L'assassino di Novi Ligure

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Data:04.04.2001
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Testo

In questi giorni, da poco più di una settimana, un grave fatto di cronaca tiene banco in tutti i telegiornali, ha sempre il suo spazio sui quotidiani, impegna personaggi di spicco della politica, della medicina, della giurisprudenza in interminabili dibattiti. Sto parlando ovviamente del “massacro di Novi Ligure”, che porta in evidenza nuovamente il tema scottante dei delitti in famiglia.

Un delitto agghiacciante, inconcepibile per una persona normale.

Cerchiamo di riassumere brevemente i fatti, che hanno portato questa cittadina della provincia di Alessandria agli onori della cronaca.

21 febbraio 2001: alle ore 19.30 circa, di ritorno dalla palestra, muoiono accoltellati la signora Susanna De Nardo, di 41 anni, e il figlioletto Gianluca, di 11. Scampa al massacro la figlia maggiore, Erika, 16 anni.
I primi sospetti ricadono su una banda di presunti rapinatori albanesi, che avrebbe ucciso per poi fuggire.
La cosa strana è che dalla villetta della famiglia De Nardo non manca nulla, né vi sono segni di scasso.

22 febbraio primi interrogatori: Il padre di Erika, l’Ing. Francesco De Nardo, 42 anni, dirigente della Pernigotti, nota industria dolciaria di Novi Ligure, e Erika, vengono interrogati nella caserma dei Carabinieri. La ragazza riconosce in una foto segnaletica di un delinquente albanese colui che avrebbe commesso il massacro.

23 febbraio sopralluogo a casa De Nardo, con Erika, il padre e il fidanzatino di Erika, Mauro Favaro, detto Omar, 17 anni. Emergono le prime contraddizioni nel racconto della ragazza.
Riaccompagnati in caserma, con la scusa dei verbali, i due ragazzi vengono lasciati soli in una saletta controllata da telecamere nascoste e microfoni.

In quella saletta i due ragazzi si lasciano sfuggire commenti che compromettono la loro situazione: per i Carabinieri serve solo una conferma: i ragazzi si parlano di galera e coltellate, iniziano a cedere.

In serata, Mauro viene interrogato, e conferma parzialmente quanto è già stato “carpito” nella saletta. Dai carabinieri l’annuncio: “il caso è chiuso”. Ora la pratica passa al Tribunale per i minori di Torino. L’accusa per i due è omicidio premeditato. Erika e Omar vengono arrestati.

24 febbraio funerali delle due vittime. Intanto, nella caserma, continuano gli interrogatori dei due ragazzi. Erika accusa Omar di essere stato l’esecutore del delitto, Omar accusa Erika di essere stato soggiogato. Si inizia a ventilare l’ipotesi di porre a confronto i due ragazzi.

25 febbraio durante una perquisizione nella villetta viene ritrovato in camera di Erika uno straccio macchiato di sangue. Su indicazione di Omar vengono trovati, non lontano dalla casa, un coltello da cucina, abiti sporchi di sangue e quattro guanti di gomma. Omar, interrogato dal Pubblico Ministero, conferma la sua estraneità ai fatti.

26 febbraio in serata viene ritrovato anche un secondo coltello

27 febbraio sembra avvicinarsi il confronto tra i due ragazzi: Omar lo vuole, Erika lo nega.

28 febbraio sopralluogo nella villetta da parte dei RIS di Parma, corpo speciale di Polizia scientifica.

1 marzo analisi della polizia scientifica confermano l’uso di due coltelli. Vengono formulate le prime ipotesi di corresponsabilità dei due.

2 marzo le prime perizie del medico legale che ha eseguito l’autopsia lo confermano: Erika e Omar avrebbero colpito insieme. Sui corpi straziati delle vittime sono state contate ben 97 coltellate.

Una cronaca inquietante, che porta anche a pensare a altri delitti degli ultimi anni, dove il movente
va cercato a volte nei soldi, pochi peraltro nella maggior parte dei casi, o in situazioni famigliari di rifiuto di una persona, o in episodi che sembrano essere di pura e semplice follia.
Ricordiamo certamente tutti la freddezza di Pietro Maso, che uccise i suoi genitori e la sera stessa andò a ballare con gli amici che lo avevano aiutato a commettere il delitto. Durante il processo non si scompose quasi, rimase freddo come un iceberg. Venne condannato a 30 anni di carcere.

Ancora, a noi più vicina, la ragazza quindicenne di Taggia che uccise (o fece uccidere) la madre con tre martellate alla nuca solo perché questa non gradiva la relazione che Manuela aveva imbastito con un giostraio di otto anni più vecchio di lei.

O ancora la paurosa vicenda della famiglia Carretta, anche questa distrutta dal gesto di un uomo folle che uccise moglie e figli.

La cosa inquietanteè anche constatare che il delitto famigliare ha avuto un incremento, negli ultimi 10 anni, del 1600%. E ancora da rilevare è il fatto che le quote più elevate di condannati per reati gravi sono tra i 18 e i 24 anni.

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