L'uomo ha coscienza di sé quando la vita è dolore

Materie:Tesina
Categoria:Multidisciplinare
Download:2823
Data:01.12.2004
Numero di pagine:59
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
uomo-coscienza-e-quando-vita-e-dolore_2.zip (Dimensione: 814.18 Kb)
trucheck.it_l-uomo-ha-coscienza-di-s+     1011 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

L’UOMO HA COSCIENZA DI SE
QUANDO LA VITA È DOLORE
Tesina multidisciplinare
di Alessandro Z.

INTRODUZIONE
“Perché il dolore?”

L’individuo che cerca in ogni direzione il senso di se stesso, della propria esistenza e quello del mondo che lo circonda; l’uomo, per il quale una sconfitta, una vittoria o un semplice sentimento, sono i segreti mediante i quali tenta di rivelare a sé stesso la percezione che lo pone in contatto con altro da sé; questo essere umano di cui si narra l’intelligenza, la forza, il bisogno di spiritualità, la tensione alla conoscenza dell’esistente e dell’assoluto, spesso scopre d’essere vivo quando il dolore lo riempie di paura, manifestandolo al suo Io più profondo.
Ecco, accade che si abbia percezione di se stessi quando la sofferenza è il limite invalicabile, proprio perché umano, che neppure il pensiero è capace di alienare da sé. Per questo l’uomo può parlare meglio di se stesso, più in modo diretto, quando si disvela al quotidiano mediante il dolore.
La vita qualche volta diviene pura fenomenologia del dolore; semplice manifestazione di un’essenza il cui ruolo è la scena del dolore.
La vita, prezioso tempo dell’essere umano, qualche volta sembra essere altra cosa dall’individuo a cui appartiene, quasi fosse un cieco destino che di tanto in tanto alienandosi dall’individuo che riflette, lo getta nella propria temporalità. Di qui il bisogno disperato, quasi folle, dell’uomo, che risvegliato dalla propria coscienza e divenuto esso stesso dolore, si percepisce avendo coscienza di sé.
Il motivo di questa tesina è quello di voler gettare un raggio di luce sul mondo per dire che al di là del dolore, dentro il dolore, al di qua del dolore, l’uomo e la vita offrono una coscienza che affaccia lo stesso umano al senso del vivere.
Lungo il percorso dei miei studi ho potuto constatare che storici, filosofi, artisti, scrittori di ogni cultura, abbiano spesso tentato di delineare la figura di un uomo la cui azione (a volte libera, a volte no) è comunque inscritta nel cuore indifferente del destino, ove la mano sapiente di un Dio, frutto del cuore e della ragione, è l’unica speranza per poter accettare la necessaria convivenza col dolore. Quindi sono certo che l’esistenza, la coscienza di sé, siano possibili anche quando il dolore è superato, perché l’uomo possa narrare di sé gli eventi di una vita unica e dignitosa.
SOMMARIO
AREA UMANISTICA
• STORIA DELL’ARTE
• L’espressionismo
• Il dolore nell’Urlo di Munch
• ITALIANO
• L’ermetismo
• Ungaretti
• Quasimodo
• LATINO
• Seneca
• STORIA
• I regimi totalitari
• FILOSOFIA
• Kierkegaard
• INGLESE
• T.S. Eliot
• The Waste Land
AREA SCIENTIFICA
• SCIENZE
• Terremoti
• Vulcani
• FISICA
• Pericoli e danni della corrente elettrica e delle onde
elettromagnetiche
STORIA DELL’ARTE
L’ESPRESSIONISMO

“Nessun età è mai stata squassata da tanto orrore, da un così orrendo senso della morte. Mai sul mondo ha gravato un tal silenzio di tomba. Mai l’uomo è stato così piccolo. Mai ha avuto altrettanta paura. Mai la pace è stata così lontana e la libertà così morta. Ed ecco che l’angoscia leva il suo grido: l’uomo invoca urlando la sua anima, tutta la nostra generazione non è che un unico grido d’angoscia. E grida anche l’arte, verso le tenebre profonde, invoca aiuto, invoca lo spirito: e questo è l’espressionismo” (Hermann Bahr).
La crisi della società dopo la prima guerra mondiale costituisce il contesto storico più adatto per lo sviluppo dell’espressionismo, un fenomeno che si sviluppò all’inizio del XX secolo con due focolai distinti: il movimento francese dei Fauves (belve) e il movimento tedesco Die Brǜcke (il ponte). I due movimenti si formarono nel 1905 e proposero, contro l’oggettività dell’arte tradizionale che cercava di presentare fatti e figure così come apparivano agli occhi, visioni assolutamente soggettive, trasformando la realtà in un pretesto per rilevare particolari stati d’animo.
Letteralmente espressione è il contrario di impressione. L’impressione è un moto dall’esterno all’interno: è la realtà (oggetto) che si imprime nella coscienza (soggetto). L’espressione è il moto inverso, dall’interno all’esterno: è il soggetto che imprime di se l’oggetto.
L’espressionismo si sviluppò in Germania nel campo della pittura, nel teatro, nel cinema e nella letteratura.
In campo teatrale gli espressionisti rifiutano una caratteristica di fondo del teatro borghese tradizionale e cioè lo sviluppo psicologico dei personaggi nel corso dell’azione rappresentata; procedono inoltre “per stazioni”, cioè per scene slegate l’una dall’altra.
Nel cinema la vocazione dell’espressionismo per la violenza dei toni e la deformazione grottesca si intreccia ad alcuni elementi della letteratura tedesca: il fantastico, l’orrido, il demoniaco, creando film come “Il dottor Mabuse” di Fritz Lang (1922) e “Nosferatu il vampiro” di Murnau.
La produzione letteraria di questo periodo è caratterizzata da versi secchi ed essenziali che racchiudono molteplici sensazioni in un breve componimento
La produzione figurativa ebbe i suoi massimi esponenti in Munch, Gauguin e Van Gogh.
IL DOLORE NELL’URLO DI MUNCH
BIOGRAFIA
Munch (Löten 1863 – Ekely, Oslo 1944), è considerato il più importante espressionista norvegese. Cominciò a studiare pittura a 17 anni a Cristiania (Oslo) e, nel 1885, una borsa di studio gli diede l’opportunità di recarsi per breve tempo a Parigi, dove cominciò ad interessarsi all’impressionismo. In occasione di un secondo soggiorno parigino (1889 – 1891), scoprì le opere di Georges Seurat, Vincent Van Gogh e Paul Gauguin. Tornato in Norvegia, sviluppò uno stile proprio, privilegiando soggetti in cui ricorrono immagini di morte, solitudine e malattia. Lo scandalo provocato dalle sue tele, presentate a Berlino nel 1892, indusse le autorità a chiudere la mostra. Tuttavia Munch non si scoraggiò e, stabilitosi in Germania, dove visse fino al 1908, partecipò attivamente allo sviluppo dell’espressionismo tedesco. La sua opera più conosciuta è “L’urlo”, ma importante è anche l’immagine straziante del “Fanciullo malato” che riflette il trauma subito da Munch nell’infanzia quando la madre e la sorella morirono di tubercolosi. Il senso tragico della vita pervade anche dipinti come “Il Ponte”, mentre riflessi delle inquietudini sessuali dell’artista sono visibili nei ritratti di donne, che vengono rappresentate ora come fragili e innocenti, ora come sinistri vampiri. Nel 1909 tornò in patria dopo un ricovero per depressione a Copenaghen e le sue ultime opere, fra le quali “Autoritratto tra la pendola” e “Il letto” segnano un ritorno all’introspezione. Quasi tutte le opere di Munch sono conservate al Munch Museet di Oslo.
L’URLO
L’urlo (1893, olio, tempera e pastello su cartone 91 X 73,5 cm Oslo, Nasjnalgalleriet), è l’opera più famosa di Edward Munch e rappresenta l’angoscia esistenziale e il dolore dell’uomo contemporaneo. In primo piano, su una strada con un parapetto che vi corre, si vede una figura con le mani portate alla testa, gli occhi fissati e la bocca spalancata. Più avanti due gentiluomini eleganti e dietro di loro un panorama di fiordi e colline. Munch, spiegando la nascita di quest’opera, scrive nel suo diario del 1892: “Seguivo la strada con due amici – il sole tramontò, il cielo divenne color rosso sangue -, provai un soffio di malinconia. Mi fermai, mi aggrappai alla staccionata, stanchissimo, sopra la città e sul fiordo color blu nerastro planavano nuvole come sangue e lingue di fuoco, i miei amici continuarono il loro cammino, mentre io indugiai tremando d’angoscia. Mi sembrava di ascoltare il grido immenso ed infinito della natura”.
Ciò che interessa l’artista non è tanto la bellezza della forma quanto la sua capacità di comunicare uno stato d’animo, di turbare e scuotere le coscienze. L’opera di Munch è ricca di significati simbolici: il ponte che tende all’infinito rappresenta le innumerevoli difficoltà della vita umana; i due amici la superficialità dei rapporti umani; l’urlante in primo piano, il dramma dell’umanità intera che si propaga attraverso la natura circostante. Il fiordo oleoso, il cielo infuocato, riprendono il movimento serpeggiante della figura e sono pervasi dalla stessa angoscia diffusa nell’ambiente. L’uomo in primo piano, con la bocca gridante e le mani strette sulle orecchie per non ascoltare il proprio incontenibile urlo, che è anche urlo della natura, è ridotto a una misera parvenza ondeggiante, in un paesaggio di delirio.
ITALIANO
Solitudine e dolore sono i temi dominanti della letteratura nel periodo che intercorre tra le due guerre. L’esperienza lacerante della prima guerra mondiale ispira gran parte di questa produzione, caratterizzata da versi secchi ed essenziali che riassumono una molteplicità di sensazioni in un breve componimento. La lirica di questo periodo è particolarmente interessante come documentazione e testimonianza di una crisi di civiltà. Nei poeti più rappresentativi di questa nuova corrente letteraria, definita ermetismo, c’è una visione della vita lontana da ottimistiche fiducie espressa con un radicale distacco dalle forme della versificazione ottocentesca.
L’ERMETISMO
La poesia ermetica sorge intorno agli anni Venti e si sviluppa nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, esaurendosi gradatamente nel secondo dopoguerra sotto l’irrompere del neorealismo. Il termine “ermetismo” (da Ermete o Mercurio, il dio delle scienze occulte) fu adoperato per indicare una nuova poesia caratterizzata da una lirica concentrata, alleggerita, spoglia ed evocativa, oscura e indecifrabile, come se fosse una scienza occulta.
La poesia ermetica rifiuta la concezione della poesia intesa come celebratrice di ideali esemplari (la patria, l’eroismo, la virtù…); segue l’ideale della “poesia pura”, libera da forme metriche e retoriche tradizionali, ma anche da ogni finalità pratica, celebrativa e descrittiva. Essa esprime nel modo più autentico e integrale, il nostro essere più profondo e segreto. Si tratta di una poesia nuova, diversa da quella ottocentesca, da quella crepuscolare che aveva reso la poesia umile, discorsiva e da quella futuristica, che l’aveva resa rumorosa, tutta esteriore ed aggressiva.
Il motivo centrale della nuova poesia è il senso della solitudine disperata dell’uomo moderno: perduta la fede negli antichi valori, nei miti della civiltà romantica e positivistica, (la religione, la patria, la scienza, il progresso) egli non ha più certezze a cui ancorarsi saldamente, sconvolto dalle guerre, offeso dalle dittature e dalle ideologie totalizzanti e oppressive. Nasce perciò una visione della vita sfiduciata e desolata, priva di illusioni: da Ungaretti “uomo di pena”, che si sente in esilio in mezzo agli uomini, a Montale, che vede negli aspetti quotidiani della realtà “il male di vivere”, a Quasimodo che ricorda che il destino di ogni uomo è che “sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole”.
Ad aggravare il senso di solitudine e di mistero concorrono altri elementi: l’incomunicabilità, vale a dire l’incapacità e l’impossibilità di un colloquio fiducioso ed aperto con gli altri; l’alienazione, ossia la coscienza di essere ridotti ad un ingranaggio nella moderna civiltà di massa, strumentalizzati per fini più o meno celati; la frustrazione, la coscienza del contrasto tra una realtà quotidiana sempre banale e deludente e l’ideale di una vita diversa ma irrealizzabile.
UNGARETTI
Giuseppe Ungaretti è considerato il fondatore dell’ermetismo; egli procede da un’iniziale rivolta contro le forme poetiche tradizionali, per restituire al linguaggio della poesia una sua dimensione essenziale scabra, a volte volutamente oscura.
Dal punto di vista umano il suo cammino procede dalla constatazione della solitudine e del dolore dell’uomo, relitto di un naufragio, alla drammatica riconquista delle certezze offerte dalla fede tradizionale, alla coscienza di ripercorrere attraverso l’esperienza dolorosa della propria esistenza, una strada comune a tutti gli uomini
BIOGRAFIA
Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori italiani. Nel 1912 si trasferisce a Parigi, dove si laurea alla Sorbona e frequenta gli ambienti dell'avanguardia artistica. Allo scoppio della guerra il poeta, fervido interventista, si arruola e va a combattere sul Carso e poi sul fronte francese. Rientrato in Italia nel 1921, si impiega al Ministero degli Esteri e aderisce al fascismo (Mussolini firma la presentazione di una sua raccolta). Nel 1936 va a San Paolo del Brasile, dove insegna all'università. Durante il soggiorno brasiliano, nel '39, muore il figlio Antonietto di nove anni. Nel '42 è di nuovo in Italia, a Roma, e si dedica sempre all'insegnamento universitario. La sua fama di poeta, che si era consolidata già dagli anni Venti, cresce col passare del tempo, e sempre nuovi poeti si rifanno alla sua lezione. Muore a Milano nel 1970; l'anno precedente era uscita l'edizione completa delle sue poesie col titolo "Vita di un uomo".
POETICA DI UNGARETTI
Possiamo partire proprio dal titolo “Vita di un uomo” per illustrare la poetica di Ungaretti. Poesia e biografia sono per lui strettamente legate, infatti sono proprio le esperienze di vita a determinare alcune precise scelte di stile e contenuto, assolutamente innovative per la poesia italiana. La prima, fondamentale, è l'esperienza di soldato; sepolto in trincea tra fango, pioggia e compagni moribondi, il giovane poeta scopre una nuova dimensione della vita e della sofferenza che gli sembra imporre, per poter essere descritta, la ricerca di nuovi mezzi espressivi. Nasce così la raccolta “Allegria di naufragi”, nella quale il lavoro di “scavo” comincia, come si è visto, dalla parola. Dall'analisi delle proprie emozioni Ungaretti trae enunciazioni essenziali e fulminee che comportano la distruzione della metrica tradizionale: i versi vengono spezzati e ridotti talvolta a singole parole; queste ultime si stagliano isolate o accostate tra loro con lo strumento dell'analogia, senza punteggiatura, intervallate da spazi bianchi che assumono a loro volta un preciso significato. Quella di Ungaretti fu soprattutto una rivolta morale contro i falsi miti e le pose dannunziane, la ricerca di un linguaggio più autentico che riscoprisse la vera vita dell’anima. La tragica esperienza della guerra gli fece cogliere la vita nella sua essenzialità d’amore, dolore, angoscia della morte e bisogno di ritrovare una fraterna umanità. La poesia “Veglia” [da L’Allegria] è una lirica molto intensa in cui notiamo un’angosciosa presenza simultanea della vita e della morte nella realtà disumana della guerra:

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.
Possiamo leggere questa poesia come una pagina di diario che, nella frantumazione del verso tradizionale, nell’isolamento “urlato” di certe parole chiave, (massacrato, digrignata, congestione, penetrata) concentra l’emozione principale del poeta, vale a dire: la morte dei compagni, la rivolta contro questa tragica esperienza giornaliera e il desiderio di vita che si rende concreto in quelle lettere piene d’amore. Ungaretti ricorda una notte passata in trincea con un compagno morto, tracciando la descrizione realistica del cadavere di un soldato, suo amico, massacrato dai colpi del nemico: la bocca digrignata, le mani congestionate, il viso immobile illuminato dalla luna piena, così è rappresentato tutto il dramma della guerra. In questa situazione di angoscia il poeta trova la forza di ribellarsi "scrivendo lettere d'amore": l'orrore e la sofferenza suscitano in lui l'attaccamento alla vita. L'odio per la guerra lo spinge a reclamare il diritto di tutti gli uomini ad amare: la profondità della morte è oltrepassata dall'amore. La descrizione così cruda dell'amico, "di un uomo che non è più un uomo", mutilato non solo nel suo corpo, ma anche nella sua dignità, dimostra chiaramente che agli occhi del poeta la guerra "non crea eroi", che nessun uomo può tornare dal fronte rafforzato: la guerra crea solo morti. Ma ancora una volta, le mani, gonfie e impotenti del morto ricordano al poeta che il suo compito è quello di farsi portatore di messaggi di speranza per tutti: egli è il privilegiato che, superando la morte, dà un messaggio di testimonianza e di amore. Importante è l'uso del participio per descrivere la ferocia e l'assurdità della guerra; gli unici tempi verbali pongono l’accento sulla volontà del poeta di superare l'atrocità attraverso la scrittura.
La successiva raccolta "Sentimento del tempo", del 1933, presenta un'evoluzione nella poetica di Ungaretti. Gli spunti autobiografici, così numerosi in ”Allegria di naufragi”, diminuiscono lasciando posto a una riflessione più esistenziale. L'uomo Ungaretti tenta ora di “farsi Uomo”, cercando nelle proprie emozioni e paure il riflesso di quelle che sono comuni a tutti. Inizia qui il tormentato recupero della fede, la quale può forse rappresentare per l'uomo smarrito un'ancora di salvezza.
Nell’ultima raccolta, “Il dolore”, del 1947, la biografia irrompe nuovamente nella poesia in seguito alla tragica morte del figlio Antonietto, cui sono dedicate le liriche della prima parte; nella seconda parte invece, Ungaretti si sofferma sulle vicende drammatiche della guerra. C'è dunque un rapporto tra le due sezioni: il dolore individuale e quello collettivo danno la misura di un cammino umano segnato dalla sofferenza e dalla difficile riconquista della fede negli imperscrutabili disegni divini. Tra questi due piani, quello personale celebrato ne “Il Dolore” e quello corale collettivo, che ha trovato le sue più alte espressioni ne “Il sentimento del tempo”, si muove tutta la successiva produzione di Ungaretti, che comprende le raccolte “Un grido e paesaggi”, “La terra promessa”, “Il taccuino del vecchio”. Il poeta parte dalla riflessione sul destino dell’uomo, conseguenza della drammatica esperienza della morte del figlio, per giungere, con l’aiuto della fede, ad un sereno e malinconico distacco rispetto alla vita.
QUASIMODO
La poesia ermetica testimonia la crisi dell’uomo e per farlo esige essenzialità e rifiuta il linguaggio poetico tradizionale, ricercando espressioni che riescano ad attingere il fondo della realtà che si vuole esprimere. Molto efficace in tal senso è “L’urlo nero” di cui parla Quasimodo nella poesia “Alle fronde dei salici”, tratta dalla raccolta [Giorno dopo giorno] del 1947; il poeta per rilevare la drammaticità dell’urlo, accosta il piano acustico a quello visivo.
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
In questa poesia possiamo trovare una certa musicalità, in particolare nell'ultimo verso. L'autore utilizza molte figure retoriche, in particolare metafore: "triste vento", "al lamento d'agnello dei fanciulli" e "piede straniero". Quest'ultima, che può essere pensata anche come metonimia, ha un preciso riferimento storico, l'attacco tedesco e la sua avanzata nell'Italia centro-settentrionale, l' 8 Settembre 1943. Il piede rappresenta la dominazione straniera (tedesca) che schiaccia il cuore delle vittime innocenti. L'agnello, di cui si parla nella seconda metafora, ricorda l'agnello, vittima sacrificale, di cui si parla nella Bibbia. Con questa figura retorica l'autore ha voluto spiegare che il pianto dei bambini è innocente come la figura sacra dell'agnello. L'ultima metafora "triste vento" è simbolo del dolore e del male. Il poeta, inoltre, utilizza una sinestesia molto significativa: "urlo nero"; con questa l'autore esprime l'urlo disperato ed angoscioso della madre, nero perché è già impregnato dell'oscurità della morte. In questa lirica Quasimodo utilizza uno stile epico - corale; epico perché celebrativo, corale perché riguarda più persone. Il poeta vuole essere la voce del popolo italiano che soffre e che non può più cantare, sotto la dominazione tedesca, invocando così nel lettore sentimenti di fratellanza e comunione. Questa poesia fa parte della seconda produzione, quando Quasimodo concepisce in modo più serio l'impegno civile. In quest'ultima produzione egli rivolge l'attenzione all'umanità colpita dalla guerra e dalla sofferenza. In quest’opera l'autore volutamente ricorda l'esilio in Babilonia del popolo ebraico, ripetendo quasi fedelmente nel primo e nell'ultimo verso della lirica due passaggi del salmo CXXXVI della Bibbia, dove il profeta ebraico afferma l'impossibilità di cantare a causa dell'esilio del suo popolo in Babilonia: per questo le cetre, usuale accompagnamento musicale, dovranno essere appese alle fronde dei salici. Allo stesso modo Quasimodo afferma l'impossibilità a "cantare" dei poeti italiani, a causa dell'invasione straniera.
Particolarmente rilevante è la parola "crocifisso": l'autore vuole infatti rievocare nell'animo del lettore Cristo morto in croce per la salvezza degli uomini.
Salvatore Quasimodo nasce a Modica (Ragusa) nel 1901; suo padre è capostazione delle ferrovie, soggetto a continui trasferimenti per motivi di lavoro. Nel 1908 si stabilisce a Messina e vi rimane sino al 1920. Si trasferisce a Roma nel '21 iscrivendosi alla facoltà di ingegneria, ma ben presto smette gli studi per mancanza di mezzi. Costretto a lavorare per vivere, dal '26 è impiegato a Reggio Calabria presso il Genio civile. Comincia a scrivere le prime poesie [Acque e terre] che vengono pubblicate sulla rivista fiorentina "Solaria" (1930).
La raccolta è caratterizzata dalla mitizzazione della Sicilia, che, pur essendo descritta in maniera realistica, assume i toni e i colori di un paradiso perduto, irraggiungibile: un Eden di cui il poeta rimpiange l'innocenza umana (non ancora corrotta dal male di vivere), nonché l'armonia con la natura. La rievocazione della Sicilia, in questo senso, è fusa con quella dell’infanzia (infanzia e giovinezza sono le età che Quasimodo predilige). Dominano quindi i temi del dolore, della solitudine e dell’incomunicabilità, dell'impossibilità di trovare conforto nella vita. Questi temi, d'altra parte, costituiscono l'unica opposizione permessa dal regime fascista, la cui letteratura era invece ottimistica e trionfalistica. Stilisticamente e lessicalmente Quasimodo è vicino a Pascoli, D'Annunzio e Verga. Del Verga assume il realismo; del Pascoli l'arte di trasfigurare la natura; del D'Annunzio l'identificazione del poeta con la natura. Quasimodo ricerca un modo espressivo raffinato, limpido, teso alla bellezza classica.
Nelle due raccolte successive, [Oboe sommerso] (1932) ed [Erato ed Apollion] (1936), Quasimodo cerca di adeguarsi completamente alla scuola ermetica, nel tentativo, non riuscito, di superarne i maestri (Ungaretti e Montale), portandone all'estremo certi moduli tipici. Fa questo proprio negli anni in cui Ungaretti tentava invece un recupero delle forme metriche tradizionali. In queste raccolte le rime sono piuttosto orecchiabili, ma poco profonde.
Nel '38 lascia il Genio civile e diventa giornalista. Dal '36 al '42 raccoglie [Nuove poesie], con cui cerca di ritornare al felice equilibrio di [Acque e terre]. La lirica più importante di [Nuove poesie] è “Ed è subito sera”. In questo recupero della sua poetica più autentica, è stato senza dubbio aiutato dalle traduzioni dei lirici greci (1940), che lo hanno allontanato in parte dallo stile ermetico oscuro e artificiale da lui utilizzato e lo hanno portato a valorizzare di nuovo le forme metriche tradizionali. Inoltre la sua Sicilia (soprattutto quella del mondo greco) gli pare sempre di più come un momento alternativo al decadimento "morale" del vivere.
Nel '41 è nominato, dal ministro dell'Educazione nazionale, per "chiara fama", professore di Letteratura italiana al Conservatorio di Milano. La sua ultima produzione, quella del dopoguerra, è la più significativa. I temi autobiografici, di stampo decadente, si convertono in temi civili: il monologo lascia lo spazio al dialogo con gli uomini, alla scoperta della presenza degli altri, alla compassione per le vittime dell'immane tragedia della guerra. La meditazione sul dolore dell'uomo si arricchisce di nuovi contenuti: l'esilio, i miti familiari, il populismo... Per questo suo impegno morale e civile che lo avvicina alla corrente neorealistica, Quasimodo otterrà nel '59 il premio Nobel per la letteratura.
In [Giorno dopo giorno] (1947) e [La vita non è sogno] (1949), si forma in sostanza una nuova poesia, in cui trovano posto i dolori e le speranze degli uomini, per quanto il poeta non sia mai andato a cercare le cause esistenziali e sociali di tanto soffrire. Il contenuto morale delle sue poesie, anche in queste raccolte, è sempre quello dell'angoscia esistenziale, ovvero la ricerca di una realtà nuova; ma questa realtà, per il poeta, non può essere raggiunta, quindi egli non ha un proprio messaggio da offrire e rimane chiuso nella sua solitudine. Muore a Napoli nel 1968.
LATINO
SENECA
Con l’avvento al trono di Nerone, alla morte di Claudio, Roma concepì la speranza che potesse incominciare una nuova era. Agli inizi del suo regno, Nerone sembrò realizzare le migliori aspettative dei letterati, ma progressivamente subentrò la delusione, per l’amara constatazione delle più atroci colpe del principe e della sfrenata crudeltà delle repressioni. Seneca vive e soffre il dramma dell’intellettuale combattuto fra l’aspirazione alla vita ritirata e contemplativa e il richiamo alla vita attiva. Nelle sue opere si può avvertire un rasserenamento di quei temi di angoscia, oscurità e dolore propri della narrativa del suo tempo e di quella del secondo dopoguerra. Gli intellettuali propagandano infatti, in questo periodo, l’incapacità di trovare la via che dovrebbe portare l’umanità intera, dopo la distruzione operata dalla guerra, verso la pace e la serenità d’animo. I temi sono quelli della solitudine, del dolore e del crollo delle illusioni, naturale conseguenza degli orrori seminati dai regimi totalitari, che non conoscono né spazio né tempo e che sembrano essere portatori solo di gran sofferenza nei riguardi dell’uomo. Nessun autore latino meglio di Seneca, vissuto accanto a Nerone, poteva essere più vicino a questi temi così dolorosi.
Seneca è considerato lo scrittore più “moderno” della letteratura latina: è l’unico che ci parli ancora come fosse vivo nella lingua morta di Roma. Nessuno meglio di lui nel mondo antico seppe parlare a tutti gli uomini dei casi della vita e della morte.
BIOGRAFIA
Lucio Anneo Seneca, figlio di Seneca il vecchio, nacque a Cordova, in Spagna intorno al 4 a.C. Si recò a Roma per completare gli studi letterari e filosofici e si avvalse dell’insegnamento del filosofo neopitagorico Sozione, del retore Papiro Fabiano e dello stoico Attalo. Seneca ebbe così l’opportunità di conoscere la dottrina della setta dei Sesti,
che fondevano precetti d’origine storica e neopitagorica.
Dopo essersi recato in Egitto per motivi di salute, fece ritorno a Roma nel 31, dedicandosi alla poesia e all’arte oratoria. Nel 41, durante l’impero di Claudio, fu accusato di adulterio con la sorella di Caligola, Giulia Livilla, e condannato alla relegatio, cioè all’esilio in Corsica, dove rimase per ben otto anni. Quest’isolamento gli consentì di leggere molto, di avvicinarsi allo stoicismo e di scrivere alcune opere filosofiche. Grazie ad Agrippina, reggente del “princeps”, potè tornare a Roma come maestro del giovane Nerone, che divenne imperatore nel 54. Insieme con il prefetto del pretorio, Afranio Burro, curò l’educazione del princeps, ispirandogli quell’equilibrio che contraddistinse la prima fase del governo neroniano. Nerone, infatti, iniziò a governare con gran moderazione, riproponendo il modello del principato augusteo, che era stato distorto dai suoi predecessori, e ridando una nuova dignità alla nobilitas del Senato. Tuttavia, ben presto, si assistette ad un’involuzione che segnò la fine della grande illusione di Seneca e del suo impegno politico a fianco del principe. Seneca guardò impotente Nerone che fece uccidere la madre e la moglie, Ottavia, per sposare Poppea. Nel 59 lo scrittore si ritirò a vita privata, dedicandosi alle lettere e alla filosofia. Nel 65, coinvolto nella congiura dei Pisoni contro Nerone, ricevette dall’imperatore l’ordine di uccidersi ed obbedì, dimostrando in tal modo di saper sfidare quella morte che egli aveva dichiarato di attendere con serenità in tutti i giorni della sua vita.
SAGGEZZA E SOFFERENZA IN SENECA
Seneca ritiene che lo scopo della vita umana è avere la forza di resistere al male, di superare le asprezze dell’esistenza e di accogliere il dolore come un tesoro dello spirito. Seneca ripeteva il detto del cinico Demetrio, secondo il quale: “L’essere più infelice della terra è quello che non ha mai patito avversità”. Per lui la felicità è saggezza e la figura del saggio è quella di un uomo che sa porre questa virtù al di sopra di ogni preoccupazione umana. La felicità maggiore è secondo Seneca “non aver bisogno della felicità”, ma riuscire a trovare in se stessi il proprio bene, indipendentemente dal caso, dal destino e dagli uomini. Seneca si rivolge con la sua dottrina non alla folla, ma all’individuo, cioè a colui che, pur vivendo in mezzo agli uomini, sente la necessità di trovare in se stesso un punto di congiungimento con l’universo.
Alla base della filosofia di Seneca c’è lo stoicismo ma egli non ha confini chiusi di particolari filosofie e spesso trova nell’epicureismo la formula del suo pensiero o della sua aspirazione; ciò perché Epicuro aspirava a raggiungere la serenità interiore attraverso la lucidità intellettuale. Da stoico egli afferma che “la vita, come sai, non sempre merita di essere conservata, non è un bene il vivere ma il vivere bene; perciò il sapiente vivrà tutto il tempo che ha il dovere di vivere e non tutto il tempo che può vivere”. L’uomo quindi, per Seneca, è sempre impegnato razionalmente nella salvezza di se stesso attraverso la condotta saggia di vita; è proprio questa condotta che lo aiuta a vincere quella solitudine di cui parla Quasimodo, quella disperazione che emerge di fronte ad un mondo che non è più in grado di dare risposte all’umanità ormai allo sbando. Il dolore non si può evitare ma non si deve cedere ad esso, neanche di fronte alla morte. Nelle “Epistulae ad Lucilium”, 124 epistole divise in 20 libri, Seneca raccoglie in forma epistolare tutta la sua filosofia, la sua esperienza, la sua saggezza e il suo dolore e riesce a creare un’opera in cui ciascuno possa trovare un sostegno o una consolazione al proprio dolore. Come risposta alla disperazione che caratterizza la poesia di Quasimodo, le epistole di Seneca sono un invito a vivere bene tenendo presente che “vivere bene” non significa vivere senza dolore, ma sopportare le sventure con serenità; nell’epistola 96 Seneca dice: “Tu ti sdegni tanto e ti lagni per qualche avversità; e non ti rendi conto che il male non sta in queste avversità, ma nel fatto che ti sdegni e ti lagni…Sono ammalato? Anche questo fa parte del mio destino…sono cose che capitano; dico meglio: devono capitare; non avvengono a caso, ma per volontà divina”.
In Seneca troviamo due componenti indissolubili: una è quella politica e sociale, cui si legano le sue vicende personali; l’altra è quella filosofica, che comporta la scelta di una vita appartata da filosofo, contrapposta alla difficoltà di far coincidere questa scelta con il realismo imposto dalla partecipazione alla vita pubblica. Nel momento in cui Seneca si rese conto di aver perso ogni illusione che Nerone potesse incarnare la figura di un re saggio, capace di autolimitare con la virtù il proprio potere, decise di ritirarsi in solitudine. Il senatore, amico del principe, e il filosofo, erano due realtà incompatibili nell’uomo Seneca; per lui fare il politico alla maniera del filosofo significava farlo semplicemente, da uomo saggio. Seneca era monarchico, convinto che l’unica possibilità per il buon governo, in una situazione in cui il potere effettivo era nelle mani del monarca, fossero le qualità stesse di quest’ultimo. Da qui le lodi a Nerone, di cui egli era amico, ma che volle regnare da dittatore. Seneca cercò così di sottrarsi alla morsa della sua amicizia ritirandosi dalla vita politica. Nerone non accettò le sue dimissioni, non poteva consentirgli di ritirarsi ma egli lo fece ed inoltre smascherò nelle sue “epistulae ad Lucilium” il meccanismo del potere neroniano così come fanno tanti scrittori che si oppongono ai regimi dittatoriali in cui vivono. Il “princeps”, compreso quel messaggio, gli intimò il suicidio: un suicidio che può facilmente identificarsi con il sacrificio di tante vite innocenti condannate a morte solo perché contrarie all’ideologia di potere o all’olocausto di sei milioni di ebrei ordinato da Hitler durante la seconda guerra mondiale o anche alle innumerevoli vittime di regimi dispotici e violenti.
Seneca meglio di chiunque altro ha saputo esercitare una forte suggestione sugli uomini per la sua profonda conoscenza dell’animo umano e per l’accurata indagine delle passioni che lo agitano, ricorrendo a uno stile che mira alla verità, che riesce a colpire la coscienza con parole che siano lo specchio del pensiero e che spingano a riflettere. Il lettore è attratto dal modo in cui egli procede quasi a scatti, con frasi brevi e ricche di sentenze. Seneca contrappone quindi alla “concinnitas” ciceroniana, caratterizzata da eleganza e simmetria, la sua “inconcinnitas” che predilige periodi asimmetrici brevi, con frasi incalzanti che fanno presagire conclusioni ad effetto. Ecco perché, come ho detto all’inizio di questo mio lavoro, Seneca è l’unico che ci parli ancora come fosse vivo nella lingua morta di Roma.
STORIA
I REGIMI TOTALITARI
CONCETTO DI TOTALITARISMO:
Di stato "totalitario" si cominciò a parlare in Italia verso la metà degli anni '20, per denotare le caratteristiche dello stato fascista contrapposto allo stato liberale. L'espressione è presente nella voce "Fascismo" dell'Enciclopedia Italiana (1932), sia nella parte scritta da Giovanni Gentile, sia in quella redatta da Mussolini, dove si afferma la novità storica di un "partito che governa totalitariamente una nazione". Nella Germania nazista, invece, il termine ebbe scarsa fortuna e si preferì parlare di stato "autoritario".
Una delle più precise definizioni di totalitarismo in ambito storiografico venne offerta in uno studio del 1951 da Hannah Arendt, che sottolineò la novità del regime totalitario rispetto alle vecchie forme dispotiche, nell’annientamento dell’individuo attraverso la combinazione di terrore e ideologia. La studiosa ne “Le origini del totalitarismo” individuò tre condizioni essenziali al sorgere di questo fenomeno: in primo luogo il tramonto dello stato nazione e l’affermarsi dell’imperialismo; in secondo luogo “il crollo del sistema classista e dei suoi valori”; infine l’individualizzazione della moderna società di massa.
Strettamente collegati al significato di totalitarismo sono i seguenti punti:
• I regimi totalitari elaborano un’IDEOLOGIA ONNICOMPRENSIVA e FINALISTICA in cui l’individuo diviene strumento di realizzazione di un ordine superiore;
• Strumento essenziale è il PARTITO UNICO DI MASSA, guidato da un leader, definito DITTATORE;
• Il partito instaura un SISTEMA DI TERRORE, fisico e psicologico, mediante una polizia segreta e un forte apparato di propaganda;
• Il regime totalitario detiene il monopolio dei mezzi di comunicazione di massa; in modo analogo controlla MONOPOLISTICAMENTE tutti gli strumenti di lotta armata;
• Anche in ambito economico il totalitarismo si manifesta nella ricerca del CONTROLLO DELL’INTERA ECONOMIA.
BENITO MUSSOLINI E L'AVVENTO DEL FASCISMO
Il fascismo, in quanto fenomeno totalitario, fu il primo in ordine cronologico a creare un partito unico di massa e un’ideologia che ruotassero attorno alla figura di un dittatore. Guida del fascismo italiano fu Benito Mussolini. Egli era un grande oratore. La sua forza comunicativa si basava su frasi brevi, pronunciate con tono trionfalistico; faceva grande uso di metafore, di terminologia militare e spiritualistica. Proclamava i suoi discorsi con brevi periodi, con incalzante ritmo delle parole e con un continuo ricorso all'antitesi. Il suo lessico era povero e tuttavia ricco di enfasi, di pause sapienti, di richiami eroici e patriottici, che avevano l'unico scopo di esaltare la folla. Ma la sua capacità politica aveva ben più profonde radici.
Nato a Predappio, in provincia di Forlì, il 29 luglio 1883, aveva militato nel Partito Socialista mostrando una chiara inclinazione verso il sindacalismo rivoluzionario, tanto che, nel 1912, divenne direttore de "L'Avanti"; ma un suo editoriale in favore dell'intervento in guerra a fianco della Francia scatenò la polemica nel partito, tradizionalmente antibellico. Fu allora costretto alle dimissioni dal giornale e quindi, espulso dal partito.
Nel 1919 fondò i “Fasci d’azione interventista” e si diede alla preparazione del programma del nuovo movimento:
- politica estera orientata in senso imperialistico e difensivo;
- diminuzione dell'orario di lavoro a otto ore effettive;
- minimi di paga;
- obbligo ai proprietari di coltivare la terra, con la sanzione che le terre non coltivate fossero date a cooperative di contadini, soprattutto reduci dalla guerra;
- una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo;
- sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense vescovili;
- revisione di tutti i contratti di forniture di guerra e il sequestro dell'85% dei profitti di guerra.
Il fascismo in Italia raccolse forze sociali disparate, di provenienza politica assai diversa (socialisti, anarchici, sindacalisti rivoluzionari, cattolici clericali, nazionalisti, repubblicani atei, ex ufficiali monarchici), unificate dal malcontento nei confronti delle agitazioni operaie e contadine e del trattato di pace. Il 28 ottobre 1922, le squadre fasciste, dopo aver assaltato un grande numero di Camere del Lavoro, marciarono su Roma, affermando di voler governare il Paese.
Il primo governo Mussolini ottenne la fiducia e i pieni poteri con una maggioranza schiacciante: 429 voti contro 116 e 7 astenuti alla Camera, e 196 voti contro 19 al Senato. All'opposizione restarono soltanto comunisti, socialisti e repubblicani.
Mussolini creò, intanto, il Gran Consiglio del Fascismo, che avrebbe progressivamente esautorato il Parlamento, e legalizzò le squadre armate, trasformandole in milizia personale. Per conciliarsi e garantirsi l'appoggio del Vaticano e del clero cattolico firmò i Patti Lateranensi con la Santa Sede; mentre il 3 gennaio 1925 promulgò le cosiddette "leggi fascistissime".
Fu, così, soffocata la libertà di stampa; furono abolite le libertà politiche e sindacali; gli antifascisti furono epurati nell'amministrazione pubblica; tutti i poteri di governo furono trasferiti al Duce; vennero istituiti il confino di polizia, la pena di morte, il tribunale speciale e la polizia segreta. Per irrobustire l'orgoglio nazionale, Mussolini creò un vero e proprio impero coloniale: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea e Albania, dovevano mettere l'Italia sullo stesso livello delle altre potenze e fare di essa la nazione guida dell'Europa e il faro della civiltà nel mondo.
Il Duce inoltre incentivò il cinema, il teatro, l'arte e l'architettura, la quale si dimostrò essere gigantesca e magniloquente, come simbolo del potere e della grandezza dell'ideologia fascista.
Certo è che, per un ventennio, l'Italia, sotto il fascismo, rimase nel complesso isolata dalle più vive correnti culturali e artistiche europee e mondiali, chiusa all'interno di una mediocrità provinciale che il regime esaltava come propria virtù. Né ciò avveniva per caso: l'abbassamento del livello culturale faceva parte della strategia politica di un regime che aveva sospinto la popolazione a credere nei miti piuttosto che a ragionare, a scambiare la retorica con la realtà, a delegare ogni decisione al Duce, dal momento che egli "aveva sempre ragione".
Nel campo del lavoro, dell'industria e dell'agricoltura, Mussolini avviò importanti riforme economiche e diede inizio ad importanti opere pubbliche.
Neppure la gioventù fu risparmiata dall'indottrinamento; anzi, il regime considerava fondamentale "addestrare" gli italiani al regime fascista, fin dalla nascita: la "Gioventù Italiana del Littorio” aveva il compito di creare un uomo che fosse "naturalmente" fascista, che vivesse e pensasse "spontaneamente" da fascista.
Parallelamente a questo condizionamento capillare, ogni opposizione era messa a tacere. Partiti e sindacati furono dichiarati illegali e gli oppositori politici furono bastonati, messi in galera o mandati al confino, a volte assassinati.
Si instaurò, così, un autentico clima di terrore.
Nel giro di un decennio dalla presa del potere, la ferrea dittatura fascista era compiuta.
ADOLF HITLER E LA DITTATURA NAZISTA
La crisi economica del dopoguerra, l'inflazione che faceva lievitare i prezzi e diminuire il potere d'acquisto dei salari, la diffusa disoccupazione alimentavano i desideri di qualche "brusca novità" che rianimasse lo stanco spirito tedesco.
Fu in questo quadro che il Nazismo riuscì ad affermarsi e che l'ex caporale Adolf Hitler riuscì ad impadronirsi del potere e a diventare il "Fuhrer", il Duce o la Guida Unica della Germania.
Hitler aveva militato inizialmente nel partito operaio tedesco, di ispirazione socialista. Quando ne ebbe in pugno le leve lo trasformò in partito nazionalsocialista degli operai tedeschi, comunemente detto NAZISMO.
Egli aveva già al suo servizio, prima di prendere il potere, un vero esercito irregolare. Erano le "squadre" denominate SA (Sturm Abteilungen, ovvero reparti d'assalto, al servizio del partito) comandate dal capitano dell'esercito Ernst Rohm, che in seguito furono sostituite dalle famigerate SS (Schutz Staffeln, ovvero squadre di protezione). La cieca fedeltà agli ordini del Fuhrer e dei capi nazisti rese possibile, ad Hitler, l'attuazione del proprio programma.
Al centro della concezione hitleriana c'era un'utopia nazionalista e razzista. Fervente antisemita sin dalla giovinezza, sostenitore di una concezione "darwiniana" della vita, intesa come lotta perenne in cui i più forti sono destinati a vincere, Hitler credeva in una razza conquistatrice e superiore, quella ariana, progressivamente inquinatasi per la commistione con le razze "inferiori". Il popolo in cui l'arianesimo si era conservato era quello tedesco, che aveva il compito di governare sul mondo. A tale scopo fu approntata una vera e propria ideologia dello sterminio di massa e del genocidio dei "nemici interni": i lager e le camere a gas sarebbero arrivati di lì a poco tempo.
Venne soppressa la libertà di stampa e le SA e le SS si abbandonarono a vere e proprie "spedizioni punitive". Da questo momento la "liquidazione" degli avversari procedette più spedita. Gli ebrei furono cacciati da ogni ufficio pubblico; i funzionari più importanti furono nominati direttamente dai nazisti; i più irriducibili nemici del regime furono assassinati: più di 300 eminenti personalità tedesche antinaziste furono trucidate nella sola giornata del 30 giugno 1934.
L'anziano presidente della repubblica Hindenburg morì un mese più tardi. Pur conservando la carica di cancelliere, Hitler divenne anche presidente.
Un plebiscito sanzionò la nuova situazione. Hitler era diventato l'autentico, assoluto, onnipotente padrone del Terzo Reich, ossia del terzo impero tedesco, dopo quello Sacro romano medioevale e quello prussiano.
Una volta salito al potere, egli attuò una serie di riforme, volte a reprimere lo stato liberale: si fece conferire i pieni poteri per quattro anni, sciolse il partito comunista e i sindacati e cominciò ad epurare l'amministrazione dello Stato. La costituzione di una nuova polizia politica, la Gestapo, gli dette lo strumento per controllare rigidamente tutto il Paese.
Il punto cardine era il "Fuhrerprinzip" (principio del capo); il Fuhrer era nello stesso tempo il capo supremo, la guida del popolo ed espressione delle aspirazioni di tutti, punto di riferimento per tutti. Dal popolo erano esclusi gli elementi "anti-nazionali", i cittadini non ariani e in particolare gli ebrei; l’obiettivo del programma antisemita attuato da Hitler e dai suoi generali, era di portare tutti gli ebrei allo sterminio completo.
Leggi razziali vennero promulgate all'indomani della presa del potere: Hitler, infatti, emanò la legge per la difesa dei “cittadini del Reich" e del sangue, che di fatto degradava gli ebrei a esseri umani di seconda classe, con diritti inferiori e senza cittadinanza. Era il 15 settembre 1935. Fra l'altro, vennero anche proibiti i matrimoni tra ebrei e ariani. Gli ebrei erano allora in Germania una ristretta minoranza: circa 500.000 su una popolazione di 60 milioni di abitanti. Ma diversamente da quanto accadeva nei paesi dell'Europa orientale, erano in prevalenza concentrati nelle grandi città e occupavano le zone medio - alte della scala sociale: erano, per lo più, commercianti, liberi professionisti, intellettuali, artisti, industriali e finanzieri. Nei loro confronti, la propaganda nazista riuscì a risvegliare quei sentimenti di ostilità che erano largamente diffusi nell'Europa centro-orientale.
La notte del 9 novembre 1938 nei quartieri ebraici furono commesse violenze contro negozi, abitazioni e sinagoghe, mentre molti ebrei vennero picchiati o uccisi. Questa passò alla storia come la "notte dei cristalli", per via delle molte vetrine dei negozi frantumate.
Da quel momento, la vita degli ebrei divenne sempre più difficile: negati di qualsiasi diritto, privati dei loro beni, oggetto di violenza e di nuove misure repressive, fu imposto loro anche il divieto di emigrazione. Fino a quando, nella sede dell'Interpol di Berlino, venne elaborata "una soluzione finale della questione ebraica": era dato per scontato che gli ebrei dovessero essere eliminati fisicamente; si trattava solo di adottare le modalità per procedere allo sterminio totale e realizzare l'obiettivo esposto da Hitler il 30 gennaio 1939: “nessun insediamento fuori d'Europa, nessun ghetto in Europa”.
Poiché le fucilazioni di massa erano difficili da mantenere segrete, il sistema scelto per lo sterminio fu il gas tossico (il famigerato Zyclon B). Nel gennaio 1942 treni carichi di ebrei partirono dai paesi occupati dai nazisti verso campi di sterminio costruiti appositamente. Nei lager i nuovi arrivati vennero divisi in prigionieri abili ed inabili al lavoro. Per questi ultimi c'era la morte immediata; per i primi un calvario di stenti inauditi prima dell'eliminazione. Per tutti, dopo la morte, il forno crematorio.
Il numero totale delle vittime dell'OLOCAUSTO fu stimato, dopo la guerra, in poco meno di sei milioni.
Con la ragione del più forte e imponendo al popolo un duro, pesante sforzo, Hitler riuscì a trasformare la Germania. La "Wehrmacht", o esercito, venne ricostituita, riarmata e magnificamente addestrata. La "Luftwaffe", o aviazione, divenne insieme alle divisioni di "Panzer", carri armati, e all'artiglieria l'arma più potente non solo dell'armata tedesca, ma del mondo intero.
Ugualmente risorse l'economia tedesca: industria, agricoltura e commercio furono potenziati. Nel 1939 il Reich produceva da solo l'11% dei prodotti industriali del mondo.
Fu, appunto, in quell'anno 1939 che Adolf Hitler lanciò la sfida al mondo e alla civiltà incitando così i suoi fedelissimi:
"CHIUDETE I VOSTRI CUORI ALLA PIETA'! AGITE CON BRUTALITA'!
…LA RAGIONE E' DEL PIU' FORTE…!"
Il mondo intero andava incontro ad una nuova spaventosa tragedia!
IL REGIME STALINISTA
Una differenza essenziale del regime stalinista rispetto agli altri regimi totalitari del XX° secolo è soprattutto l’obiettivo sociale. Esso si poneva, infatti, l’obiettivo di non mantenere la struttura sociale che si era instaurata nella Russia degli Zar costituita da aristocratici, borghesi, operai e contadini ma, come nei più alti principi della Rivoluzione russa, di pianificare e riformare del tutto il tessuto sociale, rendendolo un ammasso di cemento unico, con cultura, idee politiche e culturali omogenee; proprio questo fu l’obiettivo essenziale di Josef Stalin. La politica interna di Stalin s’incentrò soprattutto sull’economia e sulla pianificazione o statalizzazione della società. Il regime stalinista alla pari degli altri regimi totalitari attuò una strategia di oppressione verso i dissidenti del regime e costruì una grande struttura propagandistica. I sovietici, alla pari dei nazisti, possedevano dei campi di concentramento che prendevano il nome di Gulag i quali rappresentavano in sé uno strumento di terrore per reprimere, nel nascere, ogni attività avversa al regime. Se l’essenza dei Gulag sovietici era la stessa dei Lager nazisti, tuttavia, gli obiettivi erano diversi. La struttura dei Gulag era un mezzo utile al regime per pianificare del tutto la società trasformandola nella “società del proletariato”. Vennero infatti coinvolti tutti gli individui ritenuti non appartenenti al proletariato e quindi estranei alla nuova realtà socialista (in questa lista rientravano artigiani, commercianti, piccoli imprenditori e professionisti) e si puntava alla distruzione della società ritenuta vecchia e degradata per formarne una nuova fondata sul proletariato; inoltre vennero trasferiti nei gulag anche minoranze etniche e religiose. La persecuzione nazista si basava principalmente sulla razza mentre quella russa poneva le sue fondamenta su una persecuzione di tipo sociale. Entrambi, tuttavia, si ponevano l’obiettivo, per mezzo dei campi di concentramento, di arrivare ad una società ritenuta, a loro avviso, più giusta.
La diversità fondamentale fra i tre totalitarismi fu il modo in cui essi riuscirono a conquistare il comando. Il nazismo salì al potere perché l’ideologia politica era abbracciata dalla stragrande maggioranza della popolazione; il dittatore ottenne il potere grazie all’oclocrazia. Per quanto riguarda lo stalinismo il regime aveva trovato opposizione solamente all’interno del partito. Nel Fascismo la situazione era differente: Mussolini aveva raggiunto il potere non per il favore della maggioranza della massa ma per l’appoggio della grande imprenditoria, dell’aristocrazia e delle alte cariche ecclesiastiche.
FILOSOFIA
KIERKEGAARD
BIOGRAFIA
Soren Kierkegaard (1813 – 1855) apparteneva ad una famiglia agiata e profondamente religiosa. Dopo aver scoperto l’infedeltà coniugale del padre, i suoi rapporti con lui iniziarono a complicarsi; un altro momento difficile della sua vita fu segnato dalla rottura del fidanzamento con Regina Olsen. In seguito si trasferì a Berlino ed ascoltò qui le lezioni di Schelling, rimanendone deluso. Tornato in patria, continuò la sua vita in solitudine, oppresso dall’angoscia dell’esistenza e si dedicò alla stesura di saggi filosofico – religiosi combattendo la religione del protestantesimo.
IL PENSIERO DI KIERKEGAARD
Kierkegaard è considerato il padre dell’esistenzialismo moderno, il filosofo che ha saputo indagare l’esistenza umana nella sua drammaticità e problematicità da un punto di vista speculativo e teoretico. Egli intende il filosofare come esercizio attivo, finalizzato, non astratto e fermo; Kierkegaard contrappone allo Spirito assoluto di Hegel (che assorbe ed annulla in se tutti gli individui), gli esseri particolari che passano da una forma di esistenza all’altra, avendo possibilità di scegliere tra varie alternative. Elemento fondamentale del suo percorso filosofico è infatti l’esistenza, vista come qualcosa di non razionalizzabile, non riducibile a concetto; in particolare l’esistenza del “singolo” che ogni uomo può essere. La categoria del singolo ha per lui grande importanza perché conduce al principio dell’interiorità individuale, alla verità soggettiva; ogni individuo è infatti indifferente nei confronti dell’astratta conoscenza oggettiva ed universale mentre ha interesse per la sua conoscenza, per la sua verità che è legata alla propria esistenza.
Per Kierkegaard esistere significa “uscire fuori da”; l’esistenza rappresenta l’emergere dell’essere (visto come essenza), per disperdersi e frantumarsi nello spazio e nel tempo, acquistando così la concretezza individuale.
Nell’ambito dell’esistenza Kierkegaard opera la dialettica della libertà, fondata su alternative radicali (aut – aut) tra le quali l’uomo deve decidere, mettendo in gioco la propria personalità. Proprio a causa del timore di mettere in gioco se stessi, la libertà descritta da Kierkegaard produce un qualcosa di negativo: lo stato di angoscia e disperazione, che è aspetto caratterizzante della condizione umana e dal quale si può uscire solo attraverso la fede, cioè con il riconoscimento che l’uomo si realizzi in rapporto con Dio. Il centro dell’indagine filosofica di Kierkegaard è rappresentato proprio dalla posizione del singolo di fronte a Dio, che è irraggiungibile.
Kierkegaard si interroga spesso sul senso della propria esistenza, caratterizzata soprattutto da sofferenza; egli dice infatti: “io sono nel senso più profondo un’individualità infelice”, “tutto mi riesce inspiegabile, me stesso soprattutto; tutta la vita mi è una peste, me soprattutto”. Egli ritiene inoltre di non avere nessuna possibilità di vivere felice sulla terra e che la sua sofferenza sia dovuta proprio al rapporto con Dio perché tutti quelli che Dio ha amato sulla terra, hanno qui sofferto. A questo proposito dice: “Ho compreso che è dottrina del Cristianesimo dover soffrire se si è amati da Dio e si ama Dio”.
L’angoscia rappresenta lo stato fondamentale dell’esistenza, una condizione permanente dell’uomo. L’individuo infatti, per essere se stesso, singolo, si stacca da Dio e pecca perché avendo compiuto un atto libero, di sua volontà, afferma la sua persona nei confronti dell’Assoluto. La situazione in cui si trova l’uomo è dominata dall’angoscia perché quest’ultimo si trova nella condizione di scegliere: se sceglie l’infinito, si annulla in Dio e rinuncia alla propria autonomia mentre se sceglie se stesso, afferma la propria realtà particolare ma si pone contro Dio. La chiave del pensiero Kierkegaardiano è situata proprio nell’angoscia; solo da questa ha inizio la salvezza perché solo chi ha coscienza del proprio peccato si può sollevare fino a Dio e può sperare così di redimersi. Solo il peccatore che ha voluto essere autonomo preferendo la propria limitatezza di individuo esistente, è consapevole della sua insufficienza rispetto all’infinito, verso il quale però è proteso. A questo punto entra in campo la dialettica della libertà, fondata sulle diverse forme di vita (alternative radicali) che si possono assumere per sfuggire all’angoscia. Queste forme sono tre e rappresentano gli stadi dell’esistenza.
➢ Vita estetica: è l’esistenza vissuta istante per istante, lontana dal pensiero dell’eternità ed è simboleggiata da Don Giovanni, il seduttore che passa attraverso numerosi piaceri senza mai giungere alla felicità duratura. Questa forma di vita viene scelta dall’esteta che si affida all’immaginazione e si abbandona all’attimo fuggente nella ricerca di un piacere sempre nuovo; questo individuo però si illude perché essendo dominato dalle passioni perde la propria personalità, perde se stesso. Il suo comportamento superficiale lo porta solo al vuoto interiore, alla noia e infine alla disperazione perché nessun piacere terreno può appagare il desiderio intenso di raggiungere lo spirito. Questo tipo di esistenza è tipico dell’individuo che sceglie di essere autonomo nei confronti dell’Assoluto.
➢ Vita etica: è l’esistenza vissuta nel rispetto degli ideali morali e può essere rappresentata dalla figura del marito fedele alla famiglia. In questo stadio l’individuo rinuncia ai falsi piaceri, alle illusioni e sceglie di essere se stesso per seguire i valori della vita. Quest’uomo assolve onestamente i suoi doveri: fedeltà coniugale, lavoro, amicizia… Anche questo stadio però è insufficiente, non appaga, perché la vita dell’uomo si trasforma in semplice legalità e quindi ogni individuo, sentendosi vincolato ed impedito nella sua spontaneità, è soggetto al fallimento.
➢ Vita religiosa: è l’esistenza vissuta oltre l’etica, in armonia con la fede. Il simbolo di questo stadio è Abramo che, vissuto sempre nel rispetto della morale, non esita quando Dio gli chiede di sacrificare il figlio Isacco, anche se obbedire a Dio significava infrangere la legge. Quando obbedisce a Dio, Abramo provoca uno scandalo perché rinnega i principi della morale comune; infatti la fede, essenza della vita religiosa, è antirazionale, è scandalo, va contro la ragione, ma rifiutare gli argomenti dell’intelletto significa porsi in contatto diretto con Dio. La filosofia invece, che è ragione, non può comprendere la religione, che è fede e mistero. Il passaggio allo stadio della vita religiosa avviene attraverso un salto brusco e produce un angoscioso dramma interiore, che coinvolge la morale e la fede.
STADI DELL’ESISTENZA

INGLESE
ELIOT
ELIOT IN HIS WORKS:
Reading Eliot’s poetry, a deep feeling of pain comes out. He was shocked by the atrocity of the First World War and the Bolshevik Revolution. They had provoked a sense of loss and instability, but above all they had destroyed any guiding principle.
But his pain is also the result of his investigation about the existential and spiritual position of man in modern society. The post war generation became barren, arid, without any aspirations and spirituality. His disillusionment is resembled in his biting and powerful verse structure and in his effective metaphysical imagery. He turned away from the Tennysonian elegiac mode with its enjoyment of self pity to the more complex and intellectual poems of John Donne. In particular he adopted the use of metaphysical conceit, a kind of paradoxical simile which compares the potentially romantic or ethereal to something quite practical and even scientific. This type of linguistic device exemplified Eliot’s deliberate rejection of romantic poetry. Eliot’s poetry, quite unlike romantic poetry, was written with the intention of being intellectually and emotionally pessimistic.
He abandoned himself to the anguish of modern man, although, in the end, the pessimism expressed in his earlier works was substituted by a more hopeful vision of life.
As a critic Eliot thinks that a poet should write impersonally, without personal emotions; writing in this way, at the end of a poem the author’s personal emotions disappear, filtered through the consciousness of the characters and through their state of mind. In Eliot’s opinion, poetry should express universal feelings and an emotional response of the reader should not derive from the description of the emotion, but from an object or a situation. Eliot’s method is so called “objective – correlative” and it can be compared to Joyce’s “epiphanies” for the same process of knowledge that derives from an emotional response to an object or a situation.
He was also fascinated by Joyce’s use of the myth of Ulysses in his novel: The myth gave the novel a sense of narrative and allowed the author to put in evidence characters’ mental and emotional states.
Another important feature in Eliot’s poetry is the storic sense that the poet must have about himself and his time: he thinks that a very original poetry must continually be compared with the authors of the past.
If we talk about the themes of his works, we can define Eliot one of the greatest poets of the century; was also given a name to this age, that was called Age of Anxiety.
“THE WASTE LAND”
“The Waste Land” (1922) is Eliot’s longest and most popular work. The main theme of the poem is the lack of spirituality in the modern world, ruled by confusion, incommunicability and anguish. There is the abundance of references to private episodes of his life and there are also various sources and different languages which make the poem difficult to understand. The appearance of “The Waste Land”, a poetic exploration of soul's - or civilization's - struggle for regeneration, made Eliot world famous. Following Pound's suggestion, he reduced “The Waste Land” to about half its original length. The first version, with Pound's revisions, was published in 1971.
The long poem caught the mood of confusion after the First World War, when everything in the society seemed to be changing and when many people felt that pre-war values were lost. “The Waste Land” is a series of fragmentary dramatic monologues, a dense chorus of voices and culture historical quotations, that fade one into another; the poem is divided into five parts and each of them has a different symbolic meaning. Eliot drew the material for this work from several sources, among them the Grail story, the legend of the Fisher King, Sir James George Frazer and particularly Dante's “Divina Commedia”.
The title of the poem refers to the myth connected to the fertility rites described by the anthropologist Sir James Frazer in “The Golden Bough: winter symbolizes the death of nature, while spring stands for its rebirth. In Eliot’s opinion men prefer living in the spiritual darkness symbolized by winter.
The poem is essentially about the spiritual aridity of society, that in this period generated only confusion and emptiness; the central figure is that of Tiresias, the aged, blind prophet, who unites within himself all the other characters of the poem.
In a way the work fulfilled Eliot's "impersonal theory of poetry": "The poet's mind is in fact a receptacle for seizing and storing up numberless feelings, phrases, images, which remain there until all the particles which can unite to form a new compound are present together."
WHAT THE THUNDER SAID (“The Waste Land”, lines 331 – 359)
Here is no water but only rock
Rock and no water and the sandy road
The road winding above among the mountains
Which are mountains of rock without water
If there were water we should stop and drink
Amongst the rock one cannot stop or think
Sweat is dry and feet are in the sand
If there were only water amongst the rock
Dead mountain mouth of carious teeth that cannot spit
Here one can neither stand nor lie nor sit
There is not even silence in the mountains
But dry sterile thunder without rain
There is not even solitude in the mountains
But red sullen faces sneer and snarl
From doors of mudcracked houses
If there were water
And no rock
If there were rock
And also water
And water
A spring
A pool among the rock
If there were the sound of water only
Not the cicada
And dry grass singing
But sound of water over a rock
Where the hermit – thrust sings in the pine trees
Drip drop drip drop drop drop drop
But there is no water
This extract is from “What the Thunder Said”, one of the five section of “The Waste Land”; in the passage is described the aridity and bareness of an alienated world which seems to be inhuman, where people live in their lonely dwellings, surrounded by a sterile landscape of rock and sand. The absence of water has an important meaning: it indicates the lack of hope in the life. The lack of spirituality in the modern world make up a state of confusion and the person who speaks in the text is searching a way to escape from the aridity of modern society. From the text we can understand Eliot’s style and his way of writing: there are repetitions, frequent use of conversational and everyday language and the lack of standard punctuation; there is also use of the rhyme (drink – think; spit – sit…). In the extract, from the realistic “unpoetic” description of the dry land, the author moves to the melodious recreation of the sounds, as the water flow; this is in contrast with Romanticism, which instead foresees an organic work.
SCIENZE
Lo spettacolo che si presenta agli occhi di chi vive in prima persona o in qualità di personale di soccorso, la terribile esperienza di un sisma o di un’eruzione vulcanica, è estremamente desolante e trasmette una sensazione di totale impotenza di fronte all’imprevedibile ed inarrestabile forza della natura.
TERREMOTI

Un terremoto, o sisma, è un'improvvisa vibrazione del terreno prodotta da una brusca liberazione di energia che si propaga in tutte le direzioni (come una sfera) sotto forma di onde.
Ma cos'è quest’energia? E’ come immaginare di avere tra le mani un bastone di legno; se si inizia a piegare, esso offre una resistenza al piegamento che si esprime sotto forma di energia elastica; le rocce si comportano allo stesso modo: se una porzione di roccia inizia a deformarsi, essa offrirà una certa resistenza (che cambia a seconda del tipo di roccia), ma quando le forze che tengono insieme la roccia vengono superate da quelle che la deformano, questa si spezza. Si ha così un brusco spostamento delle due parti, che rilasciano l'energia accumulata durante la deformazione e ritornano ad una condizione di stabilità. Di solito queste rotture, e i conseguenti spostamenti, avvengono lungo linee preferenziali chiamate faglie. Una faglia è sostanzialmente una frattura, profonda anche vari chilometri, lungo la quale avvengono i movimenti del terreno. Essa non è altro che una linea di minore resistenza della roccia sottoposta a pressioni, per cui la rottura avviene sempre lungo tale linea.
Interessante è il caso della famosa faglia di S.Andreas, che corre lungo la costa Ovest degli Stati Uniti. Questo è un tipo di faglia trascorrente che lentamente sta avvicinando la città di Los Angeles a quella di S.Francisco di circa due centimetri all'anno (il numero può sembrare molto piccolo, ma se pensiamo in tempi geologici, ossia in milioni di anni, questo movimento risulta velocissimo).
Il terremoto si origina in un punto all'interno della terra che prende il nome di IPOCENTRO. La proiezione dell'ipocentro sulla superficie della terra prende invece il nome di EPICENTRO. Quest’ultimo può essere localizzato analizzando i sismogrammi che vengono registrati dalle stazioni sismiche. Per poterlo localizzare esattamente occorrono i dati registrati in più stazioni. I dati di una singola stazione potranno definire solo una zona circolare lungo il cui perimetro si è generato il sisma, ma occorrono almeno le registrazioni di tre stazioni per poter determinare le coordinate esatte dell'epicentro.
In ogni stazione verrà definito un perimetro circolare e l'intersezione dei
tre cerchi darà infine un punto, coincidente con l'epicentro del terremoto.
Abbiamo inizialmente affermato che i terremoti si originano perché ad un certo punto la roccia si rompe lungo una faglia, in profondità, e rilascia
In funzione del tipo di spostamento, che avviene lungo la discontinuità, le faglie possono suddividersi in:
Faglie
normali
Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della superficie di separazione con uno spostamento verso il basso del tetto rispetto al letto.
Faglie
inverse
Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della superficie di separazione con uno spostamento verso l'alto del tetto rispetto al letto.
Faglie
trascorrenti
Se il movimento avviene lungo la direzione del piano di faglia; in particolare si distingueranno faglie trascorrenti destre e sinistre secondo che ad un osservatore che staziona su un blocco, l'altro apparirà essere stato spostato rispettivamente verso la sua destra o sinistra.
tutta l'energia che aveva accumulato per resistere al movimento. Quest’energia si disperde nel terreno dall'ipocentro in tutte le direzioni sotto forma di onde (in parte anche sotto forma di calore) che possono essere: onde di volume, che coinvolgono tutta la terra, e onde di superficie (R e L), che si propagano solo lungo la superficie terrestre. Le onde di volume si possono ulteriormente dividere in due tipi differenti di onde. Le onde P, cioè primarie (chiamate anche longitudinali), arrivano per prime e viaggiano all'interno della terra con velocità maggiore (dell'ordine di 6 Km/s). Oltre ad essere le più veloci queste alternativamente comprimono e rilasciano il terreno nella loro direzione di propagazione proprio come le onde sonore; quando arrivano in superficie esse subiscono una rifrazione nell'aria e possono essere trasmesse all'atmosfera proprio sotto forma di onde sonore. Poi abbiamo le onde S, cioè secondarie, chiamate anche trasversali, che sono più lente (infatti, arrivano per seconde) e fanno muovere il terreno alternativamente in basso e in alto trasversalmente alla direzione di propagazione; per loro natura queste onde non possono viaggiare nei liquidi.

Le onde S sono anche chiamate lunghe perché possono viaggiare per lunghissime distanze; sono queste le onde che causano i danni alle case e alle fondazioni.
Le distanze dell'epicentro dalla stazione sismica vengono determinate in base alla misura dei tempi di arrivo delle onde P ed S nelle differenti stazioni.
Quando si hanno a disposizione le registrazioni (di almeno tre stazioni) di un evento sismico che si è verificato nell'istante t0 (tempo d'origine), è possibile determinare le coordinate epicentrali del terremoto se sono note le velocità di propagazione (Vp e Vs) delle onde sismiche e se si suppone isotropo il mezzo attraverso il quale esse si propagano. Supponiamo di avere i sismogrammi relativi alle stazioni A, B, C.
Congiungiamo l'origine degli assi, coincidente nel nostro caso con l'epicentro, con i tempi di arrivo della stessa onda nelle tre stazioni con una linea (rossa) detta dromocrona (ne costruiremo una per ogni tipo di onda). Supponendo di conoscere la velocità delle onde P (Vp=1,73 Vs) e delle onde S (Vs), e ricavando dal diagramma la differenza dei tempi di arrivo delle onde P ed S, possiamo ricavare la distanza epicentrale con la formula:
D= (Vp / 0,73) (ts - tp)
dove: ts= tempo di arrivo delle onde tp= tempo di arrivo delle onde P
Per determinare la profondità dell'ipocentro si usa lo stesso metodo, basato sulla differenza dei tempi di arrivo delle varie onde. In questo caso però si utilizzano solo i dati relativi alla stazione più vicina all'epicentro che, per convenzione, viene considerata come se fosse sulla verticale dell'ipocentro. La distanza ottenuta, applicando la formula precedente, sarà in questo caso la distanza verticale, ovvero la profondità dell'ipocentro dalla superficie.
Ma come si possono misurare ed analizzare le onde sismiche che giungono in superficie?
La risposta a questo problema si trova nell’uso del sismografo.
Il sismografo è lo strumento che trasforma il movimento complesso del suolo in una registrazione permanente. Questo strumento si basa sull’inerzia di una massa sospesa, che rimane immobile anche quando il supporto inizia a muoversi a causa di una vibrazione; esso è composto poi da un pennino scrivente, collegato con la massa, che lascia una traccia su una striscia di carta che ruota per mezzo di un rullo collegato con il suolo. Con un sismografo si registrano così le vibrazioni del suolo rispetto alla massa. Per una misura più precisa, in una stazione sismica sono in funzione tre sismografi contemporaneamente: uno misura la componente del movimento secondo la verticale, gli altri registrano due componenti sul piano orizzontale. La registrazione di un evento sismico si chiama invece sismogramma. Dalla lettura di un sismogramma si possono ricavare preziose informazioni riguardanti il terremoto, come ad esempio: potenza e durata, posizione dell’epicentro, profondità dell’ipocentro o direzione e ampiezza del movimento lungo la faglia che lo ha generato. Per avere dati più chiari però bisogna analizzare le registrazioni ad una certa distanza dall’epicentro, in modo da evitare la sovrapposizione dei vari tipi di onda; un sismogramma può inoltre essere suddiviso in più parti: alla prima corrisponde l’arrivo delle onde P; al centro l’arrivo delle onde P è sovrapposto a quello delle onde S; nell’ultima parte si noteranno invece le onde superficiali, più lente ma più ampie.

Analizzando nel tempo le registrazioni di strumenti così precisi si è scoperto anche il mezzo per valutare la forza di un terremoto. Confrontando due terremoti distinti, ma con lo stesso epicentro, attraverso l’analisi dei sismogrammi di entrambi gli eventi si è giunti alla conclusione che a parità di distanza dalla sorgente, un terremoto più forte di un altro fa registrare sul sismogramma oscillazioni più ampie. Nel 1935 il sismologo Charles F. Richter, indicando con A l’ampiezza massima delle onde registrate e confrontandola con l’ampiezza massima A0 di un terremoto standard, propose di misurare la magnitudo di un terremoto: M = log10 A/A0
(egli ricorse ai logaritmi per evitare numeri di magnitudo molto grandi)
Dalla formula della magnitudo ricavò poi che:

A = A0 → M = 0 A > A0 → M (+) A < A0 → M (-)
La scala della magnitudo è logaritmica, quindi un aumento di un’unità di magnitudo corrisponde all’aumento di un fattore 10 nell’ampiezza del movimento del terreno e ad una liberazione di energia circa 30 volte maggiore
Prima che fosse stata introdotta la magnitudo, la forza del terremoto era invece indicata con l’intensità, stabilita in base a dati macrosismici, ossia agli effetti prodotti su persone, manufatti e terreno. Per poter confrontare gli effetti prodotti dallo stesso terremoto in località diverse, o prodotti da differenti terremoti, sono state introdotte scale di intensità e la più utilizzata attualmente è la Mercalli, divisa in 12 gradi.
Confrontando magnitudo e intensità si possono evidenziare infine alcune differenze: la magnitudo è una misura strumentale della forza del terremoto nel punto dove esso si è generato; ogni terremoto ne ha una propria che dipende solo dall’ampiezza massima delle oscillazioni registrate sul sismogramma; l’intensità si riferisce invece agli effetti provocati da un terremoto in una zona e, per uno stesso terremoto può assumere, in varie zone, diversi valori.
VULCANI

Un vulcano è una manifestazione in superficie di un'attività che si svolge internamente al nostro pianeta, sotto la crosta terrestre. E’ dunque una "finestra di osservazione" per lo studio di fenomeni che avvengono a molti chilometri di profondità. Può essere definito come una fenditura nella crosta terrestre, in corrispondenza della quale il magma fuoriesce nel corso di un’eruzione. Comunemente i materiali eruttati tendono ad accumularsi attorno al centro di emissione, dando luogo ad edifici vulcanici di forma e dimensioni variabili secondo la dinamica eruttiva, il tipo, la quantità di materiali emessi e la durata nel tempo dell'attività vulcanica connessa con quel determinato centro eruttivo.
L'attività dei vulcani, nel corso di miliardi di anni, ha determinato il modellamento del nostro pianeta; esistono oggi più di 500 vulcani attivi. Zone di grande attività vulcanica sono ad esempio i 65000 km delle dorsali medio – oceaniche; è da queste che si forma continuamente la crosta terrestre.
La parte interna di un vulcano (apparato vulcanico interno) si presenta come una "strada" di larghezza irregolare (condotto o camino vulcanico) che mette in comunicazione la camera magmatica, situata tra i 2 e i 10 km di profondità, con il cratere, permettendo al magma di risalire. Quando il magma fuoriesce avviene un’eruzione e si riversa all'esterno del cratere materiale a elevata temperatura.
Una prima classificazione di massima prevede la suddivisione dei vulcani in due tipi: monogenici e poligenici. I vulcani monogenici sono il prodotto di una singola eruzione o di una fase eruttiva mentre i vulcani poligenici sono generati da più eruzioni, generalmente separate da periodi relativamente lunghi, che possono implicare il coinvolgimento di magmi a differente composizione. In base alla forma dell’edificio è possibile poi distinguere vulcani a scudo, a cono e vulcani cosiddetti negativi, che consistono di una depressione più o meno profonda nella crosta terrestre. Esistono inoltre vulcani policentrici, vale a dire costituiti da più bocche attive contemporaneamente, in genere lungo fratture, che determinano la formazione di grandi estese di lave basaltiche. I vulcani possono avere dimensioni e forme molto diverse, strettamente collegate al tipo di attività eruttiva.
• I Vulcani a scudo si formano da eruzioni effusive, con colate di lava molto fluida; hanno in pianta una forma allargata e fianchi poco inclinati (in genere fra 2° e 10°, raramente più di 15°). Il nome deriva dal fatto che essi sono grossolanamente rotondi, presentano spesso un piccolo cono al centro e coni laterali che li fanno somigliare a scudi borchiati di antichi guerrieri. Le dimensioni di un vulcano a scudo possono variare notevolmente e la struttura tende a ingrandirsi ed a cambiare forma per l'accumulo di lave emesse alla sommità o lungo i fianchi. Si possono distinguere tre tipi di vulcani a scudo: il tipo islandese, quello hawaiiano e quello delle Galàpagos.
• I Vulcani a cono o stratovulcani si formano quando fasi di effusioni laviche si alternano a periodi di emissioni esplosive di frammenti sminuzzati di lava (scorie, lapilli, ceneri), che si depositano attorno al cratere con vari meccanismi, accumulandosi come piroclastiti.
• I vulcani negativi, infine, non hanno un edificio la cui presenza determini un rilievo topografico e tra i più importanti ci sono i crateri, le caldere e i diatremi.
Un'eruzione vulcanica consiste in un'emissione di magma sulla superficie terrestre. Il magma è formato da un liquido, con temperature intorno a 1.000-1.200°C, che si forma per fusione di materiale contenuto nel mantello terrestre. Insieme al liquido si trovano anche cristalli solidi e gas. L’elemento chimico più abbondante in molti liquidi magmatici è la silice. Le molecole di silice (SiO2) tendono a legarsi fra loro, formando lunghe strutture dette catene polimeriche. Per questa caratteristica, un magma con molta silice tende ad essere più viscoso, cioè meno fluido, di uno che ne contiene poca. Un magma fluido può liberare il gas prima di arrivare in superficie più facilmente di uno viscoso. Quando l'emissione di magma in superficie è quasi continua per lunghi periodi, l'attività di un vulcano è detta persistente. Numerosi vulcani hanno invece eruzioni sporadiche, separate l’una dall'altra da lunghe fasi di quiescenza o di ridotta attività. Le grandi eruzioni sono quelle meno frequenti e, su uno stesso vulcano, hanno tempi di ritorno molto lunghi, cioè si ripetono anche a distanza di centinaia di anni.
Le zone in cui si accumula il magma sono chiamate camere magmatiche e le parti solide che le circondano sono dette rocce incassanti. All'interno di una camera il magma può stazionare per periodi molto lunghi e può anche raffreddarsi e solidificare senza giungere in superficie, formando rocce magmatiche sepolte chiamate intrusive. Per dar luogo a un'eruzione il magma deve risalire dalla camera magmatica e raggiungere la superficie. Un possibile meccanismo che mette il magma in movimento è la variazione di pressione, determinata da un aumento della pressione all'interno della camera magmatica o da una diminuzione di quella esterna, a causa del peso delle rocce incassanti. I due meccanismi possono anche combinarsi tra loro ma in ogni caso, perché il magma raggiunga la superficie terrestre, si deve rompere la situazione di equilibrio creatasi tra il liquido fermo nella camera magmatica e le rocce incassanti e in queste ultime devono formarsi fratture lungo le quali il magma possa infiltrarsi.
Per quanto riguarda la forma del vulcano, essa dipende da:
• tipo di frattura attraverso cui il materiale eruttato viene emesso all’esterno;
• tipo di materiali presenti nella lava e sua maggiore e minore fluidità;
• tipo di materiali eruttati (lava o emissioni esplosive di frammenti di rocce).
Il tipo di lava emessa da un vulcano e la sua viscosità dipendono dalla profondità alla quale si trova il serbatoio che alimenta il vulcano stesso. Il tipo di eruzione vulcanica dipende dal tipo di lava emessa dal vulcano. Secondo la composizione chimica del magma e le condizioni che questo incontra durante la risalita dalla camera magmatica, un'eruzione può avere caratteristiche molto diverse. La suddivisione fondamentale è tra eruzioni effusive ed esplosive. In quelle effusive il magma emesso in superficie prende il nome di lava e forma colate che scendono lungo i fianchi del vulcano. Nelle esplosive, il magma viene frammentato in particelle di varie dimensioni che vengono scagliate all'esterno con violenza e si raffreddano formando pomici, scorie e ceneri, chiamate piroclastiti. Alcuni vulcani hanno attività prevalentemente esplosiva, altri prevalentemente effusiva. Una stessa eruzione può avere fasi esplosive e fasi effusive. Molte eruzioni prendono il nome dei vulcani sui quali sono tipiche e sono dette: hawaiiane, stromboliane, vulcaniane e pelèeane.
Le eruzioni hawaiiane sono caratterizzate dalla fuoriuscita di magma allo stato fluido che può formare dei laghi di lava in corrispondenza dei crateri. L’attività è pressoché continua e non si hanno eruzioni di ceneri o lapilli. Le colate di lava inoltre possono scorrere per oltre 50 Km prima di solidificarsi e gli edifici che si formano sono appiattiti.
Le eruzioni stromboliane alternano periodi di tranquillità a momenti esplosivi; le lave sono generalmente fluide ma nei momenti esplosivi si ha una liberazione improvvisa di gas con emissione di lapilli e bombe che ricadono attorno all’edificio vulcanico.
Nelle eruzioni vulcaniane la lava viscosa alla fine di un’eruzione occlude il camino, per cui ogni nuova eruzione ha inizio con un’esplosione; quest’ultima crea una nube ardente ricchissima di ceneri che ricadono costituendo il materiale per la formazione di un nuovo rilievo.
Le eruzioni pelèeane infine sono caratterizzate da lava molto viscosa che può solidificare nel camino durante l’eruzione; la pressione del gas imprigionato all’interno può causare fenomeni esplosivi. L’eruzione è discontinua e la lava solidifica immediatamente a formare delle guglie.
Se il magma si avvicina a zone con acqua sotterranea (falde acquifere) o superficiale (mare o lago) e l'acqua riscaldata forma getti di vapore, le eruzioni si chiamano freatiche.
Se insieme al vapore vengono eruttati pezzi di magma, le eruzioni sono dette freato -magmatiche.
Il magma che arriva in superficie prende il nome di lava quando è emesso nel corso di eruzioni effusive e forma delle colate che scorrono lungo i fianchi del vulcano. Una delle caratteristiche fisiche più importanti di una lava è la viscosità. La viscosità è definita come la resistenza di un fluido allo scorrimento, e dipende in modo particolare dalla composizione chimica e dalla temperatura del fluido. Una lava molta calda è poco viscosa e scorre velocemente, mentre una con temperatura più bassa è viscosa, scorre lentamente e tende ad accumularsi in colate molto spesse. Una lava molto viscosa può addirittura uscire a fatica dal cratere e formare ammassi quasi privi di movimento. A parità di temperatura, le lave derivanti da magmi basici sono in genere più fluide di quelle derivanti da magmi acidi. Con la distanza dal centro eruttivo diminuisce la temperatura e in ogni tipo di lava aumenta la viscosità. La velocità di scorrimento delle lave è generalmente di qualche chilometro all'ora e diminuisce ulteriormente nelle zone più lontane dalla bocca eruttiva. Proprio per la loro scarsa velocità, le colate di lava raramente rappresentano un pericolo per le vite umane.
FISICA
PERICOLI E DANNI DELLA CORRENTE ELETTRICA E DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE
La ricerca scientifica ha come scopo l’ampliamento del sapere umano e la sua utilità è l’unico riferimento obiettivo per verificarne la riuscita. Se ci soffermiamo poi sul concetto di “libertà” della scienza, due guerre mondiali ci hanno mostrato i livelli ai quali essa è in grado di giungere sotto la spinta della necessità. A questo proposito mi sembra interessante riportare le parole che Bertolt Brecht fa dire a Galileo in un suo dramma: “Non credo che la scienza possa porsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l’uomo. E quando con l’andare del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità si scaverà un abisso così grande, che ad ogni vostro “eureka” risponderà un grido di dolore universale”.
CORRENTE ELETTRICA:
La corrente elettrica, in generale, è qualsiasi movimento ordinato di cariche elettriche. Nei conduttori metallici la corrente è costituita dal movimento di elettroni,cioè di cariche negative,mentre nelle soluzioni elettrolitiche e nei gas è originata dal movimento di ioni sia positivi sia negativi. La corrente elettrica può essere continua, se il verso della corrente (polarità) non muta nel tempo (accumulatori), alternata, se la direzione muta periodicamente a intervalli di tempo regolari e costanti (rete domestica, industriale, stradale) e impulsiva (scariche elettrostatiche o da condensatore). A parità di tensione le correnti alternate possiedono un'attività lesiva superiore a quella continua. Ogni fenomeno elettrico è caratterizzato dalla forza motrice che lo produce (volt), dall'intensità (ampére), dalla sua frequenza (hertz) e dalla resistenza opposta dal conduttore che esercita una sorta di attrito al movimento degli elettroni (ohm). L'intensità della corrente elettrica è la caratteristica che ne determina in misura maggiore la lesività. Oltre ai normali impianti elettrici fissi per l'erogazione di illuminazione ed energia è molto diffuso, sia nei servizi ambulatoriali che nei reparti di degenza, l'uso quotidiano a scopo diagnostico e terapeutico di apparecchiature e strumentazioni elettrificate. Il mancato rispetto delle norme di sicurezza riguardanti gli impianti elettrici oppure l'uso scorretto delle apparecchiature a questi collegate possono essere fonte di pericolo da elettricità per operatori e pazienti. Gli effetti della corrente elettrica sull'organismo umano dipendono da una serie di fattori fra loro correlati: intensità della corrente, resistenza elettrica del corpo umano, tensione della corrente, frequenza, durata del contatto, tragitto percorso dalla corrente. Le conseguenze del contatto con elementi in tensione possono essere più o meno gravi secondo l’intensità della corrente che passa attraverso il corpo umano e la durata della "scossa elettrica". Il corpo umano è infatti un conduttore che offre resistenza al passaggio della corrente: minore è la sua resistenza, maggiore è l’intensità della corrente che circola nell’organismo. La resistenza del corpo umano dipende da numerosi fattori: natura del contatto, stato della pelle, indumenti che possono interporsi, condizioni dell’ambiente, resistenza interna dell’organismo (che è variabile da persona a persona); ad esempio, quando nel sangue sono presenti anche piccole quantità di alcool, la resistenza del corpo umano è notevolmente ridotta. Il valore della resistenza, varia in pratica tra 30.000 Ohm, nelle zone superficiali di contatto, e può raggiungere valori altissimi in caso di polpastrelli secchi, mentre può scendere a qualche decina di Ohm nel caso di mani o piedi bagnati. La corrente, passando attraverso il corpo umano, può provocare gravi alterazioni, causando danni temporanei o permanenti.
La corrente elettrica agisce direttamente sui vasi sanguigni e sulle cellule nervose provocando, ad esempio, uno stato di shock; agisce sul sistema cardiaco provocando lesioni al miocardio, aritmie, alterazioni permanenti di conduzione; provoca danni all’attività cerebrale, al sistema nervoso centrale, e può danneggiare l’apparato visivo e uditivo.
Gli effetti più frequenti sono: ustioni, arresto della respirazione, tetanizzazione, fibrillazione.
I rischi elettrici in ambito sanitario consistono in: rischi da macroshock conseguenti al passaggio attraverso la cute di correnti elettriche provenienti da apparecchiature elettrificate; rischi da microshock quando correnti elettriche di minime intensità vengono condotte all'interno del corpo umano da sonde, cateteri o elettrodi dotati di proprietà conduttrici. L'attraversamento della corrente nell'organismo produce effetti variabili per gravità e conseguenze direttamente proporzionali all'intensità della corrente. Le scariche elettriche più lievi (da 0,9 a 1,2 mA) determinano solo una sensazione di formicolio nel punto di contatto (soglia di percezione della corrente). Le scariche di media intensità (da 5 a 25 mA) provocano contrazioni muscolari e crampi dolorosi localizzati. Le scariche più intense (da 25 a 80 mA) provocano tetania muscolare generalizzata che, se prolungata dal contatto col conduttore, può provocare la morte per asfissia. Le scariche decisamente pericolose sono quelle che hanno intensità compresa tra 80 mA e 3 A e che attraversano il cuore; esse infatti determinano fibrillazione ventricolare o altri gravi disturbi del ritmo cardiaco. Le scariche ancora più intense (da 3 a 8 A) deprimono le funzioni nervose e paralizzano i centri bulbari con arresto cardiorespiratorio.
Va infine ricordato che l'elettricità può causare, per effetto elettrotermico (produzione di calore al passaggio della corrente), delle ustioni che, anche se limitate per estensione, possono avere prognosi riservata per le complicanze tardive durante il loro decorso.
ONDE ELETTROMAGNETICHE
Gli anni recenti hanno visto una proliferazione senza precedenti, sia per il numero che per la tipologia, di sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (CEM), usate per applicazioni che investono normalmente attività individuali, industriali, commerciali, mediche, domestiche, di ricerca. Dette sorgenti, per ricordare le più diffuse, sono ad esempio attrezzature ed utensili elettrici, computer, televisione, telefoni cellulari, radio, radar, sorgenti UV per la ricerca, la cosmesi, la medicina ed altri settori, sorgenti IR (Infrarosso) e Laser. Tutte queste tecnologie hanno contribuito ad un notevole miglioramento della qualità della vita per l'uomo, consentendo la realizzazione di molti servizi, in altri tempi impensabili, ed ai quali sicuramente oggi non si potrebbe rinunciare: la società moderna sarebbe infatti inconcepibile senza i computer, la televisione e la radio, o i telefoni mobili, che hanno aumentato notevolmente gli scambi di comunicazione fra gli individui, per non parlare poi della sicurezza sempre maggiore nella navigazione aerea e marittima, grazie ai radar, e delle tecnologie che impiegano i laser nel settore medico. Nello stesso tempo l'impiego di dette tecnologie continua a generare nella popolazione una crescente preoccupazione per i possibili rischi che potrebbero derivare alla salute a seguito della quantità di radiazione elettromagnetica cui si è esposti. È nato così il problema dell'"elettrosmog" o "inquinamento elettromagnetico", intendendo con questo termine la presenza di emissioni elettromagnetiche nell'ambiente, associata alle tecnologie che utilizzano campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Preoccupazione del resto non nuova, in quanto già dal 1969 fu fatto esplicito riferimento per la prima volta in un simposio, tenutosi a Richmond, in America, ai pericoli che eventualmente sarebbero potuti derivare dalle onde elettromagnetiche artificiali e, quindi, alla necessità di studi scientifici specifici per la valutazione dei danni biologici connessi ad un’esposizione duratura. Le conoscenze attualmente acquisite sulle possibili conseguenze dannose per la salute in seguito ad esposizione a campi elettromagnetici risultano sufficientemente consolidate in ambito internazionale per quanto riguarda gli effetti acuti, mentre sono disomogenee per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, tra cui quelli cancerogeni, ipotizzati da alcuni autori, e riferiti in modo particolare alle basse frequenze, anche se per alcuni tipi di campi elettrici e magnetici, ai livelli ed alle tipologie di esposizione presenti nella vita comune, il rischio può essere trascurabile o a volte addirittura inesistente. Purtroppo però è proprio questa incertezza sull'effettivo rischio connesso all'esposizione di questo tipo di agente inquinante a creare una naturale e giustificata preoccupazione nella popolazione, anche se la reale gravità del rischio sanitario in molte situazioni espositive si può ritenere molto bassa. Il fatto poi che l'organismo umano non percepisca a livello sensoriale i campi elettromagnetici, e non sia quindi possibile il formarsi di una diretta esperienza circa le conseguenze dell'esposizione, può finire per collocare la problematica in un'area irrazionale.
Che cos'è in pratica un'onda elettromagnetica? In maniera molto semplice e generale si può rispondere che un'onda elettromagnetica, cui è sempre associato un campo elettromagnetico, rappresenta una particolare modalità di propagazione nello spazio e nel tempo dell'energia elettromagnetica, propagazione dipendente peraltro dalle caratteristiche del mezzo attraversato. Questa forma d’energia è emessa da ogni corpo a temperatura superiore allo zero assoluto, anche da quello umano e dalla stessa Terra, ed inoltre è molto familiare a tutti, anche se in alcuni casi è invisibile: basti pensare che la vita sulla Terra avviene grazie all'energia elettromagnetica trasportata dalla radiazione luminosa proveniente dal sole. Più esattamente, un'onda elettromagnetica è la propagazione di una perturbazione elettromagnetica che, inizialmente generata da una brusca variazione di un campo elettrico o magnetico, si propaga per il fatto che il campo elettrico e il campo magnetico continuano a generarsi a vicenda per induzione. È importante ricordare che un campo elettrico esiste sempre in presenza di una carica elettrica (positiva e/o negativa) o di una tensione, anche se non c'è flusso di corrente: ad esempio, nell'ambiente circostante al filo di una lampada spenta ma collegata alla rete di alimentazione c'è sempre presenza di un campo elettrico. Alla stessa distanza dal filo, maggiore è la tensione d’alimentazione più è intenso il campo elettrico. All'aumentare della distanza dalla carica o dal conduttore carico l'intensità del campo elettrico diminuisce molto rapidamente; analogamente schermature intorno ai conduttori o qualunque ostacolo, non conduttore, interposto fra la sorgente del campo ed il punto in cui si vuole valutare la sua intensità ne diminuiscono il valore (ad esempio le mura di una casa, la presenza di alberi, etc.). Il campo magnetico, invece, è generato soltanto dal moto di cariche elettriche, ed è presente nell'ambiente solo quando c'è un flusso di corrente elettrica. Tornando all'esempio precedente, il campo magnetico intorno alla lampada sarà presente soltanto quando questa è accesa: in questo caso nell'ambiente intorno alla lampada ci sono sia il campo elettrico che il campo magnetico. C'è da specificare che maggiore è la corrente più è intenso il campo magnetico. Come per il campo elettrico, anche l'intensità del campo magnetico diminuisce molto rapidamente all'aumentare della distanza dalla sorgente, ma a differenza del campo elettrico, il campo magnetico non è schermato dai comuni materiali. I valori dei campi elettrico e magnetico sono collegati fra loro da relazioni matematiche, e sono proprio i valori di questi campi a caratterizzare l'onda: infatti, si definisce intensità o ampiezza di un'onda elettromagnetica (grandezza da non confondere con la sua energia), il valore che assumono istante per istante il campo elettrico (misurato in Volt/metro) ed il campo magnetico (misurato in T). Un'altra quantità che caratterizza l'onda elettromagnetica è la densità di potenza (misurata in Watt/m2), vale a dire la potenza trasportata dall'onda per unità di superficie, definibile ad una certa distanza dalla sorgente. Un'onda elettromagnetica è comunque una forma di segnale periodico, cioè ripete i suoi valori di ampiezza nel tempo e nello spazio, ed è quindi caratterizzata anche da altre grandezze fisiche, quali il periodo, misurato in secondi, la frequenza espressa in cicli al secondo e misurata in Hz, la lunghezza d'onda misurata in metri e nei suoi multipli e sottomultipli, e l'energia, misurata in elettronvolt (eV). Nella comune accezione del termine “elettrosmog” non rientrano però tutte le radiazioni elettromagnetiche, ma soltanto quelle non ionizzanti, che hanno frequenza compresa tra 0 Hz e 300 GHz.
INTERAZIONE DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI NON IONIZZANTI CON I SISTEMI BIOLOGICI
I meccanismi che descrivono l'interazione dei campi elettromagnetici con la materia biologica costituiscono, insieme ai risultati della ricerca epidemiologica, le basi scientifiche della protezione dai campi elettromagnetici. Le onde elettromagnetiche interagiscono in vari modi con i sistemi biologici come cellule, piante, animali o con l'uomo; queste interazioni, come gli effetti che ne possono derivare, dipendono dalle proprietà fisiche dei campi elettromagnetici incidenti sull'organismo esposto (frequenza, lunghezza d'onda ed energia) e dalle condizioni di esposizione (geometria dell'ambiente, geometria della sorgente di emissione, distanza da questa, tempo di emissione…). Il rischio connesso all'esposizione a campi elettromagnetici va valutato quindi in funzione di ogni sorgente di esposizione, che ha le sue specifiche ed univoche caratteristiche, nonché in funzione delle condizioni di esposizione e di possibili eventuali interazioni tra esposizioni concomitanti. La maggior parte dei tessuti biologici presenta le caratteristiche tipiche dei materiali dielettrici e dei conduttori. Pertanto quando un organismo biologico è esposto ad un campo elettrico, magnetico e/o elettromagnetico, si determina un'interazione tra forze dei campi, cariche e correnti elettriche presenti nei tessuti dell'organismo che sono in linea di massima dei buoni conduttori. Questo in generale vuol dire che a lunghezze d'onda molto piccole (frequenze molto alte, ad esempio quelle dei radar), virtualmente tutta l'energia incidente è assorbita al livello superficiale dell'organismo. All'aumentare della lunghezza d'onda, diminuisce la frequenza ed aumenta la capacità della radiazione di penetrare più profondamente nell'organismo, così che incominciano a verificarsi meccanismi di interazione all'interno dell'organismo esposto, con possibilità di generazione di effetti biologici, quali ad esempio il riscaldamento dei tessuti interessati. Quando la lunghezza d'onda aumenta ancora l'energia che viene assorbita dall'organismo è minore di quella incidente ed il principale effetto che si genera all'interno di esso è la creazione di correnti indotte.
DANNI PROVOCATI DALLE ONDE ELETTROMAGNETICHE
Gli effetti che tali radiazioni possono provocare sugli organismi si distinguono in:
1) effetti termici o a breve termine
2) effetti non termici o cronici.
Per effetto termico si intende il riscaldamento del corpo o di sue parti esposte alle radiazioni. La gravità di questo tipo di effetto va ricercata nel fatto che tale riscaldamento avviene internamente al corpo e non viene percepito dagli organi sensoriali: per l’organismo non è così possibile attivare meccanismi di compensazione. Gli organi con scarsa circolazione sanguigna (che favorisce la dispersione del calore prodotto) e bassa conducibilità termica (fattore negativo ai fini di una efficace dispersione del calore) sono i più colpiti (ad es. testicoli o cornea).
Studi epidemiologici hanno attirato l’attenzione verso i Campi elettromagnetici e i campi modulati a radiofrequenza come possibili fattori di rischio per leucemie, linfomi, tumori al seno, melanomi epiteliali, tumori al cervello".
I motivi di preoccupazione sono tanto più fondati se riferiti ad un organismo in fase di crescita. Per tali motivi è doveroso cercare di limitare il più possibile l’esposizione dei bambini.
EFFETTI TERMICI O A BREVE TERMINE
* variazioni della permeabilità cellulare
* variazione del metabolismo
* variazioni delle funzioni ghiandolari, del sistema immunitario, del sistema nervoso centrale e del comportamento.
per densità di potenza elettromagnetica irradiata maggiore di 50 milliwatt/cm2:
* possibili lesioni cerebrali
* influenza sulla crescita cellulare
* malformazioni fetali
* ustioni interne
* cataratta
* morte per infarto.
EFFETTI NON TERMICI O CRONICI
* variazione del numero dei linfociti e granulociti (esperimenti su cellule)
* variazioni del livello di anticorpi e delle attività dei macrofagi (esperimenti su animali)
* tachicardia
* dolore agli occhi
* vertigini
* depressione
* limitazione della capacità di apprendimento
* perdita di memoria
* caduta di capelli
* sterilità
* aumento aborti
* abbassamento della fertilità
BIBLIOGRAFIA
• STORIA DELL’ARTE

• Giulio Carlo Argan: L’arte moderna. Sansoni, Firenze
• Fotocopie di approfondimento
• ITALIANO
• Paolo Di Sacco, Marco Baglio, Franco Camisasca, Marina Mastrorillo, Davide Perillo, Mauro Serìo: Scritture. Bruno Mondatori
• Salvatore Guglielmino: Guida al novecento. Principato editore, Milano
• LATINO

• Concetto Marchesi: Disegno storico della letteratura latina. Principato editore, Milano
• Italo Lana: Letteratura Latina. G. D’anna, Messina – Firenze
• Claudio Annaratone, Maria Teresa Rossi: Maiotum Lectio. Bruno Mondatori
• STORIA
• Riccardo Marchese: Piani e percorsi della storia. Minerva Italica
• Fotocopie di approfondimento
• FILOSOFIA
• Fabio Cioffi, Franco Gallo, Giorgio Luppi, Amedeo Vigorelli, Emilio Zanette: I libri di diàlogos. Bruno Mondatori
• INGLESE
• B. De Luca, U. Grillo, P.Pace, S. Ranzoli: Views of Literature. Loescher editore
• SCIENZE
• Piero Bianucci, Luisella Crotta, Luigi Motta, Michele Motta : Il sistema terrestre. De Agostani, Novara
• Fotocopie di approfondimento
• FISICA
• Fotocopie di approfondimento
INDICE
➢ INTRODUZIONE
➢ SOMMARIO
➢ STORIA DELL’ARTE
➢ ITALIANO
➢ LATINO
➢ STORIA
➢ FILOSOFIA
➢ INGLESE
➢ SCIENZE
➢ FISICA
➢ BIBLIOGRAFIA
6

Esempio