Materie: | Tesina |
Categoria: | Musica |
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Data: | 03.06.2008 |
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IL SUONO
Il suono è il mezzo fondamentale attraverso il quale si esprime l’arte della musica. Le tre qualità che lo caratterizzano sono l’altezza, l’intensità e il timbro. Il suono è un fenomeno prodotto dalle vibrazioni di un corpo elastico che si trasmettono attraverso l’aria, ma anche l’acqua o un solido. Le vibrazioni così prodotte e trasmesse sotto forma di onde sonore diventano suono, quando raggiungono il nostro orecchio, e, trasformate in impulsi nervosi, vengono recepite dal cervello come sensazione uditiva. Il fenomeno sonoro è un sistema complesso di variazioni periodiche di pressione che si propagano in tutte le direzioni per azione e reazione delle molecole del mezzo di diffusione. Il timpano recepisce tali variazioni riproducendole e trasmettendole all’orecchio interno, fino al nervo uditivo. Ma i suoni non sono pure riproduzioni mentali degli stimoli acustici. Sono invece elaborazioni complesse, che prevedono processi psicofisici di riconoscimento, analisi e risposta emotiva. Allo stimolo acustico esterno corrisponde un oggetto sonoro interno, così come alla percezione visiva corrisponde l’immagine di un oggetto. Mentre però, ad esempio, la vista e il tatto trasmettono informazioni sulla realtà che supponiamo materialmente esistente al di fuori di noi, il suono, come il sapore o l’odore, rimanda ad una proprietà che attribuiamo agli oggetti. Non a caso definiamo suoni, sapori e odori con gli stessi aggettivi ovvero dolce, avvolgente, aspro, acuto ecc…. A differenza degli ultimi, però, il suono è meglio caratterizzato a livello oggettuale: una struttura sonora ha per noi anche volume, colore, proporzione, tutte caratteristiche abbinate anche all’oggetto visivo.
L’elaborazione mentale dell’oggetto sonoro e la possibilità di definirlo attraverso una serie di qualità, alcune delle quali misurabili, permette infine di connotare il suono in senso estetico: suoni e aggregati sonori possono essere belli o brutti. Ma non solo: i suoni possono esaltare o deprimere, rallegrare o rendere tristi, rilassare o eccitare. Ciò accade all’ascolto spontaneo dei suoni che ci circondano, ma anche di quelli che produciamo.
Essendo prodotto da una vibrazione, cioè da un movimento meccanico e ripetuto di un corpo, il suono è misurabile. L’unità di misura si chiama HERTZ (in onore del famoso fisico tedesco Heinrich Hertz, 1857-1894 che dimostrò sperimentalmente l’esistenza delle onde elettromagnetiche), ed indica la frequenza, cioè la quantità delle vibrazioni emesse dal corpo in un secondo.
Le frequenze inferiori a 16-20 Hz e superiori a circa 20.000 Hz non sono udibili dall’uomo e costituiscono i cosiddetti infrasuoni e ultrasuoni. La sensibilità dell’udito è massima per le frequenze comprese fra i 2.000 e i 5.000 Hz; nella pratica musicale i suoni generalmente usati sono compresi fra i 27 e i 5.000 Hz. La più recente misurazione della frequenza è stata data da una delegazione del Consiglio d’Europa nel 1971.
Nonostante le vibrazioni sonore siano misurabili, la prima possibilità concreta di determinare l’altezza attraverso un unico parametro di riferimento risale solo agli inizi dell’età moderna, con l’invenzione del diapason, un piccolo strumento d’acciaio a forma di forcella progettato nel 1711 dall’inglese John Shore. Il diapason produce un suono di altezza fissa.
Dall’antichità fino all’adozione dell’Hertz, le altezze dei suoni erano misurate solo in base a valori matematici proporzionali, determinati a partire, ad esempio, dall’osservazione delle vibrazioni nelle corde e dall’ascolto del suono risultante. In particolare, un principio fisico/matematico comunemente riconosciuto è che il suono fondamentale prodotto da una corda che vibra liberamente è identico, ma più grave, del suono della stessa corda trattenuta alla metà della lunghezza. La proporzione doppia è dunque associata a due suoni uguali nell’intonazione ma di diverso registro, come accade spontaneamente, quando una stessa nota è intonata da una voce maschile e da una voce femminile. In tal modo, fin dall’antichità e in tutte le culture fu possibile elaborare scale musicali, cioè successioni regolari crescenti o decrescenti di suoni di altezza diversa, utilizzando come estremi proporzionali due suoni uguali in diverso registro.
Se la frequenza dipende dalla quantità di vibrazioni al secondo, l’intensità di un suono dipende dall’ampiezza della vibrazione: più l’onda sonora è ampia, più il suono risultante è forte e ben udibile, mentre una vibrazione della stessa frequenza ma di minore ampiezza produce un suono più debole. Il campo di udibilità dell’intensità di un suono varia, però, da frequenza a frequenza ed è delimitato da un parametro minimo, la soglia di udibilità, ad un massimo, la cosiddetta soglia del dolore. L’intensità varia inoltre anche in base alla distanza dell’organo uditivo dalla fonte sonora. Occorre notare che il comportamento psicoacustico dell’orecchio cambia a seconda della combinazione di frequenza e intensità del suono. I fisici, dunque, hanno introdotto altre unità di misura, capaci di esprimere numericamente i valori della sensazione sonora. Anche l’intensità sonora è valutata in base ad un’unità di misura comunemente conosciuta, il DECIBEL. Un decibel corrisponde a un decimo di BEL, il valore di riferimento che porta il nome del fisiologo americano (Alexander Bell, 1847-1922) che lo mise a punto.
La gamma dei suoni generalmente utilizzata in ambito musicale è ben inferiore alla gamma udibile, ma questa non è la sola specificità del suono musicale. Per essere tale, deve essere anzitutto determinato, cioè la frequenza delle vibrazioni (l’altezza) deve essere riconoscibile. Il suono musicale, però, non è composto di vibrazioni di una sola frequenza. Un suono, che si dice puro, è ad esempio il LA prodotto dal diapason, o suoni elaborati da particolari strumenti elettronici. Se gli strumenti musicali producessero suoni puri la loro sonorità risulterebbe povera e vuota, priva di spessore. Un suono complesso come quello degli strumenti musicali o della voce umana è composto da vibrazioni di diversa frequenza, cioè da tanti suoni puri che si susseguono e sovrappongono secondo una precisa progressione, formando la cosiddetta serie di suoni armonici. La natura e l’intensità degli armonici determinano il timbro di un suono musicale.
Il timbro è anche chiamato colore, in quanto caratterizza la ’voce’ peculiare di ogni fonte sonora. La possibilità di sviluppare gli armonici dipende, infatti, dal materiale, dalla forma, dalla disposizione delle parti di ogni fonte sonora. I primi armonici percepibili ad un orecchio attento sono l’intervallo di ottava (primo armonico), di ottava dell’ottava (secondo armonico), di quinta (terzo armonico).
Ciò che ci permette di distinguere il timbro di due diversi strumenti musicali o voci è appunto la diversità di intensità con cui vengono avvertiti gli armonici presenti sulle note reali che questi strumenti producono. Ma il timbro è influenzato anche dal modo in cui il suono evolve nel tempo, oltre che dal contesto in cui la percezione acustica avviene: fra gli attributi del suono, il timbro è indubbiamente il più complesso e difficile da analizzare.
A differenza del suono timbricamente determinato, il rumore è formato da suoni di frequenze che non si susseguono secondo il vincolo armonico. Del rumore è misurabile solo l’intensità, ma ciò non significa che il rumore non abbia timbro; anzi, ogni oggetto sonoro ha per l’orecchio umano una specifica identità timbrica che risulta essenziale al riconoscimento della fonte sonora. Così, ad esempio, è chiaramente avvertibile a parità di intensità e durata, la differente percezione acustica provocata da un oggetto di vetro che cade frantumandosi e da un martello che colpisce un chiodo. L’analisi spontanea degli stimoli acustici è sviluppata sulla base dell’esperienza quotidiana dei gesti sonori, la cui categorizzazione si affina gradualmente nel lungo corso dell’apprendimento umano.
Nesazio Alessandra Musica
Grazie amo