Il mondo delle api

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Categoria:Ricerche

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Testo

REGNO… ANIMALE
SOTTOREGNO… METAZOI
PHYLUM… ARTROPODI (Arthropoda)
SUBPHYLUM… MANDIBOLATI (Mandibolata)
CLASSE… INSETTI (Insecta o Hexapoda)
SOTTOCLASSE… PTERIGOTI (Pterygota)
ORDINE… IMENOTTERI ACULEATI(Hymenoptera)
FAMIGLIA… APIDI

Api mellifiche

Le Api da miele, che vissero accanto all’uomo per millenni lodate e celebrate, sono state riconosciute per quello che sono soltanto nel ventesimo secolo. Ci sono, e non sono pochi, quelli che riconoscono o considerano queste società come dei superorganismi straordinari in cui ciascun individuo della colonia, alla stessa maniera delle Formiche e delle Termiti, e come una cellula di un essere vivente che esplica funzioni ben determinate nell’ambito del tutto e che e assolutamente incapace di vivere, se non per poche ore, fuori di esso. Congeneri della nostrana Apis mellifica sono le asiatiche Apis florea, la grossa e pericolosa A. dorsata e A. cerana (indica), buona produttrice di miele, più alcune sottospecie e razze diffuse un po’ dovunque, come Apis mellifica ligustica o italiana, o A. mellifica adansoni, Ogni alveare (nel caso di Api viventi in libertà i favi vengono edificati in cavità naturali confacenti) contiene una femmina detta regina, un numero variabile di operaie (30-60.000 o più) e, in determinati periodi dell’anno, un numero ridotto di maschi (fuchi). La regina è la madre di tutti i componenti della colonia; le operaie sono responsabili della costruzione dei favi, della pulizia interna, del bottinamento, dell’allevamento della prole e della difesa del nido. La regina si distingue nettamente dalle operaie per vari caratteri: è più grande di loro ed e fornita di aculeo come le figlie, ma, a differenza di esse, manca dell’apparecchio di raccolta del polline (spazzole e cestello alle zampe posteriori), e risultano sottosviluppate le ghiandole ipofaringee che producono la pappa reale e quelle che danno la cera, situate ventralmente nei segmenti addominali delle operaie. La regina si accoppia con più maschi durante vari voli successivi e, a differenza delle operaie, che vivono solo qualche mese, la sua vita si prolunga per 4-5 anni. E’ in grado di deporre, nell’arco di 24 ore, fino a 2000 uova durante la stagione favorevole. Dalla ovideposizione in celle di diverso volume nascono operaie (femmine sterili) o maschi; periodicamente anche regine (femmine feconde). II sesso del nascituro pare sia dovuto a un riflesso scatenato dalle dimensioni della cella, che comprime più o meno I’addome della regina e la induce a emettere un uovo fecondato o non fecondato. Dalle uova fecondate nascono femmine, dalle altre maschi. La sterilità o meno delle gonadi e dovuta alla qualità e intensità di cibo con cui viene allevata la larva. 2-3 mg di pappa reale e molto cibo più scadente bastano a produrre un’operaia; solo pappa reale (100-300 mg) da vita a una regina. Per i maschi bastano focacce di polline misto a miele. Nei periodi a clima inclemente I’ovideposizione viene interrotta assieme a tutte le altre attività. Le comunità pluriennali delle Api si moltiplicano per sciamatura; la vecchia regina se ne va con circa metà delle operaie e, guidata dalle esploratrici, s’installa in un nuovo ambiente. La scelta del nido, se non interviene I’uomo come di solito succede, può essere ardua, lunga, zeppa di ”ripensamenti” come si espresse un autore, ma comunitaria. Per usare un termine antropomorfico, si dovrebbe dire ”democratica”. La regina neosfarfallata vive ignorata per qualche giorno, mentre si aggira per I’alveare in cerca di possibili rivali (altre femmine feconde), che eventualmente elimina anche se sono rivali solo potenzialmente in quanto ancora racchiuse nelle loro celle di incubazione. Al volo nuziale e agli accoppiamenti segue, dopo breve tempo e abbondanti pasti a base di pappa reale somministrata dalle operaie, I’inizio dell’ovideposizione, che e continua durante tutta la buona stagione e si prolunga per più anni. Lo sperma avuto dai maschi durante gli accoppiamenti viene conservato dalla regina nella spermateca, situata nell’addome e connessa con I’ovidotto. II liquido seminale cosi conservato e sufficiente a fecondare le uova per periodi assai lunghi, anche di anni. La pompa spermatica, annessa alla spermateca, viene azionata ogni qualvolta la regina si appresta a deporre un uovo che deve dare una femmina, costringendo lo sperma a fuoruscire e a raggiungere I’ovidotto, attraverso il quale passa I’uovo che deve essere irrorato. L’unico essere fecondo e fecondato di ciascuna colonia di Api, chiamato appunto regina, esercita un controllo straordinario sulle attività dei membri della famiglia; controllo di natura chimica persistente, che produce ”effetti di gruppo” molto importanti nell’economia dell’alveare. Essa emana dal suo corpo una serie di feromoni capaci di provocare reazioni varie: legano, infatti, in maniera impressionante le operaie alla sua presenza, inibiscono completamente lo sviluppo dei loro ovari, impediscono loro la costruzione di celle reali e le incitano, invece, a edificare celle per I’allevamento di altre operaie e maschi. E’ talmente persistente I’azione di queste sostanze inibitrici sugli ovari delle operaie che persino la presenza di una regina morta o secca e vecchia di anni continua a scatenare i suoi effetti. Semplici estratti di regina producono gli stessi fenomeni. Togliendo questa dal nido e quindi asportando il principio scatenante, le operaie sono in grado di sviluppare gradualmente i loro ovari, altrimenti atrofici, fino al punto di poter ovideporre e di mettersi alacremente a costruire celle reali. Per quanto si riferisce alle operaie, non esistono differenze morfologiche tra loro, tuttavia è stata accertata chiaramente una distribuzione di incarichi diversi in base all’età dei singoli e alle necessità della famiglia, anche se tali incombenze non sono strettamente legate cronologicamente. Normalmente, tuttavia, durante la loro esistenza, che dura un mese o poco più, compiono le seguenti attività: nei primissimi giorni si dedicano alla pulizia delle celle; poi rivolgono le loro attenzioni di nutrici alle larve giovani, somministrando loro la pappa reale che le loro ghiandole secernono in quel periodo; quindi nutrono le larve quasi mature con miele e polline. Soltanto verso il decimo giorno di vita I’operaia, in concomitanza col regresso definitivo delle ghiandole della pappa reale e con lo sviluppo di quelle che producono la cera, cambia mestiere e si dedica alla costruzione dei favi, all’immagazzinamento del cibo nelle celle e alla rimozione di eventuali residui di cera o alla pulizia dell’alveare, asportandone i rifiuti. Contemporaneamente compie voli di orientamento fuori dall’alveare per conoscere i dintorni. Verso il ventesimo giorno di vita I’operaia diviene guardiana dell’alveare, incrociando gli individui che escono o entrano per accertarsi che non siano degli intrusi. Un semplice contatto con le antenne è sufficiente a scatenare o meno la sua reazione. II provocatore è un odore, proprio di ciascuna famiglia, e pare venga acquisito da tutti i membri attraverso una standardizzazione dei prodotti del metabolismo con scambi di cibo tra loro: prodotti più o meno diversi da una colonia all’altra e in rapporto ai differenti fiori da esse visitati normalmente. Tali odori vengono facilmente distinti da queste api anziane, che funzionano appunto da soldati, in virtù della loro accresciuta aggressività. Infine, durante le due ultime settimane di vita, I’ape ormai edotta sufficientemente sui Iuoghi che attorniano I’alveare, diviene bottinatrice. Raccoglie nettare e polline, acqua semplice o ricca di sali delle acque stagnanti e propoli, che è una sostanza gommosa tratta da piante e spalmata in varie zone dell’alveare e presente in forte quantità anche nella cera. Allo stato selvatico approfittano di ogni cavità naturale adatta allo scopo, nella quale, come nell’arnia, edificano un certo numero di favi verticali di cera, subcordiformi o rettangolari, formati da un numero rilevante di prismi esagonali (celle), disposti orizzontalmente o leggermente inclinati, contigui e opposti, vale a dire su ambedue le facce del favo. I loculi più grandi sono quelli usati per allevare maschi. Le celle destinate all’allevamento delle regine hanno forma e dimensioni diverse e non sono inserite nel complesso delle altre, ma normalmente edificate sul lato inferiore del favo. Quelle poi che saranno destinate a contenitori di miele e di polline risultano un tantino più inclinate delle altre e un po’ più profonde. Da una razza all’altra di Api le misure variano. II materiale per la costruzione dei favi è la cera fuoriuscente dalle loro ghiandole ciripare, la quale, dopo essere stata manipolata tra le mandibole, viene sistemata a dovere dove occorre. La forma esagonale delle celle è economicamente la più conveniente, in quanto elimina gli spazi vuoti tra I’una e I’altra e le pareti di ciascuna servono anche per le celle contigue. La messa a punto delle celle non è poi una cosa tanto semplice e chiara, in quanto si svolge nei meandri di un fitto glomere di operaie che elevano il calore a oltre 34° C, in modo che la cera possa essere plasmata facilmente, e dove catene di Api sembrano dirigere i lavori di costruzione, disponendosi come tante schede perforate; in altre parole, esse funzionano da indicatori per modellatrici di cera. Le Api spalmano, sia all’interno che all’esterno dell’alveare, sostanze attrattive o repulsive che funzionano da pannelli indicatori. La cera è una sostanza più o meno impregnata di propoli, repulsivo per le Api; le celle, quindi, per poter funzionare da Iuogo di incubazione, devono acquisire un odore particolare, che elimini quello sgradito del propoli e funzioni da sostanza di accettazione. Tutte le celle di allevamento contengono un uovo, o una larva di età diversa o una pupa. Dopo I’incubazione, la larva neonata viene nutrita dalle nutrici fino al suo completo sviluppo. II polline viene stipato e pressato in appositi contenitori così come il nettare, che, introdotto nella borsa melaria durante la raccolta sui fiori, viene poi dalla bottinatrice rigurgitato dopo essere stato trasformato in miele. In tal modo le Api stabiliscono con le piante una simbiosi mutualistica importante, in quanto passando da un fiore all’altro divengono mezzi di fecondazioni incrociate. L’odore e il colore dei fiori sono anche responsabili del ritrovamento del cibo da parte delle Api. Una volta che I’operaia ha incontrato una pianta ricca di alimento e ne ha assunto I’odore particolare, è in grado di riconoscere anche in seguito tale odore e naturalmente la pianta da cui proviene, e può cosi sfruttarla al massimo, tralasciando le altre presenti nello stesso ambiente. Colori e odori di piante nettarifere permettono alle Api di tracciare e di seguire piste determinate per raggiungere le località di alimentazione. Tali piste, durature anche nel tempo, passano a una decina di metri dal suolo e sono larghe quasi due metri; assomigliano a quelle terrestri delle Formiche. Sono state individuate per il fatto che se si pongono dei semoventi sulla loro traiettoria, le Api vi si accaniscono contro, ma basta spostarli un po’ perché venga meno qualsiasi reazione. Tali piste iniziano all’entrata dell’alveare, per cui, se si intende avvicinarsi a un’arnia, è salutare farlo dalla parte posteriore. L’allevamento della prole nell’alveare può avvenire solo in concomitanza di vari fattori. II calore interno è uno dei più importanti, in quanto senza una temperatura elevata e costante le larve muoiono. La regolazione termica e sui 33-34°C; se la temperatura dovesse aumentare, le Api si adoperano perché venga ridotta all’optimum, trasportando direttamente acqua e spruzzandola sui favi in modo che, con la sua evaporazione, diminuisca la temperatura; ovvero raccolgono nettare meno condensato e più acquoso; altre operano una ventilazione di gruppo con movimenti veloci delle ali, sia all’interno che in prossimità dell’entrata. Nel caso contrario, cioè di freddo eccessivo, tutte si raggruppano in un glomere interno (questo naturalmente accade durante I’inverno dei Paesi a clima temperato), dove la temperatura centrale non va mai sotto i 13° C e le Api possono mantenersi in vita spostandosi periodicamente dall’esterno all’interno del glomere stesso. A questo proposito diviene molto importante una sufficiente scorta di sostanze zuccherine, a cui le Api possano attingere con una certa frequenza.

Comunicazione
L’aver messo in luce che le Api comunicano tra loro, passandosi informazioni di grande importanza per il buon funzionamento della famiglia, è stata una delle piu significative e strabilianti scoperte scientifiche del nostro secolo. Solo qualche anno fa, tuttavia, e dopo anni di attività dedicati a questo insetto, Von Frisch fu insignito del premio Nobel. Tutti gli animali comunicano tra loro, almeno in concomitanza con le tappe più importanti della loro vita, e quelli sociali più degli altri. Più il grado di socializzazione è elevato e più gli scambi reciproci divengono intimi e complicati, coinvolgendo cosi tutti i membri della famiglia in una rete di comunicazioni che spesso possono essere definite sorprendenti. L’Ape mellifica ha raggiunto vertici di socializzazione tali che gli individui non possono sopravvivere fuori del gruppo, tanto sono legati fra loro.
Molti sanno ormai che la comunicazione animale avviene attraverso atti di natura fisica e chimica ; le Api non sono da meno: odori e segnali tattili, definiti ”danze”, costituiscono il modo normale d’informarsi a vicenda. L’Ape, prima di divenire bottinatrice, e quindi di essere in grado di comunicare alle sorelle notizie utili sulla localizzazione delle fonti trofiche, deve conoscere bene i dintorni dell’alveare ed essere in grado, una volta uscita, di farvi ritorno. Per questo essa inizia brevi voli di orientamento all’esterno ancora quando si occupa normalmente di pulizie e di costruzioni di celle; voli che divengono sempre più impegnativi e lunghi man mano che si avvicina il momento di dedicarsi esclusivamente al lavoro di bottinamento. L’orientamento non è un fatto istintivo, ma un normale processo di impressioni ottiche che essa acquisisce poco alla volta, e spesso paga di persona se, per sbaglio, tenta di infilarsi in un alveare che non sia il suo. In mancanza d’informazioni visive di natura diversa, anche la posizione del sole rispetto a quella dell’alveare funziona da bussola e le permette di calcolare esattamente la graduazione dell’angolo tra I’alveare, la fonte di cibo e il raggio solare. A questo punto I’Ape è pronta non solo per rifornire di cibo I’alveare, ma anche per comunicare alle sorelle rimaste a casa preziose informazioni su eventuali fonti di cibo, sulla loro importanza, distanza e direzione. Ciò avviene mediante due tipi di danze che essa compie sia all’interno dell’alveare, sia sulla piattaforma in prossimità dell’entrata. La prima, più semplice, fu denominata danza circolare; la seconda, danza dell’addome. Ambedue offrono alle Api ascoltatrici un messaggio simbolico diverso, da loro perfettamente inteso. Quando una raccoglitrice di cibo ritorna col carico, elargisce alle sorelle il nettare incamerato nell’ingluvie durante il viaggio e quindi inizia a camminare sulla superficie del favo, tracciando una sorta di cerchio, invertendo spesso la rotta e ripetendolo su altri favi. Le altre la seguono compiendo gli stessi movimenti e, al termine del ”rito”, che può durare qualche minuto, esse hanno capito che il nettare si trova nei dintorni dell’alveare, entro un raggio di 100 m, quindi facilmente rintracciabile sui fiori che si trovano poco lontano da casa. Per le Api che hanno accolto il messaggio diviene un giochetto ritrovare, con I’odore del nettare acquisito durante la danza, la fonte di cibo. La comunicazione attraverso questo linguaggio tattile diviene più sorprendente ancora nella danza dell’addome o danza oscillante. In questo caso I’ape effettua una manovra diversa, in quanto descrive, con movimenti rapidi, una figura la cui traiettoria assomiglia a un 8 o a due cerchi contigui, uniti da un tragitto rettilineo. Durante questa danza il suo addome oscilla e le sorelle la seguono eccitate, con le antenne protese come nel caso precedente. La cosa straordinaria di questa danza è costituita dal fatto che essa non solo trasmette alle Api dati precisi sulla natura della sorgente di cibo per mezzo degli effluvi odorosi e che questa si trova a oltre 100 m dall’alveare, ma ne indica anche la distanza esatta e la direzione. II ritmo più o meno intenso della corsa esprime la distanza; più lenta è la corsa sul favo, più la fonte di cibo è lontana. Quando questa si trova in un raggio che non supera il chilometro, le informazioni risultano di una esattezza perfetta. La direzione da seguire viene indicata mediante il tragitto rettilineo che I’ape compie tra i due semicerchi della figura; esso può essere verticale o più o meno inclinato. Se la fonte di cibo si trova in direzione del sole, il tragitto verticale viene fatto dal basso verso I’alto; se in direzione opposta al sole dall’alto verso il basso. Se la fonte si trova a sinistra o a destra della posizione del sole rispetto all’alveare, I’ape deve percorrere una linea retta inclinata a sinistra o a destra con un angolo uguale. In altre parole, se il tragitto della danza e inclinato a destra di 45° rispetto alla verticale (posizione del sole), la bottinatrice deve volare con un angolo di 45° a destra della posizione del sole. Tenuto conto della rispettiva distanza appresa, essa incontrerà immancabilmente il luogo di alimentazione indicato dalla sorella. E’ stato dimostrato che la distanza comunicata dall’ape danzante non viene comunicata quale essa è realmente, ma in base a valutazioni relative alla fatica compiuta e alle difficoltà incontrale, che, naturalmente, possono variare tra un viaggio e I’altro. La posizione del sole cambia evidentemente dal momento dell’uscita dell’ape a quello del suo ritorno all’alveare; essa, tuttavia, tiene per buona I’indicazione direzionale appresa prima di uscire dall’alveare. Anche in una giornata più o meno nuvolosa, la bottinatrice può raggiungere ugualmente la fonte di cibo indicatale, in quanto è in grado di percepire la luce polarizzata del sole o i raggi ultravioletti, attraverso i quali essa vede il disco solare oltre le nubi. Le Api, al contrario delle cugine Melipone, sono in grado di trasmettere indicazioni direzionali solo al livello del suolo. I messaggi trasmessi non hanno come obiettivo semplicemente le fonti trofiche, ma si estendono anche al controllo della temperatura nell’alveare e al ritrovamento di un luogo adatto per una nuova nidificazione durante la sciamatura. Crisi di calore eccessivo provocano reazioni immediate nelle Api addette ai lavori interni che, una volta esaurite le scorte di nettare più o meno annacquato, si mettono a danzare attorno alle bottinatrici. In tal modo incitano le sorelle ad aumentare I’apporto di acqua nell’alveare, sia con nettare più annacquato che con acqua pura. La danza cessa quando la temperatura e tornata a livelli normali, e aIlora le bottinatrici riprendono il trasporto di cibo migliore. Durante la sciamatura, regina e operaie formano un glomere o grappolo di notevole consistenza, attaccato spesso al primo ramo d’albero che incontrano sul loro cammino. Durante questa pausa un certo numero di operaie, specializzate in precedenza, esplorano i dintorni in cerca di una cavità adatta a ospitare definitivamente la colonia. Ritornate al grappolo, si mettono a danzare più o meno intensamente, con movimenti che ricordano quelli della danza oscillante. Così ognuna comunica alle altre il suo messaggio; più la danza e frenetica, più il posto individuato e stimato confacente alla famiglia. Messaggi sovrapposti e successivi determinano indecisioni e ripensamenti da parte della colonia e I’accordo può essere raggiunto anche dopo molte ore o molti giorni.
Petoletti Andrea Api mellifiche

Petoletti Andrea Api mellifiche

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