Papiri greci

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Testo

ARTURO FRANCESCO MORETTI
REVISIONE DI ALCUNI PAPIRI GRECI LETTERARI
EDITI TRA I P. MIL. VOGL.*

Vengono qui presentati i risultati della revisione autoptica di alcuni papiri greci letterari appartenenti alla collezione dell'Università degli Studi di Milano, già pubblicati in P. Mil. Vogl. I-III. Tale revisione ha per oggetto prevalentemente gli aspetti grafici e di tipologia libraria dei testi, con limitati interventi di carattere filologico. Non vengono riportate quelle parole per le quali la nuova lettura si discosta dalle precedenti per spostamenti di parentesi quadre che non siano particolarmente rilevanti dal punto di vista testuale, ovvero per l'aggiunta o la rimozione del punto sotto lettere più o meno incerte.
I 12 (Pack3 282)
Frammento di rotolo papiraceo che conserva i resti di tre colonne consecutive contenenti parte di Dem. 18, 85-881:
L. 3: dopo timwr]iaj il copista ha lasciato uno spazio bianco per indicare una forte pausa nel testo.
LL. 6_9: 6p[an]taj /7 anwmol]oghma[i tou]j /8 cronou]j ta arist[a l]e /9 gein thi ] polei ktl. non6p[an]taj /7 anwmol]oghma[i tou]j /8 cronou]j ta arist[a] e /9**** thi] polei ktl.
La costituzione del testo è in questo punto assai controversa2 e il papiro si presenta lacunoso e danneggiato.. Tuttavia, alle ll. 6-8, contro le perplessità avanzate dall' ed., devono essere confermate le lezioni p[an]taj e tou]j / cronou]j: quest'ultima, presente nel cod. L e nella Vulgata ma omessa nel cod. S , è pressoché unanimemente considerata interpolata, in quanto inutile ripetizione rispetto a mšcri mn tîn crÒnwn ™ke…nwn che precede, mentre p£ntaj (probabilmente corrotto proprio per attrazione dell'interpolato toÝj crÒnouj) è stato corretto in p£nt' da Wachendorf e Westermann, in p£ntwj da Dobree, mentre p£nta sunwmolÒghmai è stato congetturato da Fox. Alle ll. 8-9, poi, dove la Vulgata riporta pr£ttein e i codd. Sd e Q pr£ttein kaˆ lšgein, pare possibile accogliere l'ipotesi, già avanzata da L. Castiglioni, ma respinta dall'ed. (cfr. ed. pr., nota ad loc.), che il papiro avesse la lezione lšgein, poiché lo spazio esistente in lacuna fra t ed e sembra sufficiente ad accogliere anche il l iniziale di questo verbo, ipotizzando quindi che fosse lšgein l'indispensabile verbo all'infinito retto da ¢nwmolÒghmai presente nel papiro. Si deve pertanto ammettere un'omissione in questo papiro o nel suo antigraphon, poiché verosimilmente nel testo demostenico il verbo lšgein non poteva stare da solo, ma doveva essere accompagnato da pr£ttein, come si ricava dal confronto con i loci similes di Dem. 18, 54 (motivazione del decreto di concessione della corona), 57, 59, dove il verbo ricorre sempre preceduto o seguito da pr£ttein. Se invece i due verbi devono essere considerati come varianti, lšgein deve essere giudicato variante inferiore rispetto a pr£ttein, come si evince dal confronto con Dem. 18, 110, 250, dove ricorre il Solo pr£ttein.
L.11: gr]afwn non gr[afwn.
Col. II, ll. 2-4: contrariamente a quanto ipotizzato nell'ed. pr., anche la cancellazione delle lettere erronee in anqrwmeqapwn è da attribuire non alla mano del copista, ma alla seconda mano che ha aggiunto pleistweq, anche perché, se il copista si fosse avveduto dell'errore, avrebbe ragionevomente restituito anche il corretto crèmeqa.
L. 5 sg.: sitopomp[i/aj non seitopomp[iaj.
L. 9: nell'intercolumnio sinistro è visibile un piccolo punto, verosimilmente una notazione sticometrica (cfr. K. Ohly, Stichometrische Untersuchungen, Leipzig 1928, p. 17). Trattandosi di un segno unico nella parte di testo conservata, non è dato di stabilire la frequenza di tali notazioni. Si può comunque ipotizzare che uno stichos corrispondesse a due linee (34-38 lettere).
Col. III: e] /1 a[uton eij ta progmat a] /2 f[eidwj ] /3.[ non 1[------gra /2 fw[n kai prattwn /3 [.
L'ed. (p. 22) indicava pure come appartenente a questo papiro un piccolo frammento non identificato, che in realtà, non fa parte di questo reperto ed è pertanto stato da esso separato.
Per quanto attiene agli aspetti tipologici del rotolo, si può osservare che la selis misura in larghezza cm 6-6,5 e che le linee di scrittura contengono un numero di lettere che varia da 14 a 22, prevalentemente 15-18. Sulla base di questi dati, è possibile calcolare che la col. II abbia perduto 11 linee nella parte superiore, e che l'altezza della selis, composta in totale da 26 linee, fosse di circa cm 16, mentre l'altezza del rotolo, del quale è attualmente conservato il margine inferiore per un'altezza di cm 2, doveva essere di poco superiore a cm 20-21. L'intercolumnio misura mediamente cm 1,7. Da ciò si evince che il rotolo non poteva contenere l'intera orazione: essa, infatti, secondo il totale sticometrico riportato nel cod. S, constava di 2768 stichoi3, che avrebbero richiesto un rotolo di oltre 17 metri di lunghezza, una misura del tutto eccedente l'estensione massima ipotizzabile per un rotolo letterario4.
Il testo è vergato con una grafia informale rotonda, originariamente assegnata al II sec. d.C. Essa tuttavia, sulla base dei confronti con le grafie di P Berol. 6926 (Roberts, GLH, 11a; seconda metà del I sec. d.C.), P Oxy. II 225 (Pl. V; seconda metà del I sec. d.C.), P. Lit. Lond. 131 (Kenyon, Classical Texts, Pl. IV; I sec. d.C. ex.), deve essere collocata alla seconda metà del I secolo d.C.
I 15 (Pack2 2340 = Marganne n° 123)
Frammento di un foglio di codice papiraceo contenente un questionario di patologia5.
Col. I, l. 13: ] thn de enkekronik[uian non ] thn de enkekronis[menhn.
L. 18: ]tin apoplhxia paralusi[, da integrare, exempli gratia, t… ™s]tin ¢poplhx…a; par£lusi[j ktl. : t]hn apoplhx ian paralusi[ ed. pr. Si tratta di una nuova domanda, concernente la natura dell'apoplessia, preceduta dalla diple obelismene di l. 17 eseguita dal consueto spazio bianco e dalla risposta, contenuta alle ll. 18-20. Per la formula t… ™stin ktl. nei papiri medici redatti in forma di questionario, cfr. P. Gen. inv. 111 (Pack2 2373), ll.4,6; P. Aberd. 11 (Pack2 2342), l.2.
La scrittura, originariamente assegnata al II sec. d.C., deve invece essere attribuita agli inizi del IV sec. d.C., il confronto con le grafie di P. Oxy. XI 1358, P. Beatty XII, P. Lit. Lond 127 (riprodotti in G. Cavallo-H. Maehler, Greek Bookhands of the Early Byzantine Period: A.D. 300-800,
London 1987, rispettivamente al nn.° 1b, 3a, 3b), tutti assegnati agli inizi del IV sec. d.C.
II 40 (Pack2 1452)
Questo frammento, che si congiunge a P. Haun. inv. 301, conserva i resti di una colonna di rotolo papiraceo contenente Sappho 98V6.
La nuova ispezione autopica del frammento milanese, il più problematico per quanto attiene agli aspetti propriamente testuali, ha dato i seguenti risultati:
l. 2: si legge paisameionechn po [. Il senso di questo verso e di quello successivo non è tuttavia perspicuo. Alla l. 2, dividendo pa‹ s£meion œchn po [, si potrebbe ipotizzare un'apostrofe di Saffo alla figlia, ma resterebbe oscuro il significato di s£meion (= shme‹on). Oppure, dividendo pa‹sa me‹on œchn ed integrando, col Vogliano, pÒl[ij, si potrebbe pensare ad un riferimento alla difficile condizione della città in quel periodo (cfr. S. Mazzarino, Athenaeum 21, 1943, p. 38 sgg.). Certamente, alla l. 3, poikila o poikilaj, si riferisce ad oggetti della moda femminile.
l. 3: contrariamente a quanto affermato in P. Mil. Vogl. II 40, nota ad loc., appare certa la lettura aike h poikilask[.
l. 6: si legge mnama taide, come proposto in P. Mil. Vogl. II 40. È da escludere una lettura o dopo t. t©ide può essere riferito, come suggerito in P. Mil. Vogl. II 40, nota ad loc., a pÒlij del v. precedente; oppure, secondo il più comune uso di Óde, esso va unito con un sostantivo che si trovava nella strofa seguente.
La scrittura fu assegnata nell'ed. pr.7 alla prima metà del II sec. d.C., mentre in P. Mil. Vogl. II venne proposta una datazione al III/II sec. a.C. Essa, in realtà, sulla base del confronti con le grafie di P. Lond. 833 (Seider, Paläographie, I, Taf. XIV, Abb. 19; 89/88 a.C.), P. Bour 12 (Pl. I; 88 a.C.), P. Oxy. XIV 1628 (Pl. I; 73 a.C.), P. Ryl. I 21 (Pl. 7; prima metà del I sec. a.C.), P. Med. inv. 70.01 recto (Montevecchi, Papirologia, Tav. 27; prima metà del I sec. a.C.), deve essere attribuita alla prima metà del I sec. a.C. Questa datazione è confermata anche dalla scrittura leggibile sul verso, attribuibile alla seconda metà del I sec. a.C. (cfr. P. Ryl. II 69, Pl. 3, 34 a.C.; P. Ryl. II 73, Pl. 3, 33-30 a.C.; P. Oxy. VII 1061, Seider, op. cit., Taf. XV, Abb. 22, 22 a.C.).
II 42 (Pack2 188)
Papiro d'acquisto8 che conserva parte di Call.Dian. 1-6, 16, 22-549.
Col. II l. 10 (v. 31): la stigm» prima di fereu è stata aggiunta successivamente.
Col. II l. 16 (v. 37): contrariamente a quanto ipotizzato dall'ed., il calcolo dello spazio occupato dalle lettere in lacuna indica con sufficiente chiarezza che il papiro aveva la falsa lezione di Y e]n [apa]shis]in. Non è dunque confermata, come invece si ipotizzava nell'ed. pr., la correzione marginale del codice T e]n [pa]shisin.
Col. II l. 22 (v. 43): dopo am[i]trouj è visibile una mšsh otigm», non precedentemente segnalata.
Col. II l. 27 (v. 48): l'ampiezza della lacuna conferma l'ipotesi avanzata dallo Pfeiffer (comm. ad. loc.) che il papiro avesse qui la lezione ep akmon]oj Hfaistoio in luogo del tràdito ep akm]os Hfaistoio, come suggerito invece nell'ed. pr. Questa variante può; essere considerata un adiaphoron rispetto a quella data dai mss. (cfr. R. Pfeiffer, op. cit., p. liv), la quale viene tuttavia preferita anche sulla scorta del confronto con fr. 115, 17 Pf.
Dal punto di vista librario, si deve rilevare che la linea 1 di Col. I, contenente il verso 2 dell'inno, è allineata con la linea 13 della seconda colonna, la quale serba 33 versi. Si deve dunque ipotizzare che il rotolo contenesse originariamente un altro inno callimacheo, giacché non è pensabile che il titolo, anche qualora fosse stato posto nell'area della selis, potesse occupare lo spazio corrispondente a 12 versi, pari a circa 6 cm10. Poiché l'unico ordine conosciuto degli inni di Callimaco risulta essere quello testimoniato dalla tradizione medievale11, ne consegue che Col. I conteneva, oltre ai versi 1-21 dell'inno ad Artemide, anche gli ultimi versi dell'inno ad Apollo. Si può del resto ipotizzare, come già era stato suggerito nell'ed. pr.12, che questo frammento appartenesse ad un'edizione completa degli inni di Callimaco. In questo caso, la distribuzione dei versi nelle singole colonne è ricostruibile solo ipotizzando che gli inni si susseguissero, nello stesso ordine presentato dalla tradizione medievale, quasi senza soluzione di continuità, e che la transizione fra i diversi componimenti fosse indicata attraverso uno o più segni di divisione (paragraphos, coronide ecc.), verosimilmente accompagnati dal titolo dell'inno nell'intercolumnio13.
Si ottiene in questo modo la seguente disposizione:
Col. I ...... Inno 1, 1-33
Col. II ..... Inno 1, 34-66
Col. III .... Inno 1, 67-96; Inno 11, 1-2
Col. IV .... Inno 11, 3-35
Col. V ..... Inno 11, 36-68
Col. VI .... Inno 11, 69-101
Col. VII (parz. cons.) .... Inno 11, 102~103; Inno 111, 1-21
Col. VIII (cons.) ....... Inno 111, 22-54.
Accogliendo questa ricostruzione, i 1083 versi dei sei inni di Callimaco, avrebbero occupato 33 selides, ciascuna della larghezza di 10-11 cm. Ipotizzando un intercolumnio di circa cm 3, si ottiene un rotolo della lunghezza di cm 450 circa 14. L'altezza della selis risulta di cm 17,5; il margine superiore misura attualmente cm 4, mentre quello inferiore è conservato per un'altezza di cm 3,5. Si può quindi calcolare un'altezza complessiva del rotolo non inferiore a cm 25, con un rapporto fra altezza della selis e altezza del rotolo di poco superiore a 2:3.
La scrittura, originariamente assegnata al I sec. a.C., sulla base dei confronti con le grafie di P. Oxy. XXIV 2387 (Pll. I-II; I sec. a.C./I sec. d.C.) e di P. Oxy. XXXII 2617 (Pll. I-II; I sec. a.C./I sec. d.C.), deve piuttosto essere attribuita alla fine dei I sec. a.C. o agli inizi del secolo successivo.
II 43 (Pack2 2467)
La scrittura di II 43 (riproduzione in P. Mil. Vogl. II, tav. III) fu assegnata dagli edd. al II sec. d.C. In realtà, sulla scorta dei confronti con le grafie di PSI X 1176 (Tav. III; metà del I sec. d.C.), P. Oxy. II 225 (Pl. V; assegnato alla parte centrale o finale del I sec. d.C.), P. Oxy. XXXIV 2725 (Pl. VIII; 71 d.C.), P. Berol. 6926 (Roberts, GLH, 11a; seconda metà del I sec. d.C.), si può proporre per essa una collocazione alla metà del I sec. d.C. o nei decenni immediatamente successivi.
II49 (Pack2 2153)
Frammento di un bifoglio di codice pergamenaceo di contenuto non propriamente grammaticale, come voleva l'ed., ma, più probabilmente, retorico15.
Su questo testo è intervenuta una seconda mano, la quale ha operato alcune aggiunte con inchiostro nero. palesemente difforme da quello metallico color bruno utilizzato dal copista: cfr. la stigme di col. I l. 3 (loj:kai), la correzione di tunun in toinun in col. I l. 13, l'aggiunta interlincare pa`ra', in col. IV l. 4.
Il testo è disposto su due colonne per pagina. Il campo di scrittura è delimitato da un sistema di rigatura verticale, costituito da quattro righe che si estendevano per tutta l'altezza della pagina. La larghezza delle selides è di cm 4,7; il margine interno misura cm 1,5; l'intercolumnio poco più di cm 1. Col. I misura in altezza cm 11; Col. IV misura invece cm 10,6. Il margine superiore. integro, è di cm 2,5. Giacché il secondo foglio, solo parzialmente conservato, risulta del tutto bianco per una larghezza di circa cm 3 (quasi il doppio del margine interno dell'altro foglio), se ne deve dedurre che vi erano due pagine parzialmente o integralmente bianche.
Il testo è vergato con una grafia formale mista ad esse inclinato, riferibile ad una fase ormai prossima alla piena sistemazione del canone della maiuscola ogivale inclinata. Fra le singole lettere sono da segnalare: e con tratto mediano appena accennato, sprovvisto di coronamento. q con tratto mediano perfettamente contenuto entro l'anello. k con le barre oblique tangenti l'asta verticale, anche se, talvolta, la barra discendente risulta innestata su quella ascendente e non sull'asta verticale. o e, talvolta, w risultano di dimensioni ridotte e sono collocati nella parte alta del rigo; l'w, inoltre presenta la cuspide mediana appena accennata e le curve non mostrano la forma a 'sesto acuto' tipica della maiuscola ogivale inclinata. Il copista ha tenuto un angolo di scrittura di 75% o poco più. Tale angolo di scrittura appare mantenuto costantemente uguale e non viene variato, a seconda dei diversi tratti, per ottenere particolari effetti di chiaroscuro: si noti, ad esempio, che la traversa del n è di spessore medio-massimo. Un effetto di apicatura è prodotto dai coronamenti alle estremità di talune aste orizzontali (g, t), della curva superiore di j e, soprattutto, del braccio destro del calice di u; tali coronamenti risultano abbastanza contenuti e non sono apposti con assoluta regolarità. Questa scrittura fu originariamente datata al VII sec. d.C. In realtà, sulla base degli elementi più sopra esposti, la si deve piuttosto riferire al pieno IV sec. d.C., in un periodo cioè assai prossimo al momento di canonizzazione della maiuscola ogivale inclinata, che cade appunto tra la fine del IV e gli inizi del V sec. d.C. Tale datazione può essere ulteriormente suffragata dal confronto con la grafia di P. Berol 273 (PGB 43b), riferibile al IV sec. d.C.16.
III 121
Frammento di una colonna di rotolo papiraceo contenente la parte finale di Ap. Rh. III 1291-1305.
Lo spazio bianco di circa 7 mm al di sopra di l. 1, ampiamente superiore a quello delle altre interlinee, lascerebbe supporre che con il verso 1291 avesse inizio questa colonna. In corrispondenza del punto di frattura superiore del reperto si notano tuttavia alcune tracce d'inchiostro. L'irregolarità nelle dimensioni dell'interlinea riscontrabile in questo papiro non consente di escludere che si abbia qui la parte finale del verso 1290 (fort. e]sk[e] b[oaula), ovvero un'aggiunta od un'annotazione nel margine superiore.
L. 3 (III 1293): au]tar non ]autar.
L. 6 (III 1296): enant]ion:oi (come i codd.) non ]wn oi. La ¥nw otigm», non precedentemente rilevata, può essere attribuita al copista stesso, essendo collocata entro il rigo e fra lettere spaziate. Gli a postrofi di l. 5 e l. 12, tracciati, come anche l'accento di l. 9, con inchiostro identico a quello usato per il testo, risultano invece apposti in un secondo momento.
L. 7 (III 1297): enep]lhsan non ]lhfan; ™nšplhxan codd.
L. 9 (III 1299): ] co£noiein non ]coanoiein; co£noisin codd.
L. 10 (III 1300): an]amarmurousin non ]amwrmurousin; ¢namarma…rousin codd.; ¢namarmÚrousin Ruhnken17.
L. 11 (III 1301): lhgo]usin ed., codd. Le tracce d'inchiostro prima di s non sembra possano appartenere ad uno u: in questa scrittura infatti lo u non presenta mai apici alla sommità del braccio destro del calice. Con una lettura u mal si concilia anche la traccia visibile in basso a destra. È possibile una lettura lhgou]ssin, con geminazione della sibilante, cfr. E Gignac, Grammar, I, p. 159 sg.
L. 12 (III 1302): o]ppot' a[Ž]xh non ]ppot`a'[ƒ]xh.
LL. 13-15: ]..as[
aiq]oj III 1304?
erut]o III 1305?
L'ed. leggeva:
]isas[---]
]hj
][-]
e riteneva che i versi contenuti in queste linee fossero versi addizionali (1302a,b,c), appartenenti ad un testo più ampio rispetto a quello tràdito dai codici medievali, pur non escludendo del tutto la possibilità che potesse trattarsi di versi sostitutivi (in luogo dei vv. 1303 sgg.), ovvero di versi accidentalmente trasposti da altro luogo del poema. Dubbi sull'esistenza di questo testo più ampio sono stati più volte avanzati, anche in relazione all'altro papiro di Apollonio Rodio che, apparentemente, presenta versi aggiuntivi, P. Oxy. 269418. In effetti le tracce finali di l. 14 potrebbero appartenere ad aiq]oj (v. 1304; per il disegno di omikron cfr. l. 10) e quelle di l. 15 all'omikron finale di œruto (v. 1305). Dall'altra parte, pare doversi escludere alla linea 13 una lettura ]isas[. Prima di as[ si osservano infatti i resti di due aste verticali, delle quali la prima sporge notevolmente al di sopra del rigo (i, n, f, y). Le tracce rimaste comunque non pare possano appartenere al v. 1303, così come è tramandato dalla tradizione medievale. Si deve tuttavia rilevare che i vv. 1304-1305 ci sono stati trasmessi dal manoscritti medievali in una redazione che è generalmente considerata incerta, se non addirittura corrotta: la difformità del testo fornito dal papiro potrebbe dunque spiegarsi con le condizioni della nostra tradizione manoscritta medievale19.
III 124 (Pack2 3)
Frammento di codice papiraceo20 contenente Ach. Tat. VI, 14-17, che misura cm 4,2 in larghezza e cm 9,2 in altezza. La pagina recto presenta le fibre parallele alla scrittura e conserva un margine esterno di mm 8. La pagina verso, con le fibre perpendicolari alla scrittura, conserva un margine interno di mm 12. Si può stabilire con buona approssimazione che ogni pagina del codice, unicolonnare, doveva contenere originariamente 47 linee e che quindi il campo di scrittura doveva misurare cm 10x23. Il formato del codice (ipotizzabile di circa cm 14x27) dovrebbe rientrare nel "Group 8" della classificazione di Turner, Typology, pp. 20, 24.
Il testo è copiato con una grafia formale mista ad asse inclinato, originariamente assegnata alla fine del II sec. d.C. Essa, in realtà, sulla base dei confronti con le scritture di P. Beatty II (riproduzione in P. Beatty II, Pt. 2, Plates; III sec. d.C. ex.), P. Ryl. III 529 (Pl. 7; III sec. d.C. ex.), P. Beatty VI (riproduzione in P. Beatty VI, Pt. 2, Pll. 104-105; IV sec. d.C. in.), deve essere attribuita al III/IV sec. d.C.
Milano Arturo Francesco Moretti
Da: Analecta Papyrologica, Vol. VII, 1995

* Manifesto la mia riconoscenza ai proff. Claudio Gallazzi e Guido Bastianini, che hanno discusso con me questioni attinenti ai reperti qui trattati, fornendo su di essi preziosi suggerimenti.
1 La collazione è stata condotta sulle edizioni di S.H. BUTCHER, Demosthenis Orationes, I, Oxford 1903, e di C. FUHR, Demosthenes Orationes, I (editio mator), Leipzig 1914.
2 Per uno status quaestionis si veda H. WANKEL, Demosthenes, Rede für Ktesiphon über den Kranz, I, Heidelberg 1976, pp. 475-477.
3 Cfr. K. OHLY, op. cit., p. 78 sg.; id., APF 7 (1924), p. 193. Tale sticometria deriva da un'edizione priva dei documenti, cfr. PASQUALI, Storia della tradizione2, p. 277 sg. Su tali documenti nel papiri, cfr. PASQUALI, ibid., pp. 273 sgg., 281 sg.; H. WANKEL, ZPE 16 (1975), pp. 151-162; P.J. PARSONS, P. Oxy. XLII 3009, introd.
4 Sulla lunghezza dei rotoli, cfr. SCHUBART, Das Buch2,p. 52 Sg.; CAVALLO, Libri scritture scribi a Ercolano, Napoli 1983, p. 14 sgg., 47; J. VAN SICKLE, Arethusa 13 (1980), pp. 5-42, specific. pp. 5-12. Per questo motivo saranno da considerare con cautela le osservazioni esposte in PSI XVII Congr, pp. 30, 38-39; si vedano a questo riguardo le osservazioni di KENYON, Books and Readers2 p. 54 sg.; CAVALLO, op. cit., p. 47 e nt. 312.
5 Solo a lavoro ultimato ho potuto apprendere che a conclusioni analoghe a quelle cui si è qui pervenuti è giunta, per via indipendente, I. ANDORLINI, in ANRW 37.1 (1993), p. 516.
6 Il frammento milanese, acquistato al Cairo nel 1937 da A. Vogliano, giacque fino al 1988 presso il Museo del Castello Sforzesco di Milano, per poi essere restituito all'Istituto di Papirologia dell'Università degli Studi di Milano, dove è inventariato col n° 1243. Entrambi i frammenti sono riprodotti in P. Mil. Vogl. II, tav. II.
7 A. VOGLIANO, Philologus 93 (1939), pp. 277-286, specific. p. 278.
8 Cfr. A. VOGLIANO, Gli scavi della Missione Archeologica Milanese a Tebtynis, in Atti IV Congr. Int. Pap., Milano 1936, pp. 485-496, p. 490; C. GALLAZZI, ZPE 80 (1990), p. 287.
9 La collazione è stata condotta sull'edizione di R. PFEIFFER, Callimachus, II, Hymni et Epigrammata, Oxford 1953 (sulle lezioni serbate dal papiro milanese che risultano superiori a quelle della tradizione medievale, cfr. p. liv); cfr. anche F. BORNMANN, Callimachi Hymnus in Dianam, Firenze 1968.
l0 Cfr. SCHUBART, Das Buck2, pp. 98-104; R.P. OLIVER, TAPhA 82 (1951), pp. 232-261, specific. p. 243 sgg.
11 Cfr. R. PFEIFFER, op. cit., p. liii e Test. 23; H. HERTER, RE Suppl. V 1931, col. 436. si deve altresì ricordare come non risultino testimoniati altri inni, oltre a quelli tramandati, cfr. R. PFEIFFER, op. cit., p. liii.
12 A. MARIOTTI, Acme 1 (1948), pp. 121-130, specific. p. 121.
13 Cfr. TURNER, GMAW2, commento al n° 22, con ulteriori esempi.
14 Sulla lunghezza dei rotoli, cfr. SCHUBART, Das Buch2, p. 52 sg.; CAVALLO, Libri cít., p. 14 sgg. e p. 47.
15 Cfr. A. WOUTERS, The Grammatical Papyri from Graeco-Roman Egypt, Brussels 1979, pp. 17,331.
16 Cfr. SCHUBART, Griechische Paläographie, pp. 140-142; TURNER, Typology, p. 104, n° 63.
17 Per una possibile spiegazione di questa singolare forma, sorta probabilmente da una commistione della lezione genuina ¢namormÚrousin e di quella corrotta ¢namarma…rousin, cfr. M.W. HASLAM, ICS 3 (1978), p. 55 sg.
18 Cfr. M.W. HASLAM, art. cit., p. 63; E. PIÑERO, StudPap 14 (1975), p. 113 sg.
19 Cfr. H. FRÄNKEL, Noten zu den Argonautika des Apollonios Rhodios, München 1968, p. 444; e l'edizione, sulla quale è stata condotta la collazione, di E. VIAN, Apollonios de Rhodes, Argonautiques, 11, Paris 1980, p. 148.
20 Anche questo reperto, di provenienza sconosciuta ed acquistato al Cairo da A. Vogliano, rimase presso il Museo del Castello Sforzesco di Milano fino al 1988, allorché fu restituito all'Istituto di Papirologia dell'Università degli Studi di Milano, dove si trova inventariato con il n° 1244. Il frammento è riprodotto in SIFC 15 (1938), pp. 121-130, tav. a fronte di p. 128.

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