Francesca da Rimini

Materie:Appunti
Categoria:Ricerche

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Testo

Prova ad immedesimarti in uno dei personaggi incontrati nella Divina Commedia, inventa per lui una vivace e realistica autobiografia oppure la cronaca dei suoi ultimi giorni, delle ultime ore prima della morte o, ancore, le sue riflessioni, i suoi ricordi, i suoi rimpianti una volta giunto nell’aldilà.

Nata nel 1261 in una delle famiglie più potenti ed aristocratiche di Rimini, fui cresciuta e educata nel migliore dei modi, secondo la tradizione del nostro casato; trascorsi l’infanzia con la mia famiglia e verso l’età di sette anni fui mandata in convento per imparare a ricamare, a leggere e a parlare latino e francese, e qui restai fino al momento del mio matrimonio, nel 1275.
Avevo solo quattordici anni, infatti, quando mio padre mi fece tornare a casa senza motivi apparenti. Pochi giorni dopo però conobbi la causa del mio ritorno: per siglare l’alleanza con la famiglia Malatesta e per ripagarli dell’aiuto fornito in battaglia a mio padre, sarei stata data in moglie al primogenito Giovanni, detto lo zoppo.
Non potevo crederci. Tutti quei discorsi con le altre allieve del monastero sulla gentilezza e sull’amore, tutte quelle teorie francesi… tutti quei sogni di mariti colti…era stato solo un sogno, che di lì a poco sarebbe diventato un incubo, visto l’uomo che avrei sposato: rozzo, storpio, dedito solo alle armi e alla politica. Ingenuamente credetti che il mio giudizio sarebbe stato preso in considerazione da mio padre, ma quando gli feci sapere che non desideravo sposare quell’uomo, ebbi come risposta solo schiaffi e odio.
Così fu celebrato quel orrendo matrimonio con quell’orrendo marito, nello stesso giorno in cui si sposarono mio fratello e la sorella di Gianciotto (era il modo di tutti di chiamare lo storpio Giovanni): si riunì tutta la classe dominante della zona, da Firenze a Forlì, e fu in quel giorno di tristezza che conobbi quella che sarebbe diventata la più grande felicità della mia vita: Paolo Malatesta, fratello minore di Gianciotto: alto, slanciato, capelli del colore della notte, occhi verdi come i dolci germogli di primavera.
Dopo il matrimonio andammo a vivere nella villa dei Malatesta, dove già risiedevano Paolo e sua moglie, e da allora la mia vita non fu più la stessa: se di notte dovevo obbedire ai piaceri di mio marito, durante il giorno potevo sognare il bel Paolo dedicandomi alle mie rose e alle mie letture.
Un giorno mio marito mi annunciò che di lì a poco sarebbe partito per Forlì, dove era stato chiamato a ricoprire la carica di podestà e per me fu una grande gioia: finalmente sarei stata sola con me stessa! Ma non sapevo ancore le intenzioni di Gianciotto, che decise di mettermi incinta prima di partire per tornare poi trovandomi finalmente con un suo discendente.
Suo? Già era ripugnante dover dividere lo stesso letto con quell’uomo rozzo ed arrogante, figuriamoci portarne in grembo un figlio…ma non potevo rifiutarmi, ero come una schiava nelle sue mani, ero sua moglie, agli occhi di Dio ma soprattutto degli uomini.
Quando Gianciotto se ne andò, io rimasi in compagnia di Paolo e sua moglie (della quale divenni subito amica), e passai uno degli anni più belli della mia vita, anche se desideravo l’uomo di un’altra.
Al suo ritorno, mio marito mi ritrovò effettivamente con una figlia, che il vecchio Malatesta mi aveva costretta a chiamare Concordia: era una bella bambina, e dal momento in cui nacque smisi di detestarla perché frutto di mio marito e iniziai ad amarla come parte di me, e fu anche grazie a lei che non fuggii via da quella vita che non sopportavo più.
Con il passare degli anni mi rassegnai al mio destino al quale non potevo ribellarmi, sia perché ero sposata, sia perché anche l’uomo che amavo era sposato e non mi degnava di uno sguardo, nemmeno quando la moglie non c’era. Poi la ferita al cuore: Paolo era stato nominato Capitano del popolo a Firenze, quindi avrebbe dovuto stabilirsi là per un anno circa. Un anno senza vederlo? Quando era stato lontano mio marito avevo trascorso un anno di libertà, mentre ora avrei trascorso un anno di solitudine e sofferenza…per fortuna c’era la mia piccola Concordia e i miei splendidi libri a riempirmi la vita e a non farmi sentire sola.
Durante quell’anno, ebbi il tempo di riflettere a mente rilassata e decisi che mai più avrei fantasticato su Paolo, mai più avrei desiderato il marito di un’altra. Ma tutti i miei buoni propositi svanirono come ghiaccio al sole quando Paolo rientrò da Firenze. Allora la mia passione si risvegliò più intensa e forte che mai, e mi decisi a dimostrargli cosa provavo per lui.
Un giorno, passando accanto alla porta del salotto, lo vidi intento a leggere, e così andai a parlargli: fino a quel momento il nostro era stato solo un rapporto di parentela, ma da quel momento cambiò tutto: scoprii che aveva la mia stessa passione per i testi francesi e latini e trovammo così piacevole lo stare insieme a leggere che decidemmo di rifarlo in ogni momento libero delle nostre giornate.
Mio marito partì di nuovo, ma ciò non mi sfiorò minimamente, perché l’unica cosa importante per me erano diventati i momenti di svago con Paolo. E un giorno accadde che, leggendo la romantica storia di Lancillotto e Ginevra, la nostra passione reciproca si manifestò. Un bacio. Un sogno di anni.
Da sempre anche lui mi desiderava, ma non aveva mai osato dimostrarmelo per paura di macchiare il mio onore e offendere suo fratello, ma non ce la faceva più, da troppo tempo invidiava quest’ultimo e soffriva nel vedermi stare male…
Gli incontri con Paolo s’intensificarono e non riguardavano più soltanto la letteratura. Sapevo che non era una cosa giusta, anzi era un peccato gravissimo tradire il proprio marito, ma dentro di me credevo che Dio mi avrebbe perdonata vedendo nel mio cuore tutto l’amore che provavo per Paolo, ma non fu così…
Un giorno come tanti altri, Paolo venne nella mia stanza e iniziò a baciarmi. All’improvviso si sentì un rumore provenire dall’armadio e quando andai a vedere vi scoprii all’interno uno dei miei servitori, intento a rubare dalla mia sacca delle monete. Lo tirai al centro della stanza e agghiacciata dal timore di quello che quell’uomo poteva aver visto, lo minacciai di farlo fustigare e cacciare via da mio marito. E lui, con tono superbo, mi rispose che non soltanto non avrei mai dovuto licenziarlo, ma avrei dovuto pagare spesso il suo silenzio. A quel punto Paolo prese il servitore e iniziò a percuoterlo gridando che se si fosse fatto scappare una sola parola lo avrebbe fatto ammazzare, ed egli fuggì via impaurito.
Tutto sembrava sistemato, ma era soltanto la calma prima della tempesta… quel servitore infedele, con la scusa di recapitare una missiva, andò a Pesaro e disse a mio marito che doveva tornare urgentemente a casa perché sua moglie stava morendo, ed egli gli credette, precipitandosi a casa senza la sua scorta, solo.
E fu proprio questo il motivo per cui non lo sentimmo: era solo con il suo cavallo, poteva essere chiunque, non pensavamo certo a mio marito. E poi fu questione di secondi.
Gianciotto entrò correndo nella mia stanza e qui mi trovò che giacevo con Paolo. Lo spavento di trovarmi morta lasciò lo spazio alla gelosia e subito dopo alla collera: Gianciotto prese Paolo e gli sferrò un pugno in faccia, lasciandolo cadere; poi mi schiaffeggiò e urlando mi chiese come avevo potuto comportarmi così dopo ciò che lui aveva fatto per me…certo che avevo potuto comportarmi così, era anzi la giusta moneta per ripagarlo di tutti gli insulti, le vergogne e le sofferenze che mi aveva fatto subire, e delle quali non avevo mai potuto parlare con nessuno, perché non mi aveva mai nemmeno permesso di avere amiche che non fossero la moglie di Paolo.
Chiamò due servitori, uno dei quali era proprio quello che aveva causato la nostra fine, e ci fece rinchiudere in una cella nei seminterrati. Non conoscevamo la nostra sorte, ma sapevamo che era finita.
Nella notte Gianciotto, accecato dalla gelosia e dal rancore, scese nella nostra cella e ci trafisse entrambi con la stessa spada, nel sonno.
E ora Dio ci ha destinati qui, nel girone dei lussuriosi, per sempre. Ceco al nostro amore e sordo ai nostri cuori, ci ha puniti per esserci amati, per aver rifiutato i nostri matrimoni, per non aver voluto sottostare alle assurde decisioni che altre persone avevano preso per noi. Ma da ora in poi nulla potrà cambiare ciò che siamo stati, e nemmeno cambierà ciò che siamo.
Chiara Zanasi 3^ar 02/05/2000

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