di DNA che contiene le informazioni per produrre una singola proteina o una parte di proteine complesse, responsabili di caratteristiche biologiche caratteristiche. Fin dai primi anni del 1900 il medico inglese A. Garrod, che si occupava di malattie metaboliche umane, aveva osservato che alcune alterazioni presenti nell'uomo erano dovute a carenze biochimiche (nello specifico egli si era occupato della alterazione del metabolismo dell'amminoacido fenilalanina) e, sulla base dell'incidenza famigliare, aveva prospettato l'ipotesi che l'incapacità metabolica fosse correlata ad un'alterazione genetica. A supporto delle conclusioni stilate da Garrod, nel 1926, J. B. Summer dimostrava che gli enzimi, chimicamente, sono proteine e, quindi, che i geni erano i diretti controllori della sintesi proteica. Se, infatti, la mutazione di un gene (Garrod) impedisce la formazione di un enzima (che è una proteina), si può dedurre che quel gene è preposto alla sintesi della proteina stessa. Soltanto negli anni successivi al 1940 G. W. Beadle e E. L. Tatum chiarirono le relazioni tra geni ed enzimi, codificandole nella teoria un gene- un enzima. In conclusione, un gene esercita la sua influenza sul fenotipo dell'organismo proprio perché è preposto alla produzione di un enzima. Il DNA, principale costituente dei geni, come dirige la duplicazione di se stesso, così dirige la formazione delle proteine (enzimi). Studi condotti negli anni Settanta, tuttavia, hanno dimostrato che la corrispondenza gene- proteina non è così semplice come è apparso nelle ricerche su organismi più semplici (la Neurospora crassa). Il nuovo problema che sorge a questo punto consiste nel capire in che maniera il DNA dirige la formazione delle proteine. Nelle cellule degli organismi eucarioti, ad esempio, il DNA è localizzato nel nucleo e affinché l'informazione in esso contenuta si traduca in "programma operativo" è necessario che venga trasmessa al citoplasma, dove avviene la sintesi proteica. Una lunga serie di esperimenti, condotti negli anni Sessanta e Settanta ha consentito di chiarire le tappe del meccanismo di sintesi proteica. Anzitutto si è stabilito che il DNA di un gene dirige, per complementarietà di basi, la formazione di un particolare RNA, detto RNA- messaggero (m- RNA), il quale dal nucleo migra nel citoplasma dove dirige, a livello ribosomiale, la polimerizzazione degli amminoacidi che costituiscono la proteina corrispondente. Il DNA è quindi un prezioso deposito di informazioni che resterebbe inutilizzato e incapace di esprimersi se non ci fosse l'RNA che fa da tramite con gli elementi funzionali della cellula: le proteine. Di notevole importanza è il modo con cui l'informazione contenuta nel DNA e nell'RNA, sotto forma di sequenze di nucleotidi, possa essere tradotta nelle sequenze di amminoacidi proprie della proteina corrispondente. Ci si trova, in altre parole, di fronte ad un problema simile alla decifrazione di una lingua sconosciuta ed è necessario un codice per passare dalla lingua nota a quella sconosciuta.
La decifrazione del codice genetico ha rappresentato, senza dubbio, uno dei momenti più suggestivi della biologia molecolare. Come si è visto il DNA si serve di quattro elementi diversi, quattro basi azotate (adenina, timina, citosina e guanina) per formare un certo messaggio. Le proteine, d'altro canto sono costituite in tutto da venti amminoacidi diversi. Con il termine codice genetico si è soliti indicare quell'insieme di regole che collegano la sequenza degli amminoacidi nelle proteine con la sequenza delle basi presenti nel DNA. Per comprendere la chiave di questo collegamento è sufficiente fare un semplice calcolo: le basi sono quattro, in tutto; gli amminoacidi sono venti. Se ciascun amminoacido venisse codificato, ossia riconosciuto, da una singola base, si potrebbero riconoscere in tutto quattro amminoacidi (troppo pochi per il numero di amminoacidi usati dalla cellula). Se, allora, il riconoscimento coinvolgesse due basi alla volta, le diverse combinazioni sarebbero 42 cioè 16, ma comunque ancora poche. Se si prova, allora, con tre basi alla volta si osserva che le
combinazioni diventano 43, cioè 64, largamente sufficienti per codificare venti mminoacidi. Esperimenti hanno confermato che il codice genetico esprime proprio una corrispondenza tra i vari amminoacidi e gruppi di tre basi, detti comunemente triplette o codoni. Ogni codone determina l'inserzione di uno specifico amminoacido nella catena polipeptidica. Grazie agli esperimenti condotti da Marshall W. Nirenberg, S. Ochoa e G. H. Khorana è stato possibile identificare quali sono le triplette in grado di riconoscere ciascun amminoacido. Il codice è risultato essere universale, cioè valido per tutti gli organismi viventi, dato che ogni particolare codone ha lo stesso significato per tutti gli organismi, e ridondante, dato che più codoni codificano per lo stesso amminoacido. Vi sono, inoltre, alcuni codoni a cui non corrisponde alcun amminoacido; essi sono detti codoni nonsenso e hanno articolari funzioni nella sintesi proteica, descritta in seguito a proposito della rattazione del RNA. Uno dei punti salienti emersi dall'analisi dei meccanismi ereditari è la necessità di disporre di "sostanze" in grado di autoriprodursi e di passare, in tale modo, da una generazione all'altra. La certezza che simili "sostanze"
capaci di autoriprodursi non solo esistevano, ma coincidevano con il DNA, si ebbe quando Watson e Crick proposero, altre al modello a doppia elica anche un modello di replicazione del DNA stesso.
Secondo tale modello la molecola a doppia elica del DNA si srotola e le catene omplementari si allontanano. Ciascuna di esse si comporta, poi, come una matrice per la sintesi di una nuova catena a essa complementare.
Vediamo approfonditamente il meccanismo di duplicazione del DNAa)fase di olamento della molecola, durante la quale i 2 filamenti della doppia elica della molecola originaria di DNA si separano, conseguentemente le basi azotate di ciascuno i 2 filamenti risultano disaccoppiate.b)fase di appaiamento delle basi zotate:nucleotidi iberi presenti in soluzione vanno ad aderir ai nucleotidi dei 2 lamenti originai seguendo la regola delle basi complementari: una A si appaia solo on una T e una G solo con una C; in tal modo la sequenza di basi in ciascuno dei 2 lamenti originari determina la sequenza di basi del nuovo filamento complementarehe si formando,ossia ciascun dei filamenti orinari funge da stampo per un nuovo ilamento.
c)unione delle nuove basi:un particolare enzima lega in un filamento continuo i nucleotidi che nella fase precedente avevano aderito con le loro basi azotate a ciascuno dei 2 filamenti originari; ne risulta che, dei 2 filamenti, uno risulta copiato a 1 dei 2 filamenti originari e l'altro all'altro filamento originario.
Si ottengono, in tal modo due nuove catene identiche a quella di partenza, ciascuna formata da una catena "vecchia" e una catena "nuova". Questo tipo di replicazione viene chiamato semiconservativo, proprio perché le due nuove molecole sono costituite, ciascuna, da un'elica "vecchia" ed una "nuova". A questo punto il DNA appare non soltanto come una molecola depositaria del programma di sviluppo e funzionamento della cellula, ma anche una molecola in grado di autoduplicarsi, iproponendo copie estremamente fedeli di sé.
2.3 Mitosi
MITOSI-PREPARAZIONE-COLORAZIONE-BANDEGGIO DEI CROMOSOMI
Nelle cellule eucariotiche c’è maggior variabilità nella lunghezza del ciclo cellulare. Alcune come le cellule di lievito, si duplicano in breve tempo; altre cellule, animali e vegetali necessitano di 10-20 ore altre ancora, come le cellule nervose e quelle del scolo striato non si dividono proprio: in queste continua la sintesi di RNA, proteine e embrana, ma il DNA non si duplica più. La duplicazione del DNA e la sintesi delle roteine, gli istoni che concorrono a formare i cromosomi avvengono nella fase intetica (S). In questo periodo ciascuna molecola a doppia elica di DNA si replica in ue molecole figlie identiche. Gli istoni e le altre proteine cromosomiche si legano elocemente al DNA neoformato. La fase S è preceduta dalla fase G1, dove il DNA si prepara a duplicarsi e seguita dalla G2 nella quale la cellula contiene due copie di ciascun DNA, e tutte e tre costituiscono l’interfase. Alla fine della fase G2 la cellula si divide, entrando nella fase M di mitosi. Durante l’interfase i cromosomi non sono visibili al microscopio ottico: il complesso DNA-PROTEINE, chiamato cromatina è disperso nel nucleo. All’inizio della divisione cellulare, la mitosi e i cromosomi cominciano a intravedersi come sottili filamenti. Gli eventi che seguono sono convenzionalmente suddivisi in quattro fasi principali: profase, metafase, anafase, telofase. Durante profase e metafase, il cromosoma consiste di due filamenti attaccati, i cromatidi, ciascuno dei quali contiene una delle due molecole figlie di DNA prodotte dall’interfase S mentre la profase prosegue, i cromatidi si condensano per opera della nucleoproteine rimanendo uniti per un punto: il centromero a questo punto i corpuscoli cilindrici, detti centrioli incominciano a svolgere la loro azione. Muovendosi verso i due poli della cellula generano dei microtuboli, che irradiano da essi in tutte le direzioni. I centrioli sono anch’essi fatti di microtubuli; si duplicano durante l’interfase dando origine a due coppie di centrioli che formano tra loro un angolo di 90°. Alcuni di questi microtubuli mettono in comunicazione i centrioli con i cinetocori, regioni granulari attaccate al centromero dei cromatidi. Questi microtubuli assieme a fibre e proteine associate formano il fuso mitotico. Le regioni che circondano i centrioli, da cui i microtubuli si irraggiano, sono chiamati i poli della cellula. Durante la metafase i cromatidi condensati attaccati attraverso i cinetocori ai microtubuli del fuso , migrano verso il piano equatoriale della cellula. Nell’anafase i cromatidi si separano a livello del centromero, e il membro di ciascun piano migra verso il polo opposto della cellula, per cui ciascuna cellula riceve lo stesso numero di cromosomi. Nella telofase i cromosomi cominciano ad allungarsi, poichè la condensazione diminuisce. Cominciano a formarsi tratti di membrana nucleare che unendosi formeranno i due nuclei delle due nuove cellule. Simultaneamente avviene la separazione del citoplasma.
La fase in cui i cromosomi possono essere esaminati più facilmente è la metafase.
I cromosomi in metafase mitotica possono subire delle colorazioni precedute da determinate preparazioni. Preparati cromosomici possono essere allestiti a partire da tutti i tessuti che contengono mitosi. Nell’uomo vengono usati preparati diretti di midollo osseo e colture a breve termine di sangue o a lungo termine di fibroblasti derivati da altri tessuti. Il sangue di individui sani non contiene cellule in divisione perciò essa deve essere stimolata artificialmente, questo viene fatto attraverso l’uso del fitoemagglutinina (PHA). Dopo un’ora di incubazione di un campione di sangue con PHA i piccoli linfociti T mostrano sintesi di RNA e successivamente di DNA. Si fa crescere la sospensione di leuciti in un territorio di coltura; per arrestare il maggior numero possibile di cellule in pre-metafasa o in metafase si previene la formazione del fuso con un prodotto detto colcemid. Le preparazioni da midollo osseo richiedono la puntura dello sterno e della crosta iliaca; le cellule vengono coltivate per un brevissimo tempo in presenza di colcemid. Le colture invece di fibroblasti si ottengono da biopsie cutanee dove la pelle viene frammentata in piccoli pezzi fatta crescere in terreno di coltura in modo che i frammenti aderiscono alla superficie di crescita; le cellule incominciano a crescere su questa superficie vengono portate in sospensione preparate, colorate ed esaminate. I metodi di colorazione più semplici sono quelli che fanno uso di soluzioni di Giemsa; 2% di orceina acetica o una soluzione di carminio al 2%; questi prodotti danno un colore intenso all’interno del cromosoma. Per ottenere però una visione più precisa della struttura del cromosoma viene usata la tecnica del bandeggio. Il bandeggio dei cromosomi può essere ottenuta attraverso una parziale denaturazione al colore; i vari tipi di bande presero il nome dalla tecnica che la metteva in evidenza:
- Le bande Q sono le bande fluorescenti visibili dopo colorazione con mostarda di quinacrina o composti simili, esse indicano segmenti cromosomici ricchi in basi A-T (adenina-timina)
- Le bande G sono rilevate da varie tecniche che fanno si che soltanto i segmenti cromosomici più facilmente colorabili si leghino al colorante
- Le bande R vengono colorate dopo denaturazione controllata al colore sono
localizzate tra la bande Q e G. Queste bande indicano segmenti ricchi di basi G-C (guanina- citosina) che sono più resistente alla denaturazione termica delle regioni ricche in basi A-T
- Le bande C sono localizzate nelle regioni pericentromeriche
- Le bande T marcano le regioni telomeriche dei cromosomi. Bisogna ricordare che nel cromosoma, differenti tipi di DNA sono legati a differenti specie di proteine; probabilmente il modello di bandeggio dipende in qualche modo dalle proprietà dell’intero complesso DNA-PROTEINE
2.4 Cariotipi
Rappresentano l’insieme delle caratteristiche che identificano il corredo cromosomico di una cellula come il numero di cromosomi in essa presenti, la forma
e la dimensione di ciascuno di essi; sono fondamentali anche alcune caratteristiche come, tra le altre, la posizione del centromero (un restringimento del cromosoma, che può trovarsi in posizione più o meno centrale) e la presenza di satelliti, ossia di formazioni che sporgono rispetto alla struttura a bastoncello dei cromosomi.
Il cariotipo è specie-specifico, cioè è tipico di ciascuna specie e risulta quindi uguale negli organismi che a essa appartengono. Nel cariotipo di ciascuna specie si possono riconoscere coppie di cromosomi uguali, che prendono il nome di cromosomi omologhi. Ciascuna coppia viene indicata con un numero: quando ad esempio si parla di "trisomia del 21", significa che la coppia numero 21 presenta un'anomalia, che consiste nella presenza di un cromosoma in più.
I cromosomi su cui si trovano i geni che determinano il sesso dell'individuo sono detti cromosomi sessuali e possono essere uguali fra loro oppure diversi: ad esempio, nella specie umana, il maschio possiede un cromosoma che viene indicato come X e uno che viene indicato come Y, mentre la femmina presenta due cromosomi X.
Nella costruzione di un cariotipo, si colorano i cromosomi con tecniche particolari, come il bandeggio, che delimitano regioni specifiche in ciascuna coppia di cromosomi. Le coppie di cromosomi omologhi, quindi, vengono ordinate per grandezza decrescente. Le 23 coppie del cariotipo umano sono state riunite in sette gruppi. Non esiste rapporto tra il cariotipo di una specie e la sua complessità anatomica e fisiologica.
2.5 Tre cromosomi umani
- il 5, il 16 e il 19 - sono stati decifrati.
E’un'altra tappa del Progetto Genoma, l'epocale impresa che tra un
paio d'anni ci darà il quadro completo dell'informazione genetica
presente in ogni nostra cellula e trasformerà la medicina.
Ricercatori dell'Istituto del genoma di Walnut Creek in California
hanno sequenziato i tre "bastoncini colorati" che con 300 milioni di
coppie di basi (le lettere chimiche dell'ereditarietà) combinate in
dieci-quindicimila geni, rappresentano l'11 per cento del genoma
umano. In precedenza era stato sequenziato il cromosoma numero 22,
il più piccolo dei 46 (22 paia più due cromosomi sessuali, un X e un
Y) che caratterizzano la nostra specie.
L'annuncio è stato dato da Bill Richardson, segretario al
dipartimento americano dell'Energia dal quale dipende il laboratorio
californiano. Richardson ha detto che è stato messo in sequenza il
90 per cento dei tre cromosomi lasciando alcuni "buchi" in tratti di
Dna poveri di informazione, che i ricercatori stanno peraltro
lavorando a riempire. Le lacune nelle sequenze sono state nei giorni
scorsi al centro della polemica tra il capo del consorzio pubblico
Francis Collins e Craig Venter, il responsabile della società
"Celera" che ha annunciato di aver completato la mappatura del
genoma umano in anticipo su tutti ma che Collins accusa di
millantare risultati in realtà molto parziali. Secondo Richardson,
la decrittazione dei tre cromosomi "può offrire soluzione ad alcune
tra le più diffuse malattie nell'archivio della sofferenza umana".
Il cromosoma 5 (pari al 6 per cento del genoma) ha a che fare col
cancro colorettale e una forma di leucemia; il cromosoma 16 (3 per
cento del genoma) sarebbe implicato nei tumori del seno e della
prostata, e in una malattia renale; mentre mutazioni o
malfunzionamenti di geni del cromosoma 19 (2 per cento del genoma)
sarebbero responsabili dell'aterosclerosi e di una forma di diabete.
La decrittazione del cromosoma 22, che appare coinvolto in una serie
di disturbi, dalla schizofrenia a squilibri nel metabolismo del
calcio, non risulta aver portato a tutt'oggi tangibili vantaggi
terapeutici, deludendo chi si attende immediate ricadute dal
Progetto Genoma. Che giudizio dare, dunque, dei progressi in corso?
"E' un approssimarsi alla conoscenza totale", commenta Glauco
Tocchini Valentini, direttore dell'Istituto di biologia cellulare
del Cnr a Monterotondo, vicino Roma. "Altri annunci del genere
verranno. Ma occorre ricordare che la fase seconda, essenziale per
le applicazioni pratiche del Progetto, è ancora lontana". Tale fase
prevede l'accertamento della funzione dei geni, un compito che
impegnerà i ricercatori per anni.
La strada verso l'identikit di ciascun gene e delle proteine che il
gene "codifica" è tutta in salita. Poiché sull'uomo non si possono
compiere certi esperimenti, occorre passare attraverso il modello
animale. La via più diretta è trovare le regioni omologhe
uomo-animale e quindi costruire topi mutanti. Dalle conseguenze
visibili nei roditori si potrà infine dedurre il comportamento dei
geni umani. In altre parole, eliminando dal topo un gene di cui è
noto il corrispondente umano, si "osserva" indirettamente l'effetto
della soppressione nell'uomo. Per questa ragione è in corso,
parallelamente al sequenziamento del genoma umano, la decrittazione
del genoma del topo, impresa altrettanto importante ma di certo meno
clamorosa. Le aspettative sono forti, anche per l'amplificazione che
i media hanno dato alla voce di scienziati troppo fiduciosi o molto
interessati. "Ma le ricadute del Progetto Genoma sulla clinica sono
di là da venire", dice Tocchini Valentini, "quindi occorre guardarsi
da ogni forma di trionfalismo. Purtroppo in Italia l'entusiasmo per
i risultati della scienza è inversamente proporzionale
all'investimento nella ricerca: spendiamo pochissimo ma ci lanciamo
in osanna ogniqualvolta viene annunciata una scoperta o
quasi-scoperta".
Da quando si è capito che la ricerca biologica ha un forte impatto
sulla sfera della salute, la tendenza di molti laboratori è
magnificare i propri risultati, per cui ogni settimana vengono
annunciate scoperte fondamentali e cure risolutive che in realtà
sono soltanto avanzamenti nelle conoscenze di base. La vicenda Di
Bella può essere letta in questa chiave: se tutti i giorni vengono
fatte scoperte - si è indotti a pensare - perché il professore di
Modena non potrebbe averne compiuta anch'egli una di grande
importanza?
L'esaltazione di imprese scientifiche marginali presenta aspetti
bioetici di non poco conto. "E' un eccesso che pagheremo
pesantemente", conclude Tocchini Valentini, "perché con la salute
non si può scherzare".
I cromosomi stanno nel nucleo di ogni cellula e contengono una
doppia elica di Dna. Ciascuna specie animale o
vegetale ha un numero fisso e caratteristico di cromosomi per
cellula. Il nome viene dal greco "chroma", colore, e "soma", corpo,
anche se in realtà i cromosomi non sono colorati. Nella cellula
vivente appaiono anzi incolori e scarsamente distinguibili. Vengono
chiamati "corpi colorati" solo perché assumono in modo selettivo
certe sostanze coloranti.
2.6 Clonazione
La clonazione è la produzione di più copie genetiche di un organismo. Oggi per realizzarla possiamo usare due metodi: in entrambi si producono uno o più embrioni che dovrebbero poi svilupparsi in organismi maturi e completi.
Un primo metodo consiste nel prendere un organismo, possibilmente adulto, prelevarne un certo numero di cellule, e nel trapiantarne il loro nucleo, cioè il loro materiale genetico, o genoma, entro un ovulo svuotato del suo. L'operazione ricorda un po' la fecondazione naturale: lo spermatozoo penetra nell' ovulo e il suo nucleo si fonde con quello femminile, residente nell'ovulo; si forma un nucleo unico con un genoma nuovo che dà il via al processo di sviluppo di un nuovo organismo.
Così il genoma del nucleo di una qualsiasi cellula somatica (cioè non riproduttiva) di un organismo donatore potrebbe riprogrammare un ovulo enucleato: a patto che ne conservi la capacità, detta anche "totipotenza", propria del genoma che si forma nell'ovulo fecondato.
Le conoscenze attuali indicano che in qualsiasi momento dello sviluppo di un organismo i genomi di tutte le sue cellule sono grosso modo uguali a quello dell'ovulo fecondato. In altre parole, le cellule del nostro corpo, man mano che l'ovulo fecondato si divide e lo stesso fanno poi le cellule che ne derivano, sino a diventare i miliardi che ci costituiscono nei nostri diversi tessuti e organi, sembra possiedano una sostanziale identità genetica col genoma dell'ovulo fecondato: tutte potrebbero quindi essere totipotenti.
Per verificare gli aspetti molecolari di questa ipotetica identità ci vorrà un secondo o un terzo Progetto Genoma. Intanto possiamo cercare di capire se e quanto la funzionalità del genoma originale venga conservata nel corso dello sviluppo di un organismo eleggibile come donatore di nuclei. Ad esempio, il genoma di un linfocita del sangue di un donatore possiede la totipotenza dell'ovulo fecondato dal quale era partito il donatore stesso? Può riprogrammare un organismo simile? E questo quanto sarà simile al donatore?
C'è un secondo metodo per clonare: consiste nel suddividere un embrione precoce, composto da poche cellule, in più porzioni. Ciascuna porzione potrebbe riaggregarsi in un sotto-embrione che potrebbe far ripartire un nuovo organismo. La natura fa qualcosa di simile per produrre gemelli identici: la loro frequenza è bassa, uno ogni trecento nascite. In provetta, usando cellule di animali anche solo all'inizio del loro sviluppo, il sistema non va. Con i vegetali invece il sistema funziona persino con piante adulte: pare che il minor numero di tessuti diversi d'una pianta rispetto ad un animale comporti una minore differenziazione e quindi una maggiore frequenza di genomi totipotenti.
L'idea della clonazione nacque attorno al 1930 da riflessioni di questo tipo. Qualche decennio dopo, il trapianto del nucleo di una cellula matura di un anfibio in un ovulo enucleato incominciò a fornire indicazioni incoraggianti e soprattutto utili sistemi d'indagine.
Oggi le indicazioni restano incoraggianti, abbiamo a disposizione diversi e ben più sofisticati sistemi d'indagine, ma la risposta non è ancora soddisfacente. Un torello clonato l'anno scorso in Italia a partire da cellule del sangue potrebbe illuminarci. Il nome è promettente: Galileo.
Col primo metodo, ovviamente il più interessante sia scientificamente sia economicamente, potremmo produrre animali uguali al genitore-gemello che aveva donato le cellule somatiche usate per il trapianto del nucleo.
Col secondo potremmo ottenere soltanto organismi uguali fra loro:in partenza c'era un embrione, che però è stato suddiviso nel corso dell'esperi-
mento e come tale non esiste più. Esisteranno, se sopravvivono, i suoi cloni.
Il primo metodo ha prodotto Dolly: sono stati necessari 434 trapianti di nuclei. Col secondo s'è arrivati alla scimmietta Tetra: ma è stato necessario suddividere ben 107 embrioni e originare 368 sotto- embrioni.
Di qui l'ovvia esigenza di chiarire il quadro generale di un'area di ricerca che è diventata sempre più chiacchierata. Un incontro tra specialisti era stato sollecitato a lungo dal genetista Usa Zinder , che fu tra i pochi a sollevare dubbi su Dolly: all'inizio del '98 sulla rivista americana Science fu pubblicata una lettera che li elencava.
Finalmente alcuni mesi fa una fondazione Usa (la Sloan), dietro interessamento di Zinder, ha stanziato i fondi e un incontro è stato presto indetto. Sono stati invitati una quarantina dei ricercatori più attivi nel settore: vi hanno aderito quasi tutti, non sempre di buon grado. I lavori si sono svolti dal 12 al 15 marzo al Cold Spring Harbor Laboratory di Long Island.
Per evitare indebiti disturbi l'incontro era stato organizzato con discrezione: niente pubblico né giornalisti. Un po' sulla falsariga del famoso convegno di Asilomar, che 25 anni fa aveva dibattuto i pericoli dell'ingegneria genetica. Una notazione curiosa: dei centocinquanta veterani di Asilomar, a Cold Spring Harbor ce n'erano due: il Nobel Watson, il padre della doppia elica del Dna e attuale presidente del Cold Spring Harbor Laboratory, in veste di padrone di casa; Zinder, professore della Rockefeller University ma soprattutto autorevole arbitro di molte dispute biomolecolari Usa (vedi il Progetto Genoma Umano). Zinder rappresenta l'ala scettica nei confronti della clonazione dei mammiferi adulti: era un infiltrato nel clan dei clonatori.
C'erano infatti le menti più brillanti e le mani più abili del ramo: Wilmut, padre di Dolly & C; Campbell, uno dei tanti zii di Dolly e cervello del gruppo, coautore con Wilmut di un recente libro che narra della famosa clonazione e in plateale disprezzo di ogni understatement britannico s'intitola La seconda creazione: l'età del controllo biologico secondo gli scienziati che hanno clonato Dolly; Wakayama, padre delle topine Cumulina & C; Schatten, padre della scimmietta Tetra; Tsunoda, padre di quattro mucche giapponesi; Yang, padre cino-americano di una mezza dozzina di torelli giapponesi; Willadsen, pioniere del trapianto di nuclei. C'erano clonatori "amatori" (i ricercatori dell'accademia) e "professionisti" (i biotecnologi). C'erano clonatori "di complemento": il serbo-americano-tedesco Solter, un pentito dell'inclonabilità dei mammiferi; nel lontano '84 dopo una serie di esperimenti negativi decretrò che la clonazione era impossibile.
Dieci anni dopo, folgorato dalla comparsa dei primi cloni di pecore scozzesi, ne è diventato solerte apostolo e intransigente crociato. C'era Silver, uno scrittore-scienziato Usa: nel suo Il paradiso clonato, un appassionato vangelo della "riprogenetica", come Silver chiama la riproduzione clonale, il nostro profetizza che nei prossimi 5-10 secoli (sic!) la riprogenetica, spinta da irresistibili forze del mercato, eliminerebbe la vecchia e onorata riproduzione sessuale che ha generato tutti noi: inutile aggiungere che la riprogenetica è un cavallo di Troia per i mai abbastanza esorcizzati fantasmi razzisti e nazisti dall'eugenetica. C'era anche un'aggressiva filosofa di Oxford, Justine Burley, una teorica del liberismo procreatico in sintonia con Silver: la scelta riproduttiva dovrebbe permettere di trasmettere ad un clone il proprio genoma incontaminato, se coì si vuole. La riproduzione sessuale comporta infatti l'intrusione di un altro genoma, che, se meno nobile, potrebbe svilire un genoma doc (per autocertificazione) ma magari un po' troppo invecchiato (per leggi naturali): di qui il diritto-dovere di clonarsi. E lo Stato non dovrebbe interferire: sarebbe come regolamentare la riproduzione! I vaneggiamenti della super-razza e del super-uomo vengono qui rivisitati a livello di geni e genomi.
Alcune assenze erano significative. Mancava il francese Renard, che sull'autorevole Lancet, il maggio scorso, aveva fatto il punto sulle cause della frequente mortalità perinatale di bovine clonate e aveva concluso che "d'ora in avanti la discussione sulla clonazione umana dovrà tener conto dei nostri risultati": è facile immaginare che cosa provò quando s'accorse che i colleghi non ne avevano poi tenuto gran conto.
All'epoca della controversia su Dolly, Renard era stato chiamato in causa dalla rivista inglese Nature (promotrice accanita della clonazione) come difensore di Dolly: il suo maggior titolo era Marguerite, una mucca clonata dalla cellula di un orecchio. Per rafforzare la credibilità di Dolly, Nature aveva presentato Marguerite come un clone di una vacca adulta che sino ad allora era cresciuto in buona salute. Purtroppo non era così: Marguerite era sì un clone, ma di una vitellina di sole due settimane, e nel frattempo era morta, come tutte le sue compagne, entro un paio di mesi dalla nascita. Questo aveva spinto Renard a compiere uno studio molto approfondito: ne risultò un'inquietante associazione tra clonazione e disfunzioni linfoidi e timiche.
Renard sospettava delle cellule somatiche donatrici del nucleo più che della tecnica: infatti cellule embrionali funzionavano un po' meglio. Di qui il valore piuttosto negativo del suo messaggio: ed è di questo che forse i colleghi hanno tenuto conto. Probabilmente da questo è anche derivato l'ostracismo da Nature (che si è ben guardata dal riportare come doveva questi suoi risultati) e forse anche il mancato invito al convegno.
Assente anche l'inglese Gurdon, pioniere della clonazione dei ranocchi: i suoi studi risalgono a oltre quarant'anni fa ma sono ancora un esempio ineguagliato d'accuratezza sperimentale. Un'altra assenza, pure non del tutto imprevista e non meno significativa, era quella del tedesco Illmensee, un altro pioniere della clonazione di mammiferi: nel lontano '84 era stato inquisito da una commissione internazionale nominata dall'Università di Ginevra, dove per anni era stato un luminare.
Il motivo era che i suoi cloni di embrioni di topo risultavano sospetti e poco riproducibili. Nonostante non fosse emerso nulla di scorretto, ma al più una certa trasandatezza sperimentale, Illmensee fu licenziato. Di recente i suoi risultati sono stati ripetuti da giapponesi, ma questo non è stato sufficiente per un invito all'incontro, né per una doverosa riabilitazione. Anzi un suo accorato appello in questo senso, pubblicato il 4 marzo dello scorso anno su Nature, è stato sbeffeggiato proprio da quel Solter che aveva decretato l'impossibilità di clonare cellule somatiche: Nature il 6 maggio dello scorso anno pubblicava la sua sarcastica risposta all'appello del collega. Illmensee si sta ancora leccando le ferite nel suo esilio di Salisburgo, dove fa il ginecologo.
Al convegno mancavano anche russi e cinesi, cui Internet e i soliti bene informati attribuiscono risultati interessanti, spesso prioritari, ma ovviamente difficili da valutare. Mancava anche il nostro Galli, il clonatore di Galileo.
La discussione è stata scientificamente corretta, ma anche per questo asettica e a volte un po' surreale: tra le tante cose che sono state dette, ne sono emerse alcune che val la pena commentare. Altre invece non sono state dette, per il prevalere d'interessi commerciali: un sesto dei presenti erano biotecnologi professionisti (ad Asilomar ce n'era uno) e degli amatori quasi tutti hanno consulenze con compagnie biotec.
La conclusione principale è stata che per ora almeno la clonazione non funziona: non è un metodo riproduttivo in grado di competere con gli incroci sessuali. Gli animali clonati saranno anche geneticamente identici, o almeno molto simili, fra loro e all'eventuale genitore-gemello; ma sono pochi e malandati. Pare invece che un approccio misto a base d'ingegneria genetica, clonazione e fecondazione artificiale possa produrre animali dotati di un gene estraneo utile: e anche in gran numero, ma geneticamente diversi. E non sono cloni.
2.7 La favolosa impresa della Celera…
L’Associazione privata della Celera Genomics è riuscita a raccogliere nei suoi database sequenze di DNA sufficienti a coprire il 90% dei nostri cromosomi. Anzi, visto che una parte del genoma è fatto da DNA "spazzatura", cioè che non serve a niente, gli scienziati della Celera sono convinti che i dati in loro possesso rappresentino una percentuale superiore al 97% di tutti i geni umani. L'obiettivo della mappatura completa del "codice della vita" e’, insomma, ormai vicinissimo.
E a raggiungerlo, in tempi da record (la Celera si è messa all'opera solo lo scorso settembre), a quanto pare saranno i privati a differenza delle associazioni pubbliche. Qualche mese di lavoro sarebbe bastato a concludere un'opera che i genetisti del Progetto Genoma Umano, varato nel 1990, non prevedono di finire prima del 2002. Alla Celera spiegano che manca poco perché una prima "bozza" del genoma umano sia pronta per la pubblicazione.
Il segreto della Celera, in realtà, è la particolarissima tecnica che ha utilizzato, una mescolanza di genetica e supercalcolo, basata in parte sulle informazioni già di pubblico dominio e condita con investimenti economici imponenti. L'idea di partenza è quella di affrontare il genoma nella sua interezza, dividendolo in frammenti casuali.. Questi frammenti sono poi clonati in milioni di copie, e "sequenziati", vale a dire che vengono messe in ordine tutte le sequenze di basi (A,C,G e T, le quattro "lettere" dell'alfabeto genetico) che contengono. L'azienda usa ben 300 macchine per sequenziare il DNA, del valore di circa 250.000 dollari ciascuna, che lavorano ininterrottamente 24 ore su 24. I milioni di sequenze che queste producono sono poi analizzate e rimesse nell'ordine giusto da un potentissimo calcolatore, il più grande supercomputer del mondo in mani private, con il risultato finale di avere una ricostruzione delle sequenze lineari dei cromosomi. Unendo questa tecnica con i dati raccolti dal Progetto Genoma Umano, che segue un approccio differente, la Celera è riuscita ad abbreviare enormemente i tempi.
In pratica, i ricercatori della Celera sono riusciti a individuare la sequenza dei tre miliardi di basi chimiche del nostro Dna, cioè a mettere nel giusto ordine tutte le "lettere" con cui è scritto il codice della vita di un essere umano.
Bisogna però considerare che la completa decifrazione del nostro patrimonio genetico, in un certo senso è più un punto di partenza che di arrivo. La mappa che avremo a disposizione sarà infatti tutta da comprendere, e ci vorranno probabilmente ancora decenni prima di conoscere pienamente il ruolo di ogni gene e le sue interazioni con gli altri, e quindi prima dell'avvento dell'era della "medicina personalizzata", in cui farmaci e cure saranno confezionati su misura per ciascun malato sulla base del suo codice genetico.
2.8 Conclusione: possibili conseguenze di una Rivoluzione Genetica…
Licenziati per Dna difettoso.
Chi assumerà, o assicurerà, una persona predisposta a una
malattia? Cronaca di un incubo…
C'è da scommettere
che i medici verseranno gocce dei nostri geni in uno biochip
per stabilire se abbiamo un cancro alla prostata benigno o
maligno. Analizzeranno i geni dei nostri figli per valutare
quanti rischi hanno di contrarre il morbo di Alzheimer. Gli
imprenditori vorranno conoscere il nostro profilo genetico
prima di darci un lavoro, rifiutandocelo magari se non sono
soddisfatti della struttura del nostro Dna. Tutto questo
emergerà da una sequenza del tipo: ATGCCGCGGCTCCTCC... e
avanti così, per circa 3,2 miliardi di lettere. Ciascuna
rappresenta una molecola: adenina, citosina, guanina, timina.
Tutte le cellule di qualsiasi organismo umano, dalla pelle ai
muscoli al fegato e a qualsiasi altra cosa si trovi in mezzo
(tranne i globuli rossi del sangue), contengono una copia
dello stesso Dna. E il genoma è la totalità del Dna presente
nelle cellule di una determinata specie. Un gene è
un'istruzione scritta nel linguaggio delle molecole. Gli
esseri umani possiedono forse 80 mila geni, e tutti gli umani
sono identici al 99,9 per cento. Ciò significa che solo una su
mille lettere chimiche fa sì che il genoma di Woody Allen
differisca da quello di Massimo D'Alema.
Cosa significherà la conoscenza completa del genoma umano?
Erica Lander del Withehead Institute del Mit la paragona alla
scoperta della tavola periodica degli elementi avvenuta verso
la fine del secolo scorso: «La genomica sta fornendo alla
biologia la sua tavola periodica. Così gli scienziati sapranno
che ogni fenomeno dev'essere spiegabile nei termini di questa
semplice lista». Già oggi i ricercatori estraggono il Dna dai
pazienti, attraverso molecole fluorescenti e cospargono il
campione prelevato su un vetrino la cui superficie contiene
una concentrazione di 10 mila geni conosciuti. Un laser legge
poi la fluorescenza, che indica quali di questi geni a noi
noti sono presenti nel misterioso campione del paziente. Solo
negli ultimi mesi, con questo sistema di ricognizione si è
riusciti a diagnosticare un tumore muscolare in un ragazzo che
sembrava affetto da leucemia, e a distinguere fra due tipi di
cancro che richiedono chemioterapie molto diverse. Ben presto,
prevede Patrick Brown della Stanford University, grazie a
quest'analisi si potranno distinguere i tumori benigni alla
prostata da quelli maligni, i neuroni cerebrali che provocano
la depressione da quelli normali, sempre grazie
all'individuazione di quali geni sono attivi.
Ma la decodificazione del libro della vita pone dilemmi
morali. Grazie alla conoscenza del nostro codice genetico
saremo in grado di riprogettare la specie umana. I biologi
potranno usare il genoma come una lista di pezzi di ricambio e
consentire ai futuri genitori di scegliere le caratteristiche
dei loro figli non ancora nati. La capacità di manipolazione
dei geni da parte degli scienziati è ormai tale che possono
ottenere differenti personalità, conformazioni fisiche,
stature e facoltà cognitive. E se qualcuno crede ancora che i
genitori non vogliano imitare Dio, lasciando il destino dei
propri figli nelle mani della natura, non dimentichiamo che le
coppie hanno già creato un vivace mercato di ovuli attraverso
le donne della Ivy League.
Ma oltre a profonde questioni etiche vi sono anche problemi
pratici. Quanto più è facile modificare se stessi e i propri
figli, tanto meno la società sarà disposta a tollerare coloro
che recalcitrano a quest'idea, ammonisce Lori Andrews del Kent
College of Law. Se i test genetici in utero predicono scarsa
intelligenza, obesità, bassa statura - o altre caratteristiche
oggi indesiderabili - i figli di genitori che li hanno
lasciati nascere così non rischieranno di essere disprezzati?
Già ora, osserva la Andrews, vi sono medici e infermiere che
biasimano le coppie che fanno venire al mondo bambini con
difetti alla nascita diagnosticabili prima del parto; quanto tempo
passerà prima che la stessa condanna venga pronunciata per
imperfezioni meramente estetiche? Una preoccupazione ancor
più grande è che scelte ben intenzionate da parte di milioni
di futuri genitori possano avere conseguenze imprevedibili per
l'intera umanità. Accade infatti che i geni di alcune malattie
abbiano al tempo stesso un valore immunitario: il possesso del
gene dell'anemia falcemica, ad esempio, è un fattore di
resistenza alla malaria. Saremo abbastanza saggi e
intelligenti da prevedere in qual misura l'eliminazione dei
"cattivi" geni influenzerà l'evoluzione della nostra specie?
Fin dall'inizio del progetto genoma, i moralisti paventarono
che le conoscenze genetiche potessero essere usate contro le
persone, sul lavoro e dalle assicurazioni. Stabilire se ciò
stia accadendo sarebbe come giudicare se l'Health Maintenance
Organization fornisca o meno un'assistenza sanitaria di
qualità. Da indagini sistematiche non emergono molti problemi,
ma le storie di orrori abbondano. Un uomo si è sottoposto a un
test genetico da cui è risultato che era affetto da
emocromatosi (una malattia del sangue). Ma pur se ben curato,
il suo assicuratore gli ha voltato le spalle sostenendo che
avrebbe potuto interrompere il trattamento e sviluppare la
malattia. Un altro s'è visto rifiutare un impiego che gli era
stato offerto perché aveva "mentito" durante la visita medica
preliminare. Era sano, ma portatore del gene di una malattia
renale. E lo scorso dicembre Terry Seargent, 43 anni, è stata
licenziata dopo un test positivo che aveva segnalato la
possibile insorgenza della stessa malattia genetica che aveva
portato alla tomba il fratello. Aveva cominciato a sottoporsi
a cure preventive. Ma quando il suo datore di lavoro ricevette
la prima fattura, la mandò via.
Finora sono 39 gli Stati americani che proibiscono, almeno in
parte, discriminazioni nell'assicurazione contro le malattie
basate su test genetici; e una quindicina quelli che vietano
in qualche misura discriminazioni sul lavoro. Ma molte leggi
hanno delle scappatoie. (Uno di questi 15 è la North Carolina,
dove vive Terry Seargent). I datori di lavoro, a quanto
sembra, chiedono ancora informazioni genetiche sui loro
dipendenti. Da un'inchiesta condotta nel 1999 dall'American
Management Association è risultato che il 30 per cento delle
imprese grandi e medie riescono ad ottenerle. E il 7 per cento
le usano per le assunzioni e le promozioni. «È ancora
possibile raccogliere informazioni sul genoma di un dipendente
che vengono usate per licenziare o togliere l'assicurazione
contro le malattie», conferma Lori Collins. «Manca a tutt'oggi
una legislazione federale efficace [che lo impedisca]. Con
tutti questi geni che vengono scoperti in continuazione, le
occasioni per nuocere si stanno moltiplicando vertiginosamente
Resta dunque la grande incognita: in che modo il completamento
del progetto genoma - non soltanto la conoscenza delle
sequenze di C, G, T e A, ma quella della funzione di ciascun
gene - influenzerà la nostra idea di ciò che siamo. Il rischio
è quello di soccombere a un ingenuo determinismo biologico,
attribuendo ai nostri geni qualità come la personalità,
l'intelligenza e persino la fede. Studi compiuti su gemelli
hanno avanzato la pretesa (contestata, ma comunque accampata)
che i geni determinano persino il giudizio favorevole o
avverso alla pena capitale. «Stiamo attribuendo al nostro Dna
un'importanza quasi religiosa», avverte Collins. «Tendiamo ad
essere più deterministi di quanto dovremmo». Per il momento,
possiamo solo azzardare ipotesi sul potere, e i limiti, del
genoma. La scena è pronta. Gli attori anche. Dopo milioni di
dollari, e di ore, si sta alzando il sipario su uno spettacolo
che apparirà sicuramente ai nostri figli, a uno sguardo
retrospettivo sgomento, come l'alba del secolo del genoma.
Quando Steven vide il suo futuro .
Storia di un giovane che ha scoperto di essere predestinato a
una grave malattia .
Da ragazzo, Steven Peterson, di Seattle, non si preoccupava
troppo degli acciacchi che avevano costretto sua nonna a
ricoverarsi in una casa di cura. Tutti i nonni, si sa, sono
fragili. Ma quando aveva solo 17 anni, a suo padre,
quarantacinquenne, venne diagnosticata la stessa malattia
della nonna: una rara patologia genetica chiamata atassia
spinocerebrale. Come Steven apprese, essa avrebbe
gradualmente distrutto una zona cerebrale chiamata
cervelletto, che presiede al controllo dei muscoli. Poi
braccia e gambe non reggono più. E alla fine, persino i
muscoli che coordinano la deglutizione cedono, per cui i
pazienti debbono essere alimentati attraverso una sonda
gastrica. La mente, però, resta lucida.
Superata la trentina, Steven cominciò a temere di essere
portatore di quel gene. Nel 1995, poco dopo la nascita della
sua terza figlia, venne a sapere che era stato messo a punto
un test genetico per la malattia che aveva colpito i suoi
parenti. Accettò così di sottoporvisi, dopo essersi accertato
che non gli sarebbe stata tolta la polizza assicurativa nel
caso di esito positivo. Quando arrivò il referto, un esperto
genetista si mise a sua disposizione per aiutarlo ad
affrontare la cattiva notizia. Ma Steven non ebbe bisogno
d'aiuto. Invece di sprofondare nella disperazione, cominciò a
predisporre garanzie finanziarie per la moglie e le figlie, a
mettere al sicuro la società immobiliare di famiglia e a
concedersi anche qualche soddisfazione che prima non s'era mai
tolto: per esempio una nuova Harley Davidson. Grazie a un
vigoroso programma di esercizi fisici e a una migliore dieta,
Steven, che ha oggi 39 anni, spera di prevenire in parte
l'infermità, e di continuare a lavorare fino ai 55. «Il fatto
di sapere che avevo questa malattia», spiega, «mi ha
consentito di controllare meglio la mia vita». Ma non vuole
ancora che le sue figlie si sottopongano al test: «Finché non
saranno adulte e non avranno la garanzia di conservare la loro
assicurazione». Forse per quell'epoca gli scienziati avranno
trovato una cura.
Che succede se il test è sbagliato .
Il caso di una donna a cui sono state tolte le ovaie: per un
errore nelle analisi .
Nessuno conosce meglio di lei gli aspetti positivi e quelli
negativi dei test genetici. Nancy Seeger, di Evanston,
nell'Illinois, ha oggi 56 anni. Aveva 14 anni quando la madre
morì per un tumore al seno. Sei mesi dopo anche la zia materna
venne a mancare per la stessa malattia. Nonostante ciò, quando
i ricercatori hanno trovato un test per accertare la presenza
di un difetto genetico che predispone una donna al cancro al
seno o alle ovaie, Nancy esitò prima di decidersi: «La verità
è che vuoi sapere e non vuoi sapere». Quando arrivò il
referto, Nancy, in lacrime, cercò di afferrare le parole
chiave: «mutazione», ovvero un rischio di tumore al seno «con
probabilità dell'85 per cento», e un rischio di cancro alle
ovaie del 50 per cento. I risultati, si dichiarava nel
referto, erano stati confermati da verifiche in separate sedi.
Dopo queste brutte notizie, Nancy prese una drastica
decisione. Senza un test affidabile, il cancro alle ovaie
spesso viene scoperto quand'è ormai diventato maligno. Così
scelse la chirurgia preventiva, facendosi togliere le ovaie.
Non si era ancora del tutto ripresa dall'intervento che già
stava pensando di farsi asportare anche entrambi i seni,
quando ricevette un'altra telefonata dal suo medico, con
notizie ancor più sconvolgenti. Con tutta gentilezza, questi
la informò che il referto era sbagliato. Nessuna mutazione,
dunque. Ma l'errore probabilmente non sarebbe mai venuto alla
luce se Nancy non avesse donato un campione di sangue per la
ricerca. I responsabili del primo laboratorio le inviarono subito una
lettera riconoscendo l'errore commesso e scusandosi «per
l'ansia o lo stress che ciò aveva potuto procurarle». E a
dimostrazione di quanto fossero costernati, le rimborsarono i
350 dollari che aveva pagato per il test. Ma Nancy non si
placò: voleva sapere come fosse stato possibile
quell'abbaglio. Così, lo scorso ottobre ha fatto causa al
laboratorio Oncormed e alla Gene Logic, la società che in
seguito lo ha acquistato. Un portavoce di quest'ultima ha
rifiutato ogni commento, ma ha detto che la Oncormed non fa
più questo test.

3. Area Etica
3.1 Il dibattito etico sul Progetto Genoma
Accanto al consenso per il valore scientifico e l‘utilità sociale di quest’impegnativo progetto, non mancano le preoccupazioni per i potenziali abusi dei suoi risultati
Nel corso di questi ultimi anni, consistenti finanziamenti sono stati stanziati per la sua realizzazione dal Congresso degli Stati Uniti, dalla Comunità Economica Europea (CEE), da numerosi altri organismi internazionali e da varie istituzioni di singoli paesi economicamente e industrialmente avanzati. Nel Progetto Genoma, infatti, sono in gioco molti interessi, non solo d’ordine conoscitivo e culturale, inerenti alla novità e alla grande rilevanza delle conoscenze genetiche perseguite, ma anche, e soprattutto, economici, politici e sociali, in considerazione delle nuove e spesso inedite potenzialità sanitarie e biotecnologiche che di volta in volta si rendono disponibili e dei conseguenti vantaggi e benefici che ne possono derivare in diversi ambiti d’utilità umana e sociale.
Ma questi interessi entrano in contrasto con l’etica, anzi in particolare con la bioetica. E’ opportuno quindi definire che cos’è la bioetica, le sue origini e i paradigmi dominanti della bioetica.
3.2 Ma che cosa e’ la Bioetica?
Termine che designa lo studio sistematico e multidisciplinare della condotta umana nell'ambito delle scienze della vita e della cura della salute. Tuttavia, in un senso più ristretto, la bioetica è la riflessione intorno ai criteri di condotta in queste aree che sono moralmente giustificati, e in quanto tale essa è una disciplina filosofica che appartiene all'etica (etica applicata).
Lo scopo della bioetica è di offrire una chiarificazione concettuale dei problemi, attraverso una distinzione accurata delle questioni di fatto dai principi morali e l'identificazione dei concetti centrali.
Questioni centrali della bioetica sono: l'aborto, l’eutanasia, i criteri della ricerca medica, l'allocazione delle risorse sanitarie, la sfera d'autorità del paziente, l'accesso alla fecondazione assistita, la proprietà del materiale genetico.
3.3 Bioetica e Filosofia
Il termine “bioetica”, costruito a partire dalle due parole greche bios (vita) ed ethos (morale), è stato coniato in campo biomedico. Sull’origine e sul luogo di nascita della bioetica i pareri sono contrastanti. Alcuni ritengono che essa non sia altro che la continuazione della tradizionale etica medica derivante dai principi di diritto naturale affermati in Europa al processo di Norimberga (1946-1947). Altri, che oggigiorno costituiscono la maggioranza, pensano invece che la bioetica «così come la discutiamo sistematicamente oggi, con la sua agenda e le sue questioni-chiave» sia sorta in America negli anni Settanta.
Altri, pensando che lo sviluppo tecnico, di per se stesso, sia solo causa indiretta, sostengono che la «bioetica nasce quando gli individui riconoscono che ci sono etiche diverse e non sanno più bene a quale fare riferimento» (M. Mori). Secondo questi ultimi, il termine bioetica alluderebbe ad una discontinuità rispetto alla riflessione morale del passato. Discontinuità dovuta non solo alle inedite e sconvolgenti possibilità tecnologiche attuali (ad es. l’ingegneria genetica), ma anche alla condizione di messa in forse dei valori e dei codici stabiliti, che è propria dell’umanità contemporanea. Condizione che alcuni studiosi definiscono «postmoderna».
La bioetica non è una «nuova scienza», ma è l’etica tradizionale intesa applicata ad un particolare campo d’indagine, ossia al mondo vivente. I problemi della bioetica, vista come ramo o sottosezione dell’etica, vertono soprattutto su questioni normative e morali sollevate in campo biomedico, come l’aborto, l’eutanasia, l’accanimento terapeutico, il trapianto d’organi, la fecondazione artificiale, il trattamento degli embrioni, la manipolazione genetica ecc.
3.4 I due paradigmi dominanti della Bioetica
All’interno del policromo quadro della bioetica contemporanea possiamo individuare due grandi modelli teorici, che si ispirano a due diverse concezioni generali del mondo e a due distinte «filosofie>>: una di matrice religiosa e l’altra di matrice laica.
3.4.1 La “Bioetica Religiosa”
La bioetica di matrice religiosa, sulla base delle conclusioni (razionali) della filosofia e degli insegnamenti (rivelati) della Scrittura, indica, nel solco della tradizione, la retta via da seguire nelle questioni morali.
Se la vita è sacra, argomenta questo tipo di bioetica, vuol dire che sacro è anche il corpo, in tutti i suoi organi, i quali hanno ognuno un fine specifico: gli occhi hanno come fine la vista, l’apparato digestivo la nutrizione, l’apparato sessuale la riproduzione e così via. Ogni intervento tecnico che modifichi il naturale finalismo del corpo e dei suoi organi è da ritenersi illecito.
Il medico può soltanto intervenire a ristabilire l’ordine naturale qualora un organo o una funzione «si ammalino», ma non può sostituirsi a Dio, modificandone i piani. Per cui, l’arte medica deve «imitare la natura» e non spingersi al di là dell’aiuto: se una gamba va in cancrena è consentito amputarla, per conservare il bene del tutto. Ma non è consentito al medico provocare l’aborto o praticare l’eutanasia o la fecondazione artificiale: sono terapie che contraddicono il fine per cui la vita o i singoli organi sono stati creati.
La premessa teorica di questo discorso è la tesi secondo cui gli uomini, per usare le parole di Paolo VI, non sono «arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri del disegno stabilito dal Creatore» (Humane Vitae 1968, n. 13). Convinzione ribadita da Giovanni Paolo II, il quale, parlando della vita, della sessualità e della riproduzione, ha continuato a insistere sul fatto che non solo l’aborto, ma anche la contraccezione implicano una violazione del piano divino del mondo.
Da ciò la concezione della bioetica in termini di «coscienza critica dello sviluppo scientifico e tecnologico» ovvero di «frontiera etica» impegnata a stabilire «la liceità degli interventi sulla vita dell’uomo» e quindi a fissare i limiti da imporre alla ricerca biomedica.
3.4.2 La “Bioetica Laica”
Il secondo modello di bioetica è di matrice laica. Intendendo, con questa espressione non solo un metodo di ricerca che si ispira ai valori dell’autonomia e della libertà (metodo che può accomunare credenti e non credenti), ma anche l’atteggiamento di coloro che ragionano indipendentemente dall’ipotesi di Dio, ossia l’indirizzo di coloro che, nelle argomentazioni etiche e bioetiche, non fanno uso della nozione di Dio, né in senso metafisico-razionale, né in senso dogmatico-confessionale.
Tale bioetica nega l’esistenza e la validità di leggi indipendenti dal consenso degli individui: «Il primo dei princìpi che ispira noi laici è quello dell’autonomia e non devono esservi autorità superiori che possano arrogarsi il diritto di scegliere per lui in tutte quelle questioni che riguardano la sua salute e la sua vita».
L’etica che si ispira al principio della qualità della vita, rispetto alla società in cui si vive, massimizza i benefici e minimizza i danni.
Ciascuna di queste due concezioni generali dell’etica e della bioetica – che parlano «lingue morali diverse» - sembra presentare specifici punti di forza. La prima sembra fornire un quadro normativo autorevole e coerente, in grado di esibire, alle incerte coscienze del nostro tempo, sicuri punti di riferimento, cioè divieti a priori tramite cui «frenare» gli abusi di una prassi biomedica che rischia di diventare incontrollabile. La seconda, facendo appello ad una struttura di razionalità aperta e flessibile, sembra rispettare in modo più marcato la pluralità delle opzioni etiche e il potere decisionale degli individui, ossia quei tipici valori «moderni» che sono la libertà e l’autodeterminazione. Ciascuna di esse sembra presentare, nel contempo, peculiari punti di debolezza.
La prima sembra presupporre che ci sia un’unica teoria etica valida e che solo la religione o una religione – e la filosofia che ad essa si ispira – posseggano il monopolio della verità: «l’etica di ispirazione cristiana è lo svelamento all’uomo di ciò che egli è, della verità dell’essere» (E. Tonini), «non è esagerato affermare che la bioetica è solo cattolica» (D.Composta).
La seconda, per il fatto di rinunciare a princìpi assoluti, sembra aprire le porte al relativismo.
3.5 Il problema etico del Progetto Genoma..
Come già detto, il “progetto Genoma” rientra in un campo di ricerca scientifica i cui risultati possono andare contro le norme etiche condivise da molti, ma questo si può superare se il valore dell’impresa scientifico-tecnologica fosse solo nel perseguimento del sapere e nell’efficienza ed efficacia tecniche, ma anche e soprattutto nella sua capacità di proporsi quale strumento di promozione umana e sociale.
Per questa ragione si afferma, per esempio, che la vocazione autentica della ricerca scientifica - ciò che le conferisce autorevolezza e legittimazione - è quella di porsi a servizio della società e dell’umanità in una prospettiva etica.
Nella valutazione del Progetto Genoma, pertanto, possiamo distinguere una dimensione etica intrinseca, inerente cioè alle condizioni che ne consentono e regolano l’attuazione, e pertinente, quindi, alla ricerca genetica di base, e una dimensione etica estrinseca, conseguente cioè alle diverse possibilità applicative e alle ricadute sociali dei suoi risultati, e attinente alla ricerca genetica applicata.
Per una corretta valutazione etica del “progetto Genoma”, pertanto, bisogna tenere conto di tutti gli elementi moralmente rilevanti implicati e coinvolti nella sua attuazione: la finalità perseguita, la liceità dei mezzi, la natura e l’entità dei possibili rischi e pericoli di alcuni protocolli sperimentali o settori di indagine, la prevedibilità, o meno, di eventuali conseguenze dannose, eccetera.
Grazie a questo progetto potrebbe anche divenire possibile una diagnosi preventiva per l’identificazione di eventuali portatori di disfunzioni genetiche. Gli individui portatori di malattie ereditarie potrebbero, in tal modo, premunirsi, prendendo le precauzioni igieniche e sanitarie necessarie, e individuando quegli ambienti e comportamenti che dovrebbero accuratamente evitare. Accanto a questi e altri evidenti vantaggi e benefici, tuttavia, si prospettano anche rischi e pericoli che non si possono ignorare, riscontrabili, soprattutto, nelle possibili utilizzazioni delle analisi del genoma umano secondo criteri e finalità eticamente e socialmente discutibili o inaccettabili.
3.6 ...Ed anche il Problema Giuridico
Un accenno, infine, ai problemi etico-giuridici implicati nello sviluppo del Progetto Genoma. Essi non concernono solo la delicata questione dello statuto ontologico dell’embrione e i relativi diritti di tutela, sia esso un embrione soprannumerario o crioconservato, residuo delle tecnologie riproduttive, ma anche lo statuto giuridico dei materiali biologici e genetici utilizzati in ambito sperimentale.
Si pensi, ad esempio, alle questioni etiche e giuridiche sollevate dall’istituzione di “banche genomiche” per la raccolta e la conservazione di materiale genetico umano. Esse consentono lo stoccaggio e la conservazione teoricamente illimitata di materiale genetico congelato, da utilizzare per l’analisi sequenziale dei geni e la creazione di specifiche sonde di identificazione genica
Si pone, in tal modo, un problema sia a livello etico, sia a livello giuridico.
3.7 Provvedimenti da prendere
Nonostante l’entusiasmo per gli aspetti positivi del progetto, molti scienziati hanno espresso perplessità, o comunque sottolineato la necessità di una regolamentazione etica più ferrea di quella esistente.
Molte sono le opinioni diverse che toccano queste problematiche; la più autorevole (in Italia) é quella del CNB (Comitato Nazionale per la Bioetica), di cui é presentato il sunto delle sue pubblicazioni.
Al termine dell’analisi congiunta delle caratteristiche generali del Progetto Genoma Umano, il Comitato Nazionale per la Bioetica ha ritenuto necessario esprimere il seguente parere:
- il CNB riconosce innanzitutto che, in se stesso, il Progetto Genoma Umano non comporta problematiche qualitativamente nuove ma ripropone, amplificati e concentrati, i problemi tipici della ricerca scientifica e degli interventi applicativi nell’intero campo della genetica umana;
- contemporaneamente, ritiene opportuno sottolineare che il Progetto Genoma Umano non rappresenta un ordinario avanzamento della conoscenza, ma un’impresa scientifica di grandi dimensioni, coordinata a livello internazionale, con modalità inedite per la biologia;
- il Progetto Genoma Umano ha vivamente interessato l’opinione pubblica per la sua importanza come progetto scientifico, ma ha anche suscitato interrogative e preoccupazioni derivanti dalle prospettive di carattere etico.
Occorre segnalare soprattutto i rischi connessi a possibili usi distorti delle applicazioni che possono derivare dalla conoscenza accumulata nel corso delle ricerche relative al Progetto Genoma Umano:
- per sviluppare un’adeguata riflessione etica sulla responsabilità a livello degli operatori, si raccomanda che i coordinatori di queste ricerche in Italia promuovono, come già avviene a livello internazionale, indagini parallele sul loro impatto etico e sociale nonché su quello giuridico;
- un altro importante antidoto contro le distorsioni della realtà scientifica, contro i possibili usi impropri della conoscenza accumulata nel corso del Progetto Genoma Umano, é l’informazione e il dibattito pubblico.
3.8 Conclusione
Si raccomanda pertanto che le autorità competenti promuovano l’informazione, il dibattito, la partecipazione, l’educazione pubblica e professionale sui concetti base della genetica, la sensibilizzazione verso la realtà del Progetto Genoma Umano e le problematiche etiche, sociali e giuridiche connesse.
I.T.I.S.”G.Capellini” La Spezia A.S. ‘99-2000 Classe V St./a
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Area di Progetto di Classe Progetto Genoma

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