La resistenza

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La Resistenza
Di Valeria B.

La Seconda guerra mondiale e l’Italia
Attualmente sono in atto diversi tentativi di rivedere e attenuare i giudizi storici sul regime fascista, che ebbe in mano l’Italia dal 1922 al 1943:alcuni studiosi contestano la definizione di quel regime come dittatura e avanzano l’ipotesi che sia stato un regime autoritario sostenuto dal sostanziale consenso delle masse.Rimane il fatto che dal 1926, in Italia, fu abolita ogni possibilità di esprimere dissenso politico, di associarsi liberamente in sindacati e organizzazioni che non fossero controllati dal partito nazionale fascista; fu istituita una censura sull’informazione e si promosse un controllo rigido sull’istruzione scolastica e sulla formazione delle nuove generazioni, obbligatoriamente irreggimentate, fin dagli anni della fanciullezza, nelle associazioni fasciste.La natura violenta e antidemocratica del fascismo poté essere attenuata e nascosta – dopo i primi anni (1919-26) in cui i suoi esponenti lottarono per assumere il potere in Italia – soltanto perché le minoranze che perseverarono strenuamente nell’opposizione a esso erano stati costrette all’esilio o isolate nelle carceri e nei luoghi di confino, mentre la coscienza delle masse si lasciò coinvolgere dalla propaganda martellante del regime o, almeno si adagiò in una sorta di benevola neutralità verso di esso.La situazione rimane immutata almeno fino al 1936, quando Mussolini decise di intervenire nella guerra civile che dilaniava la Spagna e, assieme alla Germania nazista, mandò truppe italiane per aiutare il generale golpista Franco ad abbattere il legittimo governo della repubblica spagnola formato dalle sinistre.Quell’atto do prevaricazione cominciò a far rinascere, soprattutto in alcuni gruppi intellettuali, e l’opposizione al fascismo.Ma ancora più grave fu la promulgazione del 1938 delle leggi razziali che colpivano i cittadini italiani di religione ebraica, vietando loro di avere incarichi statali, di frequentare le scuole e le università pubbliche, di svolgere una normale attività lavorativa e culturale.Con quell’atto l’Italia si poneva decisamente al di fuori dal novero delle nazioni civili e si avviava a stringere legami sempre più forti con la più cupa e aggressiva dittatura del tempo, quella hitleriana.
Quando nel 1939 la Germania invase la Polonia, dando origine alla seconda guerra mondiale, Mussolini non intervenne al fianco dell’alleato tedesco:ben sapeva la classe dirigente fascista, al di là di ogni retorica, e di ogni parata, dell’impostazione militaresca data alla vita dell’intera nazione, e l’Italia non era assolutamente in grado di combattere una guerra moderna.Non aveva le risorse finanziarie, né un armamento adeguato, né un apparato industriale in grado di sostenere uno sforzo bellico che coinvolgesse l’intero paese.Eppure, nel giugno del 1940, quando le truppe tedesche avevano occupato mezza Europa, distrutto la resistenza della Francia, ricacciato al di là della Manica, e l’esercito inglese, occupato la Norvegia, Cecoslovacchia, e l’Ungheria e gran parte dei Balcani – e sembrava che la guerra dovesse terminare nel giro di pochi mesi – Mussolini volle entrare nel conflitto al fine di partecipare alla spartizione del “bottino” al fianco dei vincitori.In breve l’esercito italiano fu impegnato in Francia, nei Balcani, In Grecia, in Africa e in Russia.
Fu sui vari fronti che i soldati italiani cominciarono a capire che il regime aveva mentito loro e a tutto il popolo italiano, che l’Italia non era affatto quella potenza che la propaganda fascista andava da decenni predicando.La cosa appariva tanto più chiara dal continuo raffronto con l’esercito tedesco, ma anche con quelli nemici.Nel 1942 la guerra cambiò decisamente aspetto:i Tedeschi furono bloccati dai Russi a Stalingrado, furono sconfitti in Africa dagli Inglesi, ma soprattutto – dalla fine del 1941 – contro Giappone, Germania e Italia scesero in campo gli Usa con il loro immenso potenziale bellico e la loro supremazia industriale, finanziaria e tecnologica.Nel giro di pochi mesi le truppe italiane si trovarono ovunque in un vero calvario, in particolare in Russia, dove erano state mandate allo sbaraglio, senza i necessari mezzi; la ritirata fu disastrosa, compiuta in gran parte a piedi, perché gli alleati tedeschi si guardarono bene dal fornire assistenza ai nostri reparti.A partire dal 1942 gli Italiani sapevano già di aver perso la guerra e cominciò anche la sofferenza della popolazione civile, sottoposta a bombardamenti da parte degli Angloamericani; moltissime città furono duramente colpite, mentre iniziava il razionamento dei generi alimentari.L’inganno di Mussolini e del fascismo – ordito nei confronti degli Italiani – finiva nella più grande tragedia che il nostro paese ha conosciuto nella sua storia.
Dalla caduta del regime fascista alla “guerra civile”
La disfatta dell’Italia fascista fu definitiva nel 1943.Il 9 luglio gli Angloamericani sbarcarono in Sicilia e la conquistarono in pochi giorni; il 25 luglio il Gran Consiglio del fascismo mise in minoranza Mussolini, che nella nottata fu fatto arrestare dal re Vittorio Emanuele III : si trattava del tentativo di una parte della classe dirigente e della monarchia, per altro fortemente compromessa con il regime mussoliniano, di salvare sé stessi e di dissociare la propria esistenza da quella di mussolini.Il re creò un governo “tecnico” presieduto dal generale Badoglio che lanciò un proclama alla nazione in cui affermava che la guerra continuava a fianco della Germania.Le vaste manifestazioni popolari per la caduta di Mussolini che si erano avute nel paese, sull’onda della speranza che tale mutamento segnasse anche la fine del conflitto, furono represse; gli esponenti delle forze antifasciste furono di nuovo imprigionati.
Tuttavia Badoglio e il re avevano avviato trattative segrete con gli Anglo-americani per giungere all’armistizio e alla pace separata.L’accordo fu firmato il 3 settembre del 1943 e fu reso noto l’8 settembre.Fu quello uno dei giorni più neri della nostra storia:i comandi militari abbandonarono l’esercito senza alcuna direttiva, esponendolo alla rappresaglia dei Tedeschi; il re e Badoglio fuggirono a Brindisi ponendosi sotto protezione degli Americani; il paese intero fu lasciato allo sbando.Iniziò immediatamente la deportazione di italiani in Germania – costretti a lavorare come schiavi nelle fabbriche e nei campi (furono più di 500.000) – 40.000 soldati morirono combattendo contro i Tedeschi o furono catturati o fucilati.Soprattutto fu sconcertante il comportamento dell’intera classe dirigente e delle più alte gerarchie dell’esercito, che pensarono solo a “squagliarsela” e raggiungere le zone già liberate dagli Alleati.
I nazisti liberarono Mussolini che era prigioniero sul Gran Sasso, lo portarono in Germania e successivamente lo posero a capo della Repubblica sociale italiana (Rsi) nel nord della penisola.Di fatto il sud era sotto il controllo degli Alleati anglo-americani che sostenevano il Regno d’Italia con a capo Vittorio Emanuele III e Badoglio, mentre il resto del paese era caduto sotto il controllo della Germania nazista, che vi aveva fatto confluire un grosso corpo d’armata e opponeva una dura resistenza sulla “linea Gustav” (che andava dall’Adriatico, a sud di Pescara, al Tirreno, a sud di Roma).L’8 settembre del 1943 alla radio di Monaco di Baviera, Mussolini annunciò la formazione della Rsi (chiamato anche “Repubblica di Salò” dalla cittadina sul lago di Garda che ne fu la capitale) e invitava gli italiani a continuare la guerra a fianco dei nazisti.
Nascevano così due Stati italiani; il cosiddetto “Regno del Sud”, che il 19 ottobre del 1943 dichiarò guerra alla Germania, e la Repubblica di Salò; entrambi privi di autorità e di prestigio, il primo strettamente controllato dagli Alleati e “caratterizzato” dalla volontà del re di porre la salvezza della dinastia Savoia al di sopra di ogni interesse del popolo italiano, l’altro completamente dominato dai Tedeschi che tenevano sotto stretto controllo ogni mossa dello stesso Mussolini.
Per volontà degli Alleati anglo-americani nel Regno del Sud la vita politica fu allargata alla partecipazione delle forze politiche antifasciste sia di destra (gli eredi del vecchio partito liberale e parecchi ex fascisti), sia moderati (la Democrazia cristiana rifondata da Alcide De Gasperi), sia di sinistra (comunisti, socialisti e “azionisti”una formazione di ispirazione laica).Questi stessi partiti avevano dato vita alle prime formazione partigiane – nei territori occupati dai Tedeschi – che si riconobbero nei “Comitati di liberazione nazionale”che a partire dal 1943 furono coordinate dal “Comitato di liberazione Alta Italia” (CLNAI) – con sede a Milano e formato da comunisti, socialisti, azionisti, liberali e democristiani.Iniziava in questo modo la Resistenza, che assume i caratteri di guerra di liberazione dai nazisti e di guerra civile fra fascisti e antifascisti.
La Resistenza
La situazione in Italia rimaneva estremamente confusa, in quanto non era possibile un accordo politico e militare fra le forze della Resistenza, la monarchia e gli Alleati:i partiti che al Nord gestivano la lotta contro i nazifascismi erano concordi nel voler, al termine del conflitto, la fine della monarchia e la creazione di una repubblica in Italia.Questo, ovviamente suscitava l’opposizione del re; anche gli Alleati soprattutto gli Inglesi erano preoccupati che il paese al termine della guerra finisse sotto l’egemonia dei partiti di sinistra (comunista, socialista e “azionista”) e perciò non erano disposti ad appoggiare senza condizioni le formazioni partigiane.Inoltre tra gli stessi partigiani erano forti i contrasti tra i diversi gruppi; infatti le “Brigate Garibaldi”, formate per lo più da comunisti e da socialisti, vedevano nella lotta partigiana anche lo strumento per fondare in Italia una nuova società, legando indissolubilmente la guerra contro i nazi-fascisti alla volontà di cancellare per sempre non solo la monarchia, ma anche il vecchio Stato liberal-borghese precedente alla dittatura fascista. Sulla stessa linea anche se non si rifacevano all’ideologia marxista, erano le “Brigate Giustizia e Libertà” del partito d’azione. Su posizioni diverse erano le formazioni “badogliane”, create da ex ufficiali dell’esercito che erano schierate su posizioni filo-monarchiche e moderate e che, proprio per questo ricevevano gli aiuti più consistenti (armi, equipaggiamento, denaro) dagli Alleati.
Una svolta importante e un compromesso utile all’azione si ebbero nel marzo-aprile del 1944 quando giunse a Salerno Palmiro Togliatti, il leader comunista che rientrava dall’esilio in Russia per mettersi alla guida del partito.Questi impose ai suoi stessi compagni e poi fece accettare dalle altre forze politiche la proposta di procedere uniti nelle lotta contro i nazi-fascisti, rimandando a dopo la vittoria la questione istituzionale”, cioè la decisione se l’Italia dovesse mantenere l’assetto monarchico o scegliere quello repubblicano; nell’accordo rientrava il fatto che Vittorio Emanuele III, troppo compromesso con il fascismo avrebbe comunque abdicato a favore del figlio Umberto.
Nel maggio del 1944 gli Alleati sfondarono la “linea Gustav” e giunsero a Roma; il re affidò le sue funzioni e venne formato il primo governo di unità nazionale, cui partecipavano anche i partiti che nel Nord stavano alimentando la Resistenza.Una delegazione del CLNAI fu inviata per trattare con il governo di Roma e con il comando supremo Anglo-americano e così si giunse al compromesso che permise la prosecuzione della lotta partigiana nei territori controllati dalla Repubblica di Salò:tutte le formazioni partigiane riconoscevano l’autorità del comando alleato che a sua volta, si impegnava a procurare i rifornimenti necessari; immediatamente dopo la sconfitta dei nazi-fascisti le formazioni partigiane si sarebbero sciolte e avrebbero riconsegnato le armi.Tuttavia era ormai chiaro che gli Alleati non avevano interesse a rafforzare eccessivamente la Resistenza, per paura che le forze politiche che la sostenevano ne traessero prestigio e forza, oltre che a un appoggio di massa tali che difficilmente essi avrebbero potuto controllare al termine della guerra; infatti gli Alleati speravano (soprattutto il leader inglese Churchill) non solo di porre l’Italia futura nell’area d’influenza anglo-americana (cosa che viene sancita durante la conferenza di Yalta, nel febbraio del 1945 con l’accordo della Russia comunista), ma anche di conservare la monarchia dei Savoia e di garantire allo Stato una conduzione moderata e conservatrice.
In queste condizioni si sviluppò la Resistenza nel Nord dell’Italia; al di là di ogni ricostruzione ideologica si possono indicare alcuni punti fermi in modo schematico.
La lotta partigiana al Nord, pur fra contrasti di non trascurabile entità, fu condotta unitariamente sotto la guida politica e militare del C.L.N.A.I. diversità degli obiettivi fra comunisti, socialisti e “azionisti” (le brigate “Garibaldi” e “Giustizia e Libertà”) e i “badogliani” chiaramente non si esaurirono, ma non compromisero una sostanziale unità delle strategie e dell’azione.
La lotta partigiana assunse nelle varie regioni (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna) caratteri particolari a seconda del radicamento politico e social delle forze della Resistenza.
Nelle campagne, in pianura, in collina e in montagna agivano le formazioni che avevano il compito di tenere Impegnate il maggior numero di forze nemiche, di impedire la razzia dei raccolti da parte dei nazi-fascisti, di compiere azioni di guerriglia.Nelle città gli atti di sabotaggio, gli attacchi ai comandi e alle truppe nazi-fasciste, l’esecuzione sommaria di spie, ecc. venivano svolti principalmente dai “Gruppi d’azione patriottica”(Gap), formate soprattutto da militanti comunisti.In genere l’azione dei partigiani fu limitata alla guerriglia in mancanza di armamenti pesanti e di aviazione; tuttavia in zone limitate e per periodi assai brevi e formazioni partigiane riuscirono a “liberare” parti del territorio nazionale, proclamando la nascita di repubbliche partigiane, come accadde nel 1944 con la repubblica di Monte Fiorino, sull’Appennino modenese, con quella della Val d’Ossola e della Carnia.Anche la città di Alba fu controllata dai partigiani per 23 giorni.Tale tattica fu poi abbandonata perché scatenava la reazione delle forze nazi-fasciste contro le quali no c’erano i mezzi per resistere.
La Resistenza si qualificò come “guerra civile” anche perché le truppe italiane della Repubblica di Salò furono impiegate dai Tedeschi soprattutto come strumento di lotta contro i partigiani.Lo scontro fra Italiani schierati su fronti opposti fu assai duro, con le punte di crudeltà e ferocia che contraddistinguono tutte le guerre civili, rese ancora più laceranti dal fatto che i fascisti sapevano fin dall’inizio che la sorte del conflitto era già segnata.Dal canto loro i nazisti impostarono la lotta contro i partigiani sulla logica della rappresaglia, anche contro i civili e le popolazione inerme, per “punire” gli Italiani del loro presunto tradimento e per impaurire quelli che potevano prestare soccorso ai partigiani.In questa logica coinvolsero anche i fascisti, che ebbero un ruolo non secondario nei rastrellamenti, nelle esecuzioni sommarie, nella distruzione di paesi e villaggi dove poteva esserci il sospetto di una presenza partigiana o di un consenso alla Resistenza.Se furono i Tedeschi a compiere le maggiori stragi di civili (l’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, la distruzione a più riprese di Boves, in provincia di Cuneo, la strage di oltre 1800 civili a Marzabotto, ecc.), i fascisti italiani collaborarono attivamente a molte azioni repressive e, non bisogna dimenticarlo, alla cattura degli ebrei italiani, che furono avviati ai campi di sterminio nazisti, sfruttando anche l’opera di spie cui si garantivano ricompense.La guerra civile ebbe conseguenze gravi sulla vita degli Italiani:membri della stessa famiglia, amici, parenti si trovarono a combattere su fronti opposti e rimase diffuso, soprattutto nelle regioni settentrionali, un clima di rancore e di rivalsa che continuò anche dopo la conclusione del conflitto; spesso a esso si aggiunsero ragioni di odio e rivalità personali che sfociarono in angherie, soprusi e uccisioni che non erano determinati dalle esigenze belliche.
La Resistenza armata ebbe un ruolo di rilievo sull’andamento della guerra.Nel corso dei cinquant’anni che seguirono la fine della guerra la vita pubblica e culturale italiana è stata dominata dalle componenti politiche e dai partiti che avevano partecipato alla Resistenza.Era quasi inevitabile che quegli eventi venissero via via celebrati con una retorica rituale che dava luogo a un’esaltazione che lasciava in ombra i problemi e i contrasti che tendeva a ingrandire le dimensioni del fenomeno.Per reazione polemica alcuni storici e intellettuali di destra e moderati vollero sminuire il ruolo della Resistenza, soprattutto a livello militare.”La guerra l’hanno vinta gli Americani e non i partigiani” è la frase che essi ripetono; questo è fuori di dubbio:i nazisti e i loro alleati fascisti furono battuti dall’esercito anglo-americano, ma non si può negare che l’azione delle brigate partigiane ebbe una grande importanza nell’immobilizzare al nord d’Italia alcune divisioni tedesche, nel rendere difficoltosi i collegamenti, nell’impedire che i macchinari di interi stabilimenti fossero trasferiti in Germania, neldar rifugio e protezione a coloro che fuggivano dai campi di concentramento e dalla deportazione in Germania.La Resistenza so realizzò come guerriglia, una tattica che non può prevedere grandi battaglie, né scontri decisivi, anche perché i guerriglieri non possiedono le stesse potenzialità belliche del nemico.D’altra parte le possibilità dei partigiani furono spesso limitate e frenate dai comandi alleati, timorosi di perdere il controllo della situazione; ciò non impedì azioni di grande rilievo, anche in “disobbedienza” agli ordini degli Anglo-americani, come per esempio la liberazione di grandi città prima che arrivassero le truppe alleate.Avvenne a Napoli, dove una ribellione collettiva costrinse alla resa la guarnigione tedesca (“quattro giornate di Napoli”, 27-30 settembre 1943), a Firenze e si verificò nel nord, quando nell’aprile del 1945 il comandante americano Clark ordinò alle formazioni partigiane di non compiere “azioni premature”:il Clnai invece ritiene che le forze resistenti dovevano partecipare da protagoniste alla fase finale dello scontro e , dopo uno sciopero indetto il 18 aprile, ordinò ai partigiani di attaccare le città e di cacciarne i nazi-fascisti prima dell’arrivo delle truppe alleate.Così vennero liberate Bologna, Genova, Milano, Torino e quasi tutte le altre città del Nord.Il 28 aprile le formazioni partigiane, che avevano catturato Mussolini mentre cercava di scappare in Svizzera travestito da soldato tedesco, fucilarono il “duce” italiano; la ressa dell’esercito tedesco in Italia avvenne il 2 maggio 1945.
La Resistenza ebbe un ruolo fondamentale e decisivo per la nascita del sistema democratico in Italia.La caduta del fascismo nel 1943, era stata gestita dalla monarchia dei Savoia con la finalità di stabilire in Italia, alla fine del conflitto mondiale, un regime decisamente autoritario e conservatore.In questo Vittorio Emanuele III e Badoglio trovarono l’appoggio pieno dal premier inglese Churchill che, fra l’altro ossessionato dal “pericolo” comunista, non escludeva che anche lo stesso Mussolini potesse continuare ad avere un ruolo politico nell’Italia post-fascista.Se questo disegno fallì e il nostro paese assunse poi un ordinamento democratico lo si deve in massima parte alle forze che organizzarono la Resistenza e ne guidarono il percorso politico, oltre che militare.La lotta e la guerra civile furono il loro banco di prova su cui crebbe la nuova classe dirigente dell’Italia democratica, uomini di elevata statura politica e ispirati da una reale passione patriottica che li univa anche al di là delle fortissime differenze ideologiche e di insanabili contrasti.Il nuovo partito cattolico voluto da Alcide De Gasperi, la Democrazia cristiana, il Partito comunista guidato da Palmiro Togliatti, il Partito socialista italiano di Pietro Nenni e Sandro Pertini furono gli strumenti attraverso i quali le masse, uscite disorientate e disinformate da oltre vent’anni di fascismo, si accostarono alla pratica politica democratica; ma accanto a questi tre partiti maggiori ebbero un’importanza non secondaria gli altri, i piccoli “partiti d’opinione”, e il Partito d’Azione che annoverò tra le sue fila alcune delle personalità più nobili della nostra storia recente, come Ferruccio Parri e Ugo La Malfa.

La guerra: un evento da raccontare

La ricostruzione degli avvenimenti bellici è operazione che ha sempre impegnato gli storici:l’analisi delle cause di un conflitto.il modo tenuto dai comandi militari dalla dirigenza politica nel guidare la lotta, le ipotesi sui motivi per cui una delle due parti ha prevalso e l’altra ha dovuto soccombere, le conseguenze territoriali, economiche e politiche sono fatti che vengono ricostruiti attraverso la raccolta di testimonianze e di documenti, spesso decenni dopo gli accadimenti, quando gli archivi degli Stati coinvolti vengono aperti, almeno in parte, agli studiosi.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento le “fonti” per la ricostruzione storica si sono arricchiti via via delle immagini fotografiche, e delle registrazioni sonore, dei film girati sui diversi fronti, fino a giungere, con la guerra del Vietnam (1965-75), al conflitto trasmesso “in diretta” tramite le televisioni.(Naturalmente la possibilità di avere una documentazione per immagini non garantisce affatto una maggiore obiettività dell’informazione, dato che la manipolazione delle notizie è una delle “cure istituzionali” degli organi di controllo e censura che agiscono, in periodo bellico, anche nei regimi democratici:valgono come esempio recente le immagini televisive della guerra del Golfo, 1990-91.)
Quanto si è accennato riguarda soprattutto la storiografia, ma c’è un’altra dimensione nella quale la guerra diventa oggetto di ricostruzione e di racconto, quella personale e quella individuale.L’aver partecipato (non importa in quale posizione se da protagonista o da comprimario) a una serie di avvenimenti “che fanno storia” e l’aver visto cose tremende, e l’aver sofferto, patito, lottato, e l’esserne usciti vivi, vincitori o sconfitti, tutto ciò scatena la “voglia di raccontare”. Nella maggior parte dei casi questo desiderio di testimoniare, di trasmettere agli altri il senso della propria esperienza si esaurisce nei racconti fatti a un pubblico ristretto di parenti, amici, conoscenti; si può dire che l’esperienza della guerra segni l’esistenza umana di un individuo per tutta la vita e lo spinge a ripetere in continuazione, anche a distanza di decenni, le “sue storie”.Chi ha un padre o un nonno che ha vissuto durante la Seconda guerra mondiale conosce a memoria quei racconti, che riaffiorano con grande frequenza e vengono continuamente ripetuti.Questo comportamento ha molte ragioni, diverse da individuo a individuo; si accumulano la gioia per lo scampato pericolo, la voglia di trasmettere a chi non c’era una testimonianza affinché un’esperienza non vada perduta, il rancore per chi ha causato sofferenze e morte, il desiderio di dire “come sono andate veramente le cose”- che sempre sono “diverse”, per chi le ha vissute, da come vengono raccontate sui giornali e sui libri né bisogna dimenticare che il “piacere di raccontare”è legato pure al fatto che l’epoca degli accadimenti era quella della giovinezza ormai trascorsa.
La lettura narra la guerra e la Resistenza
Il breve quadro dei principali avvenimenti che coinvolsero gli Italiani dall’entrata in guerra fino al 1945 può dare un’idea sommaria del clima di grande tensione civile, morale e politica che si ebbe in Italia dal 1943 in poi, almeno fino agli anni Cinquanta:enormi erano i problemi lasciati insoluti dal fascismo primo fra tutti la completa rovina dell’apparato produttivo del paese, ma anche la desolante situazione sociale e culturale dell’Italia, allontanatasi dall’ambito delle nazioni più progredite per il provincialismo voluto dal regime e per la disabitudine alla libertà; ma proprio per questo era altrettanto grande l’entusiasmo e la voglia di fare che la riconquistata democrazia induceva nella gente.In particolare si manifestava la volontà - da parte della popolazione più attiva e cosciente - di lavorare per una società nuova, più giusta, anche oltre i limiti e le ristrettezze ideologiche e civili che avevano caratterizzato il Regno d’Italia sorto nel Risorgimento.
Tutto ciò si rifletteva pure nell’ambito della cultura e della letteratura.Basti pensare all’impatto veramente imponente che ebbe la diffusione e la discussione delle teorie marxiste, fino ad allora conosciute solo da piccole minoranze, ma anche l’allargamento delle conoscenze e degli interessi verso la sociologia, l’antropologia, la psicanalisi, l’arte e la letteratura europee e nordamericane, messe al bando o comunque osteggiate nel ventennio fascista.
Nell’ambito letterario il fenomeno che contraddistinse questi anni fu dominato dalla vastissima produzione narrativa, cui si affiancò un altrettanto numero di opere memorialistiche:la guerra, la Resistenza, le esperienze terribili che si erano vissute “dovevano essere raccontate”.Questa esigenza coinvolse sia gli scrittori che si erano messi in luce negli anni Trenta e nei primissimi anni Quaranta (Elio Vittoriani, Cesare Pavese, Giovanni Comisso, Curzio Malaparte e Carlo Cassola, ecc.).Sia quelli della generazione che si era affacciata alla letteratura in concomitanza con l’esperienza bellica e resistenziale (Italo Calvino, Giuseppe Berto, Renata Vigano, Mario Rigoni Stern, Beppe Fenoglio e, soprattutto, Primo Levi); decine e decine i romanzi, i racconti, le prose diaristiche e quelle sospese fra memoria e narrativa che comparvero fra il 1945 e la prima metà degli anni Trenta.Si tratta di espressione di quella che Calvino chiamò poi, con grande efficacia, la “smania di raccontare”, non fu soltanto una sorta di esplosione liberatoria, ma anche un modo nuovo di intender la letteratura, di prendere le distanze dalle esperienze sviluppatesi durante il periodo del fascismo; c’era una grande tensione morale alla testimonianza, da intendersi come volontà di raccontare sé stessi o storie inventate in modo che il romanzo, la pagina, il racconto portassero un contributo alla rifondazione morale e civile della nazione.
La questione del “Neorealismo”
In questo periodo, dall’immediato dopoguerra fino alle soglie degli anni Sessanta, si classificò l’ampio fenomeno letterario e culturale col termine Neorealismo.Con il passare del tempo la critica ha via via messo in luce come tale definizione fosse ambigua e servisse a radunare sotto un’unica etichetta esperienze, opere, autori assai diversi fra loro. D’altra parte bisogna tener conto del fatto che gli stessi protagonisti della letteratura di quel periodo parlarono a lungo di Neorealismo, polemizzarono sul termine e sulla natura della narrativa che andava sotto quel nome; perciò occorre cercare di capire come mai sorse quella categoria critica o quella “etichetta”.
Innanzitutto dobbiamo dire che cosa certamente non fu il Neorealismo:non fu una scuola o una corrente letteraria organizzata, né tanto meno si qualificò come un movimento d’avanguardia:non vi fu mai alcuno che ebbe la pretesa di fissare regole o programmi culturali o letterari che dovessero valere per tutti gli scrittori “neorealisti”; tuttavia, dato per scontato che oggi appare improponibile accomunare in un unico movimento scrittori tanto distanti per scelte stilistiche, linguistiche e per i contenuti – come Pavese, Calvino, Fenoglio, ecc. -, si possono indicare alcuni elementi che resero possibile parlare di una narrativa neorealista nel periodo 1945-56.
Il Neorealismo letterario fu accompagnato da esperienze nell’ambito delle arti figurative e, soprattutto, da un vero movimento cinematografico.Sono in particolare le immagini dei film di Vittorio De Sica (Ladri di biciclette e Umberto D.), di Roberto Rossellini (Roma città aperta, Sciuscià, Paisà, ecc.), di Luchino Visconti (La terra trema, ispirato ai Malavoglia di Verga e girato completamente con “attori di strada”, pescatori e contadini siciliani che parlano in dialetto) a creare l’idea di un nuovo realismo, nuovo perché affrontava i temi della quotidianità, della gente comune, delle masse popolari.In questo il Neorealismo poneva un abisso fra sé stesso e le precedenti esperienze degli anni Trenta e Quaranta, quando anche l’impianto realistico dei film era necessariamente mirato alla retorica esaltazione dei valori di “patria, famiglia e religione”, mentre veniva assolutamente rigettata la cinematografia “leggera” di quei decenni, il così detto cinema dei “telefoni bianchi”, delle commediole di ambientazione borghese, in cui il lieto fine dava un’immaginazione comunque edulcorata e positiva della realtà.La fotografia (un bianco e nero assai deciso), la scenografia, i dialoghi, l’uso privilegiato di una lingua che – se non era dialetto – ricalcava fedelmente il parlato della gente comune, la crudezza di molte situazioni, tutto concorreva in quel cinema a render con immediatezza e “verità” la rappresentazione di una realtà che, tale da metter in risalto la rovina materiale e morale della società italiana uscita dalla dittatura .Usciti dalla guerra, con io paese devastato, gli spettatori italiani si ritrovarono il grande schermo letteralmente inondato dai film americani. Western, commedie, musical, film di gangster, melodrammi, cappa e spada, oltre, naturalmente, alle tante pellicole che documentavano l’eroismo dei soldati alleati sui vari fronti di battaglia.Hollywood si prendeva la rivincita, ritornando in forze nelle sale dalle quali negli ultimi anni era stata, per forza di cose, tenuta lontana.
Il pubblico accorse in massa, aderendo con entusiasmo ai miti proposti dalla cultura statunitense.Ne è rimasto un simpaticissimo ricordo nel personaggio di Nando Morioni, interpretato da Alberto Sordi nel film Un americano a Roma (diretto da Steno nel 1954):la sua “specialità è quella di far disperare gli anziani genitori con l’ossessione per gli eroi yankee dello schermo e per il cibo americano (è rimasto famoso il suo tormentone, ”Auanagana” – forma romanesca di “I want to go”)
Tante pellicole dagli Usa da far dimenticare che esisteva anche una produzione italiana, con alle spalle realizzatori di altissima classe.Ma, quasi in risposta ai venditori di sogni americani, alcuni autori italiani – i migliori – riscoprirono la realtà, i “panni sporchi” di fronte ai quali era un dovere morale non chiudere gli occhi. “La realtà è là:perché manipolarla?”:lo diceva, con convinzione, Roberto Rossellini, uno dei massimi esponenti di quel priodo, passato alla storia con la definizione di “Neorealismo”. Accanto a lui, l’altro regista da ricordare è Vittorio De Sica; mentre, nel gruppo degli sceneggiatori, il più importante fu senza dubbio un estroso emiliano, il geniale Cesare Zavattini, che proprio con De Sica realizzò le sue opere migliori.”Oggetto del film realista – ricordava ancora Rossellini – è il “mondo”, non la storia, non il racconto”; e, ancora, Zavattini auspicava un nuovo tipo do cinema, capace di attuare un vero e proprio “pedinamento”della realtà.Per fortuna, nella seconda metà degli anni Quaranta, non rimasero solo belle parole.
È assai probabile che un giovane di oggi non abbia mai visto nessuno dei film del Neorealismo, eppure è altrettanto probabile che, forse senza nemmeno accorgersene, conosca le sue “icone”, ovvero le sue immagini-simbolo. A esempio quella di Anna Magnani che rincorre il camion sul quale i nazisti stanno portando via il suo compagno:una corsa disperata, una raffica di mitra, il corpo della donna che giace senza vita sul selciato della strada.Pochi fotogrammi hanno riassunto in modo così completo lo spirito di tutto un periodo.Il film venne proiettato per la prima volta a Roma, il 24 settembre del 1945, quando la guerra era finita da pochi mesi.Come ricorda un testimone di quella serata, l’opera “raccolse un uragano di applausi e molti occhi, in platea e in galleria, si inumidirono di lacrime.Nel film palpitavano le ansie, le trepidazioni, l’eroismo umile, la solidarietà, le attese snervanti delle interminabili ore in cui Roma, dichiarata “città aperta”, sottostava alla violenza nazista”.
Era però un pubblico un po’ speciale, quello che assistette alla “prima”romana, composto in buona parte di appassionati di cinema:in realtà lo spettatore “normale” aveva voglia di evasione, di “un’ora di oblio”, di dimenticare l’orrore appena attraversato.I film del Neorealismo furono dunque capolavori in parte “snobbati” dalla gente comune, realizzati nonostante un certo disinteresse dell’opinione pubblica.Eppure, il cinema italiano di quel periodo, che nel frattempo produceva anche i consueti prodotti commerciali, è ricordato proprio per l’esplosione creativa del Neorealismo:dopo il cinema sovietico, dopo l’espressionismo tedesco, dopo il “realismo poetico”francese, ecco che i cineasti di tutto il mondo guardavano al nostro paese come a un esempio assolutamente da imitare.
E in effetti, Quanti capolavori! Rossellini girò altri due film eccezionali sulla guerra e i suoi tragici effetti Paisà (1946) e lo struggente Germania anno zero (1947).Il primo è un’opera a episodi, che racconta in modo quasi documentaristico sei vicende legate alla Resistenza contro i tedeschi; il secondo è un monumento al dolore, un pianto disperato sul suicidio di un bambino tedesco, letteralmente inaridito dalla violenza.
Un bambino guarda con vergogna, le lacrime agli occhi, suo padre che viene trattato come un volgare malfattore ; due adolescenti, costretti a rubare dalla fame del dopoguerra, finiscono in un carcere minorile; un orfano, uscito dall’istituto dove è stato allevato, si ritrova ospite di un accampamento di barboni dal cuore gentile, alla periferia di Milano; un anziano signore, che tira avanti solo grazie alla magrissima pensione, ha come unico amico il suo cagnolino.Sono quattro momenti, quattro “istantanee” che ci possono suggerire lo spirito di altrettanti capolavori della coppia De Sica – Zavattini (nell’ordine, si riferiscono ai film Ladri di biciclette, Sciuscià, Miracolo a Milano, Umberto D.realizzati tra il 1946 e il 1951).
Hanno tutti e quattro molti caratteri in comune:la macchina da presa esce nelle strade, gira per le vie della città, senza la preoccupazione di “abbellire” la realtà che ci circonda, gli attori sono quasi sempre non professionisti. Fin qui, però, siamo ancora nell’ambito di una poetica (vale a dire di uno stile artistico) molto simile a quello visto in Rossellini.Da parte loro, De Sica e Zavattini aggiungono una vena di poesia, uno sguardo buono e comprensivo verso monumenti di puro surrealismo
Partiamo dal primo film in ordine cronologico, Sciuscià, girato nel 1946.Il colpo di genio degli autori sta nell’invenzione del desiderio impossibile ei due ragazzi protagonisti.Sono, appunto, ”sciuscià”, ovvero “lustrascarpe”:il titolo riprende al deformazione, usata nel dialetto napoletano, dell’ inglese “shoe shine”, ”pulire le scarpe”. Si guadagnano con il loro lavoro solo il necessario per mangiare, eppure sognano di avere un cavallo bianco, sul quale poter cavalcare liberi e felici.il loro futuro, al contrario, sarà assolutamente tragico, perché non ci può essere speranza per due giovani distrutti dal vuoto morale lasciato dalla guerra.
Ed è di nuovo un ragazzino, ancora più piccolo dei due lustrascarpe, a guardare il mondo in ladri di biciclette, realizzato nel 1948 (anch’esso, come Sciuscià, premiato con l’Oscar per io miglior film straniero).Qui è il dramma della disoccupazione a spingere un onesto papà a rubare una bicicletta (gli serve per il lavoro; la sua gli è stata presa da un altro poveraccio).Il film è uno spaccato di vita quotidiana, ma con tempi e modi di narrazione estremamente coinvolgenti.anche a vederlo ora, dopo me3zzo secolo, trasmette una fortissima commozione.Così come è difficile fermare le lacrime con Umberto D., del 1952:in questo caso è il dramma degli anziani soli a essere rappresentato, ancora una volta grazie alla straordinaria interpretazione di un “non attore” (Carlo Battisti, nella vita reale un professore universitario).L’anno prima era uscito Miracolo a Milano.come detto, il Neorealismo sembra volgersi nel suo opposto, la verità del mondo pare emergere solo attraverso la lente deformante dello sguardo poetico.Stanchi di una realtà troppo miserevole, i poveri protagonisti volano in cielo dalla piazza del Duomo di Milano, a cavallo di tante magiche scope, in un tripudio di effetti speciali.un vero e proprio addio anche al Neorealismo, che proprio con questi due ultimi film arriva al termine della sua più fervida stagione creativa.
Il discorso risulterebbe però troppo parziale senza ricordare, almeno, un altro autore.Parliamo di Luchino Visconti, un protagonista del mondo del teatro e del cinema italiano nato in una nobile famiglia milanese, vicino negli anni Trenta alle esperienze del “realismo poetico” francese (era stato assistente di Jean Renoir). Visconti realizza nel 1943, in piena guerra mondiale, un dramma a fortissime tinte, Ossessione, tratto da un romanzo giallo dello scrittore americano James Cain:e proprio in relazione alle atmosfere di questo film, così diverse da quelle del cinema del regime fascista, i critici coniarono il termine di Neorealismo.L’altro capolavoro viscontiano di quegli anni fu La terra trema, del 1948, liberamente ispirato al romanzo verista di Giovanni Verga I Malavoglia : i protagonisti, anche in questo caso, sono non professionisti, e ilo regista li fa parlare in stretto dialetto siciliano.Le immagini, in un bianco e nero quasi “scolpito”, illustrano la tragedia di uomini e donne costretti a un lavoro durissimo, schiavi dei debiti, impossibilitati, come in una grande tragedia greca, a liberarsi sal loro destino. C’è una sequenza che si fissa nella memoria:quella delle donne, avvolte in lunghi scialli neri, che aspettano trepidanti i pescatori sorpresi dalla tempesta.
Tra i film – simbolo del periodo non va infine dimenticato Riso amaro, diretto nel 1949 da Giuseppe de Santis, una pellicola che propone una singolare sintesi tra i temi classici del Neorealismo (soprattutto nell’ambientazione nelle risaie piemontesi) e i modi narrativi dei fotoromanzi popolari e del cinema spettacolare hollywoodiano.
Il “collante” ideale” del Neorealismo fu l’antifascismo.Si sottolinea che si può parlare di un “ideale comune, non certo di una posizione ideologica e politica; molti dei protagonisti del Neorealismo accolsero le idee marxiste, aderirono ai partiti della sinistra (comunista e socialista), e questi furono la maggior parte, ma molti furono anticomunisti e ideologicamente schierati su posizioni moderate o addirittura conservatrici.Tuttavia ciascuno sentiva l’obbligo morale di dare un taglio netto con quanto aveva rappresentato il fascismo, sia dal punto di vista sociale sia culturale.Era, si può dire, una scelta per una società rinnovata, moderna, più aperta, nella quale l’artista (scrittore, pittore, architetto, attore, regista, ecc.)si sentiva “impegnato” a far conoscere le sue idee, a dar voce a quelle masse che storicamente erano rimaste culturalmente escluse dalla cultura, oltre che dalla gestione del potere politico economico.
La volontà di “dar voce” alle masse costringe gli artisti e gli scrittori neorealisti a fare i conti con il problema del “linguaggio”.La spinta morale che sta alla base se l’esperienza neorealista portava artisti e scrittori a cercare di rappresentare la realtà in modo concreto e “vero”.In letteratura ciò significava non solo raccontare “cose vere”, ma anche farlo con una “lingua vera”.Si poneva, in pieno Novecento, lo stesso problema che avevano dovuto affrontare (senza giungere a soluzioni del tutto efficaci, tranne la splendida eccezione di Verga) gli scrittori veristi dell’Ottocento: la “lingua vera” della gente comune, dei contadini, degli operai, dei partigiani, cioè dei protagonisti della nuova narrativa, era il dialetto.Si trattava quindi di “inventare” un italiano letterario che però conservasse la sonorità, alcuni caratteri sintattici, anche i ritmi del dialetto.su questo fronte si misurarono tutti gli scrittori che agirono in quegli anni, fornendo soluzioni assai differenziate.D’altra parte non si poteva far parlare semplicemente in dialetto i vari personaggi, proprio perché il carattere stesso di quella narrativa richiedeva lo sforzo di rivolgersi a un pubblico più vasto possibile, non solo a limitati gruppi di lettori regionali.
William G. Golding
William Gerald Golding was born in Cornwall in 1911. His family was progressive and it was the first source of influence for Golding's talent. He studied physics and English literature at Marlboro and Oxford University of England. From the first years of his life, he faced the atrocities of war. He also took part in the Second World War by joining the British Navy at 1940.
The war, as a physical result, changed a lot W.Golding's view of life. W.Golding couldn't believe in man's innocence any longer. He found that even the children are not innocent. No one is innocent until the society and the way of his life make him to pretend that he's innocent. But sometimes, when a man is facing a difficult situation (as an example, a surviving need) then he will propably show his other nature, the dark and guilty nature.
After the war (1945-1962), he worked as a teacher in Salisbury. These years he started to act as a writer. He published the books "Lord of the Flies" (1954), "The Inheritors" (1955), "Pincher Martin" (1956) and "Free Fall" (1959).
The ideas of W.Golding's view of human nature can be found in almost any of Golding's books. Particularly, in his first and most famous book, "Lord of the flies". This book finally published in 1954 and it didn't become a success at once. Today, it's considering as one of the best books of English literature. It also became a film with great success.
William Golding was awarded with the BOOKER Mc CONNEL Prize, the greatest British Literature Prize. Finally in 1983, he was awarded with the NOBEL Prize for his whole offer to the Worldwide Literature.
William Golding have teached also in Greece (in 60's). He always loved Greek literature, and many of his books show clearly his Greek influence. His last book, "The double tongue" (1993), was a novel about Ancient Greece and most specific about Pythia's life. Pythia was the name which used to be given to the Greek Priestess of Delphi oracle. W.Golding tried to describe a woman's life (he tried this before, when he was writing his novel "Darkness Visible" (1979)) who lived in the years of Roman Empire and she happened to be priestess in the last years of the oracle decay. Unfortunately, this book never been finished. William Golding, died in Wiltshire, England in 1993. W.Golding's last book, finally published in 1995, but even it's just a rough draft, it affords to be a great novel.
“The lord of the flies”
Important characters
Lord of the Flies contains numerous characters, all of which are young boys.
Ralph: Ralph is twelve years old with blond hair, and is the most charismatic of the group. He is described as being built "like a boxer, " and is initially chosen as leader due to his many positive qualities. He maintains a conflict with Jack throughout the entire novel, attempting to keep order whereas Jack isn't concerned with it. Ralph and Piggy together represent the struggle for order and democracy.
Jack: Jack is about Ralph's age, with a skinnier build and red hair. His freckled face is described as being "ugly without silliness." From the very beginning, he seems to harbor emotions of anger and savagery. At first, he is the leader of his choir group, who become hunters as the book progresses. Finally, his savage personality and ability to tell people wha they want to hear allows him to overtake Ralph as chief.
Piggy: Piggy is a short and overweight boy who wears glasses and represents order and democracy. He is afflicted with asmtha and doesn't care to do strenuous work on the island. He tries very hard to cling to civilization, and tries his best to keep peace. While probably the smartest boy on the island, he lacks any social skills whatsoever, and has trouble communicating or fitting in with the others. His glasses are a very important part of the book, as they are used over and over to start fires. Piggy's constant polishing of them shows his desire for clear-sightedness and civilization.
Simon: Simon is younger than the three boys above, but older than other littluns. He is very good and pure, and has the most positive outlook. He insist multiple times that they will get rescued, even when Ralph is strongly doubting the possibility. Simon often travels into his tranquil spot in the jungle, but also tries to help out when it is needed. He meets up with a pig's head skewered on a stick, which becomes known as the Lord of the Flies. Simon is killed soon afterward by all of the other boys who were caught up in a savage dance.
Roger: A small boy with dirty and shaggy black hair, Roger represents pure evil and wrongness, moreso even than Jack. He has no mercy, and is the first one to intentionally kill another boy on the island when he smashed Piggy with a boulder. He gets sadistic pleasure from torturing a pig and other boys on the island. Roger is one of Jack's most loyal helpers, and gladly carries out his orders.
Simon and Eric: Sam and Eric are two young twins who always travel and do everything together. Without each other, they are incapable of very much. They represent reliance and unity, and because of this become like one person referred to as Samneric. While seemingly loyal to Ralph, they eventually give in to Jack's threats and join his tribe. While Ralph hoped otherwise, the twins in the end disclose Ralph's hiding spot to Jack. The loss of civilization led them to lose any real sense of loyalty to others.
The story
Piggy and Ralph meet up with each other after escaping from their shot-down plane. A large scar was made in the untouched jungle, symbolizing the first of man's destruction on the island. A war is going on in the outside world, and now for the rest of the book, everyone will be isolated from it and put into their own "world." Piggy spots a conch shell, and tells Ralph how to use it to make a noise. Ralph does so, and calls all of the other boys on the island who crashed down with the plane. Jack and his Choir, Simon, Sam and Eric, and many other characters join in an assembly (including the littl'uns, which are the youngest kids at about 6 or 7 years old). Rules are set down, and Ralph is to be chief. There is no one else on the island but the young boys, so Jack decides to take his choir out to hunt for wild pigs, although he is unsuccessful in killing a small pig with his knife.Piggy spots a conch shell, and tells Ralph how to use it to make a noise. Ralph does so, and calls all of the other boys on the island who crashed down with the plane. Jack and his Choir, Simon, Sam and Eric, and many other characters join in an assembly (including the littl'uns, which are the youngest kids at about 6 or 7 years old). Rules are set down, and Ralph is to be chief. There is no one else on the island but the young boys, so Jack decides to take his choir out to hunt for wild pigs, although he is unsuccessful in killing a small pig with his knife.
Ralph calls another assembly, and reminds everyone that they are completely alone on the island, and there are no adults. Jack recounts his failure in killing the pig, and reiterates the need for skilled hunters. Several rules are made up, such as "whoever holds the conch gets to speak." Unexpectedly, an unnamed littl'un with a birthmark on his face tells about a "beastie" that he saw somewhere on the island. The general consensus from the others is that there is no such thing, and it must be his imagination. Ralph then suggests making a signal fire, which would be necessary if they hope to get rescued. The boys scramble off to gather wood to build a fire. Unsure of how to light it, they finally grab Piggy's specs and focus the sunlight to ignite their fire. They were not careful, however, and soon the fire is engulfing half the forest near the mountain. The little boy with the birthmark is noticed to be missing, swallowed up by the raging fire.ù
Jack is busy tracking a pig at the start of this chapter, when he arrives at the beach where Simon and Ralph are constructing huts. Ralph complains no other boys are helping them with their shelters, but Jack tries to argue that hunting is more important; this expands into yet another argument between Ralph and Jack. When Jack again brings up hunting, Ralph presses that keeping the signal fire is much more important than hunting. Jack disagrees, and they boys continue on their path of mutual dislike. Ignorant to the fussing of the other boys, Simon picks fruit for the littl'uns and makes his way into the jungle finding a clearing. He climbs onto a mat of creepers, and remains there; he enjoys the tranquility of this spot, where he can be in touch with nature.
Roger is knocking down sand structures made by littl'uns, and throwing rocks at a young boy, although intentionally missing. Jack calls Roger away, asking him to watch him paint his face for hunting pigs. Ralph and the other boys are swimming in the bathing pool later on, when smoke from a ship is spotted in the distance. The signal fire was out , not being watched, obliterating their chances of rescue. Oblivious, Jack and his hunters come proudly marching carrying their first kill, trying to convey their excitement to Ralph. When Ralph yells that a ship passed them by and no fire was going, excuses are made and Jack tries to say that hunting is of utmost importance. In the ensuing fight, Jack punches Piggy, breaking and knocking off his specs. Finally, the fire is lit again, the pig is roasted, and everyone eats. The hunters reenact the hunt, with a wild tribal dance and one boy being the pig; this is the first time of many that the dance is performed.
At another assembly, Ralph mentions that work isn't getting done, and rules aren't being followed. He tries to drive home the fact that "...we ought to die before we let the fire out."All the young children, however, are preoccupied with the Beast, which they still believe in as some kind of animal living on the island. Jack says that he's been everywhere, and there is no beast, and Piggy says that a beast can't exist in a world with science. However, a littl'un still steps up and says that he saw something horrid in the forest (which was actually Simon returning in the dark from his peaceful area). Another littl'un says that there's a "Beast from the water, " which is further debated. Simon finally tries to settle the matter by saying that there may be a beast, but that "it's only us." However, this is responded to with mocking and joking, as it seems a preposterous notion.During the assembly, Jack tries brings up the fact that Ralph isn't a good chief, because he can't hunt or sing. Piggy and others are against the idea, but Jack is starting to become more and more savage and overpowering. The assembly soon falls apart and the hunters begin to chant and dance.
A man from a shot-down fighter plane parachutes down from the sky. The man is already dead, however, and the body and parachute float up to the island, eventually snagging on rocks. The wind continually grabs the parachute, lifting the body up and down, which is seen by Samneric. Terrified, they run to tell about this "Beast from the Air, " and an assembly is called. Most everyone now thinks they are in grave danger, and Jack suggests they go hunt it.Jack, Ralph, and a group of hunters set out to get the Beast, while Piggy stays at the beach with the littl'uns. They first check Castle Rock, where they had never been before. Although they find nothing, Jack thinks the place would be a great fort, and he and his hunters heave a large boulder off a ledge. Ralph prods them along, and they decide to continue to the mountain to look for the Beast.
Ralph begins to ponder about their appearance and dirtiness as they walk to the mountain; he would love to get his hair cut back down to a half inch. Simon sees Ralph staring out to sea and repeatedly reassures him that they will get home safely. Jack, his hunting instincts always engaged, finds traces of a boar which they begin to hunt. Ralph manages to hit it with his spear, but the animal escapes. Another tribal dance is formed, with a boy named Robert as the Pig. Unlike before, Ralph actively participates, and their acting becomes overly realistic, actually striking and hurting Robert.
Piggy is told about the encounter, and everyone tries to decide what to do. Jack calls an assembly, and insists that the Beast is a major threat that should be hunted. Ralph upsets him, though, when he calls his hunters cowards. Enraged, Jack asks if anyone thinks Ralph shouldn't be chief. Nobody responds, so he asks again for anyone to come with him, then runs off with tears in his eyes. Their signal fire is being blocked by the Beast, as they believe, so they decide to move the fire to the beach. When they get there, they notice that most of the older boys did in fact decide to go off with Jack, except for Ralph, Simon Piggy and Samneric.
Jack's tribe begins to hunt, and they come across a sow and baby piglets in the clearing near Simon's domain. They attack and kill the mother sow, while the piglets escape. The head is severed and put on a stick, which is embedded into the ground as a gift for the Beast. Jack finally realizes that they'll need fire to cook the meat, so they raid Ralph's camp and steal a flaming log, and invite them to come feast. Ralph maintains that the fire is more important, but has to be reminded why by Piggy.
Simon encounters the Pig's head, and manages to start talking to the thing, although it is mostly in his imagination. The black cloud of flies coating the head causes it to now be called "The Lord of the Flies." The Lord of the Flies says "I'm part of you...We're going to have fun on this island." It continues to say that if Simon tries to talk to the others about the Beast, that he will be killed by everyone, including Ralph and Piggy. After taking this all in, Simon feels a faint coming on and collapses.
A violent storm is raging on the island, while Simon finally wakes up from his faint. He staggers towards the beach to tell the other boys about his ordeal. Piggy and Ralph already decided to check out the roasting of the Pig, where Jack then asks everyone to confirm their loyalty to him. Ralph tries to persuade them to follow himself and keep the fire alive, but most of the boys are already overcome by Jack's leadership and ability to tell them what they want to hear.
Insistent, Ralph tries to talk some sense into them, asking them what they will do without shelters. Jack just orders the boys to begin their dance, oblivious to any dangers. Roger plays the pig, and as the boys begin dancing, even Piggy and Ralph feel the strong lure to be part of the group, take part in this primal ritual. As before, the dance escalates into real attacking, but they are distracted by a figure emerging from the jungle. They call out that "it's the Beast!" and begin to attack it relentlessly. The beaten and dead body of Simon is then carried out to the sea by the current.
Samneric are collecting wood for the fire, while Ralph and Piggy discuss the murder of Simon; the rest of the boys pledge their loyalty to Jack. Piggy claims that the whole affair was an accident, and that they just got all caught up.
Jack meanwhile is guarding his fort on Castle Rock, where Roger is always ready to use a lever to drop a boulder on intruders. Jack has a boy tied up and beaten, for no reason except to show what happens if anyone gets in his way. His savagery is obvious now, and his face is always painted.
Ralph is still pondering over watching the fire, and he always has to be reminded that the fire is a necessity. Ralph tries to reassure the twins that what they are doing is right, and Jack is wrong, in response to their protests. They finally concede to leave the fire and go to their shelters. They are woken up by unusual sounds, and fear it may be the Beast, but it turns out to be Jack and tribe searching for fire. They break into the shelter and begin begins to run away, and the tribe eventually gives up pursuit under Jack's order. to fight for Piggy's glasses, cutting and knocking teeth loose in the process.
Ralph calls an assembly in worry, and Piggy, the twins and a few littl'uns are the only ones left to attend. Ralph suggests to the bruised boys that they may be able to go to Jack and demand the specs back, since they are not savages and rescue is not just a game. Ralph and Samneric set off carrying spears, leading Piggy holding the conch.
At Castle Rock, Roger orders the boys to halt, but Ralph blows the conch. Ralph tells them he is calling an assembly, and Jack steps forward. He laughs at their request to return the specs, and a fight ensues. Jack then orders his tribe to grab Samneric, and tie them up. Suddenly, interrupting the fighting, Piggy speaks up, asking everyone if it is better to have rules and agree, or to hunt and kill. Everyone remains silent and hears his message. As Piggy continues his preaching of democracy, Roger slams the lever holding the boulder and it goes careening down. Ralph dodges the rock, but the unseeing Piggy is struck, sending him flying 40 feet straight down and shattering the conch. Even Jack is a bit surprised with Roger's quick and brutal action, but he assures Ralph that it will happen to him next. Ralph begins to run away, and the tribe eventually gives up pursuit under Jack's order.
Ralph is huddled in the jungle near Castle Rock, as dusk passes. Samneric, who are guarding Castle Rock under Jack's leadership, are approached by Ralph. They inform him that Jack's tribe will be out hunting him the next day, and they have "sharpened a stick at both ends." Ralph tells Samneric of his hiding spot, and proceeds back to it. Scared by Jack's power, Samneric tell Jack about Ralph's hiding spot the next morning. Another boulder is rolled down, but misses smashing Ralph. Other attempts of getting Ralph from his hiding spot are unsuccessful, so they set the entire area on fire in desperation.
Ralph begins to run from the advancing fire, making his way to Simon's mat of creepers where he hides and lays low. The savages advance with the fire, searching, hunting for Ralph. They finally reach Ralph's hiding spot, and Roger looks in. Ralph attacks him, knocking him over, and continued running to the beach. Running wildly, he almost crashed into a Naval officer standing at the beach, who was attracted by all the fire and smoke. He assumes that their stay on the island must've been all "fun and games, " but is surprised at the spears and face paint on many of the boys. Some are crying, many are confused. The officer is told that two boys were killed, and everyone is taken to a Navy cruiser.
Symbolism In Lord of the Flies
Symbolism played an important part in the development of story. This narrative technique is used to give a significance to certain people or objects, which represent some other figure. The following table lists many of the examples of symbolism used throughout Golding's book.
Object/Character
Represents
Piggy (and Glasses)
Clear-sightedness, intelligence. Their state represents the status of social order.
Ralph, The Conch
Democracy, Order
Simon
Pure Goodness, "Christ Figure"
Roger
Evil, Satan
Jack
Savagery, Anarchy
The Island
A microcosm representing the world
The "Scar"
Man's destruction, destructive forces
The Beast
The evil residing within everyone, the dark side of human nature.
Lord of the Flies
The Devil, great danger or evil
There are many other aspects in the story that may be considered symbolism, but the several above are probably the most significant. Another good example of symbolism, brought to my attention by a site visitor, is the shape of the island. The boat shape of the island is an ancient symbol of civilization. The water current around the island seems to be "flowing backwards, " giving the subtle impression that civilization may be going backwards for the island or its inhabitants. Additionally, another reader pointed out that Jack could also represent Communism or Fascism. Golding was influenced by events during the time period that the book was written, which was around World War II.
Themes
William Golding presented numerous themes and basic ideas that give the reader something to think about. One of the most basic and obvious themes is that society holds everyone together, and without these conditions, our ideals, values, and the basics of right and wrong are lost. Without society's rigid rules, anarchy and savagery can come to light.
Golding is also showing that morals come directly from our surroundings, and if there is no civilization around us, we will lose these values.
Other secondary themes include the following:
• People will abuse power when it's not earned.
• When given a chance, people often single out another to degrade to improve their own security.
• You can only cover up inner savagery so long before it breaks out, given the right situation.
• It's better to examine the consequences of a decision before you make it than to discover them afterward.
• The fear of the unknown can be a powerful force, which can turn you to either insight or hysteria.
William Golding obviously was influenced by several other authors in his creation of Lord of the Flies. His references to Coral Island and the use of the names Jack and Ralph are both derived from Robert Ballantyne's Coral Island. He has also had influence from the likes of Edgar Rice Burroughs and Jules Verne. Golding, however, held a much more negative outlook on human nature, which he expressed in his works, beginning with Lord of the Flies
Enrico Fermi (1901-1954) e i ragazzi di Via Panisperna
Enrico Fermi nacque a Roma il 29 Settembre 1901. Il padre, Alberto, proveniva da Caorso in provincia di Piacenza ed era impiegato delle Ferrovie. Fin dall'adolescenza mostrò un grande interesse per la fisica e per poter coltivare questa passione studiò in modo autonomo la matematica superiore in testi universitari di geometria analitica e di analisi infinitesimale. Fu così in grado di leggere e di assimilare il classico trattato di meccanica di Poisson e il monumentale testo di fisica generale di Chwolson. Con questo bagaglio di conoscenze gli fu facile, nel 1918, entrare alla Scuola normale superiore per frequentare all'Università di Pisa il corso di laurea in fisica.
Durante il periodo universitario studiò, sempre in modo completamente autonomo, la fisica relativistica e la fisica quantistica, divenendo ben presto un personaggio di spicco nell'ateneo pisano, al punto che alcuni professori gli chiedevano lumi sulle più recenti conquiste in questi settori. Si può in proposito affermare che a tutti gli effetti Fermi fu un autodidatta che si formò una vasta e profonda preparazione scientifica quasi esclusivamente sui libri.
Già prima della laurea Fermi pubblicò alcuni notevoli lavori riguardanti la relatività. Laureatosi nel luglio del 1922, discutendo una tesi, necessariamente sperimentale, sulla formazione di immagini con i raggi X, Fermi, rientrato in famiglia a Roma, chiese consiglio sulla strada da intraprendere a O.M. Corbino, direttore dell'Istituto di Fisica dell'Università di Roma. Questi riconobbe subito l'eccezionalità del giovane e lo indirizzò alla carriera universitaria, aiutandolo successivamente a creare a Roma una scuola di fisica avanzata.
Grazie a delle borse di studio, nel 1923 Fermi si recò in Germania, a Gottinga presso M. Born, e nel 1924 in Olanda, a Leida presso P. Ehrenfest. Poté così finalmente rendersi conto di cosa volesse dire lavorare in un ambiente dove la produzione scientifica era a livelli di avanguardia e dove si aveva modo di discutere i propri problemi con maestri di grande spessore e con giovani validissimi colleghi.
A Leida Fermi ebbe modo di conoscere A. Einstein che mostrò nei suoi confronti stima e simpatia. Alla fine del 1924, si traferì a Firenze come professore incaricato di Fisica Matematica e oltre a svolgere varie ricerche teoriche si dedicò con F. Rasetti, che era stato suo collega di Università a Pisa, ad esperimenti di spettroscopia. Negli anni precedenti Fermi si era tra l'altro occupato del problema della quantizzazione del gas perfetto, in relazione alla determinazione della costante dell'entropia di tale gas, e delle incongruenze che affioravano nell'applicazione delle condizioni quantiche di Sommerfeld a sistemi contenenti elementi identici. Così, sul finire del 1925, venuto a conoscenza del principio di esclusione di W. Pauli, in brevissimo tempo ne trasse le conseguenze per la meccanica statistica delle particelle che obbediscono a tale principio, cioè, come si chiarirà in seguito, delle particelle a spin semintero (elettroni, protoni, neutroni), oggi dette per l'appunto fermioni.
La nuova statistica, che diverrà nota come statistica di Fermi-Dirac (avendola il grande fisico inglese P.A.M. Dirac dedotta successivamente in modo formalmente più rigoroso), fu il maggior contributo teorico di Fermi alla fisica quantistica. Con questa scoperta Fermi acquistò una notevole fama a livello internazionale. Corbino riuscì a istituire presso l'Università di Roma una cattedra di fisica teorica, la prima in Italia, alla quale fu chiamato Fermi.
Così, nell'autunno del 1926, Fermi si trasferì a Roma nell'Istituto di Via Panisperna, dove iniziò il periodo più fecondo della sua vita scientifica e dove ben presto, grazie al pieno appoggio di Corbino, creò un gruppo di collaboratori: il primo fu Rasetti, al quale si aggiunsero E. Segrè, E. Amaldi, B. Pontecorvo. Saltuariamente, e solo per quanto riguardava i problemi teorici, partecipava ai lavori del gruppo anche E. Majorana.
Come altri grandi fisici del passato, Fermi realizzò nella propria attività di ricerca una stretta unità di competenze e capacità teoriche e sperimentali.
Il gruppo dei "ragazzi di Corbino" si occupò inizialmente di spettroscopia (per es. dell'effetto Raman) ottenendo notevoli risultati. Ma all'inizio degli anni Trenta fu chiaro che lo studio del nucleo atomico era molto più promettente delle ricerche di spettroscopia e pertanto i vari membri del gruppo si recarono in laboratori all'estero per apprendervi le tecniche sperimentali necessarie per condurre esperimenti di fisica nucleare
Sul finire del 1933, mentre il gruppo procedeva lungo la strada intrapresa, Fermi elaborò la teoria del decadimento beta, in assoluto il suo lavoro teorico più importante. Numerose sostanze radioattive decadono emettendo elettroni i quali presentano uno spettro di energia continuo: per spiegare questo spettro continuo W. Pauli aveva nel 1930 ipotizzato che nel decadimento beta di un nucleo venisse emesso insieme all'elettrone anche un'altra particella, elettricamente neutra e di massa molto piccola, il cosiddetto neutrino, difficilmente rivelabile. Fermi su questa base costruì la teoria del decadimento beta "per analogia con la teoria della emissione di fotoni dagli atomi". Il processo fondamentale della teoria di Fermi è la transizione di un neutrone (n) in un protone (p) con la creazione di un elettrone (e) e di un neutrino (): n -> p + e + .
Sviluppata la teoria di questo processo, risultò subito chiaro a Fermi che per riprodurre i valori delle vite medie osservate era necessario attribuire il processo stesso a un'interazione estremamente più debole di quella elettromagnetica, detta in seguito interazione debole o fermiana. Molti concordano nel ritenere che questa ricerca di Fermi segnò la nascita della moderna fisica teorica delle particelle elementari.
Il lavoro sul decadimento beta non era ancora comparso nella letteratura internazionale, quando nel gennaio del 1934 I. Curie e F. Joliot annunciarono a Parigi di aver osservato la radioattività artificiale provocata da particelle alfa in elementi leggeri (boro, alluminio e magnesio). All'inizio di marzo del 1934, Fermi pensò che il modo migliore per produrre la radioattività artificiale dovesse consistere nell'impiegare come proiettili i neutroni (scoperti solo due anni prima da J. Chadwick) che essendo elettricamente neutri non subiscono la repulsione coulombiana del nucleo. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, egli ottenne prima della fine del mese un risultato positivo nel fluoro e nell'alluminio, utilizzando una sorgente di neutroni del tipo radon-berillio (le particelle alfa emesse dal radon sono assorbite dal berillio che si trasforma in carbonio con l'emissione di un neutrone veloce). Rendendosi subito conto dell'ampiezza del nuovo fenomeno, Fermi ne iniziò uno studio sistematico in collaborazione con F. Rasetti, E. Segré, E. Amaldi, il chimico O. D'Agostino, ai quali nel settembre si aggiunse il neolaureato B. Pontecorvo.
Durante i mesi di aprile, maggio e giugno 1934 furono irraggiati 62 elementi e in 37 fu osservato almeno un nuovo atomo (nucleo) radioattivo. Complessivamente furono individuate 50 nuove specie di nuclìdi radioattivi. In 16 casi il nuovo radionuclìde fu identificato chimicamente con la tecnica dei portatori. Le reazioni di attivazione osservate appartenevano tutte a tre categorie: reazioni in cui il neutrone penetra nel nucleo bersaglio che emette una particella alfa o un protone (osservate solo in elementi leggeri, con Z < 30) e reazioni in cui viene emesso un fotone di alta energia (emissione gamma).
A seguito di alcune anomalie manifestatesi nell'attivazione dell'argento (la cui radioattività indotta variava fortemente a seconda dei materiali che si trovavano in prossimità del campione da attivare e della sorgente di neutroni), nell'ottobre 1934 Fermi e collaboratori scoprirono che per urti successivi contro i nuclei dell'idrogeno di un materiale idrogenato i neutroni vengono notevolmente rallentati e che i neutroni lenti così prodotti sono fino a cento volte più efficaci dei neutroni veloci nel produrre le reazioni nucleari con emissione gamma.
Il lavoro intensissimo dei "ragazzi di Via Panisperna" sulla fisica del neutrone proseguì nel 1935, ma sul finire di quell'anno Rasetti si recò in America, Pontecorvo a Parigi, Segré come professore a Palermo. Fermi e Amaldi proseguirono le ricerche, scoprendo l'assorbimento risonante dei neutroni da parte di certi nuclei. Fermi formulò in questo periodo la teoria del rallentamento dei neutroni che conteneva molte delle idee fisiche e dei metodi matematici che saranno alla base della teoria dei reattori nucleari.
Sul finire del 1938, poco dopo la promulgazione in Italia delle cosiddette leggi razziali, Fermi si recò a Stoccolma per ricevere il premio Nobel, conferitogli per i suoi fondamentali contributi alla fisica dei neutroni, e di lì proseguì per gli Stati Uniti dove si stabilì (prendendo la cittadinanza nel 1944).La decisione di emigrare da parte di Fermi fu presa anche perché sua moglie, Laura Capon, era ebrea.
Fermi era giunto negli Stati Uniti da poche settimane quando O. Hahn e F. Strassmann annunciarono la scoperta della fissione dell'uranio. Immediatamente Fermi iniziò lo studio della fissione, in particolare dei neutroni emessi in questo processo. Ebbe così ben presto chiaro che era possibile realizzare una reazione a catena capace di produrre energia su scala macroscopica. La realizzazione di un dispositivo nel quale produrre in modo controllato la reazione a catena divenne lo scopo centrale delle ricerche di Fermi, che si conclusero il 2 dicembre 1942, con l'entrata in funzione a Chicago del primo reattore nucleare a fissione. Poco prima Fermi aveva dato la sua adesione al progetto Manhattan, per l'utilizzazione bellica dell'energia nucleare.
Subito dopo la fine della guerra, si dedicò a studi teorici sulla fisica delle particelle elementari (atomi mesici, reazioni ad alta energia, origine dei raggi cosmici). All'inizio degli anni Cinquanta condusse, con una macchina acceleratrice in grado di produrre pioni, lo studio sperimentale della collisione pione-protone, scoprendo la prima risonanza di questo processo. Nell'estate del 1954, dopo una breve permanenza in Italia, si manifestarono i sintomi del cancro allo stomaco che lo portò alla morte il 29 novembre dello stesso anno.


Renato Guttuso
Nacque a Bagheria, in provincia di Palermo, il 26 dicembre del 1911. Sin dall'età giovanile si dedicò alla pittura: comincia col frequentare la bottega di uno dei più famosi decoratori di carretti, quella dei fratelli Ducato; verso la fine degli anni Venti, mentre completa ancora gli studi classici, fa pratica presso le botteghe di Emilio Murdolo e del futurista Pippo Rizzo; e per questa sua passione decide di abbandonare gli studi universitari.
Nel 1931 espone alla I Quadriennale di Roma e l'anno successiva in una collettiva alla Galleria del Milione di Milano; poi si stabilisce definitivamente a Roma nel 1933. Una curiosità: nel 1932, lavora come aiuto restauratore alla Galleria di Perugia e alla Galleria Borghese di Roma. Fra i suoi capolavori di questi anni sono da ricordare: la Crocefissione; la Notte di Gibellina; un Dipinto per i funerali di Togliatti. E' anche il periodo in cui stringe rapporti di amicizia con Mafai, Pirandello, Cagli e Ziveri, che influenzano la sua pittura in senso "tonale".
Tra il 1935 ed il 1937 frequenta i giovani artisti milanesi Manzù, Birolli, Sassu e Persico, Pagano, Banfi, Fontana, Raffaellino De Grada, Joppolo, e si matura la sua coscienza politica antifascista: scriveva in questi giorni che "dipingere bottiglie o fare poesia ermetica era di per sé una protesta".
Nel 1935 partecipa alla II Quadriennale e nel 1936 alla Biennale di Venezia. Nel 1938 realizza il suo primo dipinto epico- popolare, La fuga dall'Etna, e tiene una personale alla Galleria della Cometa. Nel 1942 al Premio Bergamo, ottiene il secondo premio con la Crocifissione: un'occasione per prendere una chaiara posizione rispetto ai disastri provocati dal Regime.
In questa fase della sua produzione, Guttuso si lascia sedurre dalle scattanti figurazioni del Picasso post-cubista, ma al conetmpo accentua la sua attenzione - spesso polemica - verso le questioni sociali: proprio questa sua inclinazione svolgerà un ruolo di traino nell'evoluzione "in senso realista" della pittura italiana.
In questi anni nasceranno le amicizie con Alberto Moravia, Antonello Trombadori e Mario Alicata che avranno un ruolo determinante nella sua adesione al partito comunista, nel quale si iscriverà nel 1940.
Negli anni di guerra, accanto ad Antonello Trombadori e ad altri esponenti del Partito Comunista, partecipa attivamente alla Resistenza: comincia la serie dei Massacri che poi saranno raccolti nel libro "Gott mit uns".
Nel 1947 aderisce al Fronte Nuovo delle Arti: è la volta della polemica contro le tendenze "formaliste" di molta arte astratta. Fortemente schierato ideologicamente, Guttuso non abbracciò mai il realismo socialista di stampo russo, ma seppe mediare e filtrare l'ideologia attraverso la sua sensibilità mediterranea e la sua fiera libertà intellettuale.Guttuso non tradirà mai la sua personale "campagna di idee", che raggiungerà l’acme con "I funerali di Togliatti", opera manifesto dell’antifascismo.
Dal 1953 trascorre lunghi soggiorni estivi a Velate, in provincia di Varese, dove trovarono ispirazione molti suoi quadri: per la terza cappella del sacro Monte dipingerà nel 1983 La Fuga in Egitto. Comincia una lunga serie di mostre nelle più prestigiose gallerie europee. Nel 1985 viene consacrato pittore di fama internazionale dalle mostre di Palazzo Reale a Milano e di Palazzo Comitini a Palermo.
Muore a Roma il 18 Gennaio del 1987.
Il neorealismo di Guttuso
Nulla si può scrivere sull’attività pittorica di Renato Guttuso se prima non venga fatto riferimento alla sua terra di origine. Guttuso nasce a Bagheria, vicino a Palermo, e sempre porterà nelle sue opere quella sensibilità esasperata tipica di una terra così ricca di contrasti come da secoli è la Sicilia.
Scriveva Dominique Fernandez che il “vero e migliore Guttuso è rimasto un autentico siciliano, cioè un poeta della rassegnazione e della morte, della sconfitta e del massacro, nonostante i principi rivoluzionari... la sua sicilianità di fondo lo condanna a sentire, da artista, solo il lirico disordine degli oltraggi”.
Eppure Guttuso tenta in ogni modo con la sua arte, imbevuta di valori ed ideali marxisti, di mutare il mondo nei suoi aspetti peggiori; egli raccoglie il lamento della gente cercando così di esortare alla riscossa tutti gli anelli più deboli della società.
Già nel ‘33 a Roma e poi nel ‘36 a Milano, il pittore si ritrova a contatto con gli ambienti culturali attivamente impegnati sull’orizzonte politico. Proprio a Milano entra a far parte del circolo artistico e letterario antifascista che darà vita a “Corrente”, all’interno del quale matura il convincimento dell’arte intesa come impegno morale ed etico e soprattutto come coinvolgimento nella realtà.
Nei suoi quadri grande spazio viene dato ai temi legati alla vita contadina, espressi in chiave marcatamente espressionista, ma il suo “espressionismo” non è un semplice modo di sentire le cose: è la realtà stessa ad essere espressiva, i suoi colori, i suoi particolari a suggerire al pittore quel “ductus” così fortemente drammatico, abilmente sottolineato da ampie stesure intensamente colorate e da una densa materia pittorica.
Ciò è mirabilmente espresso nella “Fucilazione di campagna” (Roma GNAM), opera dedicata al drammatico evento dell’uccisione di Garcìa Lorca, o nell’opera “Fuga dall’Etna” del 1939. Siamo alle porte del secondo conflitto mondiale ormai e Guttuso entra a far parte della Resistenza, lasciando a testimonianza di questo periodo alcuni disegni pubblicati a Roma nel 1944.
Subito dopo la guerra è tra i fondatori del Fronte Nuovo delle Arti con cui espone opere a Milano e a Venezia. Nei lavori appartenenti a questi anni si accentua ancor di più il processo di stilizzazione dell’immagine: ogni profilo viene segnato da una marcata linea nera, sottolineando ancor di più quella concitazione espressiva che già aveva caratterizzato i dipinti dell’anteguerra.
Guttuso è lontano dal fronte dell’astrattismo in pittura che proprio allora si misurava con quello realista; la sua, ora, è sempre più una pittura dedita all’attualità e alla cronaca della storia, che come tale necessita di forme strettamente legate alla realtà delle cose. È una poetica dell’arte in cui si animano personaggi politici, umili braccianti del Mezzogiorno italiano come gente comune affaccendata in un mercato (“La Vucciria” 1974), a dimostrazione di un impegno che tanto ha saputo svelare, fin nelle pieghe più nascoste, una società di cui ancora siamo i protagonisti.
Autore: Renato Guttuso
Titolo: Miliziano a riposo (ritratto di Antonello Trombadori) 1937
Dimensioni: cm. 40x50
Tecnica: olio su tela
Collezione: Roma, collezione privata
Autore: Renato Guttuso
Titolo: Studio per la Crocefissione

Autore: Renato Guttuso
Titolo: La crocefissione

Autore: Renato Guttuso
Titolo: Gott mit uns

Bibliografia
• Roberto Battaglia:“Storia della Resistenza italiana”
• G. Bellini, G.Mazzoni: “Moduli di letteratura italiana:Fenoglio e la guerra narrata”
• Carlo Cassola: “La ragazza di Bube”
• Beppe Fenoglio: “Una questione privata”,
“I ventitre giorni della città di Alba”
• Italo Calvino: “I sentieri dei nidi di Ragno”
• Renata Viganò: “L’Agnese va a morire”
• Giorgio Bassani: “Il giardino dei Finzi-Contini”
• Cesare Pavese: “La casa in collina”
• Primo Levi: “Se questo è un uomo”,
“La tregua”,
“I sommersi e i salvati”
• Carlo Levi: “Cristo si è fermato a Eboli”
• William Golding: “Lord of the flies” (“Il signore delle mosche”)
• Raffaele Liucci: “La tentazione della “casa in collina”. Il disimpegno degli intellettuali nella guerra civile italiana (1943-1945)”
• Emilio Segrè: “Personaggi e scoperte della fisica contemporanea”
• Fernaldo Di Giammatteo: “Dizionario del cinema italiano”
• Gian Piero Brunetta: “Cent’anni di cinema italiano.Dal 1945 ai giorni nostri”
• Renato May: “Angoscia e solitudine nel cinema italiano contemporaneo”
• Vito Pandolfi: “Il cinema nella storia”
Filmografia
• I bambini ci guardano, 1943, regia di Vittorio De Sica
• Caccia tragica, 1946, regia di Giuseppe De Santis
• Il cappello da prete, 1942, regia di Ferdinando Maria Poggioli
• La ciociara, 1960, regia di Vittorio De Sica
• Germania anno zero, 1947, regia di Roberto Rossellini
• Ladri di biciclette, 1948, regia di Vittorio De Sica
• Miracolo a Milano, 1951, regia di Vittorio De Sica
• Novecento – Atto I e Atto II, 1976, regia di Bernardo Bertolucci
• Ossessione, 1943, regia di Luchino Visconti
• Paisà, 1946, regia di Roberto Rossellini
• Riso amaro, 1949, regia di Giuseppe De Santis
• Roma città aperta, 1945, regia di Roberto Rossellini
• Sciuscià, 1946, regia di Vittorio De Sica
• Il sole sorge ancora, 1946, regia di Aldo Vergano
•Sotto il sole di Roma, 1948, regia di Regnato Castellani
• La terra trema, 1948, reggia di Luchino Visconti
• Umberto D., 1952, regia di Vittorio De Sica

Esempio



  


  1. karla

    tesina multidiscliplinae sulla bugia

  2. karla

    tesina multidiscliplinae sulla bugia