Estinzioni e catastrofi nel corso dell'evoluzione

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Data:20.07.2000
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ESTINZIONI E CATASTROFI NEL CORSO DELL’EVOLUZIONE
• QUASI TUTTE LE SPECIE SI SONO ESTINTE
• LE ESTINZIONI IN MASSA
• GLI ANIMALI CHE STANNO SCOMPARENDO E PERCHÉ
• LE MISURE PROTETTIVE
QUASI TUTTE LE SPECIE SI SONO ESTINTE
Da quanto sappiamo sull’evoluzione possiamo affermare che nessuna specie è eterna; ciascuna specie nasce, prospera ed infine si estingue. Ciò si è avverato per le specie passate e si avvererà per quelle presenti e future. Un famoso paleontologo americano, G.Simpson, ha calcolato che il totale delle specie che sono esistite dall’epoca dell’origine della vita (circa 3,5 miliardi di anni fa) fino ai giorni nostri, sia stato di circa 250 milioni. Di queste, il 97% si è gradualmente estinto, quindi ne rimangono attualmente circa 7,5 milioni. In base a questi dati possiamo calcolare che mediamente si sono estinte circa 70 mila specie ogni milione d’anni.
Di alcune specie estinte abbiamo testimonianza nei resti corporei o in tracce che hanno lasciato in terreni antichi: i fossili.
C’è invece chi sostiene che le specie non si estinguono, ma semplicemente evolvono, generando altre specie per selezione naturale. L’ “Origine delle specie” di Darwin ruotava proprio attorno all’idea che esse evolvano gradualmente il altre specie. Quando una nuova specie si forma in questo modo quella ancestrale non muore: subisce soltanto una trasformazione. In questo caso si dice che la specie ancestrale è andata incontro ad una pseudoestinzione.
Una delle opinioni più diffuse afferma che le estinzioni sono una cosa buona, perché servono ad eliminare le specie meno adatte. Per certuni l’idea che le estinzioni siano positive è così ovvia da non aver bisogno di essere dimostrata: le specie più adatte si distinguono da quelle meno adatte per il solo fatto di essere sopravvissute. Ma perché sono sopravvissute? É un fatto di geni o un fatto di sorte? La prima alternativa si può manifestare sotto forma di una non-propensione alle malattie, della presenza di una buona percezione sensoria o di una buona capacità riproduttiva. La seconda potrebbe essere rappresentata dalla fortuna di non trovarsi nel luogo di una catastrofe o di essere riuscite a superare le avversità del loro normale habitat.
Secondo la mia opinione l’estinzione è una combinazione di cattivi geni e di cattiva sorte, anche se credo che la maggior parte delle specie perisca per pura sfortuna.
Abbandoniamo questo problema e proviamo a pensare come sarebbe stata l’evoluzione se nessuna specie si fosse mai estinta. Le difficoltà sarebbero parecchie, prima fra tutte quella della varietà biologica che aumenterebbe tantissimo. Ogni nuova specie potrebbe a sua volta dare origine ad altre specie: in breve tempo tutto il sistema sarebbe saturo e la speciazione cesserebbe poiché non vi sarebbe più spazio per nuove forme.
LE ESTINZIONI IN MASSA
La maggior parte delle specie viventi, che oggi non ci sono più, si sono estinte in avvenimenti catastrofici che gli scienziati hanno chiamato estinzioni in massa.
Fino ad oggi si sono verificate cinque estinzioni in massa degne di nota, che gli scienziati hanno chiamato “Le Grandi Cinque”; queste sono:
Estinzione dell’ Ordoviciano-Siluriano: (440 milioni di anni fa); una glaciazione innescata dal movimento dei continenti raffredda i mari. Scompaiono molluschi e coralli.
Estinzione del Devoniano-Carbonifero: (350 milioni di anni fa); circa il 70% delle specie marine e degli invertebrati che popolano la terra scompaiono.
Estinzione del Permiano-Triassico: (250 milioni di anni fa); la più grande estinzione di tutte le epoche. Quasi tutte le specie marine e terrestri scompaiono.
Estinzione del Triassico-Giurassico: (200 milioni di anni fa); scompare 75% della fauna marina. Gli animali terrestri sono i meno colpiti.
Estinzione del Cretacico (estinzione k-t): (65 milioni di anni fa). I dinosauri escono di scena.
Di queste estinzioni prendo in esame la k-t. Essendo la più recente le sue rocce e i suoi fossili sono particolarmente ben conservati. Inoltre i sedimenti del Cretacico sono ampiamente distribuiti perché in questo periodo i continenti furono parzialmente sommersi dal mare basso, che lasciò un’ottima documentazione su quella che è la superficie riemersa. Quasi ogni gruppo di piante e di animali, sia in terra che in mare, perse specie e genere verso la fine del Cretacico. Gli organismi marini furono colpiti dalla totale estinzione del 38% dei loro generi; fra i terrestri le perdite furono persino un po’ superiori. Si tratta di cifre enormi se si considera che la scomparsa di un genere significa la scomparsa di tutti gli individui delle specie che ne fanno parte.
La vegetazione terrestre ebbe probabilmente una sorte migliore, sebbene la documentazione fossile non sia sufficientemente ben conservata da poterlo affermare con certezza.
Negli oceani le perdite maggiori di specie e di generi riguardano i foraminiferi, le spugne e i ricci di mare. Furono annientati anche parecchi altri gruppi che in passato avevano conosciuto un grande successo evolutivo, come i rettili marini (plesiosauro, mosasauro e ittiosauro) e le ammoniti (molluschi lontanamente imparentati con il calamaro).
Le vittime più appariscenti sulla terraferma furono i dinosauri, ma anche una grande varietà di altri rettili, mammiferi e anfibi sostenne perdite pesantissime. Naturalmente vi anche chi si salvò. Coccodrilli, alligatori, rane, salamandre, tartarughe e mammiferi sopravvissero come gruppi, nonostante l’estinzione di alcune specie.
Si è registrato inoltre un improvviso cambiamento nella vegetazione terrestre, diagnosticato basandosi sulla concentrazione delle spore delle felci. questo cambiamento ricorda i repentini mutamenti che oggi osserviamo nella vegetazione dopo l’incendio di una foresta: alla foresta rigogliosa si sostituisce una flora “opportunista” dominata dalle felci.
Detto questo rimane però aperta una domanda: quanto durò l’estinzione k-t? Stabilire la durata delle estinzioni in massa non è un compito facile. Secondo la teoria gradualistica delle estinzioni in massa, questi eventi hanno impiegato milioni di anni per svolgersi e la loro apparente rapidità era dovuta alla documentazione fossile incompleta. Molti paleontologi, invece, ritengono le estinzioni in massa improvvise, di breve durata e rare. Per quanto riguarda la rarità, questa pare di facile comprensione. Prendiamo come esempio i fenomeni naturali; quelli di modesta portata sono comuni, quelli macroscopici invece sono rari. Così è anche per le estinzioni: più il grado di intensità è elevato più la frequenza diminuisce.
Quindi, come in un romanzo giallo, c’è un cadavere (anzi, in questo caso ce ne sono molti), c’è un colpevole, ma non si riesce, dato che non possiamo tornare indietro nel tempo, a capire chi sia. Qualcuno però ritiene di aver risolto il mistero.
Walter Alvarez, figlio di Luis Alvarez, premio Nobel per la fisica, identificò la causa dell’estinzione k-t con un asteroide di 10 Km di diametro che, arrivato dallo spazio, avrebbe colpito ad altissima velocità la terra, provocando un effetto analogo ad una potentissima esplosione, con un’energia equivalente a 10.000 volte l’intero arsenale atomico esistente oggi. La teoria dell’asteroide risale al 1798 quando Alvarez scoprì, durante uno dei suoi viaggi in Italia, nella Gola del Bottaccione vicino a Gubbio, uno strato molto insolito, risalente appunto a 65 milioni di anni fa, e contenente un’alta concentrazione di iridio (un metallo molto abbondante nei meteoriti, che testimonierebbe l’impatto di un enorme asteroide con la terra. Il cataclisma avrebbe sollevato nell’atmosfera un immenso pulviscolo ricco di iridio. Lo strato di pulviscolo oscura il cielo, innesca piogge acide, tempeste, perturbazioni, incendi, la temperatura crolla e la fotosintesi s’interrompe, generando quello che è stato chiamato l “inverno artificiale”. Le piante muoiono ed i dinosauri erbivori non hanno più cibo e muoiono.
Qualcuno si è chiesto però se questa nuvola di pulviscolo non potrebbe essere stata provocata da colossali eruzioni vulcaniche (che contengono molto iridio). In India infatti esistono immensi laghi di lava solidificata di quell’epoca. É tuttavia un’ipotesi, ma meno convincente, perché distese di lava così massicce impiegherebbero lungo tempo a formarsi.
La catastrofe ecologica che spazzò via i dinosauri potrebbe avere una causa molto più vicina a noi: i vulcani. Nella figura un vulcano che si trova in India
Nel frattempo però, una scoperta molto importante ha rafforzato l’ipotesi dell’asteroide. Nel Golfo del Messico, in seguito a sondaggi petroliferi sottomarini, si è casualmente scoperta la traccia di un grande semicerchio, situata davanti alla penisola dello Yucatan. Risaliva a 65.000.000 di anni fa: l’età era quella giusta, solo che occorreva una verifica via satellite. E, grazie ad apparecchiature a raggi infrarossi della NASA, si è scoperto un altro semicerchio che combaciava perfettamente con il primo, in modo tale da formare un cerchio completo. Anche le dimensioni corrispondevano con le ipotesi fatte: un cratere proprio corrispondente all’impatto di un asteroide di 10 km di diametro.
L’ipotesi dell’asteroide oggi è la più condivisa fra gli scienziati e forse la più attendibile ma, secondo la mia opinione, l’impatto dell’asteroide con la terra è stato solo il primo, di una serie di eventi, che hanno portato all’estinzione del Cretacico.
GLI ANIMALI CHE STANNO SCOMPARENDO E PERCHÉ
All’inizio di questa relazione ho detto che l’estinzione naturale delle specie è un fatto vantaggioso per l’evoluzione biologica, anzi, è indispensabile per la persistenza della vita sulla terra. Però, da qualche tempo, accanto al processo naturale e positivo si registra un’altra forma di scomparsa delle specie viventi. Si tratta di un’estinzione procurata dall’uomo e perciò detta estinzione procurata o estinzione antropica. L’estinzione procurata è un fenomeno diverso dal precedente e si deve considerare un grave disastro biologico. La scomparsa dei Dodo è forse il caso più rappresentativo di estinzione procurata. Il Dodo era un uccello caratterizzato da un corpo massiccio quasi sfornito di coda, becco voluminoso e robusto, ed ali molto piccole. Viveva nell’isola Mauritius, dove formava una piccola popolazione. Nel 1599, lo scoprì un ammiraglio della marina olandese. Da allora il Dodo non ebbe più vita facile. L’isola Mauritius ben prestò cominciò a rappresentare, per le navi olandesi e portoghesi che percorrevano la lunga “rotta delle indie”, un punto di rifornimento. I marinai che vi sbarcavano cacciavano i Dodo, in quanto fornivano carne fresca e si catturavano facilmente. Oltre a ciò accadde che l’isola in questione divenne la sede di una colonia penale olandese; i detenuti che vi giunsero portarono con loro alcuni ratti e diversi maiali. Questi animali, poiché non trovarono predatori, si moltiplicarono rapidamente sull’isola e quindi cominciarono a nutrirsi anche delle uova (uno per covata) dei Dodo. Per lui fu così la fine: nel 1681, cioè dopo appena 82 anni dalla sua scoperta, non esisteva più alcun Dodo sul pianeta terra.
Il Dodo
Possiamo quindi constatare che la causa prima dell’estinzione antropica è l’uomo, con i danni che questo, consapevolmente o inconsapevolmente, procura con le sue attività. Le più dannose e pericolose per l’ambiente e per l’ecosistema si possono ricondurre a tre “soltanto” :
1) L’alterazione dell’ambiente. L’alterazione dell’ambiente è, senza dubbio, il fattore annientatore che, più degli altri, ha fatto il maggior numero di vittime. Si tratta di un fattore indiretto; infatti l’uomo non si accanisce direttamente su una determinata specie ma sul suo habitat, sicché, una volta distrutto l’habitat in cui quella specie vive, quest’ultima viene automaticamente soppressa. La distruzione dell’habitat delle specie selvatiche è aumentato enormemente con il progredire della civiltà industrializzata; essa comporta vantaggi culturali e tecnici ma anche svantaggi per l’ambiente e per tutto ciò che in esso vive: il disboscamento, la bonifica delle paludi, la coltura razionalizzata (taglio di siepi, monocolture, canalizzazione delle acque, fitofarmaci, fertilizzanti.......), l’inquinamento, l’introduzione di specie estranee al territorio e il disturbo visivo, acustico, odoroso (dovuto al turismo di massa, al diporto nautico, agli impianti sciistici.........).
2) La caccia. La caccia è indubbiamente un importante fattore di sterminio, specialmente per le specie appartenenti alle classi degli uccelli e dei mammiferi. Essa è un’azione praticata dall’uomo con diversi intenti: per procurarsi il cibo, per abbattere le specie da lui considerate nocive alle persone, al bestiame e alle coltivazioni, per divertimento e per ricavare merci dai capi abbattuti.
3) Il commercio. Il commercio di animali vivi o morti, o delle loro parti usate ai fini merceologici, è il terzo fattore che agisce in modo incisivo sul processo di estinzione procurata delle specie animali. Diversi animali, infatti, vengono attivamente catturati perché sono richiesti per scopo amatoriale, altri vengono cacciati per ricavare parti del loro corpo
che sono molto ricercate: pelli, pellicce, zanne, corna.......
C’è però da dire che non tutte le specie animali che sono contrastate dall’uomo sono propense a scomparire dalla faccia della terra, se così fosse i parassiti delle piante sarebbero stati debellati da un pezzo! L’estinzione per opera dell’uomo interessa in modo particolare quelle specie che hanno determinati caratteri biologici che riguardano l’anatomia, il luogo in cui vivono, i rapporti con l’ambiente e le dimensioni delle popolazioni. Gli animali più a rischio sono:
• Quelli che presentano grande mole e notevole appariscenza. Hanno questi attributi la maggioranza dei vertebrati, i quali, per questa ragione, costituiscono il gruppo di animali in cui si ha il maggior numero di specie estinte o in via d’estinzione.
• Quelli che occupano aree geografiche ristrette o localizzate. Si tratta di specie che vivono in habitat isolati: come le isole, le vette delle montagne, le cavità delle montagne...... Esempi di specie che si trovano in queste condizioni sono la Lucertola di Bedriaga e la Testuggine elefantina.
• Quelli che si sono adattati in ambienti privi di predatori, sicché sono carenti nei mezzi di difesa. Un esempio può essere il Kagu, un uccello inetto al volo che vive in un’isola della Nuova Zelanda, il quale rischia l’estinzione poiché è divenuto preda di animali (cani e gatti) che prima non esistevano sull’isola e che vi sono stati introdotti dall’uomo.
• Quelli che sono estremamente specializzati nell’occupare una particolare nicchia ecologica (specie stenoecie); al punto tale da non sopportare una seppur minima variazione delle condizioni ambientali. In questo caso rientrano, ad esempio, tutte le specie cavernicole (specie troglobie).
• Quelli che presentano una scarsa capacità riproduttiva. É questo il caso delle specie che si trovano ai vertici delle catene alimentari (ad es. l’Orso bruno, il Grifone, l’Aquila reale), le quali si riproducono molto lentamente e generano un numero ridotto di figli, 1 o 2.
• Quelli che hanno popolazioni con numero ridotto di individui. Ciò rende precaria l’esistenza della specie per diverse ragioni: l’indebolimento genetico derivante dagli accoppiamenti forzati fra fratelli (ciò accade, ad esempio, nelle popolazioni sarde del Gipeto e dell’Avvoltoio monaco), la difficoltà d’incontro fra i due sessi (come avviene nelle popolazioni alpine dell’Orso bruno), la quasi impossibilità di manifestare comportamenti sociali nella ricerca del cibo e nella difesa (come avviene nelle popolazioni del Lupo degli Appennini).
Questi sono appunto i caratteri che rendono le specie che li possiedono “specie ad alto rischio” ; se poi queste sono vittime delle azioni umane per loro è finita. Pertanto, in ogni luogo in cui è presente l’uomo, bisognerebbe individuare queste specie e dedicare ad esse particolari misure protettive. É quello che ha fatto l’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) con i Red data books (Libri Rossi), che forniscono un quadro completo e sempre aggiornato delle specie in pericolo, di quelle vulnerabili, di quelle rare e di quelle fortunatamente fuori pericolo.
LE MISURE PROTETTIVE
La società umana però, sembra non essere più totalmente indifferente, infatti sono stati istituiti organismi internazionali che operano per la prevenzione delle specie minacciate di estinguersi. In particolare questi organismi protezionistici agiscono mediante alcune misure di tutela, consistenti in cinque provvedimenti importantissimi:
- L’educazione ambientale. L’educazione ambientale è il primo passo da fare, infatti è necessario che gli abitanti del territorio in cui ci sono specie da proteggere siano sensibilizzati al problema e convinti della necessità di risolverlo. Questa azione è svolta prevalentemente dal W W F (Fondo Mondiale per la Natura), che opera attraverso libri e riviste, mezzi di comunicazione di massa, istruzione scolastica e campagne di sensibilizzazione. La sensibilizzazione e l’educazione ambientale, però, non devono
interessare solo i cittadini ma anche i politici, in quanto sono loro che devono fare le leggi.
- Leggi, trattati e disposizioni. Questo provvedimento è diretto agli organi competenti di tutti i Paesi, i quali, più o meno, si sono dati da fare. Finora sono state emanate una serie di leggi per la protezione ambientale. Fra queste ricordiamo:
la Convenzione di Rasmar (1971), relativa alla salvaguardi delle zone umide;
la Convenzione di Parigi (1972), sulla protezione del patrimonio mondiale sia culturale che naturale;
la Convenzione di Washington (1973), sulla regolamentazione del commercio internazionale di animali e piante;
la Convenzione di Berna (1979), relativa alla conservazione della vita e dell’ambiente naturale in Europa;
la Convenzione di Bonn (1979), sulla conservazione delle specie migratrici di uccelli;
le Direttive CEE (1981), relative alla protezione della fauna selvatica e dei relativi habitat.
In Italia la maggior parte di queste convenzioni è stata trasformata in legge, anche se quest’ultime non hanno poi trovato applicazione nella realtà sociale.
- L’ istituzione di zone protette. Il terzo provvedimento consiste nell’istituzione di nuove zone protette (parchi, riserve integrali, oasi faunistiche.....) e nel potenziamento di quelle già esistenti. Attualmente esistono nel mondo circa 3000 aree protette, distribuite in 120 Paesi e ricoprenti quasi 4 milioni di km quadrati (il 3% della superficie totale delle terre emerse). L’Italia, con il 3% di superficie destinata alle zone protette, resta ancora al di sotto del livello medio europeo (5%).
- La reintroduzione. Con questo termine s’intende l’atto di prelevare alcuni individui di una determinata specie da una parte del suo areale e di liberarli in un’altra parte dello stesso areale dove le popolazioni locali si erano estinte o si erano molto rarefatte. Un esempio di questo tipo d’intervento si è avuto in Italia dove la popolazione di Stambecchi della Val Zebrù (Lombardia), estintasi verso la fine del 1700, è stata ripristinata con un’operazione di reintroduzione che ha utilizzato soggetti prelevati, in parte, dal Parco Nazionale del Gran Paradiso e, in parte, catturati nelle vicinanze del passo del Bernina.
- Il ripopolamento. Il ripopolamento consiste nel rilasciare in un certo territorio alcuni animali allevati in semilibertà, appartenenti ad una specie che è già presente nel territorio del rilascio, dove però gli individui di quest’ultima sono ridottissimi nel numero.
Come possiamo constatare, le organizzazioni protezionistiche ce la stanno mettendo tutta per tentare di ridurre l’estinzione delle specie animali. Io credo però che l’estinzione di una specie animale non sia un fatto che interessa soltanto il biologo, il conservazionista o lo zoologo, ma sia una vicenda che tocchi (o perlomeno che dovrebbe toccare) ciascuno di noi.
Per rimarcare questa mia opinione ritengo che non vi sia niente di meglio che il riportare le seguenti parole, espresse dallo zoologo Pietro Alicata:
“Questo mondo ricchissimo si va continuamente impoverendo per la nostra sconsideratezza. Ma questo impoverimento tocca anche noi. E’ anche un impoverimento del mondo delle nostre sensazioni ed emozioni, della nostra conoscenza, dell’universo e dei nostri rapporti. In qualche modo, realmente, la scomparsa dal nostro ambiente di una qualsiasi specie vivente, toglie qualcosa anche a noi.

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