L'Evoluzione dello stato moderno

Materie:Tesina
Categoria:Multidisciplinare

Voto:

2.5 (2)
Download:565
Data:01.12.2004
Numero di pagine:27
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
evoluzione-stato-moderno_1.zip (Dimensione: 397.06 Kb)
trucheck.it_l-evoluzione-dello-stato-moderno.doc     485 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

L’EVOLUZIONE
DELLO STATO MODERNO

ELABORATO DI: LORENZO P.
Anno scolastico 2001/2002
L’EVOLUZIONE DELLO STATO MODERNO
LETTERATURA
Il verismo – (maggior esponente G. Verga) – Tecnica narrativa e ideologia verghiana.
STORIA
I problemi dell’Italia post-unitaria, la condizione delle genti del Sud, il problema dell’emigrazione.
DIRITTO
Forme di Stato e forme di governo; Stato unitario e stato federale – Confederazione di Stati (U.S.A.) - Forme di governo repubblicano
Stato decentrato.
SCIENZA DELLE FINANZE
Decentralizzazione della spesa – Responsabilità degli enti locali – Decentramento nella legislazione italiana – Federalismo fiscale.
ECONOMIA AZIENDALE
Le imposte nelle società di capitali, principi fiscali, reddito fiscale, esempi di variazioni.
MATEMATICA
Gli investimenti industriali.
INGLESE
The system of government in U.S.A.
LETTERATURA
IL VERISMO

Il Verismo è un movimento letterario ed artistico che prende ispirazione dal Positivismo e dal Naturalismo francese, professando una rigorosa fedeltà alla realtà effettiva (al “vero”) delle situazioni, dei fatti e delle circostanze, degli ambienti e dei personaggi.
La corrente letteraria tende a descrivere la vita della gente umile, delle persone che lottano per la sopravvivenza contro la fatalità del destino.
Essa si sviluppa negli anni successivi all’Unità d’Italia, fino al primo decennio del Novecento; nasce nell’ambiente milanese dove erano assai forti gli influssi della cultura europea, ma si allargò a tutta l’Italia diffondendosi in varie regioni della penisola.
La diversa diffusione del Verismo dipende dalla posizione delle regioni d’Italia: da una parte vi è il Nord, dove sorge la nuova realtà politica, imprenditoriale e culturale, dall’altra troviamo il Sud arretrato e ad un livello ancora rurale.
Il Verismo accetta le leggi scientifiche che regolano la vita associata e i comportamenti; lo scrittore cerca di scoprire le leggi che dominano la società umana, paragonato ad uno scienziato che cerca di scoprire le leggi fisiche che stanno dietro ad un fenomeno.
Lo scrittore attua una narrazione realistica e scientifica degli ambienti e dei soggetti della narrazione; non racconta emozioni o pensieri personali, ma presenta la situazione quotidiana come una indagine scientifica, ricercando le cause che sono sempre naturali e determinate.
Il Verista deve ispirarsi unicamente al vero, esporre realmente avvenimenti accaduti realmente e preferibilmente contemporanei, limitandosi a ricostruirli obiettivamente, rispecchiando la realtà in tutti i suoi aspetti e a tutti i livelli sociali.
Lo scrittore più rappresentativo del Verismo italiano è sicuramente Giovanni Verga.
Egli ebbe una concezione tragica della vita, infatti, pensava che gli uomini fossero sottoposti ad un destino crudele che li condannava all’infelicità e ad una condizione di immobilismo: chi cerca di cambiare il proprio destino non va incontro alla felicità, ma a maggiori sofferenze.
TECNICA NARRATIVA E IDEOLOGIA VERGHIANA
Il Verga dà origine ad una tecnica narrativa profondamente innovatrice e originale che si distacca sia dalla tradizione, sia dalle contemporanee esperienze italiane e straniere.
Nelle sue opere effettivamente l’autore si eclissa, si cala sulla pelle dei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole. Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai, nelle opere del Verga: la voce che racconta si colloca all’interno del mondo rappresentato, è allo stesso livello dei personaggi.
Il narratore si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il loro modo di pensare e di sentire, usa il loro stesso modo di esprimersi. E’ come se a raccontare fosse uno di loro, che però non compare direttamente, ma resta anonimo; questo modo di esporre la narrazione, dà l’impressione al lettore di trovarsi faccia a faccia con il fatto nudo e crudo.
Il Verga, ne “I Malavoglia” e nelle novelle, rappresenta ambienti popolari e rurali, e mette in scena personaggi incolti e primitivi, contadini, pescatori, minatori, la cui visione e il cui linguaggio sono ben diversi da quello scrittore borghese.
Il linguaggio è spoglio e povero, contiene proverbi, metafore, imprecazioni, sintassi elementare e stringata, in cui appare chiaramente una struttura dialettale; il narratore deve mettersi da parte, lasciar parlare l’evidenza dei fatti, quasi impassibile osservatore esterno.
Il Verismo “verghiano”, così come quello di Capuana, di Deledda (Sardegna) e di Giocosa (Piemonte), non aveva stretti riferimenti con il Naturalismo francese, anzi, se ne differenziava per il suo pessimismo, per la sua posizione critica nei confronti della scienza e del progresso, per il carattere perdente dei suoi personaggi, incapaci di uscire dal proprio stato di emarginazione sociale.
Per Verga il progresso rappresentava l’ingiustizia del mondo, perché favoriva una parte di umanità, ma ne trascurava altrettanta. Verga negava la scientificità dell’opera letteraria, secondo il canone di Emile Zola, considerava la narrativa l’unica e vera forma artistica della lingua scritta; infatti non amava il teatro che, a suo parere, stravolgeva il testo originale, a causa dell’interpretazione soggettiva degli attori.
Al fondo della visione del Verga sta un giudizio radicalmente negativo sulla società umana. Lo scrittore ha sotto gli occhi la realtà italiana nella quale, in alcune zone, ha l’inizio lo sviluppo dell’economia in senso capitalistico, mentre in altre si mantengono le condizioni di disagio delle masse contadine. Il progresso gli appare grandioso ed epico, ma egli vede anche chiaramente i suoi inevitabili risvolti negativi.
Nel Verga vi è la consapevolezza di un destino doloroso del mondo, la coscienza assoluta dell’impossibilità di migliorare l’avvenire dell’uomo, il senso del dolore e della dura legge della vita, a cui nessuno può sfuggire. Egli sente una pena infinita per la sofferenza materiale e morale dei suoi personaggi, per i quali non riesce nemmeno a suggerire un rimedio.
Il suo dolore non giunge alla disperazione, perché il male non può distruggere la dignità dell’uomo, anzi la fortifica e la ingigantisce, impegnando l’uomo stesso in una lotta da cui egli ricava fierezza e nobiltà.
• STORIA

L’Italia in quel periodo era fondamentalmente un paese agricolo: solo nelle regioni padane, tuttavia si era avuto in questo settore un processo di modernizzazione, avviato dai proprietari delle terre, con un sviluppo ed una produzione più consistenti.
Nel resto d’Italia la situazione si presentava molto meno progredita; nel meridione, in particolare, continuava a dominare il sistema dei latifondi, vastissime estensione di terre nelle quali lavoravano, per compensi estremamente bassi, molte migliaia di contadini.
Il rendimento di queste terre era minimo, soprattutto per lo scarso investimento di capitali per migliorare la produzione.
L’alimentazione e le condizioni igieniche dei contadini erano molto precarie ed ampia era la diffusione di malattie come la pellagra e la malaria. Lo squilibrio esistente fra Nord e Sud era confermato anche dalla situazione delle industrie.
In Piemonte, Lombardia, Veneto erano da tempo avviate manifatture tessili di una certa importanza e l’industria pesante era quasi inesistente.
Se nel centro si era sviluppata, in Toscana, una discreta attività tessile, accompagnata dall’estrazione del ferro, nel Sud il settore industriale era pressoché assente.
I primi governi, guidati dalla destra, dovettero cimentarsi con il problema dell’organizzazione burocratica-amministrativa dell’Italia, col pareggio del bilancio e con la questione romana.
Fu deciso di trasferire al nuovo stato unitario gli ordinamenti e la struttura amministrativa del regno di Sardegna.
Lo Statuto Albertino era diventato la costituzione dell’Italia e la legge elettorale piemontese era stata estesa a tutto il paese. Venne unificato il Codice Civile e venne istituito il servizio militare obbligatorio, che suscitò un forte malcontento, perché sottraeva alle famiglie contadine le forze più giovani indispensabili al lavoro: la durata era di cinque anni.
Nel tentativo di sanare il bilancio dello stato fu inoltre deciso un aumento delle tasse: la più celebre di questa imposta e la più odiata, fu la tassa sul macinato.
Si verificarono disordini e insurrezioni, repressi con le armi delle forze dell’ordine. I problemi del sottosviluppo nelle regioni del Mezzogiorno, definito, nel suo complesso “questione Meridionale”, suscitarono un crescente interessamento fra i politici e gli studiosi che cercarono di analizzare le cause di questo fenomeno e di proporre rimedi.
La questione della terra costituiva un aspetto fondamentale del complesso problema dell’arretratezza del Mezzogiorno, un problema che aveva ragioni storiche precise, precedenti all’unificazione del paese: la struttura sociale ancora di tipo feudale, il predominio della grande libertà latifondista, il dominio plurisecolare del baronaggio e la miseria estrema dei contadini.
Nonostante la nascita del nuovo Regno d’Italia, la situazione non conobbe sostanziali miglioramenti. Le terre rimasero nelle mani dei signori e i braccianti non migliorarono le loro povere condizioni.
La gente del Sud doveva ancora sopportare le ingiustizie e lo strapotere dei più forti, ma cominciava a prendere coscienza della propria funzione sociale dando vita alle prime forme di contestazione sociali.
Il brigantaggio non è altro che una protesta selvaggia e brutale contro antiche e secolari ingiustizie, delusioni che seguirono alle speranze accese dall’impresa garibaldina, in conseguenza dei pesanti carichi fiscali imposti dal nuovo governo.
Il brigantaggio non era soltanto una reazione alla repressione statale contro le tasse imposte dallo stato unitario, ma anche violenza armata per rivendicare le sopraffazioni e i tradimenti dei nobili.
Tra i briganti non pochi furono quelli che la miseria, l’ignoranza, la mancanza di lavoro sicuro spinsero a porsi contro la legge e ad intraprendere vendette e rapine.
Il fenomeno del brigantaggio diventò il problema principale del Meridione e del Regno, i diversi governi che si susseguirono fecero di tutto per abbatterlo, vennero redatte perfino leggi speciali.
Vennero impiegati parecchi uomini contro il brigantaggio: l’operazione militare cancellò ogni residua traccia dei briganti, ma non risolse il problema agrario e sociale del mezzogiorno, al contrario servì a confermare e consolidare l’egemonia economica e politica della borghesia agraria e la soggezione dei contadini.
L’annessione del Sud al Regno d’Italia non è da considerarsi perciò una positiva impresa: sotto certi aspetti, non risolse i problemi del meridione, anzi li aggravò, poiché i soldi del sud erano sempre stati usati a favore del nord.
Con De Pretis venne abolita la tassa sul macinato; fu istituita una riforma scolastica che prevedeva due anni di scuola elementare gratuiti e obbligatori e fu approvata la riforma elettorale, che portò ad un aumento del numero dei votanti.
Si avviò anche in Italia un processo di industrializzazione che partì in evidente ritardo rispetto al resto d’Europa. Lo sviluppo industriale fu agevolato anche dall’atteggiamento protezionista assunto dal governo: l’industria locale veniva protetta dall’applicazione dei dazi sulle merci provenienti dall’estero, rendendo più conveniente l’acquisto dei prodotti nazionali.
Una delle cause dell’arretratezza del sud, era l’analfabetismo: ma la mancanza d’istruzione era comune a tutta l’Italia. Solo il 2% della popolazione sapeva palare l’italiano, gli altri usavano il dialetto della loro regione.
Lo studio dell’italiano era privilegio di una minoranza benestante che aveva la possibilità di frequentare i migliori collegi; infatti la situazione linguistica dell’Italia, rappresentava perfettamente le profonde differenze che nel corso dei secoli si erano create non solo tra regione e regione, ma anche tra le diverse classi sociali; nessun governo aveva proclamato per legge l’obbligo di andare a scuola, almeno per imparare a leggere e a scrivere.
Vi fu inoltre un forte aumento demografico nel sud e più ancora nel Nord, dove le grandi città si trasformarono in centri industriali. Le zone di alta montagna e quelle più povere vennero abbandonate da un numero sempre maggiore di emigranti.
Tra i più gravi problemi dell’Italia post-unitaria dobbiamo ricordare l’emigrazione. Si trattò, di un fenomeno che coinvolse tutta l’Europa, dalla quale partirono persone che si stabilirono in paesi più ricchi, trattenuti da possibilità di lavoro e da condizioni di vita migliori: fu soprattutto un’emigrazione di carpentieri, scalpellini, muratori verso la Francia, la Svizzera, la Germania.
Oltre a questo, stimolava l’emigrazione anche la volontà di sottrarsi allo sfruttamento dei padroni.
Il flusso migratorio era diretto anche verso l’America: il rapido processo di industrializzazione degli U.S.A. e la colonizzazione di vastissimi territori del Canada, Argentina, Brasile, costituirono anche per gli italiani una forte spinta a raggiungere quei Paesi.
Questo incremento vertiginoso fu dovuto alla grave crisi economica generale del paese alla fine del secolo, ma anche al fatto che gli emigranti chiamavano a sé le famiglie e i compaesani, allettandoli con le notizie del loro benessere.
Le tradizioni italiane non vennero però, perse del tutto, anzi gli Italiani, fuori dalla patria, formarono comunità italiane che conservano modi di parlare, di vestire, di mangiare, di comportarsi.
Negli Stati Uniti, gli italiani iniziarono a sentire l’importanza della libertà individuale, della parità dei diritti fra i cittadini a qualsiasi razza appartenessero, della concezione di Stato e di Repubblica.
• DIRITTO
FORME DI STATO, FORME DI GOVERNO.
Stato composto o federale
Lo Stato composto o federale è uno Stato formato da più Stati (Stati federali o Stati membri), ciascuno dei quali ha un proprio popolo, un proprio territorio e una propria sovranità.
Fra gli Stati federali esistenti ricordiamo gli Stati Uniti d’America, la Svizzera, la Germania, il Brasile, l’Argentina e il Messico. Anche il Belgio è stato trasformato nel 1993 in uno Stato federale, composto di tre Regioni: Bruxelles-capitale, Fiandre e Vallonia.
La sovranità degli Stati è sempre esclusivamente interna, non potendo essi entrare in rapporto diretto con Stati esteri: soggetto di diritto internazionale è sempre e soltanto lo Stato Federale.
Le confederazioni sono unioni di Stati che si associano mediante un trattato, creando un organo collegiale comune formato dai delegati di ciascuno degli Stati stessi, allo scopo di provvedere al meglio comuni interessi.
Le confederazioni si distinguono dagli Stati Federali perché i singoli Stati che fanno parte delle stesse, conservano la propria personalità internazionale.
Sono, nelle maggioranze dei casi, forme transitorie, destinate a trasformarsi: la confederazione elvetica si trasformò in Stato Federale nel 1848 pur conservando il nome di confederazione.
Un processo inverso si è svolto nell’Unione Sovietica dove alcuni stati membri hanno dichiarato la propria indipendenza (nel 1991), mentre altri si sono orientati verso una forma confederativa, denominata CSI (Comunità degli Stati Indipendenti).
Stato unitario
Lo Stato è unitario quando un unico popolo è organizzato sopra un unico territorio, sotto un’unica sovranità. Gli enti territoriali sono del tutto sforniti di sovranità (Regioni, Province, Comuni) essendo i loro poteri derivati dall’autorità dello Stato. E’ questa la forma maggiormente diffusa, assunta anche dallo Stato italiano, nella quale l’idea di Stato si realizza più compiutamente.
L’Art. 114 della Costituzione cita che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalla Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.
Nella forma repubblicana si distinguono le seguenti forme principali di repubblica:
• Repubblica presidenziale nella quale il Capo dello Stato, eletto dal popolo, è anche capo del Governo; nomina e revoca secondo la propria volontà i ministri. Questa è la forma esistente negli Stati Uniti d’America nella quasi totalità delle repubbliche dell’America centrale e meridionale.
• Repubblica semipresidenziale, modello francese, nella quale troviamo, accanto al Capo dello Stato, eletto direttamente dal popolo, un capo del Governo, che deve godere la fiducia sia del Capo dello Stato, dal quale viene nominato, sia dal Parlamento.
• Repubblica parlamentare, nella quale il Capo dello Stato (che non è anche capo del Governo) è eletto dal Parlamento, e i ministri pur essendo da lui nominati, sono responsabili di fronte al Parlamento. E’ questa la forma assunta nel 1948 dalla Repubblica italiana.
Uno Stato unitario è anche lo Stato decentrato: nel sistema del decentramento agli organi locali e agli enti pubblici è data un’ampia sfera di attribuzioni e di poteri. Esso si presta a una maggior considerazione degli interessi e delle esigenze della comunità locale, ma l’autorità centrale può trattare in modo diverso situazioni analoghe nelle varie parti del territorio.
Il decentramento amministrativo ha lo scopo di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali.
Il decentramento politico concede a enti pubblici di emanare proprie leggi per disciplinare materie di interesse locale: si verifica nelle Regioni che sono costituite in enti autonomi. Si tratta però sempre di poteri derivati dallo Stato.
Il decentramento fiscale è quello meno frequente e più restrittivo a causa dell’elevato debito pubblico e quindi viene controllato direttamente dal potere centrale dello Stato, viste le grandi disparità di distribuzione della ricchezza tra le varie parti del territorio nazionale.
• SCIENZA DELLE FINANZE
La decentralizzazione della spesa
La spesa pubblica è effettuata in parte tramite strutture proprie, in parte attraverso organi dipendenti dallo Stato in quanto privi di autonoma sovranità, cioè in particolar modo enti locali e territoriali.
Quando alcune funzioni pubbliche sono ordinate dallo Stato agli enti locali si parla di “decentramento” o di autonomia di spesa a favore degli enti locali.
Il decentramento dallo Stato agli enti locali è ritenuto utile perché tende ad ottimizzare il rapporto autorità-cittadino.
Infatti, un ente locale conosce meglio le necessità del cittadino e riesce maggiormente a soddisfarle rispetto ad un organo centrale.
Il decentramento realizza un processo di responsabilizzazione degli amministratori locali. Il problema della responsabilità di chi amministra la spesa pubblica, ossia il fatto di impegnare gli amministratori a utilizzare al meglio le risorse nell’interesse della collettività, si risolve riducendo le dimensioni del territorio da amministrare, avendo così sotto controllo particolari situazioni.
E’ evidente quindi che ogni ente locale può effettuare le proprie scelte in piena autonomia, perseguendo politiche di spesa differenziate rispetto ad altri enti locali, in riferimento alle particolari esigenze della collettività.
Il cittadino, ha come strumento di controllo, il voto alle elezioni locali, attraverso il quale può confermare gli amministratori, se considera buono il loro operato.
La spesa pubblica affidata a un ente locale è più efficiente rispetto alla gestione fatta dal Governo centrale, per il fatto che alcuni servizi costano meno se organizzati a livello periferico.
In particolar modo, ad esempio, per un Governo centrale sarebbe costoso organizzare spese quotidiane come la raccolta dei rifiuti su tutto il territorio nazionale e quindi è più opportuno affidare tale servizio ad un ente locale.
Le ragioni del decentramento sono quindi ragioni di efficienza economica; pertanto l’autonomia di spesa agli enti locali è finalizzata a ridurre i costi legati all’offerta di alcuni servizi pubblici.
L’efficienza economica porta a decentrare spese in alcune aree della Pubblica amministrazione: infatti, se si pensa la difesa del territorio nazionale o la sicurezza e giustizia nazionale, sarebbe troppo oneroso se gestita direttamente da enti locali.
Nella Costituzione italiana l’art. 114 prevede che la Repubblica sia ripartita in enti territoriali come le Regioni, le Province e i Comuni. Alle Regioni (l’art. 119 della Costituzione) si attribuisce un’autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.
Viene definito il concetto di coordinamento tra i diversi livelli di gestione della spesa pubblica per suddividere i vari compiti e responsabilità degli enti per ottimizzare le spese e l’erogazione dei servizi pubblici.
Nell’ambito dell’organizzazione dello Stato importanti sono gli enti pubblici non territoriali come le Camere di Commercio e le Aziende Sanitarie locali.
Enti territoriali sono quelli che hanno il territorio come elemento costitutivo e una determinata popolazione su cui esercitare il proprio potere di Governo, mentre consideriamo enti non territoriali quegli enti che si riferiscono a un territorio soltanto come limite per la loro competenza e non come elemento costitutivo dell’ente.
Il federalismo fiscale ha il fine di ottimizzare il sistema di spesa pubblica e di individuare le più efficaci forme di finanziamento della stessa a livello locale, attraverso la migliore combinazione possibile tra tributi propri e finanziamenti statali.
Non si deve creare confusione tra federalismo fiscale e federalismo politico: negli Stati federali, come gli Stati Uniti d’America o la Repubblica Federale di Germania, il sistema tributario è organizzato in modo da lasciare forti margini di autonomia ai singoli Stati della Federazione.
Si prevedono spazi di autonomia di spesa e autonomia tributaria; la spesa può essere in gran parte finanziata da risorse prelevate sullo stesso territorio, pur in presenza di uno Stato unitario.
Quindi il federalismo politico comporta inevitabilmente anche il federalismo fiscale, mentre quello fiscale non necessariamente porta al federalismo politico.
• ECONOMIA AZIENDALE
“LE IMPOSTE NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI, PRINCIPI FISCALI, REDDITO FISCALE, ESEMPI DI VARIAZIONI”
Il reddito di bilancio rappresenta il punto di partenza per determinare, attraverso opportuni aggiornamenti, dapprima il reddito fiscale, poi il reddito imponibile ai fini IRPEF e IRPEG. Esso esprime il risultato economico conseguito dall’impresa, secondo i criteri stabiliti dalla norma civilistica.
Il reddito fiscale d’impresa o reddito d’impresa scaturisce dalla contrapposizione tra costi deducibili e ricavi tassabili, determinati secondo i criteri stabiliti dalla normativa fiscale. Quindi troviamo:
- il reddito imponibile IRPEF, sul quale si calcola l’importo sul reddito delle persone fisiche;
- il reddito imponibile IRPEG, sul quale si calcola l’importo sul reddito delle persone giuridiche.
REDDITO DI BILANCIO

+ Variazioni in aumento - Variazioni in diminuzione
derivanti dall’applicazione dei criteri di valutazione fiscale

REDDITO FISCALE
L’Utile delle società di capitali è soggetto a IRPEG. I soci sono tassati soltanto nel caso di effettiva distribuzione degli utili: con IRPEF (se si tratta di persone fisiche) o con IRPEG (se sono persone giuridiche).
Altra imposizione fiscale è l’IRAP che colpisce il valore della produzione netta, derivante dall’attività caratteristica dell’impresa; essa è applicata all’impresa, in qualsiasi forma giuridica e ne riduce il risultato economico.
Carico fiscale di una S.p.A. è dato da:
- IRPEG 36% sul Reddito Fiscale;
- IRAP 4,25% sul Valore della Produzione Netta.
I principi fiscali sono le norme generali che regolano i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione del reddito fiscale d’impresa ; essi sono contenuti nell’art. 75 del TUIR:
- Principio della competenza: i ricavi e le spese concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza economica. Questo principio coincide con gli stessi criteri che vengono adottati nella disciplina civilistica, secondo la quale i costi e ricavi vanno imputati al Conto economico, indipendentemente dalla loro manifestazione finanziaria. La normativa tributaria detta precisi criteri (art. 75 TUIR) per determinare quando costi e ricavi possono essere attribuiti a un esercizio;
- Principio dell’inerenza: le spese e gli altri componenti negativi sono considerati deducibili se si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa.
Costi = Costi sostenuti x Ricavi
deducibili Ricavi attività esente + Ricavi attività tassabile attività tassabile
- Principio della certezza e della effettiva determinabilità: i costi e i ricavi di cui nell’esercizio non sia ancora certa l’esistenza o determinabile l’ammontare, non concorrono alla determinazione del reddito fiscale.
- Principio dell’imputazione al Conto economico: le spese e gli atri componenti negativi sono ammessi in deduzione se sono stati imputati al Conto economico relativo all’esercizio di competenza (art. 75, 4° comma). Non ha rilevanza fiscale, un costo che, anche se riconosciuto esplicitamente deducibile dalla normativa tributaria, non è stato iscritto al Conto economico del bilancio.
L’ Art. 52 TUIR stabilisce che il reddito fiscale è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal Conto Economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti.
Il punto di partenza per la determinazione del reddito fiscale, è il risultato d’esercizio redatto secondo le norme civilistiche, al quale vengono aggiunte o sottratte le variazioni in aumento o in diminuzione, seguendo i criteri previsti dalla normativa tributaria.
Il procedimento per arrivare al reddito imponibile si articola in due fasi:
- determinazione del reddito fiscale, partendo dal reddito di bilancio aggiungendo o sottraendo le differenze derivanti dall’applicazione della normativa tributaria;
- determinazione del reddito imponibile ai fini IRPEF e IRPEG, con procedimento diversi che riflettono le caratteristiche di ciascuna imposta.
Variazioni in aumento = Costi fiscalmente deducibili ma inferiori rispetto a quello iscritto nel Conto economico di bilancio; ricavi tassabili quando superiori in riferimento all’imposta iscritta nel Conto economico (ad esempio le rimanenze finali di magazzino).
Variazioni in diminuzione = Il Conto economico comprende positivi di reddito che non sono tassabili, o per i quali è possibile rinviare la tassazione, ripartendola in esercizi futuri; l’ammontare di un costo fiscalmente deducibile è maggiore di quello iscritto nel Conto economico.
Art. 54 TUIR – Plusvalenze patrimoniali
Le plusvalenze dei beni strumentali relativi all’impresa concorrono a formare il reddito se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso (vendita), se sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni ; se i beni vengono destinati al consumo personale dell’imprenditore e dei soci. La plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo della vendita o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione e il costo non ammortizzato.
Non rappresenta una plusvalenza tassabile l’iscrizione in bilancio del maggior valore dei beni strumentali derivante dalla rivalutazione degli stessi. La normativa fiscale, quindi consente all’azienda di scegliere, nel caso in cui i beni siano posseduti da almeno tre anni, tra due alternative:
• tassazione delle plusvalenze per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate;
• tassazione della plusvalenza in misura frazionata in quote costanti nell’esercizio in cui sono state realizzate e nei successivi, in un arco di tempo non superiore a cinque anni (1/5 di rateizzare).
In questo caso per il rispetto dei principi della competenza economica e della prudenza è necessario accantonare in un apposito fondo oneri denominato Fondo per imposte differite, l’ammontare delle imposte non pagate nell’esercizio, che permetterà di far fronte alle maggior imposte gravanti negli esercizi successivi.
Art. 59 TUIR – Variazione delle rimanenze
La normativa fiscale suddivide le giacenze di magazzino in quattro categorie:
• prodotti in corso di lavorazione e servizi in corso di esecuzione;
• beni acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione;
• beni alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa;
• spese, forniture e servizi di durata ultrannuale, commesse pluriennali.
L’impresa, secondo il disposto della normativa fiscale, è libera di adotare il metodo di valutazione che ritiene più idoneo alla natura e alle caratteristiche dei beni in rimanenza. Nel caso in cui venga utilizzato un metodo di valutazione diverso da quelli previsti dalla normativa civilistica, il valore attribuito alle rimanenze viene comunque accertato ai fini fiscali, a condizione che non scenda al di sotto di quello calcolato con l’applicazione del metodo LIFO a scatti annuali. E’ riconosciuta valida anche ai fini fiscali se calcolata in base a uno dei metodi previsti dalla normativa civilistica (FIFO, LIFO, costo medio ponderato).
Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, è superiore al valore normale medio, la valutazione deve essere eseguita moltiplicando l’intera quantità dei beni in rimanenza per il valore normale.
Art. 67 TUIR – Ammortamento dei beni materiali.
Le quote di ammortamento del costo dei beni strumentali, sono deducibili a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene; la norma consente di rinviare la deduzione degli ammortamenti agli esercizi nei quali essi concorrono a produrre i ricavi.
Il legislatore fiscale prevede una regola generale per la determinazione delle quote di ammortamento, secondo la quale al deduzione è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministero delle Finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
I coefficienti fiscali sono stati stabiliti per categorie dei beni omogenee, in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi: è possibile che beni della stessa natura abbiano differenti coefficienti di ammortamento a seconda del settore in cui vengono utilizzati. Nel primo esercizio di entrata in funzione del bene l’aliquota ordinaria applicabile è ridotta alla metà. L’art. 67 TUIR prevede altri tipi di ammortamento fra cui:
➢ ammortamento intensivo: è ammesso a condizione che l’impresa riesca a documentare oggettivamente le condizioni di maggior utilizzo rispetto a quello normale del settore; l’aliquota ordinaria applicabile può essere maggiorata in proporzione al maggior utilizzo dei beni.
➢ Ammortamento ridotto: se in un esercizio l’ammortamento è calcolato in misura inferiore all’aliquota ordinaria, la differenza è deducibile negli esercizi successivi. La minore entità delle quote di ammortamento nei vari esercizi determina, un prolungamento del periodo di ammortamento dei beni.
➢ Ammortamento immediato: per i beni di costo unitario non superiore a euro 516,46 è consentita la deduzione integrale del costo di acquisizione nell’esercizio in cui è stato sostenuto.
➢ Ammortamento anticipato: può essere elevata fino a due volte l’aliquota ordinaria, nell’esercizio in cui i beni sono entrati in funzione per la prima volta e nei due successivi. Nell’ipotesi di beni già utilizzati da precedenti possessori, l’ammortamento anticipato è consentito soltanto nel primo esercizio di utilizzazione.
Il legislatore tributario consente alle imprese di completare gli ammortamenti in modo più rapido, riconoscendo la possibilità di un veloce deperimento o di un superamento tecnologico.
Art. 67 TUIR – Spese di manutenzione e riparazioni
Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, quando non sono impostate a incremento del costo dei beni, sono deducibili fiscalmente nell’esercizio in cui sono state sostenute nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili che risultano nel registro dei beni ammortizzabili; per le imprese di nuova costituzione, il limite del 5% si calcola sul costo complessivo delle immobilizzazioni materiali.
Per i beni ceduti e acquistati nel corso dell’esercizio la percentuale di deducibilità del 5% deve essere calcolata sulla parte del costo proporzionale alla durata del possesso. Se l’azienda corrisponde a terzi canoni periodici dovuti contrattualmente per la manutenzione di determinati beni, la norma fiscale ne riconosce la deducibilità integrale nell’esercizio in cui sono sostenuti. Il costo dei beni oggetto di tale manutenzione non concorre però a formare la base su cui calcolare la percentuale di deducibilità.
Art. 71 TUIR – Svalutazione dei crediti
Le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, non coperti da garanzie assicurative, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi sono deducibili in ciascuno esercizio nel limite dello 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi. Si tiene conto anche di eventuali accantonamenti ad apporto fondo di copertura rischi su crediti.
La deduzione non è più ammessa quando l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio.
ESEMPI DI VARIAZIONE:
L’Azienda industriale New Fox Srl al 31/12 presenta le seguenti voci:
Crediti v/clienti euro 1.800.000
Cambiali attive 700.000
Effetti insoluti e protestati 88.000
F.do svalutazione crediti 160.000
Al 31/12 ai fini della svalutazione dei crediti, si tiene conto di quanto segue: tra gli effetti insoluti e protestati è compreso un effetto di euro 45.000 di dubbia esigibilità; i restanti crediti commerciali al netto delle svalutazioni vengono ulteriormente svalutati prudenzialmente del 2%.
Rileviamo:
➢ Il calcolo della svalutazione dei crediti e le rilevazioni contabili:
Crediti v/clienti 1 .800.000
+ Cambiali attive 700.000
+ Effetti insoluti e protestati 88.000
- Svalutazione dei crediti di dubbia
esigibilità da iscrivere nel F.do svaluta-
zione crediti 45.000
2.543.000
- F.do svalutazione crediti preesistente 160.000

= Totale residuo da svalutare al 2% 2.383.000
2.383.000 x 2% = euro 47.660 svalutazione da iscrivere nel Fondo rischi su crediti.
Registrazione in P.D.
31/12 Svalutazione crediti svalutazione effetti insoluti 45.000,00
F.do svalutaz.crediti svalutazione eff.insoluti 45.000,00
31/12 Svalutazione crediti svalutazione pruden. Crediti 47.660,00
F.do rischi su crediti svalutazione pruden. Crediti 47.660,00
➢ Determinazione della svalutazione fiscalmente deducibile
Valore dei crediti commerciali = euro 2.383.000 * 5% = 119.150
Il F.do rischi su crediti ammonta a e 47.660, quindi è inferiore al tetto massimo oltre il quale non sarebbe possibile svalutare (euro 47.660 e euro 119.150). La normativa fiscale, pertanto, permette una deducibilità pari allo 0,50% dei crediti.
Euro 2.383.000 x 0,50% = euro 11.915 svalutazione fiscalmente ammessa
Spese di manutenzione e riparazione
Nel Registro dei beni ammortizzabili della UNIPLAST Srl, all’1/1 n sono iscritti beni materiali per complessivi euro 821.000, di cui euro 60.000 si riferiscono ad un bene assistito da contratto di manutenzione per il quale, nel corso dell’anno, sono liquidati canoni di competenza pari a euro 6.800.
Al Conto Economico sono imputati costi di manutenzione per euro 79.800, calcoliamo le manutenzioni e riparazioni fiscalmente deducibili nell’esercizio “ n “, tenendo conto che il 30 settembre è stato venduto un macchinario dal costo storico di euro 56.000 mentre il giorno prima ne era stato acquistato uno nuovo del costo di euro 82.000.
La deduzione piena del 5% spetta sul seguente importo base:
- Valore dei beni materiali ammortizzabili all’1/1 n euro 821.000
- Valore del bene soggetto a contratto di manut.ne 60.000
- Valore del bene ceduto nel corso dell’esercizio 56.000
Importo sul quale viene calcolato la deduzione del 5% 705.000
VALORE DEI
BENI (A)
DURATA DEL POSSESSO
PERIODO GIORNI/365 (B)
BASE DI CALCOLO
DEL 5% ( A x B )
705.000
56.000
82.000
01/01 – 31/12
01/01 – 30/09
29/09 – 31/12
365/365
273/365
93/365
705.000,00
41.884,93
20.893,15
767.778,08
Euro 767.778,08 x 5% = euro 38.388,90 38.389
+ canone annuo di manutenzione 6.800
= Manutenzione e riparazioni fiscalmente deducibili euro 45.189
Nel Conto economico sono stati imputati euro 86.600 ( 79.800 + 6.800)
Manutenzioni e riparazioni di competenza 86.600
- Manutenzioni e riparazioni deducibili fiscalmente 45.189
Manutenzioni e riparazioni non deducibili 41.411* *(Variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi anno “n”)
Tale imposta può essere dedotta nei cinque esercizi successivi:
euro 41.411/5 = euro 8.282
• MATEMATICA
Investimenti industriali
Per investimenti che prevedono costi e ricavi, occorre calcolare la differenza fra il valore attuale dei ricavi e il valore attuale dei costi, detto risultato economico attualizzato:
r.e.a. = V(R) – V(C)
Molto importante è la scelta del tasso di valutazione, che risulta un tasso “soggettivo” , ovvero che non esiste un criterio prefissato per tale scelta.
Ogni operatore economico, deve tener conto sia dei tassi di mercato per investimenti analoghi, sia dei tassi di interesse e di sconto sui capitali, sia delle leggi della domanda e dell’offerta.
La scelta del tasso è legata alla situazione finanziaria dell’operatore; operatori diversi possono effettuare valutazioni secondo tassi diversi e quindi possono prendere decisioni diverse.
Negli investimenti industriali per valutare quale tipo di attrezzatura o di impianto conviene acquistare, si può applicare il criterio dell’attualizza- zione tenendo conto sia del costo d’acquisto, sia delle spese annue di esercizio, sia dell’eventuale valore di recupero quando l’attrezzatura verrà sostituita.
Rilevante è la durata dell’impianto che può influire nella scelta.
Ad esempio se una ditta deve scegliere per l’acquisto fra due tipi di macchinari che offrono le stesse prestazioni ma comportano costi diversi:
a) un macchinario tipo X costa € 30.000, richiede spese annue di € 1.200, durata prevista di 10 anni, dopo tale data può essere ceduto per un valore di recupero del 10% del costo;
b) un macchinario tipo Y costa € 35.000, spese d’esercizio annue di € 800, durata prevista di 10 anni, dopo tale data può essere ceduto per un valore di recupero dell’ 8% del costo;
In base al tasso del 6% annuo si valuta quale dei due macchinari è più conveniente acquistare.
Calcoliamo il valore attuale di tutti i costi, da cui viene detratto il valore attuale della somma di recupero:
- Macchinario tipo X
Va = 30.000 + 1.200 a 10]0,06 - 3.000 x 1,06 –10 = 37.156, 92
- Macchinario tipo Y
Vb = 35.000 + 800 a 10]0,06 - 2.800 x 1,06 –10 = 39.324,56
Quindi è più conveniente, al tasso di valutazione del 6%, installare il macchinario tipo X.
Determinante nella scelta degli investimenti industriali è il tasso effettivo di impiego (o tasso interno di rendimento).
Si definisce tasso effettivo di impiego o tasso interno di rendimento, quel tasso per cui il risultato economico attualizzato è uguale a zero, cioè il valore attuale dei costi è eguale al valore attuale dei ricavi.
Fra più alternative, per la scelta di un investimento, si sceglierà quella con un tasso effettivo più elevato; viceversa, se si tratta di scegliere fra due o più modi di finanziamento, si sceglierà quello a tasso minore.
Un’azienda vuole impiegare il capitale di € 80.000 e deve scegliere fra due alternative:
a) dare in prestito il capitale convenendo che gli sarà restituito con il pagamento di due somme uguali di € 55.000, la prima fra 3 anni e la seconda fra 6 anni;
b) investire la somma in un’operazione finanziaria che consentirà di ricavare € 8.600 alla fine di ogni semestre, ad iniziare dal prossimo per 6 anni.
Calcoliamo qual è l’investimento più conveniente secondo il criterio del tasso effettivo d’impiego:
a) Per la prima alternativa, indicando con i il tasso annuo, la ricerca del tasso, si effettua risolvendo la seguente equazione:
80.000 = 55.000 (1 + i)-3 + 55.000 (1 + i)-6
Posto (1 + i) –3 = x si ha l’equazione:
55 x2 + 55x – 80 = 0 x = 0,805582
Abbiamo quindi (1 + i)-3 = 0,805582
i = 3√1/0,805582 – 1 i = 0, 074723 >>> 7,47%
b) Esaminiamo l’altra alternativa: per il criterio dell’equivalenza finanziaria, il capitale da investire è uguale al valore attuale della rendita semestrale, quindi calcoliamo il tasso semestrale.
80.000 = 8.600 a 12]i2
a12]i2 = 80.000 = 9,30232558 (x)
8.600
Dalle tavole finanziarie deduciamo:
x1 = 4,00 9,38507376 y1
x = i2 9,30232558 y
x2= 4,25 9,25039491 y2
y - y1 = x – x1
y2 - y1 x2 – x1
9,30232558 – 9,38507376 = i2 – 4,00
9,25039491 – 9,38507376 4,25 – 4,00
- 0,08274818 = i2 – 4,00 >>> 0,25 x 0,614411097 = i2 – 4,00 x 0.25
- 0,13467885 0,25 0,25
0,153602774 = i2 – 4,00 >>> i2 = 4,1536 (tasso semestrale)
(1+i2)2 + 1 + i >>> i = (1 + i2)2 – 1
i = (1,041536)2 – 1 >>> i = 0,084797239 >>>> 8, 48%
Quindi rileviamo che è più conveniente l’alternativa b.
• INGLESE
SYSTEM OF GOVERNMENT IN U.S.A.

The United States are a federal repubblic with a written Constitution. The American Constitution was drawn up in 1787 after the War of Indipendence from Britain. It was intended to guarantee certain basic liberties and to prevent the building up of authoritarian power.
The American Constitution has lasted so long because it is simple and flexible as the Founding Fathers included a provision for amending the document.
The Constitution consisted of only 7 articles and the first updating was in 1791 when 3 amendments were added. The first 10 amendments were called the Bill of Rights; since then 26 Amendments have been added till July 1971.
The U.S. Constitution is the Central instrument of American government and is the supreme law of the Country.
The powers of government in the U.S. are divided between the central/federal government and individual state governments.
The federal government deals with taxation, commerce, copyrights, defence, immigration ad so on.
The State governments deal with matters as divorce, marriage, some aspects of education and voters rights.
The government can be divided between three branches the executive, the legislative and the judicial so that there is a balance between them and no single branch is predominant.
The executive
The executive power responsable for the administration of the country is in the hands of the President who is elected together with his Vice, by the people every four years limited to two terms.
He’s also the Head of State and the Commander-in Chief of Armed Forces: his residence and offices are in the White House in Washington.
The President manages the security of the country, the national economy and he is also responsable together with the Secretary of State for relations with foreign countries. He can also veto any laws passed by the Congress. He appoints ambassadors, ministers, consules.
The President must be a native-born American at least 35 years old.
If he is unable to complete his term of office, the Vice-President automatically becomes President.
Presidential candidates are chosen by their political parties. The two major ones are the Democratic and the Republican Parties. The President receives his powers from the Constitution and from Congress.
The legislative
The legislative power responsible for making the laws of the country is represented by the Congress, which is made up of the House of Representatives and the Senate.
The House of Representatives has 435 members divided up among the different States according to the size of population. Representatives are elected for two-year terms.
The Senate has 100 senators, two from each of the fifty states, elected for six years.
New legislation must be approved by both the House and the Senate.
Candidates for important positions in the President’s administration must be confirmed by Senate before they can be appointed.
The House has the power to legislate on any subject in particular on Public Revenue.
The Palace of the Congress is The Capitol in Washington D.C.
The judicial
The Judicial power is exercised by the Supreme Court.
The Supreme Court has 9 members who are appointed for life by the President with the Congress approval.
The Supreme Court has the ultimate judicial power in the United States; it makes the final decision in controversial legal cases passed up from lower courts. It can also decide whether legislation from Congress, or from individual State governments, conforms to the Constitution.
Laws which are judged to be uncostitutional are not valid. The Supreme Court reaches decisions by majority verdicts.
They sit in the Supreme Court in Washington D.C.
1

Esempio