La donna nella storia

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Testo

La
“grande guerra”

La Seconda
guerra mondiale
La dignità
del lavoro
Il settore
industriale
Il settore dei
servizi
Parità e
lavoro
Le prime
voci
Donna e
rivoluzione
La lotta
suffragista
Il femminismo
La donna nella storia
Il ventesimo secolo: la lotta per i diritti
La donna e il lavoro
Il primo fenomeno d’inserimento in massa delle donne nel mondo del lavoro si ebbe durante la Prima guerra mondiale tra il 1914 e il 1918. A partire dal 1915, col protrarsi della guerra, fu necessario provvedere a riaprire alcune fabbriche di vitale importanza per le esigenze belliche. I governi fecero allora appello alle donne affinché occupassero i posti e le mansioni che fino a quel momento erano considerati maschili. Il fatto accelerò l’integrazione femminile nella produzione sia agricola sia industriale e nei servizi. Parteciparono alle numerose rivendicazioni che ebbero luogo in quegli anni, reclamando aumenti salariali e protestando contro l’incremento dei prezzi. L’inserimento nel mondo del lavoro non diminuì i loro impegni domestici, che veniva alleviato con l’istituzione all’interno degli stabilimenti di asili per i figli delle lavoratrici (furono le donne anziane a dedicarsi alla cura dei piccoli e delle case, mentre le più giovani si recavano in fabbrica).
Alla fine della guerra i governi facevano pressione affinché lasciassero le attività e tornassero alle loro mansioni “naturali”, la cura della famiglia e del focolare. Molte accolsero l’invito, altre dovettero adattarsi a svolgere quei compiti che gli uomini rifiutavano, altre ancora rifiutarono di tornare agli antichi ruoli: il servizio domestico e l’agricoltura.
La guerra mutò anche l’atteggiamento femminile nei riguardi del movimento operaio. Il numero delle donne iscritte ai sindacati aumentò e vennero così costituite nuove associazioni sindacali specificamente femminili.
La guerra mostrò quanto poteva valere la manodopera femminile come manodopera di riserva. Le nuove tecnologie richiedevano più destrezza e velocità che non muscoli e resistenza fisica.
Il lavoro femminile dopo la Seconda guerra mondiale
Nel secondo conflitto mondiale, nel settembre del 1936, si ripeté la stessa situazione che si era già verificata vent’anni prima. Le donne vennero massicciamente inserite negli ambiti produttivi per ricoprire i posti lasciati vacanti dagli uomini e il loro inserimento nel mondo professionale conobbe un certo incremento.
La struttura interna del lavoro femminile conobbe grossi cambiamenti grazie ad una nuova concezione del lavoro stesso, visto come realtà necessaria che dava dignità alla donna. L’affermazione di questa idea favorì l’impiego di un numero sempre elevato di donne in età giovanile, di donne sposate e di donne delle classi medie. Le donne del ceto operaio abbandonavano il lavoro salariato solo quando le condizioni economiche lo consentivano. A partire dalla Seconda guerra mondiale, la presenza delle lavoratrici si concentrò in quei settori d’attività già occupati dall’inizio del secolo; per contro si verificò un calo nella percentuale di donne impegnate nell’agricoltura dovuto al loro passaggio all’industria. Allo stesso modo diminuì il numero di donne impegnate nel sevizio domestico e come nutrici, a causa dei cambiamenti intervenuti nella vita privata: molto domestiche si avviavano al lavoro in fabbrica. Il terziario conobbe un aumento progressivo di lavoratrici (come segretarie, telefoniste e altro),grazie all’inserimento di operaie più qualificate e soprattutto donne di classe media.
I posti di telefonisti e infermieri erano ricoperti da donne e ugualmente il commercio al minuto era nelle mani femminili, così come le attività di pulizia, parrucchiera, tintoria… La medicina, l’ingegneria, l’avvocatura e altro, cominciarono la presenza femminile era ancora minoritaria ma in costante crescita . L’insegnamento si dimostro l’unico ambito con un a rilevante partecipazione di donne, maggiore nella scuola primaria.
La discriminazione non scomparve dal mercato del lavoro: le donne continuarono ad occupare le categorie inferiori, i lavori routinari e peggio remunerati nella scala professionale. Si verificò a partire dalla Seconda guerra mondiale una dei lavori tra uomini e donne. Mestieri che in precedenza erano stati degli uomini si andarono “femminizzando”, perdendo il loro prestigio sociale e allo stesso modo vennero create nuova professioni femminili. Solo i paesi socialisti ruppero questo schema di valori e le donne poterono accedere a professioni più qualificate in competizione degli uomini: l’ingegneria, la medicina.
La donna e la lotta per l’emancipazione
Le prime battaglie per i diritti della donna ebbero inizio nella seconda metà del XIX secolo. I movimenti femminili perseguivano degli obiettivi: i diritti legali, lasciando in secondo piano la parità nel lavoro; erano guidati dalle donne delle classe media, che rivendicavano l’uguaglianza davanti alla legge e la possibilità di cedere al voto.
Negli Stati Uniti, le prime rivendicazioni femministe sorsero con la lotta per la schiavitù. Nel 1848 si tenne a New York la prima convenzione sui diritti della donna, le cui risoluzioni invocavano la parità di trattamento in diversi campi: il matrimonio, il lavoro salariato, la proprietà e infine la custodia dei figli.
Wyoming fu il primo stato a concedere il voto (1869), mentre nel resto del paese la popolazione femminile non poté godere di tale diritto fino al 1920.
In Europa la lotta per conseguire questi diritti cominciò solo nei primi anni del XX secolo.
A partire dal 1903, in Inghilterra, si formo un movimento suffragista quando Emmeline Pankhurst creò l’”Unioine sociale e politica delle donne”(WSPU), un’organizzazione femminile interna al partito laburista. Il movimento ricorse sia a mezzi pacifici e politici, sia alla lotta violenta con la forza dell’ordine: per la prima volta nella storia le donne finirono in carcere per difendere i loro diritti.
In occasione della Prima guerra mondiale, il movimento suffragista si scisse in due correnti:
1. quella riformista che rivendicava il diritto di voto solo per la donne che sapevano leggere e scrivere;
2. quella socialista , secondo la quale la lotta femminista non poteva prescindere dal radicale cambiamento della società capitalistica e che di fronte al conflitto si manifestò un’attitudine pacifista.
La battaglia delle “suffragette” continuò anche nel dopoguerra e fino al 1928 la donna britannica non poté votare con le stesse modalità dell’uomo.
A dispetto delle teorie di Marx, Engels e Lenin, la rivoluzione sociale in Russia, nel 1917, dimostrò che gli obbiettivi privilegiati erano gli interessi di classe e l’emancipazione degli operai, mentre il problema dell’emancipazione femminile rimase irrisolto. La socialista Rosa Luxemburg criticò l’esperienza sovietica proprio perché aveva accantonato la questione femminile. Anche Clara Zetkin e Alexandra Kollontai sottolinearono le contraddizioni del movimento socialista, poiché erano convinte non potevano darsi due fasi per l’abolizione dello sfruttamento femminile e che una rivoluzione socialista doveva unire l’emancipazione della donna alla lotta sociale.
Il movimento femminista dopo la Seconda guerra mondiale
Negli anni’60, accanto alle proteste di alcune minoranze: neri, pacifisti, studenti si inserisce il movimento di liberazione femminile, con la sua lotta per cambiare il ruolo assegnato alla donna nella società.
Il “risorgimento” femminista fu accompagnato dalla pubblicazione di due test teorici:
1. il Secondo sesso di Simone de Beauvoir , analizzava le cause storiche che avevano reso la donna l’”altro”, rispetto al mondo maschile e rivendicava la differenza all’interno dell’uguaglianza tra soggetti liberi;
2. la Mistica della femminilità di Betty Friedan, denunciava la schiavitù del focolare e l’isolamento della donna americana, rinchiusa in casa e circondata dalle comodità moderne che invece di liberarla la incatenano con la forza sempre crescente.
Il movimento femminista ebbe un grande impulso alla fine degli anni’60 e raggiunse il suo culmine a metà degli anni ’70.
Negli ultimi anni ’60 si costituirono numerosi gruppi in tutti i paesi capitalisti e si ebbero le prime azioni e i primi riflessi sulla società. Venivano messe in discussioni le cause della distribuzione di ruoli tra uomo e donna, fonte di ogni discriminazione, le relazioni di potere fra i sessi, con tutti i conflitti che ne derivavano. All’interno del movimento coesistevano varie tendenze:
1. la corrente riformista, che sosteneva la lotta per la parità sessuale in tutti i campi dell’attività sociale;
2. la corrente socialista, che considerava necessaria la fine del capitalismo per la liberazione della donna;
3. la corrente radicale, che individuava nel patriarcato l’origine dell’oppressione femminile.
Molti furono i contributi portati dal movimento femminista: i progressi nel riconoscimento dell’uguaglianza tra uomini e donne nei paesi capitalisti, sia in ambito legale sia nella pratica quotidiana. Per la prima volta le donne misero in discussione il loro ruolo sociale, rifiutando il “destino naturale” che era stato a loro attribuito dalla fine del ‘700 e infine fecero udire la loro voce manifestando le loro rivendicazioni e rompendo il silenzio al quale erano state relegate per secoli.
Anche le istituzioni sovranazionali, quali l’ONU, si sono preoccupati per l’iniqua situazione in cui si trovano le donne nel mondo. Venne indetto il Decennio delle Nazioni Unite per la Donna, iniziato nel 1975, e la Conferenza di Nairobi, nel 1985,che servirono per stabilire un programma di uguaglianza di opportunità tra i 157 stati partecipanti. (Nonostante l’evidente progresso verso una legislazione ugualitaria, riconosciuta a Nairobi come una delle prima riconquiste della donna, restano in sospeso importanti questioni il che dimostra che non si risolvono tutti i gravi problemi delle donne…)
Gli anni’80 sono stati caratterizzati da una disgregazione del movimento femminista in molti gruppi e organizzazioni. Obiettivi nuovi sono stati perseguiti, tra cui spicca la depenalizzazione dell’aborto e il divorzio. Anche le istituzioni europee hanno deciso di impegnarsi in una politica non discriminatoria nei confronti delle donne. La crescente coscienza femminile si è andata diffondendosi in tutta la società.

L’immagine della donna
Il XX secolo è quello che ha segnato maggiormente l’affermazione delle donne nello spazio pubblico e nella conquista dei loro diritti sul piano della vita privata. Nelle società occidentali, gli ultimi decenni hanno visto modificarsi il loro status giuridico, le condizioni della loro indipendenza, il accesso a certe forme di potere e alla creazione artistica. Il XIX secolo, con la diffusione e l’imposizione di una morale conservatrice, aveva imbavagliato le donne delle classi agiate e sfruttato le più povere al limite di ogni tollerabilità. Le opere di Friedrich Engels per l’Inghilterra e Emile Zola per la Francia descrivono quanto siano costati alle donne la modernizzazione del lavoro in fabbrica, l’urbanizzazione. La loro condizione è potuta migliorare solo a prezzo di dure battaglie, quando si sono associate all lotte operaie cercando di far sentire la voce della specificità femminile
Oltre alla lotta perseverante e coraggiosa si sono prodotti eventi, talvolta tragici, che hanno contribuito ad accelerare l’evoluzione della condizione femminile. Innanzitutto le guerre: con la mobilitazione di qualsiasi tutta la popolazione maschile, le due guerre hanno aperto alle donne l’accesso agli impieghi occupati dagli uomini, non solo nei settori dell’industria legati alla produzione bellica, ma anche in funzioni riservate agli uomini. Le donne hanno così lasciato l’universo familiare per affrontare il mondo del lavoro e ciò ha profondamente trasformato le mentalità, le aspirazioni e ha fatto prendere coscienza delle capacità produttive e intellettuali delle donne. Finita la guerra, la situazione si è invertita, con i governi che incoraggiavano le donne a ritornare a casa per restituire il posto agli uomini di ritorno dal fronte. I progressi della tecnologia hanno favorito l’affrancamento dagli obblighi domestici; i nuovi strumenti, le nuove macchine, ma anche i nuovi modi di preparazione dei prodotti a seguito della razionalizzazione della produzione facilitano l’adempimento delle funzioni tradizionali del preparare da mangiare, pulire e curare la casa. Negli anni ’70, il controllo legalizzato delle procreazione e l’aborto ha liberato inoltre le donne dalle gravidanze indesiderate. Gli ostacoli al controllo delle nascite, legati sia alle pressioni di tipo religioso che alle condizioni dei Paesi in via di sviluppo, costituiscono per molte donne un fardello. Anche nei Paesi “ricchi” esistono molti altri freni alla libera affermazione delle donne: per esempio l’avanzare della crisi economica e il diffondersi delle famiglie con un solo genitore, in cui le donne svolgono le funzioni di capofamiglia e si assumono da sole la responsabilità dell’educazione dei figli e del loro mantenimento, le conducono molto spesso all’emarginazione.
E’ incontestabile che le donne abbiano superato una dopo l’altra le barriere imposte dagli uomini. E’ cambiata la loro mentalità: ormai è accettato che una ragazza debba preoccuparsi del proprio futuro professionale allo stesso modo di un ragazzo; il matrimonio non è più l’unico scopo della vita, l’indipendenza economica e la possibilità di disporre liberamente il proprio corpo e della propria anima.
Il cammino da percorrere delle donne è ancora lungo, persistono ancora discriminazioni nel mondo del lavoro, sia per i salari che per le assunzioni, e non sono scomparsi gli ostacoli che sbarrano l’accesso a certe professioni, anche se alcune coraggiose riescono a superarli. I rapporti umani generati da questi profondi mutamenti pongono nuovi problemi a entrambe i sessi.

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