Il Neorealismo

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Testo

Neorealismo
Roberta M.
I.T.S.O.S. Albe Steineir
A.S. 2001-02
Indice
Introduzione
Letteratura Italiana Primo Levi
Letteratura Inglese Ernest Hemingway
Arte Renato Guttuso
Cinema Rossellini e Roma città aperta
Storia La resistenza italiana

INTRODUZIONE
NEOREALISMO (1930 - 1955) : Tendenza artistica, cinematografica e letteraria che sviluppa le modalità espressive del verismo e rivolge la sua attenzione ai temi sociali contemporanei.
Breve storia del termine "neorealismo"
E' interessante ripercorrere brevemente la storia della parola "neorealismo", perché ci permette di cogliere due aspetti fondamentali della natura di questo movimento: lo stretto legame che esso ebbe con il cinema, e la problematicità che ha accompagnato fino ad oggi questo movimento culturale.
Infatti, anche se il termine "neorealismo" si cominciò ad usare alla fine degli anni Venti con riferimento alle tendenze artistiche del tempo e alla parola tedesca Neue Sachlichkeit (Nuova oggettività), chi lo usò in modo nuovo nel 1942 fu il montatore cinematografico per il film Ossessione di Visconti, e questo ne provocò una rapida diffusione nell’ ambito cinematografico.
Dopo il 1943 il termine si estese anche nell'ambito letterario con diverse interpretazioni e sovrapposizioni con altri termini: realismo in generale, socialrealismo, realismo socialista e applicato retrospettivamente per indicare un linguaggio che si avvicinasse il più possibile alla realtà.
Come si è detto la storia del termine ci indica lo stretto legame che ci fu tra l'ambito cinematografico e quello letterario, e attesta almeno le tre espressioni più importanti del neorealismo in letteratura: un "nuovo realismo" anticipatore che si può collocare alla fine degli anni 20, un neorealismo spontaneo, successivo al 1943 e un neorealismo con chiara consapevolezza politico-ideologica che si espresse dopo il 1947/48.
Problemi di cronologia
L'esplosione del neorealismo va dal 1943 al 1949, anche se il periodo terminale degli anni trenta viene considerato come fondamentale anticipatore di questo fenomeno culturale e chi vede in esso il periodo della semina.
Il neorealismo cominciò, che con romanzi antifascisti, con lettere e quaderni scritti in carcere, con le considerazioni e le esperienze fatte in esilio e con la critica alla realtà italiana.
Il neorealismo italiano trova quindi le sue origini assai prima della guerra e della "resistenza" e va valutato sui tempi lunghi. Questa realtà è stata messa sotto gli occhi di tutti dai primi film di Rossellini e di De Sica una quindicina d'anni dopo.
Uno dei fatti più importanti di questo momento culturale fu la pubblicazione dei Quaderni del carcere, di A. Gramsci, portata a termine tra il '47 e il '51. L'Autore invitava gli intellettuali a "calarsi nella realtà del paese, dare vita ad una letteratura, ad un tessuto e ad una comunità culturali nazionalpopolari, promuovere insomma una riforma intellettuale e civile della società italiana schierandosi dalla parte delle classi subalterne. La cultura italiana doveva "rinnovarsi" stabilendo un rapporto di ispirazione e di destinazione con le masse popolari, riscattando con un impegno democratico nell'oggi "l'irresponsabilità" politica dimostrata in passato".
La gente comune sentiva la necessità di raccontare come avevno vissuto durante il fascismo e la guerra, dando spunti realisti agli autori del movimento.
Secondo alcuni autori, in particolare secondo coloro che pongono l'accento sulla valenza ideologica del neorealismo, il periodo più interessante di quest'ultimo giunge fino al 1955, anno della pubblicazione di Metello, dopo il quale si giunge ad una forma di sperimentalismo che non ha più nulla a che vedere con il movimento realista.
LE TEMATICHE
Le tematiche del Neorealismo sono: l'antifascismo; l'olocausto; la resistenza; il meridione; la miseria durante il fascismo, la guerra e il dopoguerra.
L'ANTIFASCISMO
La letteratura italiana sull’antifascismo è particolarmente vasta, come intenso è stato il movimento politico che si oppose al fascismo nel ventennio della sua permanenza al potere e poi durante la resistenza; anche per questo motivo essa è articolata come articolate sono le forze politiche antifasciste che operarono sia in Italia che in Europa e va analizzata globalmente non solo nella sua espressione più specificatamente letteraria ma anche nelle sue espressioni legate alla saggistica e alla pubblicistica politica. E’ necessario tenere presente l’opera di Croce, Gobetti, Salvemini, dei fratelli Rosselli, di Gramsci e del cattolicesimo democratico per capire il clima culturale dell’epoca di cui si nutrirono sia gli autori che operarono in Italia sia quelli che furono costretti all’esilio per motivi politici.
Dal nome dei teorici e degli storici citati si può dedurre facilmente che la letteratura italiana sull’antifascismo non ebbe un’impostazione uniforme e fu caratterizzata da un pluralismo di posizioni legato alle personali convinzioni dei singoli scrittori; si ebbero così da una parte scrittori che denunziarono le contraddizione e la miseria in cui versava il paese senza comunque aderire direttamente ad un progetto politico alternativo, dall’altra scrittori che sono in atteggiamento polemico e oscillano fra l’adesione al progetto politico e culturale del partito e il recupero della propria indipendenza e autonomia di pensiero, e infine scrittori che aderiscono pienamente alla linea politica del partito secondo quanto era stato teorizzato da Gramsci.
L'OLOCAUSTO
Nel decennio ‘45 -’55 sono stati pochi gli autori che hanno scritto sul tema dell’olocausto e della persecuzione razziale posta in essere dal nazismo e dal fascismo in Europa; diversi possono essere i motivi, non ultimo il fatto che, fino alla fine della guerra e alla liberazione della Germania e della Polonia, molti non conoscevano o non volevano conoscere la portata dei crimini compiuti nei campi di concentramento. Non è un caso infatti che i primi autori che hanno denunciato all’opinione pubblica questo fenomeno sono stati testimoni e vittime del nazismo, come Anna Frank e Primo Levi, che hanno scritto le loro opere sulla base di un’esperienza diretta e non su informazioni desunte.
A testimonianza della delicatezza del problema sta il fatto che "Se questo è un uomo", pubblicato da Primo Levi nel 1947, ebbe successo solo nel 1958 e che soltanto dopo tale data, insieme al "Diario" di Anna Frank, poté contribuire a divulgare la conoscenza e la consapevolezza delle atrocità criminali naziste che sul piano storico e documentario erano venute alla luce con l’apertura dei campi di concentramento.
Del resto anche la filmografia internazionale cominciò solo più tardi a descrivere il fenomeno; infatti la scoperta dei campi di concentramento da parte degli alleati fu un evento traumatico di tale impatto e di tale tragicità, che per qualche anno, anche sul piano politico internazionale, ci fu prudenza nell’affrontarlo in modo aperto e approfondito.
LA RESISTENZA
La resistenza è stato l’ultimo e più drammatico atto della lotta contro il fascismo e l’antifascismo in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale. In Italia l’esperienza della resistenza cominciò dopo che la caduta del fascismo (25 luglio 1943) e l’armistizio (firmato dal governo con le forze alleate l’8 settembre 1943) trasformarono le forze tedesche da alleate in forze di occupazione con la conseguente guerra civile tra le forze partigiane e i fascisti della repubblica di Salò, alleati dei tedeschi.
E’ evidente che la letteratura sulla resistenza e quella sull’antifascismo abbiano molte caratteristiche comuni, ma la prima si distingue per alcuni elementi particolari: in primo luogo, come ha scritto Calvino, c’è un forte desiderio corale di raccontare, dopo la fine della dittatura fascista, le esperienze vissute durante la guerra e l’esperienza partigiana, poi c’è un maggiore intensità nell’approfondimento dei valori umani e morali che sono stati alla base della resistenza, e infine l’espressione di una maggiore consapevolezza politica.
Anche la filmografia del neorealismo ha affrontato il problema della resistenza con opere di grande valore artistico, di cui alcune originali, come Roma città aperta e Paisà di Rossellini, e altre tratte da opere letterarie, come Uomini e no di Orsini, tratto dall’omonimo romanzo di Vittorini.
IL MERIDIONE
Il problema del meridione in Italia, di cui si erano occupati sia uomini politici, storici, e letterati, ebbe origine con la formazione stessa dello stato unitario e, fino alla Prima Guerra Mondiale, la vita politica italiana non riuscì a dargli una soluzione adeguata, mentre il fascismo, non solo non risolse le difficoltà della classe contadina del sud, ma le aggravò grazie ad una politica che favorì le classi al potere.
Le prime denunce dell’arretratezza e della miseria in cui vivono i contadini nel sud dell’Italia, vengono sia da scrittori meridionali che da scrittori settentrionali, che sono entrati in contatto con le realtà più desolate del sud e le hanno raccontate nelle loro opere.
LA MISERIA DURANTE IL FASCISMO, LA GUERRA E IL DOPOGUERRA
Tanto la filmografia che la letteratura del neorealismo hanno affrontato in molte opere il problema della miseria e delle difficili condizione delle classi disagiate; si può dire che la stragrande maggioranza dei film e delle opere letterarie, qualunque fosse la loro tematica fondamentale, hanno toccato il problema della miseria materiale e spirituale della popolazione italiana negli anni difficili del fascismo, della guerra e del dopo guerra. Ci sono stati però film e opere letterarie la cui tematica è concentrata su tale problema e in cui emerge con forza e con straordinaria efficacia artistica la denuncia della situazione aberrante in cui si trovavano la popolazione italiana ed europea.
Per quanto riguarda le opere letterarie, gli autori che maggiormente si sono interessati di questo argomento sono stati, prima della guerra, i meridionalisti che hanno denunciato le condizioni di arretratezza del sud, mentre durante e dopo la guerra sono prevalse altre tematiche, come quelle dell’antifascismo, della resistenza e della lotta politica.
Letteratura Neorealista
Per quanto riguarda la Letteratura è molto difficile indicare l'estensione del Neorealismo, infatti, il termine, mutuato dall'esperienza cinematografica, fu utilizzato retrospettivamente.
Con le esperienze letterarie non si può parlare di vere dichiarazioni di poetica neorealista, ma si deve pensare ad uno stato d'animo collettivo, a un'esigenza di impegno, a una disposizione più pratica, etico-politica che estetica. Le tendenze di fondo sono le stesse che sono state individuate nel cinema, riconducibili, soprattutto, alla fiducia di rinnovamento.
Le tematiche principali furono dettate dal bisogno di realtà, di quella realtà che le distruzioni della guerra, la resistenza, le grandi masse diventate protagoniste della storia, avevano messo in evidenza.
Una delle critiche che sono state mosse alla letteratura neorealista è stata quella di non essere riuscita a svolgere uno studio approfondito sulla complessità del reale, come aveva fatto il grande romanzo ottocentesco, ma di essersi fatta guidare nella denuncia da un intento moralistico-sentimentale.
Per ottenere cronaca e presa diretta sul reale si cercarono le forme di un linguaggio anti-letterario, che si avvicinasse il più possibile alla lingua parlata. Ma esso doveva essere il linguaggio "del popolo", avere l'immediatezza della tradizione orale e avvicinarsi alle espressioni gergali e dialettali. Nella maggioranza dei casi l'uso che si fece del dialetto fu una specie di traduzione: si tentò di trasportare nell'italiano una forma dialettale astratta, ottenuta con l'uso di particolari ritmi e con semplici citazioni dialettali.
Neorealismo Cinema
Movimento cinematografico italiano sorto all'inizio degli anni quaranta, culminante nel periodo immediatamente successivo la seconda guerra mondiale e declinante con gli anni cinquanta. Esso non può essere considerato come una vera e propria scuola cinematografica, privo com'è di manifesti, programmi e documenti fondativi, ma un atteggiamento nuovo di fronte al ruolo dello strumento-Cinema nel mondo, alimentato soprattutto dalla tragedia della guerra e dal dramma della ricostruzione. Ciò non toglie che, pur nella complessità del fenomeno, si possano individuare delle caratteristiche comuni fra le varie opere che a questa corrente vengono ascritte, in modo da dare un senso unificante all'uso del termine Neorealismo.
Alcune delle caratteristiche: un atteggiamento di rifiuto della precedente tradizione cinematografica, considerata nella sua quasi totalità come convenzionale nella forma ed artificiosa nei contenuti, lontana dalla realtà e dai suoi problemi, compromessa con la retorica mistificante del regime fascista.
Con la fine del fascismo e dopo la resistenza il cineasta non può isolarsi dalla società, ma di essa deve diventare testimone e coscienza critica, impegnato anch'egli, nei limiti delle sue possibilità, in un progetto di rinascita nazionale; estrema aderenza alla realtà contemporanea e in particolare alle sue più scottanti ed urgenti problematiche sociali e civili (disoccupazione, emarginazione di adolescenti ed anziani, miseria quotidiana dei ceti popolari, ecc..); rifiuto di scenografie artificiali e ricostruite ed utilizzo di sfondi e scenari reali, specie di esterni, prevalentemente d'ambiente popolare e proletario. Anche l'illuminazione tende al massimo di naturalezza e di rispetto del dato oggettivo; utilizzo di attori non professionisti, presi dalla strada e quasi sempre appartenenti a quegli strati sociali che dovevano rappresentare sullo schermo, in modo da ridurre al minimo la distanza fra realtà e finzione; uso del dialetto oppure, per ovvie ragioni di comprensibilità, di un italiano vicino alla lingua parlata e caratterizzato in senso regionale, assai lontano dalla lingua letteraria e neutra che era la norma nel Cinema dell'anteguerra.
A cominciare dagli anni cinquanta, anche in concomitanza con il mutato clima politico, il Neorealismo entra in crisi, o vede comunque mutare alcuni suoi connotati. Nasce il cosiddetto Neorealismo rosa o, come si disse all'epoca, volano gli stracci del Neorealismo. Il Neorealismo non sa reagire a questa involuzione, sia perché privo di una solida base teorica, sia perché i suoi rappresentanti più significativi intraprendono strade diverse, più o meno collegate con l'esperienza neorealista, alla ricerca di nuovi itinerari artistici ed ideali.
Rapporto tra cinema e letteratura
Il rapporto tra cinema e letteratura assunse caratteristiche peculiari a seconda dei diversi periodi del movimento neorealista.
Durante il decennio 1945 -1955 il rapporto tra cinema e letteratura è, a parte la trasposizione cinematografica di alcune opere letterarie, caratterizzato da opere originali cinematografiche che non fanno riferimento a romanzi o opere letterarie precedenti.
Il legame che unisce cinema e letteratura è ben più saldo e profondo ed è caratterizzato da una comune concezione dell'arte, da un medesimo sentire in un'osmosi creativa che in alcuni momenti vedrà l'attività cinematografica indirizzare quella narrativa.
Affiora però anche una problematica, quella della possibilità di rappresentare la realtà o quella relativa al modo di intendere la realtà stessa. Il rischio che si corre è quello di cadere nel naturalismo in quanto rappresenta la realtà in maniera limitata e superficiale mentre il realismo sarebbe una sintesi in cui sono concentrati i caratteri essenziali di un'epoca in tutte le sue contraddizioni.
LETTERATURA
PRIMO LEVI
Vita
Primo Levi nasce a Torino nel 1919 e ha una giovinezza di studi regolari e di vaste letture.
Anche se appartiene ad una famiglia ebraica, le leggi razziali del 1938 lo colpiscono relativamente e può continuare gli studi.
Si laurea in chimica e nel 1941, trova lavoro a Milano presso una fabbrica di medicinali.
Prende contatto con esponenti dell'antifascismo, nel 1942 entra nel Partito d'Azione e dopo la caduta del fascismo fa il partigiano in Val d'Aosta, dove nel dicembre 1943 viene catturato e deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, dove rimane dal febbraio 1944 al gennaio 1945.
Dalla sua stessa istruzione si è formata durante il periodo di leggi razziali, ha saputo trovare la forza di continuare, senza perdere la passione che lo guidava alla scoperta della vita anche dopo l'esperienza del lager.
Rientrato a Torino dopo un viaggio di circa cinque mesi che descriverà ne La tregua, Levi trova lavoro presso una fabbrica di vernice e cerca di inserirsi nella vita normale, dopo la disumana esperienza del lager; intanto scrive e nasce così Se questo è un uomo (1947) che viene rifiutato dall'Einaudi e pubblicato all'editore De Silva di Torino. Il successo, scarso all'inizio, verrà nel 1958 quando il libro uscirà nella collana dei "Saggi" di Einaudi. Incoraggiato, riprende l'attività di scrittore, pubblica La tregua (1963), La Chiave a stella (1978), Se non ora quando (1982), I sommersi e i salvati (1986) e fa attività giornalistica, partecipando a incontri e convegni.
Nelle sue opere ritornano le esperienze traumatiche del lager, cui non è forse arbitrario legare la sua tragica fine: muore suicida a Torino nel 1987.
Ma circoscrivere l'importanza di Primo Levi alla sua produzione memorialistica è errato. Ci sono almeno due testi di notevole interesse legati alla sua formazione scientifica e alla sua attività professionale nell'industria: Il sistema periodico (1975) e La chiave a stella (1978).
Ha scritto con felice sintesi Mengaldo: "Levi restò sempre diviso tra due interpretazioni della follia nazista: come episodio orribile, sì, ma circoscritto e concluso, della storia moderna, o invece come risultato conseguente delle tendenze del mondo contemporaneo, tra sviluppo vertiginoso della tecnica e vocazione totalitaria del potere, e su questa forcella continuò a interrogarsi sino all'ultimo".
Opere
Se questo è un uomo (1947),
In questo libro Levi racconta della propria permanenza nel lager nazista di Buna Morowiz dove rimane dal febbraio 1944 al gennaio 1945.
C'è una componente nel primo libro di Levi, ovvero l'impegno di testimonianza, con tutte le implicazioni che questo comporta: pietà per le vittime, ansioso ammonimento per il futuro, perché ciò che è successo una volta può succedere ancora ("Meditate che questo è stato / vi comando queste parole", si legge nell'epigrafe di Se questo è un uomo).
Vent'anni dopo, a chi gli chiedeva a quali fattori attribuisse la sua sopravvivenza al lager rispondeva: "forse mi ha aiutato anche la volontà non soltanto di sopravvivere (che era comune a molti), ma di sopravvivere allo scopo preciso di raccontare le cose a cui avevamo assistito e che avevamo sopportate".
Alla luce di questi dati, Se questo è un uomo è da considerare, assieme al Diario di Anna Frank, un testo fondamentale per capire e ricordare l'Olocausto.
La Tregua (1963),
In questo libro Levi racconta il tortuoso ritorno a casa dopo la liberazione dal campo di concentramento attraverso la Russia e l'Europa liberata.
Dopo Se questo è un uomo, La tregua (1963) appare come la riconquista, il recupero dell'individualità e della vita; al punto che s'illumina spesso di toni di colloquiale amabilità. Tuttavia Levi che rievoca questo ritorno alla vita c'è sempre un'ombra che impedisce la completa immedesimazione coi compagni e con le loro rinate speranze. C'è "la consapevolezza che si tratta appunto di una tregua e che la vergogna del passato era inestinguibile"; e c'è la spietata verità che un compagno, il Greco, gli ripete: "Guerra è sempre". Questi sono quindi i motivi che costituiscono la fisionomia de La tregua: il riconquistato senso e amore della vita e l'oscura consapevolezza che nulla potrà più essere integralmente vissuto, perché c'è stato di mezzo Auschwitz.
Storie naturali (1966 con lo pseudonimo Damiano Malaballa) che vinse il premio Bagutta,
Raccolta di racconti, contiene tematiche che si discostano da quelle abituali
Vizio di forma (1971).
Il sistema periodico (1975),
Raccolta di racconti legati al mestiere di chimico dell'autore; a ogni racconto è legato un elemento chimico.
L'opera è composta di storie ispirate ciascuna a un elemento chimico - l'idrogeno, il carbonio ecc. -, ma è nel contempo, con un amalgama di temi e di toni di notevole originalità, la rievocazione, per rapidi accenni e inserti, di un passato nostalgicamente sentito: le comunità ebraiche del vecchio Piemonte, gli amici e compagni scomparsi. Ne consegue che Il sistema periodico traccia la storia di una generazione, o almeno di coloro che seppero negarsi alla retorica del fascismo, all'infamia delle leggi razziali, alla mortificazione della dignità dell'uomo.
L'osteria di Brema (1975).
La Chiave a stella (1978)
I racconti de La chiave a stella hanno come oggetto invece le concrete esperienze di un tecnico, le consuetudini, il linguaggio - e da ciò un accentuato sperimentalismo linguistico -, i riti del cantiere e della fabbrica.
Se non ora quando (1982).
L'altrui mestiere (1985).
I sommersi e i salvati (1986).
In questo libro Levi parla delle persone che hanno vissuto, hanno aiutato a esistere i lager, o ne abbiano vissuto la realtà; portando ad esempio le industrie che creavano i forni crematori di dimensioni umane o quelle che vendevano acido cianidrico, il veleno delle camere a gas.
Dalla vocazione scientifica di questo scrittore, e dalla sua persistente volontà di capire bisogna partire per comprendere i saggi che compongono la sua ultima opera, I sommersi e i salvati (1986). Suggeriti, in parte, dalle tesi revisionistiche che a partire dagli anni Ottanta serpeggiano nella cultura tedesca, questi saggi gettano luce con inconsueta sincerità ancora un volta sull'esperienza del lager, sulla perdita di umanità degli oppressori e degli oppressi, sull'unicità di quell'esperienza. Ma vanno oltre l'esperienza individuale, pongono problemi - etici, filosofici, storiografici - di valore perenne.
LETTERATURA
ERNEST HEMINGWAY
Scrittore statunitense. Nacque il 21 luglio 1899 ad Oak Park nei pressi di Chicago da un'agiata famiglia protestante fu il secondo di sei figli. Il padre Clarence, psichiatra, ma uomo risoluto e fragile, fu la persona che più influenzò la sua adolescenza trasferendogli l'amore per la caccia e per la pesca. La madre Grace Hall, artista, donna rigida e molto forte cercò d'influenzare la vita del figlio che si ribellò, ma da lei imparò l'amore per la musica, i musei e i libri. Dal 1900 al 1913 la famiglia trascorse le vacanze nella parte settentrionale dello stato del Michigan sul lago Walloon. Là il giovane Ernest seguì il padre nelle sue visite agli ammalati della riserva indiana, e ricevette le prime violente impressioni del dolore e della morte. Studiò alla scuola secondaria di Oak Park dove si diplomò nel 1917 ed entrò come cronista al Kansas City Star. Nell'aprile 1918 partì per arruolarsi nella Croce Rossa sul fronte Italiano; nel luglio fu gravemente ferito e ricoverato in un ospedale di Milano.
Fu decorato con la Croce di Guerra Americana e la Medaglia d'Argento Italiana, nel 1919 ritornò in America.
Collaborò con alcuni giornali, ma la sua irrequietezza lo portò a muoversi per l'America. Dopo una dura lite con la madre abbandonò per sempre la casa paterna e partì per l'Europa.
Nella sua vita le donne hanno avuto un ruolo importante, anche se le sue scelte non furono quasi mai definitive. Ne sposò quattro: Harley Richarson (1921-1927), Pauline Pteifer (1927 -1940), Marta Gellhorn (1940 - 1945) e Mary Welsh (1946 - 1961).
Dal 1921 al 1927 lavorò come corrispondente di parecchi giornali; viaggiò in Francia, in Spagna, Svizzera, Italia, Germania, ma avendo sempre come base Parigi dove conobbe e frequentò Geltrude Stein, F.S. Fitzgerald ed altri scrittori ed artisti americani della cosiddetta "Generazione Perfetta", a cui non aderì, ma che gli permise di scoprire la sua vena di narratore.
Nel 1923 gli nacque il primo figlio. Nel 1924 uscì a Parigi il suo primo libro "3 racconti e 10 poesie" (Three stories and ten poems), cui seguì nell'anno successivo "Nel nostro tempo" (In our time) brevi impressioni di guerra e di corride che fu ripubblicato nel 1925 insieme a 15 racconti, dai quali emerse già il suo caratteristico stile semplice e ritmato.
Nel 1926 uscì "Il sole sorge ancora" (The sun also rises) rinominato "Fiesta", che gli diede la celebrità, ambientato a Parigi ed in Spagna esso descrive la vita sradicata e disillusa dell'ambiente cosmopolita della Rive Gauche, sul filo di una drammatica vicenda di impossibilità erotica.
Questo periodo fu segnato da due eventi drammatici la difficile nascita del secondogenito ed il suicidio del padre.
Addio alle armi" (A farewell to arms) 1929, è dedicato all'esperienza sul fonte italiano, la ritirata di Caporetto è descritta con grand'efficacia.
Nel mutato clima letterario seguito alla crisi economica del 1929 molti scrittori si pronunciarono per un'arte ed una cultura politicamente e socialmente impegnate, mentre gli sviluppi del fascismo ed il concretarsi della minaccia nazisa provocano un'accentuazione delle ideologie si sinistra. "Morte nel pomeriggio" (Death in the afternoon) del 1932, è definito il Baedeker della tauromachia (ma il saggio contiene anche numerosi spunti autobiografici e di poetica.
Nel 1933 uscì "Chi vince non prende niente" (Winner take nothing), e per la prima volta andò in Africa (da questo e da altri emozionante viaggi nascerà "Verdi colline d'Africa" [Green hill of Africa 1935]).
Partendo da esperienze dirette intervienne su vari aspetti negativi della società americana, e quello che sta maturando in Spagna lo trova attentissimo, nel 1937 pubblicò "Avere e non avere" (To have and to have not) ricco di motivi polemici contro un certo tipo di borghesia gaudente e corrotta.
Nello stesso anno partì per la Spagna come corrispondente di un giornale, e da quest'esperienza nacque il romanzo sulla guerra civile Spagnola "Per chi suona la campana" (For whom the bell tolls 1940).
Nel 1938 fece la sceneggiatura del film "La terra di Spagna" (The spanish earth), e pubblicò "La quinta colonna" (The fifth column) ed "49 racconti" (The first forty-nine stories).
Nel 1939 si trasferì a Cuba vicino all'Avana. Durante la IIa Guerra Mondiale è corrispondente con la moglie di vari fronti europei, fu tra i primi nello sbarco in Normandia ed entrò trionfale nella Parigi liberata. Per il suo coraggio fu decorato con la Bronze Star.
Nel 1950 "Al di là del fiume tra gli alberi" (Across the river and into the rees) fu accolto con freddezza, mentre nel 1952 "Il vecchio e il mare" (The old man and the sea), ebbe un gran successo.
Con questo libro nel 1953 vinse il Premio Pulitzer e nel 1954 ricevette il premio Nobel per la letteratura.
Dopo un periodo di crisi nervosa e depressioni, poiché non riusciva più a scrivere, il 2 luglio 1961 si tolse la vita. Postumi uscirono "Festa mobile" (A moveable feast), un libro di ricordi sugli anni venti parigini, ed il romanzo "Isola della corrente" (Island in the stream).
Scrittore prevalentemente autobiografico, Hemingway, concepì la letteratura come una sorta d'espansione della propria vitalità, infatti la sua decadenza di scrittore coincise con il declino fisico, ed in questo senso va probabilmente interpretata la sua drammatica decisione di togliersi la vita. La grandezza della sua arte narrativa va vista nella straordinaria facilità con cui, nei suoi momenti migliori, gli riesce d'essere espressivamente alla pari con la sua capacità di vivere e di vedere. Scrittore privo d'autentiche prospettive ideologiche, legato ad una visione immediata, violenta ed insieme estetizzante, della realtà. La sua influenza è stata assai considerevole, sia sugli scrittori statunitensi delle generazioni successive, sia, e soprattutto, su molti scrittori europei, fra i quali l'ammirazione per lui è stata tanto determinante, quanto, sproporzionata e leggendaria.
BIBLIOGRAFIA
Gran parte dei documenti e tutte le immagini sono stati presi da siti Internet.
A questi sono stati affiancati i seguenti testi ed enciclopedie:
- Encarta 2001
- Garzanti
- Proteus (Zenit Editrice)
- Enciclopedia della Letteratura de Agostin
-
ARTE
RENATO GUTTUSO
Bagheria (Palermo), 1912 - Roma, 1987
Nasce nel 1912 a Bagheria nell'entroterra Palermitano. Fin da ragazzo frequenta la bottega di un decoratore di carretti siciliani imparando l'amore ed il rispetto per la sua terra.
Nel 1930 s'iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Inizia anche a far pratica nello studio del pittore futurista Pippo Rizzo.
Espone nel 1931 un quadro alla I Quadriennale di Roma e un altro dipinto in una collettiva alla Galleria del Milione di Milano nel 1932, nel 1933 abbandona definitivamente gli studi universitari per dedicarsi all'arte.
Nel 1935 partecipa alla II Quadriennale a Roma ed incontra Manzù a Milano. Partecipa alla biennale di Venezia nel 1936.
Si stabilisce definitivamente a Roma nel '37 e nei due anni successivi dipinge "Scene mitologiche" e "La fuga dall'Etna", tiene una Personale alla Galleria della Cometa nel 1939.
Milita nel gruppo "Corrente" (sorto a Milano nel '38, caratterizzato dal rifiuto della retorica, dell'autarchia culturale del regime ed animato da spirito di ricerca) e si orienta verso una scelta espressionista che ha come punto di partenza il realismo, mentre intensifica l'attività di critico militante e di antifascista nell'ambito del Partito Comunista.
Nel 1941 dipinge "Un angolo dello studio di Via Pompeo Magno" e l'anno successivo al Premio Bergamo ottiene il secondo premio con la Crocifissione, definita blasfema a causa della Maddalena nuda ai piedi della croce, ma anche per la violenza dei contrasti cromatici e la stilizzazione delle forme d'ispirazione cubista.
Nel 1943 si allontana da Roma per ragioni politiche e si stabilisce a Quarto presso Genova dove rimane fino al 1944, anno in cui inizia lo studio per la serie di dipinti ispirati ai massacri nazisti "Gott mitt uns", (Dio è con noi) motto inciso sulle fibbie tedesche.
Nel '46 a Parigi conosce Picasso e l'anno successivo fonda con Birolli, Vedova, Morlotti e Turcato il "Fronte Nuovo delle Arti".
Nel 1948 sviluppa cicli di opere sul tema della cucitrice e della lavandaia e delle lotte proletarie.
Nei due anni successivi, a Scilla, inizia una serie di paesaggi marini, scene di pesca e dipinge "Occupazione delle terre incolte in Sicilia".
Dal 1953 al '56 si dedica alla critica di costume.
Sono del 1957 "Portella della Ginestra" e "Aranceto". Dal '58 al '61 passa dal suo periodo di ricerca cromatica a quello monocromatico, dipinge "La discussione" e "La strada".
Dipinge "Damigiane e barattoli" e "Portacenere" nel '62 e nel '63 "Ritratto di Giacomo Manzù".
Dal '66 al '67 insegna pittura all'Accademia di Belle Arti di Roma e dipinge "Ciclo autobiografico".
L'anno successivo si reca a Parigi ed esegue quadri che riflettono la situazione europea e francese.
Dal 1969 vive stabilmente a Roma, in Via Margutta con la sua compagna e modella Marta Marzotto.
Dal 1972 al '74 rappresenta "I funerali di Togliatti", "La mano di Picasso", "La Vucciria" e nel '79 "Il ratto delle Sabine".
Nel 1980 esegue "Citazione a Caravaggio" e "Donna al telefono", completa la serie "Gott mitt uns".
Nel 1982 dipinge "Strega Malinconica" e nel '83 " Citazione a Raffaello".
Muore a Roma nel 1987.
Aranceto 1957 Crocefissione 1942 Gutt mitt uns "Carretta di fucilati"
Coll. Dell'Autore 1944 Coll. Privata Roma
Marina dell'Astra 1949 Giocatori di scopone 1981 Portacenere 1962
Giovani innamorati 1968 Ritratto di Manzù 1963 La discussione 1959
(Tate Gallery London)
Nudo di Paola 1968 Portella della Ginestra 1957 Angolo dello studio di Via
Pompeo Magno 1941
CINEMA
Introduzione
I Primi germi del Neorealismo si possono trovare in alcuni film prodotti durante gli ultimi anni del fascismo e nel periodo bellico, quando la tragicità del momento spinse alcuni registi verso un certo documentarismo che metteva in luce gli aspetti quotidiani, mediocri e impoetici della vita. La minuziosa osservazione della realtà e del comportamento dell’uomo in determinate condizioni storiche e sociali, pur in un cinema molto condizionato dagli schemi ideologici del tempo e incapace di una posizione critica, divenne l’elemento di novità nella produzione italiana, dominata dalla propaganda.
Con la fine della guerra e la liberazione dal fascismo e dall’occupazione tedesca, e con l’instaurazione di uno stato libero e democratico, anche il cinema, assieme agli altri aspetti della vita politica, sociale e culturale, poté manifestarsi appieno nelle sue possibilità di rivelazione e documentazione della realtà contemporanea, fuori degli schemi che lo avevano imbrigliato per tanti anni.
Molti registi e sceneggiatori, del cinema postbellico italiano, si erano formati e avevano già lavorato nel periodo fascista, ma quel clima totalmente nuovo influì cosi tanto che, le loro nuove opere, si opposero totalmente a quelle della loro produzione precedente.
Nel campo del cinema, di un’industria che richiede un’attrezzatura tecnica, capitali ed attori, la situazione disastrata dell’economia e della finanza favorì la nascita di prodotti realizzati con pochi mezzi, poco personale, senza attori professionisti, con molta improvvisazione e molto ingegno. Il set era la realtà delle strade, gli attori non professionisti, si girava senza un piano di lavoro preciso, si usava materiale scadente. I registi dovettero fare i conti con questa situazione difficile ed elaborare uno stile di ripresa immediato, poco elaborato, quasi documentaristico, che si immergeva nella realtà della vita quotidiana, non nella finzione cinematografica; uno stile che sarà comune a tutti nel cinema di quegli anni. Ad un linguaggio puro e semplice di riproduzione della realtà quotidiana si affiancava un'autentica partecipazione degli autori alla vita quotidiana contemporanea, vissuta giorno per giorno.
Dopo la guerra tutto era distrutto e il cinema più di ogni altra cosa. Fiorivano tentativi, l’assenza di un’industria organizzata favoriva le iniziative e qualsiasi progetto andava bene. Questo stato di cose permetteva di intraprendere lavori di carattere sperimentale e i film risultavano comunque qualcosa di importante sia culturalmente sia commercialmente. Fu in questa situazione che Roberto Rossellini cominciò a girare Roma città aperta (1944), con pochissimi soldi e gli ultimi trovati a stento per il montaggio. Così Roma città aperta doveva dare origine al Neorealismo Italiano, come un film la cui produzione era stata basata principalmente sul caso, come lo erano d’altronde tutte le pellicole "alternative" di quegli anni.
Il film ci permette di definire gli ambiti di indagine del Neorealismo: la guerra e la miseria.
E’ su queste due tematiche che si muove la nuova tendenza del cinema italiano postbellico La lotta partigiana e prima ancora quella clandestina, avevano formato i nuovi quadri politici e intellettuali della nazione. La coalizione dei partiti democratici e antifascisti che creò ai primi governi dell’Italia libera, consentì un vasto dispiegamento di intellettuali nel campo della cultura, cinema compreso, che prospettavano un diverso approccio critico alla realtà, nuovi metodi di analisi e uno studio attento nei rapporti intellettuale-società, artista-potere. Attorno al cinema si venne a creare un dibattito che, toccando i problemi propri del cinema, come la produzione, si accentrò essenzialmente sul concetto di "realismo". Nell’ambito stesso del Neorealismo cinematografico le tendenze furono diverse da autore ad autore, e a volte inconciliabili, cosicché si può parlare di Neorealismo più che come movimento ideologico, come movimento "morale", legato ad un momento storico ben preciso. Sommariamente si può affermare che il Neorealismo, almeno nei suoi autori più significativi, significò registrazione del dato reale, piuttosto che critica dello stesso; ciò vuol dire che volle presentare la realtà, rivelandola senza mistificazioni, per darne una figura generica, senza manipolazioni, e superare quel dispositivo proprio del cinema che tendenzialmente interpone tra le realtà e il film tutta una serie di filtri estetici e tecnici. Si volle considerare il cinema come una "finestra aperta sul mondo", e pertanto servirsene come uno strumento di documentazione, in cui l’inevitabile finzione scenica era superata dall’immediatezza della rappresentazione, dalla sua genuinità.
Va osservato che i pochi registi e le poche opere, sia pure di grande valore artistico, non influirono su tutta la produzione quegli anni, che fu sì sperimentale e rivoluzionaria, ma che, non considerando le emblematiche opere neorealiste, proseguì abbastanza stancamente sul terreno del cinema fascista. Quantitativamente il cinema di quegli anni si basava principalmente su opere di puro consumo, che incontravano il gusto della maggioranza del pubblico, e i cui schemi usuali di stampo hollywoodiano erano semplicemente ricondotti alla realtà del momento.
E’ proprio contro questo cinema evasivo e piccolo-borghese che si porranno i migliori autori del Neorealismo, che però in molte opere non riusciranno a farlo scomparire, utilizzandolo anzi come base su cui far nascere il proprio criticismo alla realtà contemporanea.
Roberto Rossellini

Uno degli autori che con più coraggio e consequenzialità imboccarono la strada del neorealismo, proseguendola fino alle estreme conseguenze contenutistiche e formali è di sicuro Roberto Rossellini.
Egli indubbiamente ha svolto un intenso lavoro, di chiarificazione etica ed estetica del movimento neorealista, attraverso molti film che furono tra i risultati più significativi del cinema di quegli anni.
E’ il suo un atteggiamento morale nei confronti della realtà che tende a ridurre al minimo l’intervento dell’artista, come se la cinepresa dovesse essere puro strumento di registrazione del reale.
Il regista è, infatti, interessato principalmente al comportamento dell’uomo in determinate situazioni storico-sociali, e pertanto il cinema diventa solo mezzo di documentazione di quel comportamento. Delimitato l’ambiente e la vicenda a grandi linee, collocati i personaggi in un particolare momento, si limita a registrare le reazioni del personaggio per coglierne l’autenticità, senza intervenire.
In Roma, città aperta questa concezione trova i giusti toni nel rapporto tra cinema e realtà, pur essendo ancora in parte un film legato ai metodi formali tradizionali. Narra la storia di una donna del popolo (Anna Magnani), madre e prossima alle nozze con un tipografo antifascista, che viene uccisa in un rastrellamento. In questa base narrativa, però, s'intrecciano numerose altre storie parallele, quella di un militante comunista e della sua fidanzata, quella del prete (Aldo Fabrizi) che aiuta i perseguitati, quella del comandante tedesco…Rossellini compone dunque una sorta d'affresco generale della situazione della città nel quale si vanno a confondere le varie storie particolari dei personaggi; tuttavia non vi è certo un appiattimento delle esperienze singole, schiacciate dalla generale storia di Roma, anzi, si crea un perfetto equilibrio tra i due piani della narrazione.
Nelle sue parti migliori il film offre esempi straordinari del "nuovo stile" rosselliniano, che ci propone una dimensione della realtà così autentica da sembrare un documentario. Questa autenticità non rimane fissata entro gli ambienti realistici del film e nemmeno nella recitazione non "spettacolare" di attori che incarnano perfettamente i "tipi" rappresentati, ma si crea a mano a mano che la narrazione procede, quasi che la realtà nasca sullo schermo e si manifesti davanti agli occhi dello spettatore. Forse tutto questo deriva da ciò che Rossellini chiama "l’attesa", ossia quella sospensione del dramma nell’incombenza di una tragedia imminente, quella che oggi si chiamerebbe suspense. La realtà del film diventa, per assurdo, più vera del reale. Probabilmente anche il metodo del regista incide sull’autenticità. Egli costruisce i propri film scena per scena, affidandosi alle situazioni momentanee, agli umori propri e degli attori, ai luoghi e agli ambienti, cosicché la sceneggiatura diventa per lui solo un appunto di un testo narrativo che nasce dal suo intimo.
Una simile disponibilità si trasferisce sullo schermo nella facoltà di "far parlare" le immagini in termini così concreti che non ammettono dubbi.
Da un lato dunque vi è la selezione dei fatti, la scelta di certi episodi piuttosto che altri, l’abolizione di passaggi narrativi ed esplicativi; dall’altro invece il "far parlare" i fatti senza interventi esterni, senza tagli alle scene, senza forzarle entro schemi spettacolari stile Hollywood.
Roma, città aperta portò Rossellini all’attenzione della critica e del pubblico soprattutto internazionale, proprio per la "violenza" delle immagini e per quel tono dimesso in contrasto con la tradizione hollywoodiana. È a partire da questo film che si parlò di neorealismo, e la nuova etichetta venne attribuita ai film del nuovo cinema italiano, mettendo sullo stesso piano opere e autori profondamente diversi, riferendosi più che allo stile individuale, ai temi trattati, riconducibili tutti alla guerra, alla resistenza, alle miserie e alle distruzioni del dopoguerra.
Nel caso di Rossellini questo errore di valutazione determinò non poche incomprensioni da parte della critica nei confronti della sua opera, giudicata secondo canoni interpretativi che derivavano da suoi film precedenti.
Il fatto che Rossellini prenda spunto dalla realtà del momento, comporta di conseguenza la pratica dell’improvvisazione per la rappresentazione della realtà nel suo farsi, ma siamo ormai lontani dagli impegni dei primi anni; il regista porta ora avanti un'analisi personale della crisi dell’individuo.
Roma, Città' Aperta, 1944
Regia: Roberto Rossellini
Sceneggiatura: Sergio Amidei - Alberto Consiglio
Cast: Aldo Fabrizi (Don Pietro Pellegrini), Anna Magnani (Pina), Marcello Pagliero (Luigi Ferrari/Giorgio Manfredi), Maria Michi (Marina Mari), Henry Fiest (Maggiore Bergmann), Vito Annichiarico (Marcello)
Trama: Un leader comunista della resistenza e' ricercato dai tedeschi; per un po' riesce a sfuggire ma, tradito, viene catturato.
Involontariamente svelerà il nome di altri partigiani tra cui un sacerdote.
Il film ricostruisce gli ultimi giorni dell'occupazione tedesca a Roma. Rossellini per realizzare meglio il "realismo" di cui era sostenitore, portò la cinepresa nelle strade e tentò di discostarsi il più possibile da ciò che e' comunemente il cinema, in altre parole finzione, per riprodurre la verità. A sottolineare ancora di più il "vero", luoghi e protagonisti che avevano davvero vissuto la tragica esperienza dell'occupazione tedesca, e avevano partecipato alla resistenza.
E' la storia di una donna del popolo, Pina, madre di un bambino, prossima alle nozze con un tipografo antifascista, che viene uccisa durante un rastrellamento, ma questo spunto narrativo si intreccia con altre storie parallele.
La relazione di un militante comunista con la sua fidanzata, la vicenda del prete che aiuta i perseguitati, la storia dell'ufficiale disertore e quella del comandante tedesco. Queste vite si intrecciano fino a comporre un affresco in cui gli eventi di ognuno si confondono con quelli dell'intera città.
E' il senso della CORALITA' che Rossellini ricerca e teorizza.
La struttura si realizza in immagini che riescono a dare della realtà un SENSO DI AUTENTICITA' difficile da definire.
Ogni vicenda è seguita con l'occhio del protagonista che in quel momento la vive, e si incrocia con gli sguardi di tutti gli altri personaggi, di tutte le altre vicende.
Rossellini per questo film vinse il gran Premio della Giuria al Festival di Cannes del 1946. Nello stesso riceveva il Nastro d'Argento come Miglior Film, e nella stessa occasione Anna Magnani fu eletta Miglior Attrice Protagonista; per lo stesso ruolo vinse, sempre nel 1946 anche il NBR Award (National Board Review Award) negli USA. Il circolo dei critici di New York conferì al film il premio come Miglior Film Straniero.
STORIA
RESISTENZA ITALIANA
Le esperienze del Neorealismo cinematografico e letterario si sviluppano in un clima storico-culturale particolare, nel periodo della Resistenza e post-resistenziale.
Nei Paesi sconfitti militarmente e occupati dai nazifascisti costituì una seconda fase della guerra che li aveva coinvolti.
L'Italia al contrario, sotto la guida dittatoriale del fascismo era rimasta sino all'8 settembre 1943 alleata del Reich nazista di Hitler, e come tale aveva partecipato alla guerra di aggressione ed era stata a sua volta potenza occupante.
Qui la Resistenza sorse quando – caduto il regime fascista il 25 luglio 1943 e firmato dall'Italia l'8 settembre dello stesso anno, dopo irrimediabili rovesci militari, l’armistizio con gli "Alleati" – le forze politiche democratiche, che si erano ricostituite, chiamarono il popolo a raccolta per cacciare i fascisti e i tedeschi.
Questi ultimi avevano occupato in pochi giorni il Paese, disarmando e catturando, in Italia e all'estero, 700mila militari italiani, lasciati senza ordini e direttive dal re Vittorio Emanuele III, dal governo diretto dal Maresciallo Badoglio e dallo Stato Maggiore e avviandoli ai campi di concentramento in Germania.
Non si trattò, per l'Italia, di continuare una guerra perduta, bensì di cominciare una nuova guerra, una guerra di Liberazione che consentisse di cacciare i tedeschi occupanti e il loro alleato fascista, riconquistando la libertà della quale era stata privata dal fascismo e dal suo regime autoritario per oltre vent'anni.
Accanto a loro i militari che durante la guerra avevano conosciuto dal vivo la rovinosa demagogia del fascismo, giovani e giovanissimi che rifiutavano l'arruolamento nelle file del nuovo fascismo repubblicano e che, di fronte alla durezza dell'occupazione tedesca, sceglievano la via dell'opposizione e della lotta.
Il movimento fu fortemente unitario, pur mantenendo ogni forza partecipante la propria specificità e la propria visione politica.
I maggiori partiti antifascisti organizzati costituirono il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) cui venne attribuita la direzione politica e nel seno del quale i comitati militari assunsero la responsabilità dell'organizzazione delle forze che andavano raccogliendosi in città e in montagna.
I nazifascisti sin dall'inizio scardinarono centri politici e operativi, catturando, torturando membri e responsabili del movimento e con estesi rastrellamenti attaccarono in montagna i primi nuclei armati e le prime bande partigiane.
Ciò malgrado, il movimento di Resistenza si consolidò e si estese, si radicò gradualmente sul territorio, trovò consenso e sostegno in gran parte della popolazione, resse alla prova dei tanti arresti, delle torture, delle deportazioni nei Lager nazisti di sterminio, delle fucilazioni, delle rappresaglie.
Anche se si trattò di azioni sporadiche, di limitata rilevanza e votate all'insuccesso vista la sproporzione di forze e d'armamento esse furono significative d'uno stato d'animo e di una volontà che andavano estendendosi tra la popolazione, accentuandosi man mano che l'esercito tedesco, pressato dall'avanzata anglo-americana nel Sud e Centro Italia, andava ripiegando verso Nord.
Le Quattro Giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) videro una spontanea rivolta di popolo che con sacrifici ed eroismo ebbe la meglio sulle truppe tedesche e liberò la città prima dell'arrivo delle forze "Alleate". Ma fu in tutto il territorio del Centro-Nord, occupato dai tedeschi, che il movimento di Resistenza si dispiegò vanamente contrastato, con determinazione e ferocia, da nazisti e fascisti.
I nazifascisti si opposero alla Resistenza, che li minacciava con azioni di guerriglia e sabotaggi, scatenando brutalità disumane che colpirono le forze della libertà e le popolazioni civili: rappresaglie ed eccidi si moltiplicarono, vennero compiute vere e proprie stragi.
Le SS (Schutz Staffen, formazioni paramilitari naziste che al termine del conflitto, al processo di Norimberga, sarebbero state definite organizzazione criminale) si distinsero per crudeltà nell'opera di repressione antipartigiana e nella cattura e deportazione di civili.
Vaste zone vennero sottratte nella primavera-estate del 1944 all'occupazione tedesca e fascista e sorsero "Zone Libere" quali l'Ossola, Montefiorino, le Langhe, la Val Trebbia, la Carnia, Pigna, nelle quali agirono governi democratici provvisori; ma esse non poterono reggere a lungo, poiché nei loro confronti i tedeschi scatenarono offensive pesantissime costringendo i partigiani ad abbandonare paesi e vallate per ripiegare sulle montagne.
Dove li attaccarono ancora - nell'estate e nell'inverno del 1944, quando l'avanzata alleata si arrestò all'Appennino tosco-emiliano - ma senza averne ragione: già nei primi mesi del 1945 le formazioni partigiane tornarono alla piena efficienza e, ormai bene armate anche grazie ai "lanci" di armi effettuati via aerea dagli alleati e propiziati dalla presenza nelle diverse zone di "missioni" alleate, furono in grado di riprendere l'offensiva che nell'aprile 1945 andò sempre più intensificandosi e che, consentì di liberare le maggiori città del Nord prima ancora dell'arrivo della V Armata statunitense e dell'VIII Armata britannica.
Il crollo della Germania e del Giappone
A Yalta nel febbraio 1945 si discusse della Polonia; l’accordo raggiunto fu però assai vago e prevedeva la formazione di un governo costituito da antinazisti e successivamente gli elettori polacchi avrebbero dovuto decidere da soli il loro governo. In realtà accordi segreti lasciavano il via libera all’avanzata russa.
Si parlò anche della Germania e della divisione in zone d’occupazione a cui doveva seguire una completa smilitarizzazione. Si satbilì che a governarla dovesse esserci un Consiglio di Sicurezza composta da 16 membri + 5 appartenenti a Usa, Urss, Cina, Francia ed Inghilterra e le decisioni dovevano essere prese con il consenso unamine delle grandi potenze mondiali.
Mentre gli angloamericani fronteggiavano l’ultima disperata controffensiva tedesca nelle Ardenne, l’esercito russo avanzava da est. Le città tedesche furono bombardate per mesi e mentre gli angloamericani si erano stanziati come d’accordo nella linea del fine d’Elba, i russi entravano nell’ormai distrutta Berlino dove Hitler insieme ad altri gerarchi nazisti si era dato la morte all’interno del bunker della cancelleria.
In Italia veniva varcata la linea Gotica e le varie città, vennero liberate prima Bologna, poi Milano, Genova e Torino.
Mussolini in fuga verso la Svizzera venne arrestato dai partigiani e fucilato.
L’8 maggio 1945 la Germania con Donitz firmava la resa incondizionata che poneva fine alla guerra in Europa.
Il dopoguerra e la ripresa della vita politica
La liberazione italiana avvenne il 25 aprile 1945 e ripristinò la normale e piena vita democratica.
Nell’immediato dopoguerra vennero rivissute le diverse esperienze storiche: si diffuse allora il cosiddetto “Vento del Nord”, espressione coniata da Pietro Nenni leader del partito socialista, con la quale affermava il bisogno di trasformazioni economiche e sociali all’interno dello Stato Italiano.
Durante questo periodo si ha l’affermazione e la scomparsa di alcuni partiti.
Il partito comunista italiano (PCI) sostenuto da Togliatti puntava ad una trasformazione in partito popolare di massa e ad un distacco dalla tradizione bolscevica. Altro obiettivo era la creazione di una democrazia progressiva tenendo però conto dell’esperienza italiana.
Il partito socialista, allora chiamato PSIUP era tra i principali partiti dell’Italia liberale; aveva come esponenti principali Giuseppe Saragat, Pertini, Nenni e Moranti. Puntava ad un socialismo democratico e umanista distaccato dal leninismo, anche se una parte del partito pensava ad un legame con il PCI.
Il capo della democrazia cristiana (DC), appoggiata dal mondo cattolico, era De Gaspari. La Dc proponeva un programma al passo con le esigenze popolari. Il partito costituiva un punto di equilibrio nel sistema politico, una mediazione tra conservazione e progresso e un interlocutore per gli alleati occidentali.
Il partito d’azione nato dall’organizzazione di “Giustizia e Libertà” era legato alle teorie di Carlo Rosselli. Gli esponenti più importanti erano: Ugo la Malfa, Ferruccio Parri e Leo Valini. Fu molto attivo nel corso della guerra partigiana, mentre adesso cercava di trovare consensi tra il tra il ceto medio e le classi popolari.
Il partito repubblicano (PRI) similmente al partito d’azione, voleva proporre un rinnovamento morale politico e sociale. Essendo antimonarchico non aveva preso parte al governo Bonomi, né al movimento di liberazione nazionale, ma era stato presente nella lotta contro il fascismo. Adesso con l’avvicinarsi della scelta tra Monarchia e Repubblica tornava ad essere un partito di rilievo.
Il partito liberale (PLI) ebbe come presidente Benedetto Croce. La sua forza stava nel legame con esponenti dell’imprenditoria italiana e nell’adesione di autorevoli personalità politiche ed intellettuali.
Per un breve periodo importante fu pure l’UOMO QUALUNQUE fondato da Giannini. Alla base del programma vi era un avversione verso l’invadenza della burocrazia statale e l’esosità delle tasse ma anche verso la corruzione degli uomini politici che aveva ormai stancato la piccola media borghesia. Si sentiva il bisogno di stabilità; il motto di questo partito era “Si stava meglio quando si stava peggio” facendo nostalgici riferimenti al periodo fascista.
Ferruccio Parri fu designato dal CNL come successore del governo Bonomi. In questo nuovo governo troviamo Nenni nella veste di vicepresidente, De Gaspari come ministro degli esteri e Togliatti come ministro della giustizia. I partiti della sinistra e la Dc si trovarono subito in disaccordo e poco interessati a mantenere le alleanze fatte pretendevano la propria autonomia di iniziativa politica.
Un ulteriore motivo di instabilità era dato dal movimento separatista siciliano guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e dal “braccio armato” Evis (esercito volontario indipendenza siciliana). Questi cercarono di rendere la Sicilia indipendente fino a quando nell’ottobre ‘45 Parri si decise ad inviare l’esercito nazionale in Sicilia.
Dal punto di vista politico, Parri procedette ad un epurazione del personale amministrativo compromesso con il fascismo puntando, con la nomina di prefetti “politici” e non di carriera”, alla formazione di una burocrazia nuova espressione delle forze antifasciste.
Sul piano economico mise pesantissime tasse sul patrimonio e per far uscire allo scoperto, capitali accantonati durante la guerra, propose la sostituzione della moneta con una nuova valuta.
I suoi progetti economici e politici non piacquero ai liberali e alla Dc i quali uscirono definitivamente dall’alleanza e costrinsero Parri alle dimissioni il 24 novembre 1945.
La guida del nuovo governo fu assunta da De Gaspari; tutte le riforme fatte da Parri furono abolite e ripristinata la normalità. All’Assemblea costituente che si sarebbe dovuta eleggere poco dopo, non fu concesso il potere legislativo così da lasciar maggiore margine di manovra al potere esecutivo. Alle elezioni del 2 giugno ’46 per la scelta dei rappresentanti dell’Assemblea Costituente, la Dc con il 35% dei voti si affermò come prima forza politica. Il partito d’azione ebbe appena 1.5% e si sciolse. Il successo della Dc veniva bilanciato da una presenza assai consistente delle forze della sinistra.
Il 2 giugno gli italiani e per la prima volta pure le italiane, furono chiamate a decidere pure tra Repubblica o Monarchia. Con il 52% dei voti, passo la Repubblica anche se il minimo margine della vittoria faceva capire che nonostante gli errori gli italiani erano ancora legati alla monarchia.
La nascita della Repubblica
Capo dello Stato provvisorio fu nominato E. De Nicola e nel luglio 1946 De Gasperi formò un governo sostenuto da Dc, Psiup, Pci, Pri.
Nel frattempo questo governo di coalizione affrontò le questioni relative alla conclusione del trattato di pace. La conclusione della guerra, con la cobelligeranza, la guerra partigiana, consentirono all’Italia di avere un trattato meno pesante rispetto a quello tedesco.
Inoltre l’Italia sarebbe stata supportata dagli anglo – americani, vista la tendenza a favorire le democrazie occidentali.
Dopo piccole rettifiche a favore della Francia, l’Italia perse i propri possedimenti coloniali: l’Etiopia era già indipendente dal 1941, Rodi e il Dodecanneso furono cedute alla Grecia; mentre per quanto riguarda la Libia, la Somalia e l’Eritrea sarebbero diventate indipendenti più tardi grazie all’intervento delle Nazioni Unite.
Il problema più importante durante i trattati di pace riguardò la Jugoslavia uscita “vittoriosa” del conflitto. Le truppe partigiane di Tito avevano occupato Trieste ma dopo l’arrivo degli anglo-americani avevano lasciato la città. Solo dopo lunghe ore di trattative, alla Jugoslavia furono cedute Zara, Fiume e l’Istria mentre Trieste fu divisa in due zone: la zona A d’influenza anglo-americana, la zona B sotto influenza jugoslava.
Il trattato fu firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. Nel frattempo in Italia dal Psiup si allontanavano due grandi leader: Saragat e Matteo Matteotti, i quali non tolleravano un legame così stretto con il Pci. Essi formarono successivamente con la “scissione di palazzo Barberini” il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) divenuto poi Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) offrendo così alla Dc la possibilità di nuove alleanze politiche.
Con il 1947, durante il periodo della “dottrina Truman” vennero allontanati dal governo francese e da quello italiano tutti i partiti comunisti.
Il 22 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente approvò la nuova costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Il Parlamento è organizzato in Camera e Senato (perla della Costituzione italiana).
All’interno della Costituzione formata da 139 articoli, uno dei più importanti è quello che riguarda i patti Lateranensi a proposito di questo vi furono delle contestazioni perché secondo alcuni, questo articolo privava la libera scelta della fede.
Con le elezioni del 1948, la Dc ottenne la maggioranza assoluta dei voti, e le elezioni per il primo parlamento della Repubblica si svolsero in un clima rigido dovuto alla guerra fredda.
PCI e PSI decisero di unirsi nel Fronte Democratico Popolare per la Libertà.
La Dc venne approvata dal Papa Pio XII e dall’azione cattolica e ottenne il 48.5% dei voti, mentre il Fronte circa il 31%. Ebbe successo anche il partito di Saragat, infatti ottenne il 7.1% dei voti. In queste elezioni si elesse pure il primo Presidente della Repubblica: Luigi Einaudi.
Subito dopo De Gaspari formò un nuovo governo basato sull’alleanza quadripartita: Dc, Psdi, Pri, Pli. De Gaspari aveva infatti deciso di non rinchiudersi nella propria maggioranza assoluta, e di aprirsi anche alle cosiddette “forze laiche” minori . Nel frattempo nel luglio 1948 falliva l’attentato organizzato da un giovane di destra, di Palmiro Togliatti, leader del Pci. L’attentato fu il pretesto per provocare una serie di scioperi dovute in verità alla scarsa sicurezza e stabilità economica.
La ricostruzione economica
La guerra aveva causato danni non indifferenti all’apparato produttivo del Paese. Le varie circostanze avevano portato ad un abbassamento della produzione industriale di quasi il 70% rispetto al 1939. La capacità produttiva era di fatto diminuita e l’enorme aumento della circolazione di moneta portò in Italia un’inflazione senza precedenti. Fortunatamente già nel 1945 il governo aveva la situazione sotto controllo grazie anche agli aiuti alleati (UNRRA).
Restava l’incognita su come intraprendere la ricostruzione economica. Da una parte si faceva affidamento all’imprenditorialità privata; altri credevano fosse necessario l’aiuto dello Stato per recuperare il gap economico.
Caduto insieme al governo Parri la possibilità di un cambio di valuta e di eccessive tassazioni; apparve chiaro che la direzione pubblica dello sviluppo economico doveva essere accantonata.
Un forte aiuto nella ricostruzione, venne dato dal PIANO MARSHALL (1470 milioni di dollari in 4 anni).
Nel 1947 con la nascita del IV governo De Gaspari, Luigi Einaudi venne nominato ministro del bilancio. Egli attuò una politica deflazionista attenta ala spesa pubblica e ai salari. L’inflazione diminuì velocemente e nuovi investimenti diedero fiducia all’Italia.
Con la firma del PATTO ATLANTICO e con l’adesione alla CECA, l’Italia entrava a far parte del circuito espansivo delle economie occidentali.
La liberalizzazione degli scambi unita ad una riduzione del 10% dei dazi doganali, non determinò il tracollo del sistema industriale italiano che invece rinvigorito dalla concorrenza, pose le basi per il boom economico degli anni 50.
Se considerata agli altri Paesi occidentali, l’Italia risultava ancora troppo povera e con enormi squilibri tra nord e sud. Il reddito dell’Italia del nord infatti, era pari al 76% del reddito nazionale, ciò probabilmente era dovuto alla mancanza di industrie nel sud e alla conseguente occupazione nel settore agricolo.
Bisognava “Industrializzare” il mezzogiorno; nacque a tal fine la SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo e il Progresso Industriale del Mezzogiorno). Questa associazione proponeva delle condizioni atte a favorire lo sviluppo delle attività esistenti e di nuove attività necessarie per lo sviluppo industriale del mezzogiorno.
Il centrismo
Dopo il fallimento dell’attentato a Togliatti, avvenne la rottura dell’unità sindacale e dalla CGIL (di ispirazione comunista) si staccarono la CSIL e la UIL che rappresentavano rispettivamente la componente cattolica e quella socialdemocratica repubblicana.
A causa dell’influenza delle componenti di destra, De Gaspari volle formare un alleanza quadripartita centrista.
In questo periodo si videro realizzate le riforme agrarie (legge Sila e legge Stralcio) le quali prevedevano l’espropriazione delle grandi proprietà latifondiste per la costituzione di unita poderali di 10 ettari ciascuno sufficienti al mantenimento di una famiglia di agricoltori.
Si formò pure la Cassa del Mezzogiorno che, con opportuni finanziamenti statali, assunse compiti di bonifica, costruzione di infrastrutture, strade, ecc. e che successivamente si estese al settore industriale con il proposito di portare sviluppo nel mezzogiorno. La riforma agraria portò l’uscita dei liberali dal governo, che non erano d’accordo con la riforma.
Crisi del centrismo e miracolo economico
Dopo il rifiuto al suo governo, De Gaspari si ritira a vita privata; quel governo “monocolore” (composto cioè da soli democristiani) non soddisfava le esigenze italiane della II legislatura repubblicana e segnò la fine della sua carriera politica. De Gaspari morirà un anno dopo (agosto 1954).
Fu quindi un altro democristiano a succedergli, Giuseppe Pella, ma sempre alla guida di un monocolore; questi si trovò ad affrontare la crisi sulla questione di Trieste: la zona B apparteneva sempre alla Jugoslavia, mentre la zona A, appartenente agli Anglo-Americani, doveva essere restituita all’Italia nel 1948, ma così non era avvenuto. Tito minacciò subito ritorsioni nel caso di un eventuale ingresso italiano nella zona A e Pella inviò alcune truppe sulla frontiera di Gorizia.
Alla fine, si raggiunse un accordo, poi ratificato nell’ottobre del 1954: l’Italia avrebbe avuto la restituzione della zona A, ma avrebbe definitivamente rinunciato alla zona B. Il governo Pella, però, finì con il cadere, in quanto la forze di centro e quelle di sinistra, guidate rispettivamente da Mario Scelba e Amintore Fanfani, vi si opposero con determinazione.
Dopo un vano tentativo di Fanfani di ottenere la fiducia, fu Scelba a formare il nuovo governo, sulla base di un alleanza Tripartita DC, Psdi, Pli, attribuendo la vicepresidenza a Saragat e cercando di riprendere il disegno degasperiano.
Nel dicembre 1954 veniva presentato un piano decennale di sviluppo ed incremento economico, detto “piano Vanoni”, dal nome del ministro democristiano Ezio Vanoni: lo Stato s’impegnava a creare 4 milioni di posti di lavoro. Apparso troppo pretenzioso e vincolante agli occhi dei liberali, il piano, benché approvato dal Parlamento, rimase privo di ogni concreta efficacia.
Letteratura Pag. 10
Hemingway Pag. 13
Arte Pag. 15
Cinema Pag. 21
Storia Pag. 28

Esempio