L'energia:forme e fonti

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Da sempre l'uomo ha dovuto utilizzare dell'energia per sopravvivere: dapprima quella muscolare per cacciare fino a quella nucleare per produrre elettricità. Sembrerebbe che l'energia non centri molto con la natura, ma poi, pensando un po' ci rendiamo conto che è alla base di tutti i fenomeni naturali, quindi quest'ultima è in grado di produrre effetti. Le forme energetiche sono principalmente quattro: meccanica, termica, chimica ed elettrica, mentre le fonti sono molte di più, ma si possono dividere in due gruppi: rinnovabili e non rinnovabili. Ma per convertire queste fonti energetiche in energia vera occorre utilizzare dei convertitori. Ma la produzione di energia crea molti problemi, e non comporta solo conseguenze positive.
FORME
Le forme di energia si dividono in base al tipo di energia fornita.
MECCANICA
Una massa sollevata da terra vincendo la forza di gravità possiede un'energia potenziale. Se la si lascia cadere a terra, può eseguire un lavoro, cioè la sua energia può essere impiegata per fare qualcosa di utile, come conficcare un palo nel terreno. Questo è un esempio di energia meccanica, questa è il primo tipo di energia utilizzata dall'uomo per produrre un lavoro, come nei mulini a vento ed ad acqua. Oggi quest'energia viene ancora utilizzata, come, per esempio, con le centrali eoliche, idroelettriche e mareo motrici.
CHIMICA
Un barile di petrolio contiene energia chimica latente (cioè non sviluppata) che può essere utilizzata per alimentare un motore diesel. Così , in una centrale elettrica, l'energia chimica latente del carbone, mediante combustione, genera calore necessario a mettere in moto il sistema che fa funzionare le turbine. Quest'energia fu la prima ad essere utilizzata nel '700 durante la rivoluzione industriale, quando fu inventato il motore a vapore. Nell'900 fu, però, sostituita da quella del petrolio, che favorì il progresso degli ultimi decenni. Ora quest'energia viene utilizzata, come detto prima, per la produzione di energia elettrica.
ELETTRICA
L’energia elettrica è l'unico tipo di energia non presente in natura, o almeno inutilizzabile come quella dei fulmini. Per produrla allora bisogna usare dei trasformatori utilizzando la conversione di altre forme energetiche. Infatti l'utilizzo dell'energia elettrica si è cominciata ad utilizzare solo nell'ultimo secolo.
TERMICA
Una quantità di calore passando da un corpo a temperatura più alta a un altro a temperatura più bassa può sviluppare lavoro; è ciò che si verifica, ad esempio, nelle macchine o nelle turbine a vapore. Attualmente l'energia termica viene utilizzata solo per la produzione di energia elettrica, ma ha contribuito moltissimo, nel passato, per il grande sviluppo industriale , quando veniva utilizzata per molti macchinari industriali e poi per mezzi di trasporto come treni e le prime automobili.
FONTI
Le fonti di energia sono corpi o materiali in cui, all'origine, è "immagazinata" l'energia che noi utilizziamo. Esse vengono comunemente classificate in fonti non rinnovabili e fonti rinnovabili.
NON RINNOVABILI
Le fonti non rinnovabili, sono quelle che si prevede possano essere sfruttate solo per un numero limitato di anni, dopo di che si esauriscono e non potranno essere ricostruite se non in tempi lunghissimi rispetto ai tempi "storici". Sono fonti non rinnovabili il carbone, il petrolio, gas naturale, l'uranio. Le fonti non rinnovabili si distinguono comunemente in :
* le risorse, che rappresentano la quantità totale di ogni sostanza presente in natura;
* le riserve, che sono solo una parte delle precedenti: essa rappresenta la quota di risorse economicamente sfruttabile, cioè quella il cui costo di estrazione risulta conveniente.
CARBONE
Il carbone deriva dall'accumulo di vegetali sotto coltri isolanti di argilla e altri materiali coibenti. Le foreste, che centinaia di milioni di anni fa coprivano praticamente tutte le terre emerse, produssero enormi depositi di vegetali; parte di essi si trovò nelle condizioni ideali (assenza di ossigeno, alte temperature e notevoli pressioni) per trasformarsi in carbone. In tali condizioni l'ossigeno e l'idrogeno costituenti le molecole di cellulosa distillarono frazionatamente, lasciando esclusivamente il carbonio. Tale processo, chiamato appunto carbonizzazione, è durato per intere ere geologiche ed è consistito nel progressivo aumento della percentuale di carbonio nella materia organica che, a seconda della durata del processo, si è trasformata in torba, lignite, litantrace o antracite.
ESTRAZIONE
Lo sfruttamento dei giacimenti di carbone si può effettuare in due modi distinti: in Superficie, con miniere a cielo aperto, quando il giacimento affiora; oppure con lo scavo gallerie o pozzi per sfruttare gli strati carboniferi più profondi. Per l'individuazione dei giacimenti di carbone, come per tutti i giacimenti minerari, necessitano uno studio geologico, qualora il giacimento non sia a cielo aperto; in questo secondo caso lo scavo del materiale e' più facile e meno costoso. Più comunemente i giacimenti di carbone si trovano in profondità'; in tal caso le operazioni di scavo del materiale sono rese molto pericolose dalla costante presenza, ne gallerie, del grisou (un gas esplosivo formato da metano e ossigeno miscelati). L'italia, paese geologicamente giovane, presenta scarsità di giacimenti di carbone.
L'ESTRAZIONE SOTTERRANEA
La maggior parte della produzione di carbone deriva dalle miniere sotterranee; la profondità cui si spingono raggiunge in alcuni casi anche il 1000 metri. Questi tip di miniera sono strutturati con pozzi verticali, muniti di impianti di sollevamento, che sono utilizzati per 'accesso, e con gallerie orizzontali che servono per 'estrazione. Tra i problemi di ordine tecnico che gli scavi sotterranei pongono, vi e' quello della ven-tilazione adeguata delle gallerie e dei pozzi, necessaria, oltre che per 'igiene, anche per la sicurezza, per 'evacuazione delle polveri e di eventuali gas nocivi. Altro problema e' costituito dallo smaltimento delle acque che sono quasi sempre presenti, in diversa misura, nelle gallerie. II lavoro nelle miniere Si realizza alto stato attuate con apparecchiature automatizzate che, anche se richiedono grandi investimenti di denaro, tuttavia garantiscono produzioni giornaliere notevoli.
L'ESTRAZIONE I SUPERFICIE
L'estrazione in superficie e detta a cielo aperto. Viene esegui portando gli strati che ricoprono i banchi di carbone e quindi scavando il carbone. produttività delle miniere a cielo aperto e molto maggiore di quelle sotterranee; e in definitiva anche i costi di produzione sono ridotti. Ovviamente i danni paesaggistici sono enormi. Infatti, con tale tecnica vaste zone vengono stravolte; in alcune località' intere cime di montagne vengono asportate dai lavori delle miniere. Tutto ciò, oltre a ripercuotersi negativamente sulle bellezze naturali, crea problemi all'ambiente, provocando dissesti idrogeologici. Scavi sotterranei
DISPONIBILITÀ DI CARBONE E PROBLEMI AMBIENTALI
Il carbone e' presente in quantitativi importanti entro la crosta terrestre. Nelle sue forme diverse, esso èil combustibile fossile più diffuso. Le riserve di carbone nel mondo, sfruttabili sulla base dell'attuale tecnologia, ammontano a poco meno di 700 miliardi di te (tonnellate equivalenti di carbone); superano di gran lunga quelle di qualsiasi altro combustibile fossile e sono sufficienti a sostenere un aumento massiccio del consumo fino al XI secolo inoltrato. E interessante notare la spiccata caratteristica di questo combustibile a essere utilizzato soprattutto in prossimità dei luoghi di produzione. Ciò e' facilmente spiegabile non tanto considerando che i paesi produttori di carbone sono essi stessi forti consumatori di tale combustibile, ma perchè il carbone comporta difficoltà' di trasporto e di distribuzione ed effetti ecologici negativi.
PETROLIO
Il petrolio è un liquido oleoso più o meno denso, infiammabile, di colore variabile da giallastro a nero, costituito essenzialmente da una miscela di idrocarburi fossili. Si trova in grandi quantità sotto la superficie terrestre ed è la principale materia prima dell'industria petrolchimica. Nelle moderne società industrializzate, la gran parte dei derivati del petrolio viene utilizzata come carburante per motori a combustione interna e, in diverse forme, come combustibile per il riscaldamento domestico, per gli impianti industriali, per la produzione di energia elettrica ecc. I derivati del petrolio costituiscono anche buona parte delle materie prime impiegate nell'industria delle materie plastiche e nell'industria chimica in generale, per la produzione di medicinali, fertilizzanti, materiali da costruzione, fibre tessili, vernici e coloranti, sostanze e additivi alimentari ecc. L'attuale civiltà industriale dipende in larga misura dai derivati del petrolio: l'insediamento delle comunità suburbane intorno alle grandi città sono il risultato della mobilità permessa dai mezzi di trasporto moderni, e quindi della disponibilità di grandi quantità di petrolio a basso costo. Anche le principali strategie economiche dei paesi in via di sviluppo, mirate a sfruttare le risorse naturali per fornire derrate alimentari alle popolazioni in rapida crescita demografica, sono basate sul presupposto della disponibilità di petrolio. Negli anni Settanta, le restrizioni sulle forniture petrolifere, causate da ragioni politiche, determinarono un sensibile aumento dei prezzi del petrolio greggio e l'instaurarsi di timori relativi alla scarsità delle risorse mondiali di petrolio; dopo alterne vicende, verso la fine degli anni Ottanta i prezzi scesero nuovamente, dimezzandosi rispetto ai valori raggiunti dieci anni prima.
FORMAZIONE
Il petrolio si forma sotto la superficie terrestre per decomposizione di organismi marini e di piante che crescono sui fondali oceanici, oppure, in misura minore, di organismi terrestri, poi trasportati in mare dai corsi d'acqua. I resti della decomposizione si mescolano con le sabbie finissime e con il limo del fondo del mare, in zone non caratterizzate da forti correnti, formando sedimenti ricchi di materiali organici. Il fenomeno ebbe inizio molti milioni di anni fa, quando esisteva un'abbondante fauna marina, e continua ancora oggi. I sedimenti depositati sul fondo degli oceani, accrescendo il loro spessore e dunque il loro peso, sprofondano nel fondale marino; a mano a mano che altri sedimenti si accumulano, la pressione su quelli sottostanti aumenta considerevolmente e la temperatura si alza di diverse centinaia di gradi. Il fango e la sabbia si induriscono trasformandosi in argillite e arenaria, il carbonio precipita, le conchiglie si induriscono trasformandosi in calcare, mentre i resti degli organismi morti si trasformano in sostanze più semplici composte da carbonio e idrogeno, gli idrocarburi appunto, costituendo il petrolio greggio e il gas naturale. Il petrolio ha densità minore dell'acqua salmastra che riempie gli interstizi dell'argillite, della sabbia e delle rocce di carbonati che costituiscono la crosta terrestre: tende dunque a risalire verso la superficie, passando dai microscopici pori dei più grossi sedimenti sovrastanti. Frequentemente il petrolio e il gas naturale incontrano uno strato di argillite impermeabile o di roccia più compatta, che impedisce la salita: rimangono dunque bloccati e danno origine a un giacimento che viene detto "trappola". Generalmente, la maggiore quantità del petrolio che si forma non incontra impedimenti, e risale lentamente verso la superficie terrestre o il fondale marino, creando giacimenti superficiali; questi giacimenti comprendono anche laghi bituminosi, e gas naturale che sbocca spontaneamente dalla superficie terrestre.
STORIA
I giacimenti superficiali furono ignorati dagli esseri umani per migliaia di anni; per lungo tempo essi vennero utilizzati solo per scopi limitati: ad esempio, il calafataggio delle barche e l'impermeabilizzazione dei tessuti. Nel Rinascimento si iniziò a distillare il petrolio greggio dei giacimenti superficiali per ottenere lubrificanti e prodotti medicinali, ma il vero e proprio sfruttamento del petrolio ebbe inizio solo nel XIX secolo. All'epoca, la rivoluzione industriale e i conseguenti cambiamenti sociali stimolarono notevolmente la ricerca di nuovi combustibili, in particolare di oli per lampade di buona qualità ed economici, che si rendevano necessari a causa delle crescenti richieste, da parte della popolazione, di fonti di illuminazione per lavorare e leggere anche dopo il tramonto. I combustibili del tempo non erano soddisfacenti: l'olio di balena era estremamente costoso, le candele di sego emanavano un odore sgradevole, mentre i becchi a gas erano disponibili solo nelle abitazioni più moderne delle aree urbane. La ricerca di un combustibile migliore per le lampade determinò un netto aumento della richiesta di petrolio greggio, e verso la metà del XIX secolo numerosi scienziati iniziarono a studiare e mettere a punto tecniche per produrre e commercializzare sostanze capaci di soddisfare le esigenze popolari. Nel 1852 il fisico e geologo canadese Abraham Gessner brevettò un procedimento per ricavare dal petrolio greggio un combustibile per lampade di costo limitato, che venne chiamato petrolio illuminante, o cherosene; tre anni dopo il chimico statunitense Benjamin Silliman pubblicò uno studio in cui elencava la vasta gamma di prodotti utili che potevano essere ricavati dalla distillazione del petrolio. Da quel momento, ebbe inizio la corsa ai rifornimenti di greggio. I primi pozzi petroliferi veri e propri furono trivellati in Germania nel 1857-1859. Tuttavia, l'avvenimento del tempo che ebbe risonanza mondiale fu la trivellazione di un pozzo nei pressi di Oil Creek, in Pennsylvania, a opera del colonnello Edwin L. Drake: nel 1859 questi effettuò numerosi sondaggi con lo scopo di trovare l'ipotetica "sacca madre", da cui dovevano provenire tutte le infiltrazioni di petrolio della Pennsylvania occidentale. In realtà il giacimento trovato era profondo solo 21,2 m, ma il petrolio era di tipo paraffinico, molto fluido, e facile da distillare, e il successo di Drake segnò l'inizio della moderna industria petrolifera. Presto il petrolio suscitò l'interesse della comunità scientifica e furono sviluppate ipotesi plausibili riguardo alla sua formazione. Con l'invenzione del motore a combustione interna e con il crescente fabbisogno energetico causato dallo scoppio della prima guerra mondiale, l'industria petrolifera divenne una delle basi della moderna società industriale.
ESTRAZIONE
Sondaggi
Per individuare i giacimenti sotterranei, si cerca un bacino sedimentario, dove argilliti ricche di materiali organici siano rimaste sepolte per un tempo sufficientemente lungo affinché il petrolio abbia potuto formarsi (il lasso di tempo può variare da decine di milioni a un centinaio di milioni di anni). Le condizioni dell'ambiente, inoltre, devono aver permesso al petrolio di raggiungere strati rocciosi permeabili, ma delimitati da strati impermeabili, capaci di trattenere una grande quantità di liquido. I geologi dispongono di molti strumenti per identificare le zone potenzialmente interessanti. Uno di questi è il rilevamento degli affioramenti superficiali di strati sedimentari, che permette di dedurre le caratteristiche del primo strato del sottosuolo; queste informazioni, a loro volta, possono essere integrate dai dati ottenuti perforando la crosta terrestre, e prelevando campioni degli strati di roccia attraversati. Inoltre, tecniche sismiche sempre più sofisticate, quali la riflessione e la rifrazione di onde d'urto inviate nel terreno, rivelano dettagli importanti sulla struttura e sull'interrelazione dei vari strati rocciosi sottostanti la superficie terrestre. In ultima analisi però, l'unico modo per provare inconfutabilmente la presenza di una trappola petrolifera in una zona determinata è il trivellamento di pozzi esplorativi. Un giacimento petrolifero può comprendere diversi bacini, che sono in genere situati uno sopra l'altro, separati da strati di roccia impermeabile, generalmente a una profondità compresa tra poche decine e diverse centinaia di metri. I bacini possono estendersi su una superficie di poche decine di ettari o coprire decine di chilometri quadrati; tuttavia è da notare che la maggior parte del petrolio sfruttato su scala mondiale viene estratto da un numero relativamente limitato di giacimenti molto estesi.
Recupero primario
Nella maggior parte dei casi, i pozzi petroliferi vengono trivellati con il metodo "a rotazione" (rotary) brevettato in Gran Bretagna nel 1844 da R. Beart. L'elemento più appariscente di un impianto di perforazione è l'alta struttura a traliccio detta torre di trivellazione, o derrick, che a circa tre metri dal suolo sostiene una piattaforma sulla quale sono montati la "tavola rotante" e il relativo apparato motore. Entro un foro a sezione quadrata della tavola rotante (orizzontale) scorrono verticalmente, ricevendo da questa un moto rotatorio, le aste tubolari (pure a sezione quadrata) della batteria di perforazione, che vengono avvitate una sull'altra man mano che penetrano nel terreno. La prima asta, che provvede alla perforazione del terreno, è dotata di una testa tagliente (denominata "scalpello"), generalmente costituita da tre ruote dentate coniche ad assi concorrenti, con i denti di acciaio temprato o di altro materiale adatto a frantumare la roccia. All'interno della batteria di perforazione, che penetra nel terreno spinta dal suo stesso peso, viene pompato fango molto fluido: questo, raggiunto lo scalpello, ritorna in superficie (portando con sé i detriti del terreno scavato) passando nell'intercapedine situata fra le aste della batteria e le pareti del foro (il diametro dello scalpello infatti è maggiore di quello delle aste). Il petrolio grezzo contenuto nelle trappole sotterranee è solitamente sotto pressione e salirebbe fino alla superficie se non fosse bloccato da uno strato di roccia impermeabile; così, quando la trivella penetra in questi bacini petroliferi "pressurizzati", il petrolio fluisce immediatamente nella zona di bassa pressione costituita dal foro di trivellazione, che è in comunicazione con la superficie terrestre. Il pozzo, via via che si riempie di liquido, esercita a sua volta una contropressione sul bacino petrolifero: in teoria l'afflusso di nuovo liquido nel pozzo dovrebbe dunque cessare molto presto. In pratica, intervengono altri elementi a sostenere il flusso: fra questi, l'elevata quantità di gas contenuto in soluzione nel petrolio greggio, che si libera durante l'afflusso nel pozzo di trivellazione, causando una spinta del liquido verso l'alto, o la pressione dell'acqua freatica, che pure si traduce in una spinta del petrolio verso la superficie.
Recupero secondario
A mano a mano che si estrae greggio dal giacimento, la pressione all'interno del bacino e la percentuale di gas disciolto nel liquido diminuiscono, e dunque la quantità di petrolio che sale in superficie si riduce; a questo punto, per continuare l'estrazione è necessario ricorrere all'azione di una pompa aspirante. Quando il flusso di petrolio è diventato esiguo, tanto che pomparlo in superficie sarebbe troppo costoso (il che accade, generalmente, quando si è estratto circa il 25% della riserva del bacino), si fa ricorso a tecniche diverse, dette di recupero secondario. Allo stato attuale i sistemi di recupero secondario più usati sono due: l'iniezione di acqua e l'iniezione di gas o di vapore.
Iniezione di acqua
Per coltivare un giacimento petrolifero di grandi dimensioni, è possibile trivellare numerosi pozzi a distanze comprese tra i 60 e i 600 m, in relazione al tipo di trappola nella situazione specifica. Pompando acqua all'interno di alcuni dei pozzi, si riesce a mantenere a un livello pressoché costante (oppure ad aumentare) la pressione interna del bacino. In questo modo si incrementa la percentuale di recupero del petrolio greggio, sfruttando anche il fatto che l'acqua lo sposta fisicamente, facilitandone il recupero. In alcuni bacini molto uniformi e caratterizzati da un basso contenuto di argilla, l'iniezione di acqua può inoltre aumentare considerevolmente l'efficienza del pozzo.
Iniezione di gas o di vapore
Attraverso un foro obliquo rispetto alla direzione del foro di estrazione si inietta gas o vapore alla maggiore profondità possibile, in modo che questo spinga il petrolio verso l'alto e inoltre, miscelandosi a esso, ne diminuisca parzialmente la densità. L'iniezione di vapore è impiegata soprattutto nei giacimenti che contengono tipi di greggio molto densi e viscosi, che fuoriescono lentamente. Il vapore non solo fornisce energia necessaria a spostare il petrolio ma, innalzando la temperatura del bacino, ne riduce in modo significativo la viscosità, permettendo una fuoriuscita più rapida.
TRIVELLAZIONI IN MARE APERTO
Gli impianti di trivellazione in mare aperto (off shore) sono installati su speciali piattaforme, capaci di resistere alla forza delle onde e del vento, sia galleggianti, sia poggiate su piloni piantati nel fondale marino, a profondità di diverse centinaia di metri. Come negli impianti di trivellazione tradizionali, il derrick serve sostanzialmente a sostenere e far ruotare la batteria di perforazione, alla cui estremità è fissata la trivella stessa. Alcuni pozzi petroliferi trivellati da piattaforme di questo tipo raggiungono profondità di oltre 6500 m sotto la superficie dell'acqua.
GAS NATURALE
Combustibili gassosi I combustibili gassosi sono costituiti principalmente da idrocarburi, composti chimici le cui molecole sono formate esclusivamente da atomi di carbonio e di idrogeno. Le proprietà dei gas combustibili dipendono dal numero e dalla disposizione degli atomi di carbonio e di idrogeno nella struttura molecolare. Allo stato puro, sono inodori e talvolta tossici (come accade, ad esempio, per il monossido di carbonio): per questo motivo sono spesso mescolati a composti di zolfo che, avendo un odore sgradevole, consentono di individuare eventuali perdite nei condotti e negli apparecchi di combustione a gas. Oltre agli elementi combustibili, molti gas contengono quantità variabili di azoto e acqua, che formano i residui di combustione. Gli apparecchi che impiegano gas per illuminazione o per riscaldamento sono costituiti da un bruciatore a becco, o a corona di fori, e da un dispositivo che miscela l'aria con il gas prima che questo raggiunga il bruciatore, come avviene, ad esempio, nel becco Bunsen (vedi Lampada). I combustibili gassosi ancora in uso sono il gas illuminante, ottenuto per distillazione del carbon fossile; il gas di gasogeno e il gas d'altoforno, ottenuti dall'interazione tra vapore, aria e carbonio; il gas naturale, che fuoriesce dai depositi presenti nel sottosuolo; i GPL, ottenuti dalla liquefazione degli idrocarburi più leggeri. I combustibili gassosi bruciano con fiamma fumosa e non particolarmente calda, e vengono di solito mescolati con aria per garantire loro il massimo apporto d'ossigeno: la miscela produce una fiamma che può raggiungere i 2000 °C.
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GAS ILLUMINANTE
Il gas illuminante, detto anche gas di città, è simile al gas naturale, e rappresenta il principale prodotto della trasformazione del carbon fossile in gas, o carbo-gassificazione. Oltre a dover garantire determinati valori di pressione e di temperatura, il gas illuminante è vincolato a mantenere entro limiti molto precisi il contenuto di monossido di carbonio, zolfo, gas inerti e acqua: per questo motivo, la fase finale dei più importanti processi di carbo-gassificazione comprende la raffinazione del gas e la sua metanizzazione, cioè la trasformazione in metano. Attualmente si usano vari processi di idro-gassificazione, nei quali l'idrogeno reagisce direttamente con il carbonio per formare metano, eliminando la fase intermedia di produzione dei gas di sintesi (ossigeno e idrogeno). Fra gli altri processi di produzione di gas illuminante figurano il processo al diossido di carbonio, che impiega la dolomite (materiale ricco di calcite), e il processo a sali fusi. Entrambi i processi operano indirettamente, dopo la produzione dei gas di sintesi.
GAS D'ACQUA E GAS DI GASOGENO
Il gas d'acqua è una miscela di idrogeno e monossido di carbonio, con piccole quantità di azoto, metano e diossido di carbonio, prodotto facendo passare una corrente di vapore acqueo su coke rovente. Ha un buon potere calorifico, ma la presenza di monossido di carbonio lo rende tossico. Il gas di gasogeno si ottiene bruciando combustibile a basso potere calorifico (ad esempio la lignite) in un recipiente chiuso, attraversato da un flusso di vapore e d'aria. Contiene circa il 50% di azoto non combustibile, che deriva dall'aria presente nel recipiente, e ha perciò un basso potere calorifico. Tuttavia, in periodi di scarsa disponibilità di derivati del petrolio (ad esempio, durante la seconda guerra mondiale), è stato usato anche come carburante per motori a combustione interna: in quei casi veniva prodotto da un piccolo gasogeno installato direttamente sull'autoveicolo.
GAS D'ALTOFORNO
Il gas d'altoforno, che si sviluppa negli altiforni dalla combustione del coke mescolato a minerale di ferro e calcare, grazie al contenuto di monossido di carbonio ha un alto valore calorifico, pur contenendo circa il 60% di azoto. Durante il funzionamento degli altiforni vengono prodotte enormi quantità di gas: la maggior parte viene utilizzata nell'altoforno stesso per riscaldare l'aria di alimentazione, mentre il resto è sfruttato dalle centrali termoelettriche per produrre elettricità.
COMBUSTIBILI NUCLEARI
L'energia nucleare é un'energia che si produce nella fissione o nella fusione di nuclei atomici. La quantità di energia che si può ricavare dal nucleo è di gran lunga maggiore di quella che si ottiene nelle trasformazioni chimiche, che coinvolgono solo la zona più esterna dell'atomo. Fino al 1800 circa il combustibile principale era il legno, che permetteva dunque di utilizzare l'energia solare immagazzinata dagli alberi nel corso della loro vita. Con l'avvento della rivoluzione industriale, l'uomo ha iniziato a utilizzare combustibili fossili, come il carbone e il petrolio, anch'essi, in ultima analisi, riserve di energia solare immagazzinata nel tempo. Quando viene bruciato un combustibile fossile, ad esempio il carbone, gli atomi di idrogeno e di carbonio del carbone si combinano con quelli di ossigeno presenti nell'aria, e producono anidride carbonica e acqua; in questa reazione chimica viene prodotta una quantità di calore che corrisponde a circa 6500-9500 kcal/kg (o 1,6 kilowattora/kg). é questa la resa tipica di una reazione chimica, che deriva da trasformazioni della struttura elettronica dell'atomo. Una parte di questa energia termica viene assorbita dal combustibile stesso, mantenendolo a una temperatura tale da rendere possibile la prosecuzione della reazione.
L'ATOMO
L'atomo è costituito da una regione centrale piccola, massiccia, di carica positiva (il nucleo), intorno alla quale ruotano gli elettroni. Il nucleo, in cui è concentrata la maggior parte della massa dell'atomo, è composto a sua volta da neutroni e protoni, tenuti insieme da forze nucleari molto intense: molto più intense di quelle elettriche che legano gli elettroni al nucleo.
FISSIONE NUCLEARE
L'equazione (2) di fissione dell'uranio consente di sottolineare due aspetti essenziali di tutti i processi di fissione nucleare. In primo luogo la quantità di energia prodotta da ogni singola fissione è molto grande; in termini pratici, la reazione di 1 kg di uranio 235 sviluppa 18,7 milioni di kilowattora in forma di calore. Secondo, il processo di fissione innescato dall'assorbimento di un neutrone dal primo nucleo di uranio 235 continua in modo autonomo: in seguito alla disgregazione di ciascun nucleo di uranio si creano, in media, 2,5 neutroni, che provocano in rapida sequenza la fissione di altrettanti nuclei di uranio 235, ciascuno dei quali a sua volta si spezza in due frammenti, con produzione di neutroni e sviluppo di energia; si realizza in questo modo un processo a catena che si autoalimenta, garantendo una produzione continua di energia nucleare. Solo lo 0,7 per cento dell'uranio presente in natura è uranio 235; il resto è costituito dall'isotopo non fissile uranio 238 e da uranio 234, che ha una concentrazione di alcune parti per mille, talmente bassa da essere inessenziale ai fini dei processi di reazione nucleare. Una quantità qualsiasi di uranio naturale, dunque, non èin grado di sostenere una reazione a catena, poichè la percentuale di U 235, il solo isotopo in grado di dare luogo a un processo di fissione in seguito a bombardamento con neutroni, è troppo piccola. La probabilità di produzione del processo di fissione in uranio naturale può però essere aumentata fino a cento volte, se i neutroni prodotti (troppo veloci per intercettare i pochi nuclei di 235U) vengono rallentati mediante una serie di collisioni elastiche con nuclei leggeri, quali idrogeno, deuterio o carbonio. Praticamente, ciò equivale a immergere l'uranio naturale in acqua pesante, un'acqua la cui molecola è composta da ossigeno e deuterio (isotopo dell'idrogeno con numero di massa 2). Nel dicembre del 1942, all'università di Chicago, il fisico italiano Enrico Fermi riusc“ a produrre la prima reazione nucleare a catena controllata, utilizzando frammenti di uranio naturale distribuiti all'interno di un blocco di grafite pura (una forma di carbonio). Nella "pila", o reattore nucleare di Fermi, la grafite fungeva da "moderatore" per rallentare i neutroni, rendendo così possibile la reazione a catena.
FUSIONE NUCLEARE
Oltre che nel processo di fissione di un nucleo pesante, anche nel processo di fusione di due nuclei leggeri si sviluppa energia nucleare. L'energia irradiata dal Sole , ad esempio, si sprigiona per le reazioni di fusione tra nuclei di idrogeno che avvengono all'interno della stella. La prima fusione nucleare artificiale fu realizzata all'inizio degli anni Trenta, mediante il bombardamento di un bersaglio di deuterio, con nuclei di deuterio ad alta energia accelerati da un ciclotrone; tuttavia il bilancio energetico della reazione fu negativo, poichè era richiesta molta energia per accelerare i nuclei. Un considerevole rilascio netto di energia per fusione fu ottenuto per la prima volta negli anni Cinquanta, nell'ambito delle sperimentazioni sulle armi nucleari da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia. In questo caso il bilancio energetico fu positivo, ma il rilascio di energia fu breve e incontrollato, e pertanto non utilizzabile per la produzione di elettricità. A rendere particolarmente difficile la fusione nucleare è il fatto che il processo avviene per unione di due particelle - i nuclei - di carica elettrica uguale, le quali, prima di potersi avvicinare, devono vincere la naturale reciproca repulsione, causata dalla forza di Coulomb. Ciò si realizza fornendo ai nuclei una considerevole energia, mediante il riscaldamento del gas reagente fino alla temperatura di 50 milioni di gradi. In un gas costituito dagli isotopi pesanti dell'idrogeno, deuterio e trizio, ogni evento di fusione rilascia un'energia pari a 17,6 MeV, che si manifesta dapprima come energia cinetica del nucleo di elio 4 e del neutrone prodotti, e quindi si trasforma in energia termica, determinando un rapido riscaldamento del gas circostante. Si può affermare che i due maggiori problemi tecnici della realizzazione della fusione nucleare su larga scala sono il riscaldamento del gas ad altissima temperatura, e il "confinamento" dei nuclei reagenti. Un problema complesso è anche quello della cattura dell'energia sprigionata e della sua conversione in elettricità. Per temperature superiori ai 100.000 °C, gli atomi di idrogeno sono completamente ionizzati. Il gas reagente si trova cioè nello stato della materia detto plasma, che consiste in una miscela di cariche libere positive e negative, complessivamente neutra. Perché il processo sia efficiente è necessario confinare il plasma entro uno spazio ridotto, così da aumentare il più possibile il numero degli eventi di fusione. Negli attuali reattori per fusione, detti tokamak, la camera di confinamento è di forma toroidale, con il diametro minore di circa 1 m e il diametro maggiore di circa 3 m. Un campo magnetico applicato, di intensità pari a 5 tesla, induce una corrente longitudinale di diversi milioni di ampère all'interno del plasma e le linee del campo magnetico risultante producono il confinamento del plasma. In seguito ai successi degli esperimenti condotti in diversi laboratori con piccoli tokamak, all'inizio degli anni Ottanta ne vennero costruiti due di grandi dimensioni, di cui uno all'università di Princeton, negli Stati Uniti, e l'altro nell'ex Unione Sovietica. Per mettere a frutto la fusione nucleare, numerosi laboratori nel mondo stanno esplorando la possibilità del confinamento inerziale. Questo metodo confina il combustibile, deuterio e trizio, in minuscoli bersagli che, bombardati da un fascio laser pulsante, implodono, innescando una reazione termonucleare che avvia la fusione. Le ricerche nel campo della fusione fanno progressi, ma la prospettiva di un utilizzo pratico di questa fonte di energia pare ancora lontana. I vantaggi dell'energia ricavata dalla fusione, quando si riuscirà a trovare il metodo efficace per produrla e renderla utilizzabile, saranno:
* una fonte inesauribile di combustibile (il deuterio dell'oceano);
* un basso rischio di incidente all'interno del reattore, che conterrebbe quantità minime di combustibile;
* residui molto meno radioattivi di quelli della fissione
REATTORI NUCLEARI
Un reattore nucleare è un impianto dove una reazione nucleare a catena viene iniziata, mantenuta e, generalmente, controllata, in modo che il rilascio di energia avvenga gradualmente. I primi reattori su larga scala sorsero nel 1944 a Hanford, nello Stato di Washington, e avevano come scopo la produzione di armi nucleari. Come combustibile utilizzavano uranio metallico naturale, e la grafite come moderatore: nel processo di fissione si generava plutonio, utilizzato nelle bomb7e atomiche, che si ottiene da 238U per assorbimento di un neutrone, mentre il calore prodotto non veniva utilizzato. Da allora nel mondo sono stati progettati e costruiti una gran varietà di reattori nucleari, principalmente per la produzione di energia elettrica, ma fino a pochi anni fa anche per la produzione di armamenti nucleari. Tutti i reattori sono dotati di una regione chiamata "nocciolo", dove viene posto il combustibile ed eventualmente il moderatore, e dove avviene la reazione nucleare vera e propria; hanno poi un sistema di raffreddamento, vari dispositivi di controllo, strumenti di misura, sistemi di schermatura e sistemi ausiliari e di emergenza. Vengono generalmente distinti in base al tipo di moderatore utilizzato, o al tipo di processo di reazione che realizzano (con neutroni lenti o veloci). Le moderne centrali elettronucleari possono essere costituite da uno o più reattori.
Reattori ad acqua leggera o pesante
I reattori moderati e refrigerati ad acqua naturale (non pesante), largamente diffusi negli Stati Uniti, richiedono come combustibile l'impiego di uranio arricchito, generalmente ossido di uranio al 3% di 235U: sono riferiti come reattori ad acqua leggera (Light Water Reactor, LWR). Nel reattore ad acqua pressurizzata (Pressurized Water Reactor, PWR), una variante del LWR, l'acqua funziona sia da moderatore che come mezzo refrigerante: viene portata a una pressione di circa 150 atm e pompata nel nocciolo del reattore, dove raggiunge la temperatura di circa 325 °C. Quindi è trasportata a un generatore di vapore, che scambia calore con un circuito secondario: qui altra acqua viene riscaldata e convertita in vapore, che aziona uno o più generatori a turbina (dove si realizza la trasformazione di calore in energia utilizzabile) per poi tornare nuovamente nel generatore di vapore. Il circuito secondario è isolato dal nucleo del reattore, perciò non è radioattivo. Un terzo circuito di acqua, proveniente da un fiume, un lago o una torre di raffreddamento, serve per condensare il vapore. Nel reattore ad acqua bollente (Boiling Water Reactor, BWR), anch'esso del tipo LWR, l'acqua è mantenuta a pressione piuttosto bassa, e dunque entra in ebollizione solo quando giunge nel nocciolo. Il vapore prodotto viene mandato direttamente nel generatore a turbina, condensato, e quindi ripompato nel reattore. Benchè il vapore sia radioattivo, non essendoci uno scambiatore intermedio di calore tra reattore e turbina, l'efficienza del sistema è più alta che nel PWR. Come nel PWR, l'acqua di raffreddamento del condensatore proviene da un'altra fonte, come un fiume o un lago. Il livello di potenza di un reattore in funzione viene costantemente controllato dalla misurazione di una serie di parametri rilevanti (come la temperatura, il flusso di calore e il livello di attività nucleare). La potenza in uscita viene regolata con l'introduzione o l'allontanamento dal nocciolo di "barre di controllo", elementi costituiti da un materiale capace di assorbire neutroni molto efficientemente. La posizione delle barre viene determinata in modo che il numero di neutroni prodotti in ogni ciclo a catena si mantenga costante, e la reazione nucleare non assuma un andamento esplosivo. Durante il funzionamento, e anche dopo il suo spegnimento, un grosso reattore di potenza da 1000 MW possiede una radioattività che arriva fino a miliardi di curie. Le radiazioni prodotte dal reattore durante la fissione e dai residui dei processi dopo lo spegnimento sono assorbite da blocchi massicci di cemento posti intorno al reattore e al circuito di raffreddamento primario. Altre strutture di sicurezza includono: un sistema di raffreddamento del nucleo, per impedirne il surriscaldamento e la successiva fusione, evento pericolosissimo, in caso di avaria del sistema di raffreddamento principale e una costruzione esterna di contenimento - obbligatoria nella maggior parte dei paesi - per bloccare qualsiasi tipo di fuga di materiale radioattivo in caso di malfunzionamento dell'impianto. Sebbene all'inizio degli anni Ottanta fossero già operanti negli Stati Uniti più di 100 impianti per la produzione di energia nucleare, in seguito all'incidente di Three Miles Island (vedi oltre) ragioni di sicurezza e diverse considerazioni di tipo economico hanno bloccato ogni ulteriore sviluppo di impianti nucleari. Dal 1978 in poi è stata approvata la costruzione di nuove centrali, mentre parte di quelli completati non sono mai divenuti operativi. Nel 1990, solo circa un quinto dell'energia elettrica prodotta negli Stati Uniti proveniva da sorgenti nucleari, mentre in Francia le centrali nucleari a tutt'oggi forniscono circa i tre quarti dell'energia del paese. Nei primi anni Cinquanta, quando ebbe inizio lo sfruttamento dell'energia nucleare, l'uranio arricchito era disponibile solo negli Stati Uniti e nell'allora Unione Sovietica; di conseguenza i primi programmi di produzione di energia nucleare di Canada, Francia e Gran Bretagna prevedevano l'impiego di uranio naturale. Questo tipo di combustibile, meno efficace dell'uranio arricchito, richiede come moderatore l'ossido di deuterio (D2O), o acqua pesante: l'acqua naturale, infatti, catturerebbe un numero eccessivo di neutroni che invece servono in gran numero per aumentare il basso rendimento del combustibile. I canadesi svilupparono allora un impianto di 20 reattori a deuterio-uranio, noto come CANDU (Candian deuterium-uranium reactor), che è stato poi copiato in India, Argentina e altri paesi. In Francia e Gran Bretagna i primi grossi reattori di potenza erano alimentati con barre di metallo di uranio naturale, moderati con grafite e raffreddati con ossido di deuterio in pressione; successivamente furono soppiantati da reattori a uranio arricchito, e dai più avanzati AGR (Advanced Gas-cooled Reactor, Reattore avanzato raffreddato a gas). Oggi nel Regno Unito circa un quarto dell'elettricità prodotta proviene da fonte nucleare. In Francia, in seguito alla costruzione di impianti per l'arricchimento di uranio, sono stati costruiti reattori del tipo PWR. La Russia e gli altri stati dell'ex Unione Sovietica hanno un programma molto ampio di sfruttamento dell'energia nucleare, che prevede sia il sistema PWR sia quello moderato a grafite. Al dicembre 1994 risultano in costruzione nel mondo 59 reattori nucleari, che, ad eccezione della Francia, si concentrano nei paesi dell'Est e in Asia. Il 65% di tali impianti è costituito da PRW; i rimanenti da LWR e in minima parte da BWR.
Reattori a propulsione
Impianti nucleari vengono utilizzati anche nella propulsione di grandi navi militari, come la portaerei statunitense Nimitz, o di sottomarini. In genere i sottomarini a energia nucleare sfruttano uranio molto arricchito così da permettere una sensibile riduzione delle dimensioni del reattore. Va ricordato che la tecnologia del PWR fu inizialmente sviluppata proprio per il programma di ricerca di reattori navali degli Stati Uniti. Oggi Stati Uniti, Regno Unito, Russia e Francia usano per i loro sottomarini alimentati a energia nucleare questo tipo di reattore. Tre navi "nucleari" da carico sono state in funzione, per iniziativa di Stati Uniti, Germania e Giappone, per periodi limitati a scopo di sperimentazione. Nonostante il successo ottenuto dal punto di vista tecnico, le rigide regolamentazioni portuali e motivi di carattere economico hanno decretato la fine di tali progetti. All'ex Unione Sovietica spetta il merito di aver realizzato la prima rompighiaccio a energia nucleare, la Lenin, impiegata per liberare i canali del mare Artico.
Reattori per la ricerca
Numerosi piccoli reattori nucleari sono in funzione nel mondo a scopo di ricerca e formazione, e soprattutto per la produzione di radiazione o isotopi radioattivi. Operano generalmente a livelli di potenza intorno a 1 MW, e, date le loro limitate dimensioni, possono essere messi in funzione e spenti più facilmente che i grossi reattori per la produzione di energia. Uno dei più usati in questo settore è il cosiddetto reattore a piscina. Il nocciolo è costituito da uranio parzialmente o totalmente arricchito, contenuto in piastre di lega di alluminio, immerse in una grande vasca d'acqua che svolge la doppia funzione di moderatore e refrigerante. I materiali da irradiare con neutroni possono essere collocati all'interno del nocciolo o molto vicino a esso. Può produrre diversi tipi di isotopi radioattivi, per uso in medicina, nell'industria e nella ricerca. Dal nocciolo possono anche venire estratti i neutroni, attraverso linee di trasporto, ed essere utilizzati in esperimenti di fisica.
Reattori autofertilizzanti
L'uranio, la risorsa naturale da cui dipende la produzione di energia nucleare, si trova in giacimenti diffusi in tutto il mondo; non se ne conosce con precisione la disponibilità, ma essa sembra essere molto limitata, soprattutto se si trascurano fonti a bassissima concentrazione, quali il granito e le argilliti. La caratteristica fondamentale di un reattore autofertilizzante sta nel fatto che esso può produrre, a partire da sostanze dette fertili, una quantità di materiale fissile superiore a quella che consuma. Il sistema autofertilizzante più diffuso usa uranio 238 come materiale fertile. L'assorbimento di un neutrone da parte di un nucleo di uranio 238 dà luogo a un processo radioattivo chiamato decadimento b (beta), nel quale il nucleo si trasforma nell'isotopo fissile plutonio 239. Nel decadimento beta un neutrone decade in un protone, una particella beta (ovvero un elettrone) e un antineutrino elettronico. La fissione di un nucleo di plutonio 239, innescata da un neutrone, avviene con emissione di una media di 2,8 neutroni, uno dei quali è necessario per indurre la fissione nello stadio successivo della reazione a catena. Circa 0,5 neutroni (in media) vengono persi perché assorbiti dalle strutture del reattore o dal refrigerante, e i restanti 1,3 neutroni possono essere assorbiti dall'uranio 238 per la produzione di altro plutonio 239, secondo la reazione (3). Il reattore che sfrutta il sistema autofertilizzante più avanzato è il Reattore autofertilizzante rapido a metallo liquido (LMFBR, Liquid Metal Fast Breeder Reactor). Per massimizzare l'efficienza del sistema la velocità dei neutroni deve essere mantenuta alta, pari circa alla velocità a cui vengono prodotti nella reazione: qualunque materiale moderatore, ad esempio l'acqua, che rallenterebbe i neutroni, va dunque escluso dal reattore. Come refrigerante viene usato un metallo liquido, di preferenza il sodio, per le sue ottime proprietà di trasferimento di calore e per l'alto punto di ebollizione. Il tempo di raddoppiamento, cioè il tempo in cui il reattore produce una quantità di combustibile doppia rispetto a quella originaria, è di circa 10 anni. Lo sviluppo del sistema LMFBR è iniziato negli Stati Uniti prima del 1950, con la costruzione del primo reattore autofertilizzante sperimentale, EBR-1. Sono stati poi installati reattori autofertilizzanti operativi in Gran Bretagna, Francia, Russia e altri paesi dell'ex Unione Sovietica; procede inoltre il lavoro a scopo sperimentale in Giappone e in Germania. In un grosso impianto LMFBR, il nucleo del reattore consiste in migliaia di tubi sottili di acciaio inossidabile contenenti il combustibile, costituito per il 15-20% di ossido di plutonio e per la parte rimanente di ossido di uranio. Intorno al nocciolo vi è una regione che contiene delle sbarre riempite di solo ossido di uranio. Tutto l'apparato centrale contenente il nucleo del reattore misura circa 3 m di altezza e 5 m di diametro ed è sospeso in un grosso "contenitore" di sodio liquido che, grazie a un sistema di pompe e scambiatori di calore, mantiene il reattore a una temperatura di circa 500 °C. Il vapore viene prodotto in un altro circuito di sodio, separato dal circuito di raffreddamento radioattivo del reattore dal sistema intermedio di scambiatori di calore del contenitore. Tutto il sistema è contenuto in una grande struttura di calcestruzzo e acciaio. Il primo importante impianto di questo tipo per la generazione di elettricità, chiamato Super-Phénix, è entrato in funzione in Francia nel 1984. Un impianto di medie dimensioni, il BN-600, è stato costruito sulle coste del mar Caspio per la produzione di energia e la desalinizzazione dell'acqua.
I PROBLEMI DEL NUCLEARE
La scelta del nucleare come fonte energetica ha continuato e continua a incontrare numerose opposizioni che mettono in luce i rischi effettivi connessi alla installazione di una centrale nucleare. Non è possibile ignorare il pericolodella contaminazione da parte dell'uranio, che è altamente radioattivo, o la portata di eventuali guasti nel funzionamento degli impianti. Gli incidenti più gravi che si sono verificati sinira hanno rappresentato un grave campanello d'allarme per l'opinione pubblica. L' incidente accaduto nella centrale statunitense di Three Miles Island, nel 1979, rischiò di provocare una catastrofe e le conseguenze dell'incidente di Chernobyl, nell' aprile 1986, in cui si verificarono esplosioni per surriscaldamento del nocciolo e la conseguente fuoriuscita di sostanze radiottive, non si sono di certo esaurite. I piani di emergenza si sono sinora dimostrati insufficienti a garantire la totale sicurezza delle centrali e il problema delle scorie radioattive non è ancora stato risolto pienamente. Gli "scarti" delle reazioni nucleari rimangono radiottive e necessitano secoli per ridurre della metà la propria attività.
RINNOVABILI
Sono fonti di energia rinnovabili quelle che si ricostituiscono a mano a mano che si consumano. Sono fonti rinnovabili i corsi d'acqua, il vento, le maree, il sole, ilcalore interno alla Terra.
IDROELETTRICA
Forma di energia ottenuta mediante la caduta d'acqua attraverso un dislivello; è una risorsa naturale, disponibile ovunque esista un considerevole flusso costante d'acqua. Attualmente lo sfruttamento dell'energia idraulica richiede costruzioni estese che includono bacini artificiali, dighe, canali di derivazione, e l'installazione di grandi turbine e di generatori elettrici. La produzione di energia idroelettrica richiede un grande investimento di capitali, e non è pertanto economicamente conveniente in regioni che dispongono di carbon fossile o di petrolio a relativamente basso prezzo; tuttavia, non va sottovalutato che il costo del combustibile necessario per alimentare un impianto termoelettrico é maggiore del costo di funzionamento di un impianto idroelettrico. Inoltre, le crescenti preoccupazioni ambientali, che stanno focalizzando l'attenzione sulle fonti di energia rinnovabili, hanno recentemente fatto aumentare l'interesse per questo tipo di energia.
CENNI STORICI
L'uso dell'energia idraulica risale all'antichita: già i greci e i romani usavano ruote idrauliche per la macinazione del grano. Il basso costo del lavoro degli schiavi e degli animali, tuttavia, ne frenò l'applicazione su larga scala fino al XII secolo circa. Nel Medioevo furono costruite grandi ruote idrauliche di legno con un rendimento massimo di circa 50 cavalli. L'energia idraulica moderna deve il suo sviluppo all'ingegnere britannico John Smeaton, che per primo costruì ruote idrauliche di ghisa di dimensioni notevoli. All'inizio dell'Ottocento l'energia idraulica, che aveva giocato un ruolo importante nella rivoluzione industriale, diede impulso alla crescita delle industrie tessile, conciaria e meccanica. La macchina a vapore era già stata sviluppata, ma il carbone era scarso e la legna era un combustibile poco soddisfacente. L'energia idraulica contribuì allo sviluppo delle prime città industriali finchè, dalla metà del XIX secolo, l'apertura dei canali navigabili rese possibile l'approvvigionamento di carbone a buon mercato. L'installazione di ruote idrauliche in serie, su un dislivello di almeno 5 m, richiede la costruzione di condotte e di grandi dighe di sbarramento difficilmente realizzabili. Questi svantaggi, uniti alla scarsità dell'afflusso d'acqua durante l'estate e l'autunno e alle gelate invernali, portarono alla sostituzione di quasi tutte le ruote idrauliche con turbine a vapore, non appena la disponibilità di carbone lo rese possibile.
SVILUPPO DELL'ENERGIA IDROELETTRICA
Il primo impianto idroelettrico fu costruito nel 1880, nel Northumberland. La rivalutazione dell'energia idraulica coincise con lo sviluppo del generatore elettrico accoppiato alla turbina idraulica e con la crescente domanda di elettricità che caratterizzò l'inizio del XX secolo. La tecnologia della maggior parte dei grandi impianti è rimasta la stessa per tutto il secolo. Gli impianti sono serviti da un grande bacino di riserva, a monte di una diga, dove il flusso dell'acqua può essere controllato per mantenere un livello pressoché costante. Attraverso condotte forzate, controllate da valvole che regolano la velocità del flusso secondo la domanda d'energia, l'acqua entra nelle turbine e ne esce passando attraverso il canale di scarico. I generatori sono montati direttamente sotto le turbine, su alberi verticali. Il tipo di turbina dipende dalla pressione dell'acqua, ovvero dall'entità del dislivello: per alti dislivelli si usano turbine Francis, per dislivelli relativamente bassi si preferiscono invece turbine Kaplan. L'energia idraulica rappresenta approssimativamente un quarto dell'energia totale prodotta nel mondo e negli ultimi anni sta considerevolmente aumentando d'importanza; in molti paesi, quali ad esempio Norvegia, Repubblica democratica del Congo e Brasile, rappresenta la fonte dominante di energia elettrica. L'impianto Itaipu sul Rio Paraná, tra Brasile e Paraguay, ufficialmente inaugurato nel 1982, ha la più grande capacità del mondo (12.600 megawatt a pieno regime). In alcuni paesi sono stati costruiti impianti idroelettrici di piccole dimensioni, con capacità comprese tra un kilowatt e un megawatt. In molti distretti della Cina, ad esempio, piccole centrali di questo tipo costituiscono la fonte principale di energia.
EOLICA
Espressione che letteralmente indica l'energia cinetica posseduta dai venti, ovvero dalle masse d'aria in movimento nell'atmosfera, ma che viene comunemente utilizzata anche per indicare l'energia, elettrica o meccanica, che può venire prodotta da questa, dopo conversione mediante un apparecchio opportuno. Tale energia risulta dalla forza esercitata dal vento sulle pale di un'elica, montata su un albero rotante, che a sua volta è collegato a sistemi meccanici, che possono servire per macinare il grano o per pompare l'acqua, o a un aerogeneratore, che trasforma l'energia meccanica in elettrica. L'energia eolica è una fra le più antiche forme di energia: i persiani utilizzavano turbine eoliche ad asse verticale già nel VII secolo: servivano a irrigare i terreni coltivati e a macinare il grano. In origine, la ruota che sosteneva le pale dell'elica era orizzontale, fissata su un albero verticale. Il sistema, benché poco efficace, si diffuse in Cina e in gran parte dell'Oriente, e apparve in Europa, inizialmente in Francia e in Inghilterra, all'inizio del XII secolo.
MULINI A VENTO
I mulini a vento si sono diffusi in Europa durante il XIV secolo, innanzitutto nei Paesi Bassi. Si componevano di una torre in pietra, sormontata da un tetto rotante in legno, che sosteneva l'albero e la parte superiore del sistema a ingranaggi del mulino. Dal tetto fuoriusciva un albero orizzontale, sul quale era fissata una grande elica, composta da quattro o otto pale. I sostegni in legno delle ali erano generalmente ricoperti in tela, o forniti di banderuole in legno. La potenza dell'albero rotante era trasmessa da un sistema di ingranaggi e di alberi secondari alla macina, che si trovava ai piedi della costruzione. Le ali a ventaglio furono una delle prime migliorie apportate ai mulini a vento, di modo che la superficie delle pale si trovasse sempre sotto vento. Verso la fine del Settecento si diffuse l'uso di ricoprire le pale con delle alette in legno, la cui apertura poteva essere comandata automaticamente o manualmente: in questo modo, la velocità di rotazione del rotore veniva resa quasi indipendente dalla velocità del vento. Uno dei miglioramenti introdotti in tempi più moderni fu un sistema di frenaggio per arrestare la rotazione delle pale.
TURBINE EOLICHE
Le turbine eoliche iniziarono a essere utilizzate per la produzione di elettricità verso la fine del XIX secolo, in Danimarca, dove sono ancora oggi largamente diffuse: funzionavano da piccoli generatori per fornire elettricità a ristrette comunità rurali. Negli anni Trenta, con la diffusione delle linee elettriche di trasporto, furono costruite turbine di potenza maggiore, che potevano rifornire di energia zone più vaste. Le macchine più diffuse erano quelle ad asse verticale, benché poco efficaci, e vennero perciò gradualmente soppiantate da quelle ad asse orizzontale. Recentemente però il sistema ad asse verticale è stato ripreso e perfezionato, ed è oggi utilizzato per turbine che producono una potenza elettrica inferiore a 50 kW.
AEROGENERATORI
I moderni aerogeneratori sono basati sullo stesso principio dei motori eolici del passato, ovvero sullo sfruttamento dell'energia cinetica del vento per far girare le pale di un rotore, secondo le leggi dell'aerodinamica, ma le loro caratteristiche costruttive, e quindi il loro aspetto esteriore, ne differiscono sensibilmente. I due tipi principali di aeromotore si distinguono per la direzione dell'asse del rotore, che può essere orizzontale o verticale. Quelli ad asse orizzontale, che somigliano di più ai tradizionali mulini a vento, sono sistemati alla sommità di un'alta torre e da lì azionano, mediante una trasmissione a ruote dentate, l'albero del generatore di corrente collocato nell'interno, a livello del terreno. Il diametro del rotore, generalmente a tre pale profilate come quelle di un'elica aerea, può variare da poco più di un metro a cinque metri. In alcuni modelli, il passo delle pale può essere variato per controllare la velocità di rotazione, fino all'arresto del rotore in caso di vento eccessivo. Un sistema direzionale che sfrutta il principio della banderuola mantiene controvento il piano del rotore. Di regola, i moderni aerogeneratori entrano in azione quando la velocità del vento si avvicina ai 20 km/h, esprimono il massimo rendimento fra 40 e 50 km/h, e si disattivano intorno ai 110 km/h. Il problema maggiore che deve affrontare la produzione di energia eolica, infatti, è la naturale incostanza dei venti, che si traduce in un funzionamento discontinuo degli aerogeneratori. Per questo motivo, sono ritenute adatte all'installazione di aerogeneratori soltanto le località caratterizzate da una velocità media annua del vento di almeno 21 km/h. Più efficienti, perché potenziano l'energia del vento e quindi sviluppano una potenza maggiore, sono gli aeromotori ad asse verticale. Sono costituiti da un involucro cilindrico fisso, percorso da fessure longitudinali, attraverso le quali passa il flusso d'aria, e da un rotore coassiale con il generatore di corrente. Le fessure sono accoppiate ad alette orientabili che regolano il flusso d'aria, aprendosi solo dalla parte da cui soffia il vento. L'energia eolica rappresenta una valida alternativa alle fonti non rinnovabili, ad esempio il petrolio, e soprattutto non produce inquinamento ambientale. Il 2% dell'attuale produzione di energia elettrica della Danimarca proviene da aerogeneratori, e lo stesso vale per la California. Le pochissime centrali eoliche italiane generano una potenza pari a circa 50 MW, una minima parte dei 3000 MW installati a tutt'oggi nel mondo. Nei prossimi anni, la produzione di energia elettrica dal vento in Italia dovrebbe salire a 400 MW, ottenuti da installazioni a opera dell'ENEL, cui dovrebbe sommarsi una quantità analoga di potenza prodotta con installazioni private. Gli esperti stimano che, alla metà del XXI secolo, oltre il 10% dell'energia elettrica prodotta nel mondo sarà ottenuta da aerogeneratori.
MAREE
Il mare rappresenta un'altra fonte energetica importante da utilizza nel prossimo futuro. Nelle centrali mareo motrici l'energia elettrica viene prodotta sfruttando l'energia sviluppata dall'alternarsi delle maree. Da diversi anni è in funzione in Francia, alla foce del fiume Rance sulla Manica, una centrale mareomotrice che sfrutta l'energia prodotta dal dislivello dell'acqua che si forma tra l'alta e la bassa marea. In Giappone è stata costruita una centrale mareo motrice che sfrutta il moto ondoso del mare. Essa è costituita da una serie di convertitori energetici, montati e ormeggiati sul fondo del mare, i quali trasformano l'energia di movimento delle onde in energia elettrica. Il convertitore è composto da un lungo tubo verticale aperto in basso e immerso in mare. Quando passa l'onda, l'acqua che si trova nel tubo sale e scende come un pistone aspirando ed emettendo aria alla sommità della colonna. L'aria, attraverso un sistema di valvole, mette in movimento un gruppo turbina - alternatore per produrre elettricità. L'energia così prodotta viene trasportata a terra dove una stazione elettrica la immette nella rete nazionale.
SOLARE
Energia solare Energia raggiante prodotta nel Sole per effetto di reazioni nucleari e trasmessa alla Terra sotto forma di radiazione elettromagnetica. L'intensità della radiazione solare, cioè la quantità di energia che il Sole irraggia ogni secondo su 1 cm2 di superficie terrestre, è detta costante solare; il suo attuale valore, calcolato quando la Terra si trova a una distanza media dall'astro, è 1,37 × 106 erg s-1 cm-2 (1,97 cal/cm2 al minuto) ma sembra variare dello 0,2% in trent'anni. Questa stima tuttavia prevede che l'atmosfera sia assolutamente trasparente alla radiazione, mentre gli effetti di assorbimento e di dispersione riducono molto l'ammontare di energia effettivamente disponibile.
TRASFORMAZIONE DELL'ENERGIA SOLARE
L'energia solare, accumulata nell'atmosfera terrestre, negli oceani e negli organismi vegetali è fondamentale per la maggior parte dei processi vitali e dei fenomeni fisici che hanno luogo sulla Terra: è ad esempio indispensabile nel processo di fotosintesi che consente lo sviluppo della vita vegetale; è importante per il ciclo idrologico cui sono associate le precipitazioni; è responsabile dei venti, tuttora utilizzati come risorsa locale di elettricità. Per sottolineare il valore di questa fonte di energia, basti pensare che senza di essa non si sarebbe verificata la formazione di biomasse e quindi dei combustibili fossili come carbone, petrolio, gas naturale, né sarebbe possibile lo sfruttamento del legno. Le biomasse possono inoltre essere utilizzate per la produzione di metano o di alcol, attraverso processi di fermentazione o distillazione. L'energia solare accumulata negli oceani dà luogo a gradienti verticali di temperatura che, inquadrati nell'ambito di un ciclo termodinamico, potrebbero forse essere sfruttati per produrre energia meccanica trasformabile in elettricità; questa possibilità, finora puramente teorica, richiederebbe l'impiego di dispositivi di dimensioni colossali. "Energia solare,"
Raccolta diretta di energia solare
Per sfruttare la radiazione solare si ricorre a impianti a pannelli solari, o collettori solari. L'energia così ottenuta può essere usata sotto forma di calore per riscaldare un gas o un fluido, oppure può essere convertita direttamente in elettricità sfruttando l'effetto fotovoltaico e le proprietà fisiche di particolari materiali. Esistono due tipi fondamentali di collettori: a pannello e a concentrazione.
Collettori a pannello
Un pannello solare è composto essenzialmente da una superficie metallica che si riscalda per effetto della radiazione solare; il calore viene poi ceduto a un liquido termovettore che circola in una serpentina e successivamente trasferito al sistema utilizzatore, ad esempio l'acqua dell'impianto di riscaldamento domestico. In particolare i collettori a pannello sono in grado di riscaldare i fluidi di trasporto fino a circa 80 °C, con rendimento compreso tra il 40 e l'80%. Questi dispositivi sono particolarmente adatti per il riscaldamento domestico: di solito i collettori vengono installati sui tetti, e orientati opportunamente in relazione alla posizione geografica del luogo. Oltre ai pannelli, i sistemi di riscaldamento a energia solare devono comprendere pompe idrauliche, sensori di temperatura, controlli automatici e sistemi di immagazzinamento del calore. Il fluido di trasporto del calore può essere costituito da aria, acqua o altri liquidi; come serbatoio di calore si può impiegare una cisterna d'acqua ben isolata termicamente.
Collettori a concentrazione
Per particolari applicazioni industriali sono necessari collettori più complessi e costosi che, focalizzando i raggi solari incidenti in un'area ristretta, permettano di raggiungere temperature di diverse centinaia o addirittura migliaia di gradi Celsius. Per migliorarne l'efficienza, i concentratori sono comandati da dispositivi elettromeccanici per l'inseguimento del tragitto del Sole durante l'arco del giorno.
Ricevitori centralizzati
La produzione centralizzata di energia elettrica da energia solare è attualmente in fase di sviluppo. Un progetto di centrale prevede che una schiera di riflettori mantenuti costantemente orientati verso il Sole focalizzi i raggi su una caldaia ad acqua, montata su una torre. Il vapore così generato può essere usato in un ciclo convenzionale di generazione elettrica.
Raffreddamento solare
L'energia solare può essere utilizzata anche nei processi di raffreddamento, poiché un normale ciclo di refrigerazione richiede l'impiego di una fonte di calore. Dato che per un funzionamento efficiente dei dispositivi di assorbimento occorrono temperature superiori ai 150 °C, per questo tipo di applicazione è indispensabile l'uso di collettori a concentrazione.
Celle fotovoltaiche
Le celle solari, realizzate con sottili lamelle di silicio cristallino, arseniuro di gallio o altri materiali semiconduttori, convertono la radiazione solare direttamente in elettricità con rendimento superiore al 30%. Gli impieghi attuali delle celle solari sono limitati a dispositivi di bassa potenza che non possono essere riforniti di energia, come gli strumenti a bordo di sonde spaziali.
Energia solare dallo spazio
Un modello puramente teorico proposto per produrre energia solare su vasta scala prevede la collocazione di moduli solari giganti in orbita geostazionaria. Qui l'energia generata dalla luce del Sole verrebbe convertita in microonde per essere poi inviata a terra e riconvertita in energia elettrica.
IMMAGAZZINAMENTO DELL'ENERGIA SOLARE
La natura intermittente della radiazione solare come fonte energetica rende indispensabile l'uso di dispositivi di accumulazione dell'energia prodotta in esubero durante le ore o i periodi favorevoli, in modo che essa possa essere resa disponibile, ad esempio, durante la notte. Oltre alla semplice acqua, si possono impiegare apparecchi più compatti che si basano sulle proprietà di cambiamento di fase di particolari miscele saline. Anche le batterie possono essere usate per serbare l'energia elettrica in eccesso prodotta dal vento o da dispositivi fotovoltaici.
GEOTERMICA
Insieme dei fenomeni di produzione e trasferimento di calore all'interno della Terra. La sua principale applicazione pratica consiste nell'individuazione di concentrazioni naturali di acqua calda (la fonte di energia geotermica) da utilizzare per produrre elettricità e per applicazioni dirette negli impianti di riscaldamento. Il calore viene prodotto nella crosta e nel mantello superiore della Terra per decadimento di elementi radioattivi, quindi si trasferisce alla superficie terrestre attraverso i movimenti convettivi dei magmi o tramite le acque circolanti in profondità. I fenomeni idrotermali superficiali comprendono le sorgenti calde, o termali, usate fin dall'antichità per fini terapeutici, i geyser e le fumarole. Il vapore prodotto dai fluidi caldi dei sistemi geotermici rappresenta una valida alternativa al vapore prodotto nelle centrali bruciando combustibili fossili, utilizzando energia nucleare o con altri mezzi. Le moderne tecniche di perforazione consentono di raggiungere concentrazioni di acqua e vapore situate a profondità maggiori di 3000 m, ma il vapore che si preleva deve essere purificato prima di essere avviato alle turbine per la produzione dell'energia elettrica. L'energia geotermica fu usata per la prima volta per produrre elettricità nel 1904, a Larderello, in Toscana, ma attualmente fluidi geotermici vengono usati per riscaldare gruppi di edifici a Budapest, alla periferia di Parigi, in tutta la città di Reykjavík e in altre città islandesi. Il più grande complesso geotermico del mondo per la produzione di energia elettrica si trova a The Geysers, in California settentrionale. Nel 1991, la capacità di questo impianto è stata di circa 1400 MW, abbastanza da soddisfare la maggior parte della domanda elettrica dell'area metropolitana di San Francisco. Una tecnica praticabile per lo sviluppo dell'energia geotermica, sperimentata nel New Mexico (USA), consiste nel realizzare pozzi in rocce calde e secche di un sistema vulcanico quiescente e nell'iniettare acqua che ritorna in superficie come vapore surriscaldato.
Sito energia gnd

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