Celebrazione dell'amicizia nella cultura antica

Materie:Appunti
Categoria:Ricerche
Download:1270
Data:23.10.2001
Numero di pagine:7
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
celebrazione-amicizia-cultura-antica_1.zip (Dimensione: 7.93 Kb)
trucheck.it_celebrazione-dellr     34 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Celebrazione dell’amicizia nella cultura antica e rinascimentale

L'amicizia ha sempre rivestito grande importanza e attirato l'attenzione degli autori, di tutte le epoche e civiltà, che l'hanno vista come la più evidente manifestazione dell'amore. In origine, nel pensiero di estrazione classica, l'amicizia si presenta con una decisa connotazione "guerriera", in un tempo - come quello di Omero - in cui i rapporti erano su di un piano di amicizia della pólis, in cui la solidarietà viene ad essere sempre più necessaria; e successivamente "politica", in un tempo, come quello filosofico, fu Pitagora ad aver coniato il termine amicizia, insegnandola da parte degli dei verso gli uomini, degli uomini fra di loro, dell'uomo verso la donna, i figli, i fratelli, i parenti.
I fisici greci (V sec. a.C.), invece, ne fornivano una spiegazione puramente meccanicistica: la philía non era altro che la forza cosmica positiva che presiedeva all'unione dei corpi.
Tra i tragici greci chi riserva uno spazio maggiore al nostro tema, tanto da farne l'argomento dominante di una sua tragedia, l'Oreste, è Euripide, nel quale possiamo ritrovare ancora l'amicizia come solidarietà guerriera (Oreste-Pilade), ma nello stesso tempo anche il suo superamento.
Bisognerà arrivare a Socrate, per applicare l'amicizia alle persone, o per meglio dire alla psyché, che era l'elemento più intimo dell'uomo. Platone, discepolo di Socrate, dedica un dialogo - il Liside - interamente a questo tema, esprimendo bene quanto forte possa essere e diventare il desiderio di avere una persona amica, tanto da anteporre questa a qualsiasi altra. Il desiderio dell'amicizia rende simili gli amici: è questo il principio primo su quale si basa l'idea di amicizia per Platone.
Aristotele, discepolo a sua volta di Platone, si dedica all'argomento nell'opera ''Etica Nicomachea'', ponendosi sulla scia della tradizione del suo maestro. Egli divide l'amicizia in tre generi, a seconda che sia basata sull'utilità, sul piacere e sulla virtù, ma mentre le prime due forme sono destinate a perire facilmente, in quanto fallaci, la terza è destinata a durare, perché è stabile e perfetta, la migliore possibile.
Oltre che il mondo greco, anche quello romano è ricco di esempi di amicizie significative: Eurialo e Niso, Enea e Pallante, Blossio e Gracco, Scipione e Lelio, Attico e Cicerone. È proprio quest'ultimo l'autore che più di tutti gli altri offre delle pagine stupende sull’ amicizia, al punto da dedicare ad esso un'intera opera: Sull'amicizia, scritta nell'estate del 44. Analizzando l'opera possiamo cogliere il pensiero ciceroniano sull'amicizia. Essa è un perfetto accordo di tutte le cose divine e umane, accompagnato da benevolenza e amore e, eccettuata la sapienza, rappresenta il dono più grande che gli dei immortali abbiano fatto all'uomo" Tutti gli altri beni: la ricchezza, la salute, la potenza, gli onori, i piaceri sono caduchi e incerti, solo l'amicizia è duratura, perché è basata sulla virtù e senza di essa non può esistere. L'amicizia, dunque, racchiude in sé moltissimi e grandissimi vantaggi, ma ce n'è uno che, senza dubbio, li supera tutti: essa irradia nell'avvenire la luce di liete speranze e non permette che l'animo si stanchi e cada a terra. Chi fissa lo sguardo in un vero amico, scopre, per così dire, un altro se stesso. Per questa ragione l'amico, assente, è presente; povero, è ricco; debole, è forte, e, cosa incredibile a dirsi, morto, rivive: tanto grande è il rispetto, il ricordo e il rimpianto con cui l'amico accompagna l'amico.
Emerge un punto centrale nell'idea ciceroniana di amicizia: essa non nasce dall'utilità, dal bisogno, ma dalla sua stessa natura, e poiché la natura non può mutare, ecco che le vere amicizie sono eterne. Cicerone raggiunge qui un livello straordinario di riflessione: la natura ci ha dato l'amicizia, non come complice del vizio, ma come fautrice della virtù. In essa vanno tenuti fermi due principi: il bando di ogni finzione e simulazione e il rifiuto delle accuse rivolte all'amico, come pure il trattenersi da eventuali sospetti nei suoi confronti; un requisito fondamentale è che il superiore si faccia uguale all'inferiore, in modo che chiunque abbia raggiunto qualche merito di virtù, ingegno, fortuna, lo metta in comune con gli altri. L'opera si chiude con un consiglio che l'autore dà a tutti: "ponete in alto la virtù, necessario presupposto dell'amicizia, così in alto che, assunta quella come supremo dovere, teniate l'amicizia per la più nobile cosa del mondo" (cap. 27).
Oltre Cicerone, troviamo altri autori nel mondo romano che delineano o sviluppano il nostro tema: Virgilio è autore del più famoso e lampante esempio di amicizia i cui protagonisti sono Eurialo e Niso (libro V e IX dell'Eneide).
L'episodio si inserisce tra due giornate di combattimento: I Troiani, chiusi nel campo, circondati dai nemici, si trovano in una situazione disperata aggravata dall'assenza di Enea, il capo che può guidarli fuori dai pericoli e dare loro la salvezza. Proprio in questa circostanza di grave pericolo hanno modo di emergere la forza morale e il valore dei progenitori dei futuri Romani. Essi si manifestano in Eurialo e Niso, appunto.
La scelta di due giovani per un'impresa notturna, si spiega anche alla luce del programma politico di Augusto che dava particolare importanza alla formazione delle nuove generazioni. Virgilio con questa particolare scelta, prendendo spunto anche dai personaggi di Ulisse e Diomede nell' Iliade, vuole esaltare un modello di comportamento che si concretizza in un' azione eroica nella quale ha un posto di rilievo il tema del sacrificio in nome di un ideale: L'amicizia.
L'insuccesso e la tragica conclusione dell'impresa dei due amici contribuiscono a mettere in risalto il sacrificio come atto di eroismo, anche se il fallimento è dovuto al comportamento imprudente e avventato di Eurialo che è poco più che un fanciullo.
L'avventura si conclude in tragedia per l'ingenuo ardore di Eurialo, per la sua incapacità di distinguere il gioco dalla guerra apprendendo così a sue spese che essere uccisi è altrettanto facile che uccidere. Quando Niso si accorge che l'amico è ormai perduto, non esita ad abbandonare la missione che egli stesso aveva progettato e sceglie d'istinto di compiere il tentativo disperato di salvare Eurialo sacrificando se stesso.
L'episodio mette dunque in risalto l'ideale di amicizia portata all'estremo, alla morte, che prevale sul carattere strettamente strategico(ristabilire i contatti con Enea significava per i Troiani ritrovare la fiducia in se stessi) e politico della vicenda.
Anche la letteratura del Medioevo e del Rinascimento, ci regala nobili episodi di amicizia.
Ariosto nell ‘ Orlando Furioso, ce ne fornisce uno, che per la sua intensità e drammaticità’
rimane nella mente e nel cuore di chiunque abbia letto l’opera.
L’episodio, il più commovente e umano del poema, si svolge in un quadro buio, silenzioso, inerte della notte. Cloridano e Medoro vivono, nel volgere di poche ore, gli attimi più intensi della loro
vita, testimoniandoci quella che fra le espressioni umane è la più sublime: l’amore, che per essi è fedeltà, amicizia.
La loro vicenda si svolge per buona parte in silenzio; gli unici rumori sono dati dalle loro voci, dai loro passi. Tutto vive in una astratta dimensione di sogno, di estasi, fino a che non intervengono, a spezzare l’incanto e a richiamare i due giovani alla dura realtà, i cavalieri cristiani. Ma fintanto che essi rimangono soli sulla scena, l’atmosfera che li avvolge, i loro dialoghi, ogni più piccolo elemento, tutto insomma ha un qualcosa di fantastico e tende a riflettere e a chiarire il loro carattere.
La delineazione delle loro diverse personalità appare evidente sin dai primi versi. Rivolto al compagno, Medoro confida il suo turbamento pensando al re insepolto:
“Io voglio andar, perché non stia insepulto
in mezzo alla campagna a ritrovarlo:
e forse Dio vorrà ch’io vada occulto
là dove tace il campo del re Carlo”
L’ ingenuo, il semplice Medoro non comprende la pericolosità del suo gesto, l’impossibilità concreta di portare a termine un‘ impresa disperata, perché condotta nientemeno che nel campo nemico.
Cloridano rimane stupito. Stupito per l’assurdità di un simile proposito, ma anche per la forza d'animo e la capacità di amore dell’amico. Per un attimo ha una sensazione di turbamento, di dubbio poi anch’ egli si decide. Il saggio, l’esperto Cloridano deve cedere di fronte alla disarmante e fresca ingenuità di Medoro. Il vincolo che li lega è troppo forte e non ammette esitazioni, non ammette distacchi:
“ Veduto che nol piega e che nol muove,
Cloridan gli risponde: --- E verrò anch’ io,
anch’io vò pormi a sì lodevol pruove
anch’ io famosa morte amo e disio.
Qual cosa sarà mai che più mi giove,
s’ io resto senza te, Medoro mio?
Morir teco con l’alme è meglio molto,
che poi di duol, s’ avvien che mi sii tolto”
In questi versi è sintetizzata tutta la potenza dell’amicizia, che spesso comporta rischi e rinunce.
Giunti nel campo cristiano, incominciano ad apparire le prime avvisaglie del pericolo, nell’immagine di quel campo silenzioso e immenso, dove il fuoco è spento e i corpi giacciono supini. Ma vana è , in mezzo a tale moltitudine, la ricerca di un sol corpo, quello di Dardanello. Medoro però, nel suo impulsivo entusiasmo, non si scoraggia, e si rivolge alla luna.
Nella sua preghiera c’è tutta la schiettezza e la semplicità del fanciullo, che è ben conscio della propria debolezza, ma che è pur cosciente che qualcosa o qualcuno lo aiuterà, comprendendo il suo fine alto e nobile.
Finalmente egli viene accontentato, ma proprio nell’attimo in cui l’avventura sembra terminare, scoppia improvviso il dramma. Zerbino e i cavalieri cristiani giungono inaspettatamente al campo, e i due giovani saranno presto scoperti. La prima sensazione è quella di salvarsi e questo spirito di conservazione li pone nella giusta luce di uomini e non di eroi. Cloridano scappa, Medoro, nella sua ostinazione e nella sua ingenuità, si carica sulle spalle tutto il peso del corpo di Dardanello e tenta un ‘impossibile fuga. Intanto Cloridano, capisce di aver sbagliato, ma ancora una volta non ha esitazione e benché salvo, ritorna in mezzo alla mischia. Nelle sue mente rimbomba il giuramento di fedeltà fatto poco tempo prima.
Il dramma trova il suo inevitabile epilogo.Medoro viene catturato, ma riesce a muovere a pietà l’animo di Zerbino con alte e sublimi parole, che ci fanno capire quanto è viva la partecipazione dell ‘Ariosto. Ma uno dei cavalieri lo ferisce e Cloridano, vedendolo cadere, si getta nella mischia per trovare la morte con lui. Verrà ucciso, Medoro si salverà. La morte li ha voluti divisi.
Ora, appare evidente che il tema principale dell’episodio sia l’assoluta fedeltà. E’ la fedeltà di Medoro verso il suo re, è la fedeltà di Cloridano verso l’amico. Una fedeltà grande, che in ambedue i casi arriva fino a mettere in gioco la propria vita. Sono due caratteri profondamente diversi, quasi opposti: a un Medoro infatti ingenuo schietto e istintivo si contrappone un Cloridano saggio, attento,esperto.Ma una base hanno in comune e li unisce alla radice: l’impulsività dei sentimenti. Proprio in questa impulsività trova spazio l’amore, l’affetto reciproco,
anche se in due figure psicologicamente così diverse.
Abbiamo visto quante sfaccettature ha l’ amicizia, essendo un sentimento così complesso.Ma tra le numerose interpretazioni, sia metafisiche che strettamente utilitaristiche, speculative e perciò umane, è apparso evidente il carattere alto e sublime del sentimento, senza dubbio il più ricercato dagli uomini.

Esempio