Gli etruschi

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Testo

Etruschi
Popolo d'incerta origine abitante anticamente la Toscana e il Lazio settentrionale. Secondo Erodoto, che li identifica con i Tirreni, sarebbero giunti in Italia dall'Asia Minore; secondo altri proverrebbero dall'Europa centrale; secondo storici recenti la nazione etrusca si sarebbe formata in Italia mediante la graduale reciproca assimilazione delle genti abitanti tra l'Arno e il Tevere. Poiché gli Etruschi furono una grande potenza marinara ed ebbero relazioni con tutti i grandi Paesi del Mediterraneo, assimilarono, nell'elaborazione della loro civiltà, elementi diversi: italici, orientali (siro-egizi), greci. Erano organizzati in città-stato (lucumonie), riunite in una confederazione a carattere prevalentemente religioso comprendente dodici città: Volterra, Arezzo, Perugia, Cortona, Chiusi, Volsini, Populonia, Vetulonia, Vulci, Veio, Cere, Tarquinia. Il potere era detenuto per diritto ereditario dagli aristocratici. Gli Etruschi bonificarono la Maremma; svilupparono una fiorente industria e attivissimi commerci. Appresa dai Fenici e dai Greci l'arte della navigazione, spartirono con i Cartaginesi il dominio del Tirreno, sancito dalla conquista della Corsica (vittoria di Alalia, metà del VI sec. a. C.). Nel periodo della loro maggiore potenza (secc. VII-V a. C.) raggiunsero a nord la pianura padana, ove fondarono Felsina (Bologna), Marzabotto, Adria, Spina con il suo porto sull'Adriatico legato con i commerci dell'Attica, Modena, Parma, Piacenza e Mantova; a sud conquistarono Roma (periodo dei Tarquini, gli ultimi tre re di Roma), spingendosi oltre il Tevere nella Campania fino al golfo di Salerno, ma incontrando la resistenza dei Sabini e dei Greci. Il declino ebbe inizio verso la metà del VI sec. con la cacciata dei Tarquini da Roma e il seguente abbandono dei centri della Campania sotto la pressione dei Sanniti (424 a. C.). Sopraffatti a nord dai Galli (IV-V sec.), battuti a sud per mare da Gerone di Siracusa (474 a. C.), caddero a poco a poco sotto il dominio di Roma: Veio (396 a. C.), Tarquinia (357 a. C.), Cere (355 a. C.), Volsini (264 a. C.). Completamente assoggettati da Roma, ottennero la cittadinanza romana con la guerra sociale del 90 a. C. La lingua etrusca non apparteneva al ceppo indoeuropeo ma al sostrato mediterraneo. La religione etrusca era improntata a una concezione fosca e terribile della divinità: gli dei, fra i quali occupava un posto principale la morte, erano nemici dell'uomo: si placavano con i sacrifici e i segni con cui manifestavano la loro volontà erano interpretati per mezzo dell'arte divinatoria (aruspicina).
• Arte. L'arte etrusca si suole dividere in diverse fasi in base ai vari apporti, prima orientali, poi greci, che influirono sulla sua formazione; essa, però, mantenne sempre una propria originalità dovuta ai legami col sostrato italico, per esempio nei caratteristici effetti di realismo espressionistico. Pochissimo resta dell'architettura (sappiamo però che gli Etruschi introdussero l'uso dell'arco e della volta): sono le dimore funebri, dove spesso sono associate architettura, scultura e pittura, a permetterci di seguire l'evoluzione dell'arte, grazie alle ricche suppellettili, alle oreficerie, ai sarcofagi scolpiti (a Tarquinia, dal IV sec., con la figura del defunto a rilievo adagiata sul coperchio), alle ben conservate pitture murali (Tarquinia, tomba degli áuguri, tomba della caccia e della pesca). Le tombe sono di vario tipo: diffuse quelle circolari, con copertura a falsa volta, e quelle con corridoio d'accesso, atrio e camera sepolcrale, segnalate all'esterno da un tumulo di terra. Nella scultura spiccano le grandi statue fittili, un tempo policrome, che ornavano i templi (Apollo di Veio; Roma, Museo di Villa Giulia), e le opere in bronzo, come la Chimera di Arezzo (Firenze, Museo Archeologico) e la Lupa capitolina (Roma, Palazzo dei Conservatori). Tipicamente etruschi sono i buccheri e i canopi.
• Scrittura e lingua. La scrittura etrusca non ha difficoltà d'interpretazione, poiché il sistema alfabetico è di derivazione greca, con lievi variazioni fonetiche rispetto a quell'alfabeto. Ardua è invece, e tuttora in gran parte inattuata, l'interpretazione della lingua, non indoeuropea, per l'assenza di testi bilingui e per la brevità della maggior parte dei testi epigrafici.

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