Materie: | Tesina |
Categoria: | Multidisciplinare |
Voto: | 1 (2) |
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Data: | 01.12.2004 |
Numero di pagine: | 35 |
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Testo
Tesina multidisciplinare
- Il fenomeno delle contestazioni degli anni ’60 -
Indice
STORIA: Kennedy& la guerra fredda, il Vietnam,Primavera di Praga, il 68'....
STORIA DELL'ARTE: Pop Art (espressione artistica di quegli anni)
PANORAMA MUSICALE
LETTERATURA ITALIANA: Moravia&Pasolini
FILOSOFIA: Esistenzialismo
LETTERATURA INGLESE: Jack Kerouak(padre della beat generation)
LETTERATURA LATINA: Contestazione trattata nel De Bellum Catilinae di Sallustio
DISAGIO GIOVANILE NEGLI ANNI 60’: Letteratura&Musica
Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni 60’ la cultura è stata fortemente influenzata da fenomeni di costume che ne hanno caratterizzato le svolte nei vari settori, dal letterario al musicale, al figurativo, al teatrale.Alla base di questi fenomeni possiamo individuare una tendenza generale: la contestazione. La cultura della contestazione ha interessato soprattutto il mondo giovanile, manifestandosi sia in America sia in Europa con atteggiamenti ribellistici, provocatori, anticonformistici e trasgressivi. All’origine della rabbia giovanile stava la contestazione del sistema borghese capitalistico, l’ansia per un futuro su cui pesava il pericolo di una guerra atomica e il violento scontro generazionale. Essi rifiutavano la loro società, accusata di appiattire l’uomo, dequalificare l’intellettuale e mercificare tutto, anche l’arte e il pensiero. Un fenomeno europeo di protesta giovanile è stato quello dei ”giovani arrabbiati” (Angry Young Men). Nasceva nel 1957 in Inghilterra ed era animato da uno spirito trasgressivo nei confronti della morale tradizionale e del conservatorismo della società inglese. Attraverso la drammaturgia e la narrativa, questi giovani aggredivano il reale, presentandolo nella sua forma più bassa e frustrante usando un linguaggio basato sullo slang, in altre parole termini gergali e dialettali. Un similare fenomeno di protesta socio-esistenziale, è stato quello della “beat generation”, sviluppatosi in America fra la metà degli anni 50’ e 60’, con forti concentrazioni a San Francisco e a New York; in esso interagiscono fattori psicologici, di costume e di moda, e prese di posizione morali, intellettuali ed artistiche. La società americana, di questo periodo, è percorsa da mille contraddizioni che finiscono per bloccarla in un immobilismo senza avvenire e senza speranza. Infatti, da un verso gli USA, che hanno combattuto in difesa della democrazia contro le barbarie naziste, sono considerati da molti il simbolo dalla libertà e della giustizia; dall’altro vivono sotto l’incubo della guerra fredda, costantemente minacciati dal rischio di un conflitto nucleare. Inoltre, la paura del comunismo, scatena una vera e propria persecuzione nei confronti di tutti coloro, in particolare intellettuali e artisti, che hanno manifestato o manifestano simpatie per la sinistra (la cosiddetta “caccia alle streghe” orchestrata dal senatore McCarthy). Tutto ciò crea un clima pesante, che fa vacillare l’immagine del paese, da sempre considerato la culla della libertà. Sul piano dei costumi, per un verso si assiste al dilagare del consumismo, nel quale sembra essersi incarnata la promessa di felicità, garantita dal primo articolo dalla Costituzione, per altro persistono modelli di vita conformistici che bandiscono, come attività pericolose e immorali, il ballo, le relazioni sessuali e le corse in motocicletta. I giovani della beat generation non si riconoscono in questo tipo di società ed esprimono il loro rifiuto con un atteggiamento nel quale confluiscono spinte diverse: ribellione, manifestata attraverso la scelta di un’esistenza vagabonda sulle strade e sui treni d’America e attraverso la libertà sessuale, rinunzia, voglia di una vita sfrenata e senza regole, esigenza d’autenticità e onestà in qualsiasi tipo di rapporto, vita comunitaria ecc. Essi, infatti, ritengono che solo rifiutando in blocco la civiltà moderna sia possibile salvare l’uomo com’essere umano; scaturisce da qui quella che essi chiamano “disaffilazione”, in altre parole un totale e consapevole estraniamento dalla società. Si tratta di un atteggiamento volutamente passivo, che non si propone di abbattere le istituzioni per stabilirne altre più consone alle esigenze dell’uomo, ma contrappone, alla falsità della società borghese, la chiusura in un proprio mondo solitario, del quale fanno parte solo coloro che condividono gli stessi ideali. Ciò significa che mancava alla beat generation quello spirito eversivo proprio delle avanguardie storiche. Dietro i loro atteggiamenti provocatori, non c’era la volontà ideologica di cambiare il sociale, ma solo il distacco e la fuga dai modelli societari. A tutto ciò essi reagivano con “l’assenza, ” una particolare categoria dello spirito, in cui coesisteva la fuga, il viaggio e il nomadismo. I beatnik, com’essi amano definirsi, basavano inoltre la loro esistenza su una socialità e moralità naturali, non regolate da leggi, e su un’assoluta onestà e franchezza; sono pacifisti, non hanno alcun interesse per il denaro, fanno uso di droghe e amano la musica jazz. Tutti questi atteggiamenti, trovano proprio piena espressione nel termine beat, che ha in inglese il significato di “battuto” e al tempo stesso di “beato”. Vuole, cioè, esprimere da un lato il rifiuto volontario di una società, nei confronti della quale ci si sente necessariamente sconfitti e dall’altro la felicità che da quest’atteggiamento ne deriva. La protesta beat investiva in primo piano il comportamento e l’abbigliamento. Il linguaggio era aperto e libero, non privo di termini volutamente osceni. L’abbigliamento era dichiaratamente anticonvenzionale, basato su jeans e maglioni sdruciti, scarpe da tennis o di corda, occhiali scuri e medaglioni attorno al collo; la capigliatura tendeva a coprire le orecchie. Perciò si fabbricavano medaglioni, pendagli, abbigliamento. Venivano costruite discoteche e luoghi di ritrovo beat. Ciò creava un’ulteriore differenza con le avanguardie storiche, poiché mentre esse creavano una netta lacerazione con la società e la storia, il movimento beat apriva sempre più le porte al consumismo contemporaneo. Dunque, il sospetto e il rifiuto, di fronte ad una civiltà impregnata di razionalismo, sfociava nell’interesse per le filosofie mistiche orientali, soprattutto per il buddismo zen.
Il pensiero buddista sorse verso la fine del VI secolo a.C. Non costituì, all’origine, un complesso organico di particolari verità rivelate, e quindi di dogmi, né si presentò come una religione particolare contrapposta alle altre.Secondo il suo insegnamento, la verità è universale e a-temporale, al di sopra dei singoli insegnamenti.La legge buddista è l’ordine delle cose. Le cose stesse sono dei dharma, giacché “fissati” secondo questa legge. Il punto di partenza della riflessione Buddista è la constatazione della presa del dolore nel mondo: la vita è dolore. L’esistenza della sofferenza può essere considerata come la diagnosi del male. Essa è la prima, delle quattro sante verità, in cui si riassume la dottrina buddistica. Seguono l’origine del dolore, l’eliminazione del dolore e il cammino che conduce all’eliminazione del dolore. Quest’ultima è a sua volta divisa in otto tappe “perfette”. L’esistenza del mondo è spiegata come una relazione di cause (“coproduzione condizionata”), non esiste quindi una divinità creatrice. All’origine della sofferenza vi sono le passioni e il desiderio. Per raggiungere il Nirvana è quindi necessario rendersi conto di tutto ciò ed eliminare ogni legame causale. Lo Zen rappresenta un ramo del buddismo, esso nacque in Cina nel 520, per merito del monaco indiano Bodhidharma. Noto al pubblico occidentale, soprattutto grazie alla pubblicazione in lingua inglese dei Saggi sul buddismo Zen dello studioso giapponese Deisetz Suzuki, alla fine della seconda guerra mondiale, lo zen suscitò in Europa e negli Stati Uniti l’interesse d’artisti, filosofi e psicologi, affascinati dalla suggestività della sua pittura e della sua scultura, e dalla profondità di un pensiero in cui venivano individuate presunte connessioni con alcune correnti della filosofia contemporanea (Schopenhauer). La dottrina della filosofia Zen consiste nella constatazione, che le cose di cui l’uomo fa esperienza, non possono essere classificate per mezzo di dati empirici forniti dalla percezione, poiché sono dotate di una realtà propria, più profonda e universale. Il mondo deve, dunque, essere colto nella sua essenza, in uno stato di “non mente” che lasci scorrere i pensieri senza conservarne traccia. A differenza delle altre scuole buddiste, lo zen sostiene che questo stato, irraggiungibile attraverso le pratiche rituali e devozionali, è il frutto di una riflessione diretta e immediata, che sottrae alle parole e alle azioni qualsiasi significato simbolico e rappresentativo, impedendo che nella mente si generi una qualsiasi forma di pensiero autonomo. Il pensiero zen intende liberare la mente dai pericoli insiti in ogni processo d’elaborazione concettuale, limitandosi a cogliere con distacco le forme della realtà esterna. D’altro canto, sul piano letterario, il movimento è stato tipologizzato in alcune opere del tempo, che sono diventate una sorta di Vangelo per i giovani beat: “Il giovane Holden”, di Salinger, ove si descrive, con viva adesione al mondo giovanile e al suo gergo (slang), il senso di disagio e d’angoscia che caratterizzava le generazioni a contatto con la civiltà consumistica, schiavizzata dal mito del denaro e del benessere. Kerouac, in particolare, è l’autore di quella che può essere definita la bibbia dei beatnik, il romanzo “Sulla Strada”, scritto nel 1951 e pubblicato nel 1957. N’è protagonista Sal Paradise, il quale narra i suoi viaggi attraverso l’America del nord, negli anni 47-50, e i suoi incontri con Karl Marx e Dean Moriarty. I tre personaggi sono personificazioni rispettivamente di Jack Kerouac, Allan Ginsberg e Neal Cassady. Nel corso dei loro viaggi, compiuti coi mezzi più disparati, i tre giovani ricercano tutti i piaceri che la vita può dar loro, da quelli intellettuali alle visioni stimolate dell’alcol e dalla droga, alle eccitazioni provocate dalla velocità nella guida e dalla musica jazz, al godimento sessuale volto a colmare un profondo bisogno d’affetto. Al tempo stesso, però, acquisiscono anche l’esperienza della vita vissuta dai vagabondi, dai poveri, dagli emarginati dalla società e ne traggono un profondo senso di compassione e solidarietà. Il romanzo si conclude con il ritorno alla tristezza del vivere quotidiano. Sul piano cinematografico, la figura del giovane ribelle, sensibile e infelice è stata incarnata da attori quali James Dean, protagonista di “Gioventù bruciata” e da Marlon Brando nel film “Il selvaggio”, divenuti entrambi simboli della rivolta giovanile contro un mondo adulto visto come fonte di noia, di sottomissione e viltà.
STORIA: A pesare ulteriormente, su questa condizione giovanile, fu la scena mondiale di quegli anni. Generalmente, nei paesi occidentali, quel periodo è spesso ricordato come un decennio felice, un momento di grande sviluppo economico, civile e di grandi ideali. Sulla scena internazionale, gli anni 60’ furono dominati dalla consolidata coesistenza tra gli USA e l’Unione Sovietica, la quale generò il cosiddetto “equilibrio del terrore”, poiché tale condizione si fondava sulla consapevolezza, da una parte e dall’altra, di non poter prevalere sull’avversario, senza mettere a repentaglio la propria sopravvivenza e quella dell’umanità, e sull’equilibrio degli armamenti nucleari. Numerosi, si rivelano, gli eventi importanti che caratterizzarono questo decennio, dalle vicende dei Kennedy alla guerra del Vietnam, alle rivolte giovanili e operaie del 68’. Infatti, nel novembre del 60’ salì alla presidenza degli USA J.F. Kennedy (democratico), il quale proveniva da una ricca famiglia di origine irlandese e divenne a soli 44 anni il più giovane presidente americano. Appoggiato da gran consenso e da gruppi di intellettuali, Kennedy cercò di continuare la politica progressista di Wilson e Roosvelt. Tante furono, in politica interna, le riforme applicate da Kennedy per aumentare la spesa pubblica, soprattutto per ciò che riguardava le esplorazioni spaziali, programmi sociali, e tentativi di integrazione razziale. La politica esterna, invece, fu caratterizzata da una linea ambivalente, assunta da Kennedy, tra quella pacifista, propensa alla distensione con l’est ed una che salvaguardava gli interessi degli USA. Nel giugno del 61’, a Vienna, ci fu il primo incontro tra Kennedy e Kruscev, che non ebbe tuttavia gli esiti sperati; infatti, gli USA riconfermarono il loro appoggio a Berlino Ovest e i sovietici in risposta alzarono un muro (di Berlino) per evitare fughe (all’epoca molto diffuse dall’una all’altra parte). Ma, in questo periodo, il momento più drammatico si ebbe in America Latina, quando Kennedy (all’inizio della sua presidenza), tentò di reprimere il regime socialista di Cuba, appoggiando vari gruppi di esuli anti-castristi; questo tentativo si attuò nel 61’, nella “Baia dei Porci”, ma si risolse comunque in un fallimento. L’Unione Sovietica reagì installando, nella stessa Cuba, delle basi di lancio per missili nucleari. Quando le basi furono scoperte dagli americani, fu immediatamente ordinato un blocco navale intorno Cuba, in modo da evitare che navi sovietiche raggiungessero l’isola. Per pochi giorni la situazione si fece molto tesa, fino a quando Kruscev cedette, acconsentendo allo smantellamento delle basi missilistiche, a patto che gli USA si astenessero da azioni militari contro essa. Questa vicenda, contribuì a creare una fase di distensione, tanto che nel 63’ USA&URSS firmarono un trattato che sanciva la messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera. In questi anni, dunque, si accentuò il tono pacifista, e l’antagonismo tra USA e URSS divenne chiave di competizione economica tra i due paesi. Tuttavia, nonostante la sfida lanciata da Kruscev verso i paesi capitalistici, il leader sovietico venne smentito dall’andamento negativo dell’economia del suo paese e fu dimesso. Poco tempo dopo, scomparve anche l’altro importante protagonista di quegli anni, Kennedy, il quale fu assassinato nel Texas a Dallas, da mandanti politici ancora oggi sconosciuti; stessa sorte toccò al fratello R. Kennedy e al pastore di colore Martin Luther King (leader del movimento anti-segregazionalista). Il successore di Kennedy, fu Lynday Johnson, che, nonostante lo sviluppo di molti progetti di legislazione sociale, commise l’errore di legare il proprio nome alla sfortunata, quanto impopolare, missione in Vietnam. Quest’episodio, che si protrasse per oltre 10 anni, tra il 64-75’, rappresenta il momento di scontro più acuto tra Usa e mondo comunista, allora scisso tra Cina e Urss, ma comunque unito per quanto riguarda i sostegni bellici ed economici verso le forze antiimperialistiche. In base agli accordi di Ginevra (54’), il Vietnam era diviso in due repubbliche, nord comunista e sud semidittatoriale appoggiato dagli Usa, che cercava di sminuire l’influenza francese in Vietnam. La situazione politica del Vietnam del Sud, suscitò forti movimenti di guerriglie (VIETCONG), guidate da comunisti e sostenute dal Vietnam del nord. Gli Usa, preoccupati da un’Indocina completamente comunista, decisero di intervenire, mandando truppe di “consiglieri militari”, costituite da circa 300mila uomini. Nel 65’ ebbero inizio i primi bombardamenti contro il Vietnam del Nord; nonostante la consistenza delle truppe americane, queste ultime non riuscirono comunque a predominare nella lotta, considerando soprattutto che i vietcong godevano dell’appoggio delle masse contadine, della repubblica nord vietnamita, della Cina e della Russia. L’esercito americano si trovò in chiara difficoltà, non solo dal punto di vista tecnico e bellico, ma anche da quello morale. L’opinione pubblica dipingeva questo conflitto come “la sporca guerra”, decisamente non coerente con la tradizione democratica degli Usa. Ci furono manifestazioni di protesta, soprattutto tra i giovani, che spesso si rifiutavano di indossare le divise militari e di scendere in guerra. Intanto, nel conflitto, la situazione degli Usa si faceva sempre più complicata, le truppe dei vietcong avanzavano sempre più, fino a colpire la capitale del Sud-Vetnam; a quel punto, il presidente Johnson ordinò la sospensione di bombardamenti e in seguito decise di non presentarsi nelle successive elezioni. Il successore Nixon avviò dei negoziati col Vietnam del nord e col governo rivoluzionario provvisorio (espressione politica dei vietcong). Solo nel 73’, a Parigi, fu firmato l’armistizio che prevedeva un graduale ritiro delle truppe americane dall’Indocina. Intanto gli scontri perdurarono per altri due anni, fino a quando la totale assenza di forza americane riuscì a garantire l’affermazione di un’Indocina comunista. Fu la prima sconfitta nella storia degli USA. Altro importante evento di questi anni, che veniva delineandosi, fu il contrasto, sempre più grave, tra le due maggiori potenze comuniste: URSS&Cina (mentre l’Urss voleva mantenere l’ordine mondiale “Bipolare” e voleva conservare il ruolo di stato guida del mondo comunista, la Cina di Mao-Tse-Tung, contestava gli equilibri internazionali e voleva proporsi come guida per i paesi in via di sviluppo nella lotta all’imperialismo). Agli inizi del 60’, il contesto economico cinese non era dei miglior,i soprattutto per la scarsa produzione agricola; per tale ragione fu applicata una nuova strategia: il ”grande balzo in avanti” (che si basava su un gigantesco sforzo collettivo). L’esperimento, tuttavia, fu un fallimento e costrinse la Cina a massicce importazioni dall’estero di cereali. Intanto, i rapporti diplomatici con l’Urss si facevano sempre più difficili e il contrasto divenne ormai esplicito quando quest’ultima, tra il 59-60’, ritirò i propri tecnici, impegnati nell’industria pesante cinese, e rifiutò qualsiasi assistenza alla Cina in campo nucleare. Le due nazioni si scambiarono varie accuse e furono addirittura ridiscussi i loro confini. Queste convergenze sfociarono in piccoli scontri armati lungo il fiume Ussuri. In seguito, anche la situazione interna della Cina peggiorò, infatti, i disordini e il dissesto economico, determinati dal “grande balzo in avanti”, avevano portato, in qualche modo, all’ascesa dei moderati del gruppo dirigente cinese; tuttavia, Mao, mise in atto una forma di lotta inedita per un regime comunista, cioè mobilitare le generazioni più giovani, in particolare studenti, contro le classi dirigenti accusandole di voler costituire una nuova via capitalistica. Iniziò così, tra il 66’-68’, la cosiddetta “rivoluzione culturale”, ovvero una rivolta giovanile, apparentemente spontanea, ma, in realtà, orchestrata dall’alto. Si formarono gruppi di guardie rosse(costituite fondamentalmente da giovani) che, attraverso contestazioni e proteste, determinarono un radicale cambiamento nella società e nella mentalità collettiva. Raggiunto il proprio scopo, Mao riuscì a porre a freno il movimento (rivoluzione culturale) e a stabilire l’ordine. Nel 70’, grazie a Cha-En-Lai, si ebbe un processo di normalizzazione anche sul campo internazionale, la Cina, infatti, si trovava in condizioni di isolamento, e considerando i pessimi rapporti con l’Urss, si avvicinò agli Usa entrando a far parte dell’ONU. Intanto in Russia, in seguito all’allontanamento di Kruscev, l’Unione Sovietica fu sostenuta da una direzione collegiale, nella quale emerse il segretario dal P.C.U.S. LEONID BREZNED. Con lui si cambiò radicalmente lo stile della politica Krusceviana (meno iniziative clamorose, meno dichiarazioni ottimistiche), anche se sostanzialmente rimase invariata. Furono accentuate le misure di sicurezza contro i dissenzienti, in particolar modo, intellettuali, spesso raggiungendo dei modi alquanto dubbi, anche se, tuttavia, lontani dalla brutalità dei tempi di Stalin. I rapporti con la Cina si mantennero statici, anche se, in campo estero, fu applicata una più decisa politica di riarmo, che fece sentire i suoi effetti sul bilancio statale. In particolar modo, i dirigenti Sovietici, si mostrarono intransigenti verso l’ampio e interessante esperimento di liberalizzazione della Cecoslovacchia, nel 68’, che culminò nella cosiddetta “Primavera di Praga”. Gli eventi ebbero inizio nel Gennaio del 68’, quando Dubcek sostituì Novatny nella carica di primo segretario del partito comunista cecoslovacco. Dubcek, era in realtà leader dell’ala innovatrice che, con l’appoggio entusiastico di studenti, intellettuali e operai, introdusse nel sistema socialista, elementi di pluralismo economico e politico. Egli annunciò, in un primo momento, la soppressione della censura, in seguito fece emergere la volontà, sia di riformare radicalmente l’economia del paese, abbandonando il centralismo e l’industrializzazione presente, sia di espandere la libertà, fino a favorire un’articolazione pluralista del sistema politico. Questo nuovo orientamento fu definito “socialismo dal volto umano”. Questo processo di liberalizzazione, a cui contribuirono in particolar modo gli intellettuali, preoccupò i dirigenti sovietici, che intravidero nella “Primavera di Praga” una minaccia per il regime comunista e per il “patto di Varsavia”, temendo un “contagio” nel campo socialista. L’esponente ceco, tentò invano di rassicurare i sovietici, poiché fra il 20-21 dell’agosto del 68’ le truppe del patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia; tuttavia stroncare la “primavera di Praga” si rivelò più arduo del previsto, in quanto era difficile individuare un gruppo dirigente disposto a sostituire quello presente. Nonostante le pressioni di Mosca la situazione rimase incerta per mesi, fino a quando fu concretizzata la fase della normalizzazione nella Primavera del 69’ e salì al potere Husek.
In ogni modo, fu proprio la fine di questo decennio a passare alla storia come “il momento dei giovani”, forse, il più teso di quegli anni: il 68’. Precisamente, quell’anno è passato alla storia come un periodo di violente rivoluzioni, manifestatesi in grandi movimenti di massa che hanno coinvolto gli studenti, gli operai e le donne. L’obbiettivo comune era la lotta contro l’autoritarismo, l’ordine costituito e i valori dominanti. Negli studenti, la contestazione si traduceva nel rifiuto di una cultura verticistica e autoritaria, acritica e giudicata appartenente al passato; negli operai, si risolveva nell’opposizione allo sfruttamento operato dal potere padronale; nelle donne si esprimeva come ribellione ad una cultura e ad un costume etico e sessuale prettamente maschilistico. Il fenomeno ebbe espressioni e manifestazioni eterogenee, toccò paesi geograficamente ed ideologicamente differenti tra loro e si estese in vari modi nel decennio successivo. Le prime manifestazioni si ebbero nel 64’ a Berkley, in California, con l’occupazione dell’Università. Gli studenti chiedevano di compartecipare ai metodi d’insegnamento e alla scelta dei contenuti, nonché di poter usufruire dell’ateneo come luogo per dibattere problemi sociali. Ben presto la contestazione sfociò nella battaglia contro la discriminazione razziale, nella difesa dei diritti civili e nel rifiuto della guerra del Vietnam. In Francia, il movimento studentesco aderiva fortemente alla tradizione culturale delle sinistre e nel maggio del 68’ si trasformava in una vera e propria sollevazione contro il governo. In Italia, la contestazione nasceva dal movimento studentesco ed era sancita dall’occupazione dell’Università di Torino nel novembre del 67’. Gli studenti, uniti in assemblee permanenti, contestavano il sistema universitario, in quanto portavoce di una cultura reazionaria e schiva del sistema borghese, inteso come gerarchico, burocratico, spersonalizzante, classista, tendente ad ingabbiare l’individuo nell’unica logica del denaro e del benessere. Chiedevano, di contro, una cultura basata sull’autogestione. Il movimento, intanto, si collegava alle lotte operaie e sindacali, esplodendo in manifestazioni di piazza e scontri con le forze armate, sino ad arrivare all’autunno caldo del 69’, caratterizzato dalla mobilitazione degli operai nelle fabbriche per il rinnovo dei contratti. L’eredità del 68’ sulle future generazioni è stata diversa, perché portava in sé una serie di innovazioni: un costume più aperto, rapporti sociali più flessibili, una cultura più libera, più critica. La donna acquistava maggiore consapevolezza del proprio ruolo nella società. Infatti, dopo le venate dell’estremismo femminista, otteneva la legalizzazione dell’aborto e si conquistava un suo posto nel lavoro, nei servizi sociali e nel campo familiare. In ogni modo, la totalità di questi eventi, provocò una vera e propria rivoluzione in tutti i campi della vita quotidiana. Innanzitutto, una componente fondamentale, del nuovo universo culturale, fu costituita dalla nascita della musica leggera. La canzone già aveva conosciuto una notevole diffusione con la radio, ma con il perfezionamento degli strumenti di riproduzione del suono conobbe un ulteriore sviluppo. Poi continuò quel boom demografico, già iniziato con la fine della II guerra mondiale, ma che interessò principalmente i paesi del Terzo mondo. I fattori principali che lo determinarono furono il miglioramento delle condizioni igieniche e la mancata educazione alla pianificazione familiare, cosa che invece è avvenuta per gli stati industrializzati (per i quali si prevedeva negli anni futuri una crescita zero, dovuta anche all’introduzione dei contraccettivi orali -la pillola-). Ma più di ogni altra cosa, gli anni 60’ rappresentano l’età del consumismo, il cui tratto distintivo sta, non solo nella crescita globale dei consumi, ma anche nella loro composizione. Infatti, i prodotti che venivano maggiormente acquistati, non erano i generi alimentari, ma l’abbigliamento, gli elettrodomestici, le automobili ecc.Questa crescita del commercio venne favorita dai messaggi pubblicitari, amplificati dai mezzi di comunicazione di massa. E’ questa la fase in cui comincia a diffondersi il più grande tra i mezzi di comunicazione: la televisione. Il suo avvento ebbe effetti rivoluzionari in tutti i campi, offrendo la possibilità di mostrare le immagini di un evento, in tempo reale. Essa portò lo spettacolo dentro le case, creando nuove abitudini familiari e una nuova cultura di massa: una cultura in cui l’immagine tende a prevalere sulla parola scritta.
STORIA DELL’ARTE: In effetti, sono questi i cambiamenti che ben presto porteranno ad una nuova espressione dell’arte, del tutto originale, che si adatterà alle nuove esigenze del mondo culturale: l’arte di tutti, alias Pop Art. I pittori, infatti, erano diventati un tutt’uno col mondo fisico esterno, tanto che era impossibile capire quanto fosse dovuto all’autore e quanto lo influenzasse il mondo esterno; il perché di questo derivava dal fatto che l’immaginazione di tutti, e in particolare dei pittori, era stata impressionata dalle esplosioni nucleari, le quali non hanno confini, fondono tutto alla loro elevata temperatura. Da ciò derivò l’Espressionismo in cui nulla era distinguibile, tutto si consumava in un unico fuoco. Ma, come abbiamo visto, all’alba degli anni 60’ tutto cambiò, allontanato il terrore di una guerra atomica e cresciuta l’approvazione per la tecnologia, vista come dispensiera d’abbondanza e ricchezza, s’innescò il fenomeno del boom industriale e del connesso consumismo. A questo punto, diveniva inutile “l’aggressione” alle cose da parte degli artisti; era meglio ritirarsi e lasciarsi penetrare dalla forza del progresso, rappresentata dagli oggetti prodotti in gran numero dall’industrialismo rinnovato. Colui che riuscì a rappresentare, nel migliore dei modi, questo mutamento repentino fu Roy Lichtenstein (New York, 1923), infatti, con lui gli oggetti penetrano, si stampano da protagonisti, nelle tele dell’artista. Ma, ad essere rappresentati, non sono gli oggetti appartenenti ad uno stato di natura, ma quelli usciti dal ciclo produttivo dell’uomo, definiti oggetti-cultura, oggetti non”trovati” o “raccolti”, ma volutamente fabbricati per soddisfare fabbisogni di massa, le merci appunto. Proprio da qui giunge il connotato”popolare”di quest’arte, inteso non in senso di degradazione, ma poiché si serviva di oggetti-merce, “popular” appunto, dalla cui abbreviazione degli inglesi divenne POP. Obiettivo di quest’arte era dunque quello di esaltare l’oggetto industriale (trascurato dall’arte), estraniandolo dal proprio ambiente al fine di farci notare la sua esistenza, concentrando su di esso la nostra attenzione. La tecnica usata era quella dello straniamento ottenuta attraverso il ricorso a diverse tecniche tutte atte a decontestualizzare gli oggetti all’interno di una composizione artistica, in modo da giungere, mediante la loro libera associazione, ad un significato inedito. All’interno della pop-art ebbe successo il combine-paintings cioè ricombinazioni di cose vere con la pittura. Gli autentici rappresentanti della pop-art sono stati Oldenburg, Warhol e il suddetto Liechtenstein, il primo prendeva le forme della vita, le isolava, le ingrandiva e ne studiava i dettagli, il secondo rappresentava divi e politici del tempo come Marilyn Monroe o Nixon,l’ultimo affrontò l’intero mondo della mercificazione. Di fatti, una prima affermazione di questi si compie attraverso i prodotti alimentari, come le carni, nei supermercati, impacchettate nella plastica al pari di qualsiasi altro prodotto confezionato ed ancora tutti gli altri prodotti esposti negli stessi supermercati, materiale elettrico, bombolette spray, articoli sportivi ecc., alla fine, quando poi la scena era già preparata ed addobbata, si dedicò al protagonista: l’essere umano. Anche per l’uomo era di scena la pubblicità, tuttavia lo riguardava anche un’altra forma di consumo, la narrazione di storie sentimentali, infatti, in quegli anni si consumava tanta stampa rosa, pagine e pagine di immagini tracciate con linee larghe, flessuose e sintetiche rotte dal levarsi dei fumetti, nuvolette che scandivano frasi stereotipate, che scorrevano in sequenza. Intervenendo su un materiale del genere, Liechtenstein, si fece forte di un nuovo strumento di “straniamento”: ingigantiva su tele di ampio formato una singola casella di una “storia”, arrestando il flusso mediante l’effetto del blocco. Anche in Europa si diffuse rapidamente questo fenomeno, tuttavia andò trasformandosi in varie tendenze che sconfinavano in altre (Nuovo realismo). Tra gli italiani coinvolti troviamo Mimmo Rotella, Valerio Adamo ed Enrico Bay. su
CONTESTO MUSICALE
Ma la contestazione non si esauriva a quei modelli culturali che investivano le forme d’arte, quelle letterarie e morali, giacché riuscì a trovare nella musica un’ulteriore canale di diffusione, sicuramente più incisivo. Il modello musicale che si sviluppava in contemporanea alla beat generation fu il rock’n’roll, un tipo di musica bianca, che interpretava il senso di inquietitudine, di protesta e di ribellismo dell’epoca. Esso si proponeva come un veicolo antitradizionalista e anticonformista, che voleva mettere al bando la musica melodica e sentimentalista e produrre un nuovo sound provocatorio. Con questo genere quindi si arrivava ad un punto in cui libertà in musica, nei costumi e libertà sessuale si fondevano prepotentemente, fra i maggiori interpreti ricordiamo Bill Haley e Elvis Presley. Al movimento della beat faceva seguito quello degli Hippie, ”figli dei fiori”, particolarmente presente durante gli anni della guerra del Vietnam. I maggiori interpreti del pacifismo e della solidarietà tra i popoli sono stati Joan Baez e Bob Dylan, di cui bisogna necessariamente citare la sua “Blowing in the wind”.
BLOWING IN THE WIND
How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
-Analisi testuale-
Il testo presenta una struttura del 3+1: tre strofe, all’interno delle quali sono presenti rispettivamente tre domande (di tipo riflessivo) cui l’autore propone “un’unica soluzione” (“the answer my friend, is blowing…..)
L’opera si apre con una sorta di “contestazione” nei confronti dell’uomo che nonostante il suo evolvesi in 2000 anni di civiltà, non ha ancora preso coscienza di se stesso; ancora va errando senza meta. Infatti, la seconda domanda della prima strofa, attraverso la metafora della colomba bianca (white dove), indica questa condizione in cui l’uomo non riesce a trovar pace (“before she sleeps in the sand”-posarsi sulla spiaggia-).
Con la terza domanda anticipa quello che sarà il tema della successiva strofa: le armi che riportano al crudele pensiero della guerra. Essa, infatti, con le sue esplosioni “oscura”, ”appanna” il cielo, quindi quanto ancora dovrà aspettare l’uomo prima di poter vedere la luce del sole…? (“How many times must a man look up before he can see the sky?” –sky=cielo=sole=Luce di libertà-)
Con le successive due domande viene invece fatto un chiaro appello all’indifferenza dell’uomo che con l’infamia e la crudeltà della “macchina della guerra” non si ferma neppure di fronte all’innocenza dei bambini e delle donne (“how many ears must one man have bifore he can hear people cry? Yes, and how many deaths will it take till he knows that too many people have died?”).
Nella terza strofa si termina con la riflessione sulla guerra, che con la sua forza “abbatte” persino le montagne[“How many years can a mountain exist before it’s washed to the sea”] (chiara allusione alla potenza nucleare) e si continua con una riflessione dell’uomo che si sente ingabbiato da questa vita, che non gli permette di sentirsi libero (How many years can some paople exist before they’re allowed to be free?) ….Terminando infine con una frase di contestazione: fin quando si pretenderà che l’uomo non prenda coscienza di tutto ciò.
A tutti questi interrogativi vi è una sola risposta espressa dal ritornello (“the answer, my friend is blowin’ in the wind, the answer is blowin’in the wind”); essa è un chiaro segno d’impotenza dell’uomo, che non riesce a dare una spiegazione a tale condizione, e nello stesso tempo cenno d’ottimismo poiché a tutte queste domande, tuttavia una risposta esiste ed è nel “vento”, aspetta solo di essere colta. Inoltre è presente nel testo, e precisamente nel ritornello, la parola chiave: ”Mio amico”; il poeta si rivolge all’intera umanità in termini di fratellanza di fronte ad una situazione che ci accomuna tutti.
Nel complesso si presenta come una canzone molto espressiva poiché riesce a racchiudere in tre strofe un insieme di tematiche, valori e speranze che hanno segnato un’epoca: quella degli anni 60’.
Nel campo letterario si è notevolmente estesa, dopo la Seconda guerra mondiale, la “cultura dell’impegno”, che ha portato alla nascita di una classe di intellettuali engagés (impegnati). Essi hanno fatto del rinnovamento della coscienza civile e della lotta ideologica il punto di base della loro opera letteraria. In particolare, in Italia, l’impegno neorealistico ha fortemente contribuito alla nascita di un modello di intellettuale, che ha fatto della letteratura uno strumento per indagare sul reale e cercare di migliorarlo. Tra quelli che hanno indagato approfonditamente la realtà, spiccano i nomi di Moravia e Pasolini, entrambi sperimentatori del male di vivere. Moravia è un neorealista, Pasolini è un ermetico. I due analizzano il disagio del popolo e il degrado delle classe “Borghese” come accade negli “Indifferenti” o in “Ragazzi di vita”. Moravia fa parte di una schiera di poeti che appartengono al Neorealismo. Ma cos’era questo Neorealismo? Il Neorealismo, sorge nell’ambito degli scrittori appartenenti ad una rivista fiorentina “Solaria”, fondata da Alberto Carocci nel 1926, per caratterizzare la nuova narrativa sorta in quegli anni, volta a descrivere o gli ambienti borghesi della città, come Moravia, o gli ambienti provinciali. Esso sembrava essere un ritorno al Verismo, ma non è così. Infatti, in quest’ultimo, c’era un’accettazione rassegnata della condizione umana e un carattere nostalgico che non si trovava nel Neorealismo. Tra i più grandi del Neorealismo figura il nome di A. Moravia. Egli nacque a Roma nel 1902 e lì vi morì. La sua prima opera, pubblicata a proprie spese, fu “Gli indifferenti”, in cui diede un’acuta rappresentazione della società borghese moderna, scoprendone gli idoli nel sesso e nel denaro. Il romanzo ebbe un’accoglienza pessima almeno da alcuni critici di parte fascista, ma contemporaneamente la critica più avveduta, da G.A. Borghese a S.Salmi a P.Pancrazi, comprese immediatamente l’importanza dell’opera e cominciò a mettere in luce le caratteristiche dell’arte moraviana, che erano un’oggettività, dal punto di vista della scrittura, che si richiamava al romanzo naturalista ottocentesco. Il titolo, “Gli indifferenti”, esprime l’indifferenza dei personaggi verso tutto e tutti, il loro torpore spirituale. Al centro dell’opera, vi è il personaggio del giovane Michele, che vede, chiaramente, la negatività che lo circonda, ma non riesce a stabilire rapporti col reale, finendo col perdersi nella sua . Michele è il figlio della vedova Mariagrazia, la quale ha una relazione con Leo Merumeci. Quest’ultimo, annoiatosi della relazione con la donna, decide di corteggiare la figlia Carla e ne diviene l’amante. Michele che sa di vivere in una famiglia corrotta decide di rimediare a questa situazione cercando di uccidere Leo. Arrivato a casa di Leo, mentre gli sta per sparare Michele, si accorge di non aver caricato la pistola, quindi da questo punto sprofonda di nuovo nell’indifferenza. Il tipo di narrazione è quella naturalistica cioè oggettiva e in terza persona con molto dialogo e con focalizzazioni interne ai personaggi. Meno felice, fu la pubblicazione del secondo romanzo, “Le ambizioni sbagliate”, che si trovava tra il “giallo” ed il romanzo psicologico dostoievskiano, e che la critica ignorò quasi completamente. Nell’opera “I sogni del pigro” il realismo cedeva ad uno sperimentalismo surrealistico. La satira politica della Mascherata (1941) fu sequestrato alla II edizione, poiché era centrata sulla grottesca raffigurazione di un’immaginaria dittatura. Nel dopoguerra, Moravia torna con il lungo racconto “Agostino”, in cui tratta i suoi temi più propri, il sesso ed il denaro, individuando così nell’iniziazione sessuale, parallela alla scoperta della proprietà privata e quindi delle classi, l’iter attraverso cui l’adolescente entra nella società borghese, ormai sapendo quali sono i valori con cui essa riscatta la sua cattiva coscienza. Agostino è la storia della maturazione di un ragazzo tredicenne, di famiglia agiata, che durante una vacanza al mare scopre due aspetti da lui sino allora ignorati della vita, il sesso e l’esistenza delle classi sociali. L’esperienza è traumatica e dolorosa, ma provoca in Agostino una presa di coscienza. Venuto a conoscenza della vita reale e conseguentemente, uscito dal limbo ovattato dell’infanzia, Agostino sente un bisogno disperato di un paese innocente. Questo sogno di un mondo immune della brutture della realtà, lo troviamo in Moravia dagli “ Indifferenti” sino alla “noia”. Molto simile ad “Agostino”, soprattutto nei temi, è il romanzo “La disubbidienza”. Nel clima postbellico, dominato dalla speranza in una rigenerazione della società, Moravia subisce l’influenza del populismo. E’ questo il periodo di opere come la “romana” e la “Ciociara”. La prima opera è la storia di Adriana, una ragazza del popolo, che lasciata dal proprio fidanzato, diviene una prostituta, senza però perdere la sua naturale innocenza. La “Ciociara” è un romanzo sullo “stupro” subito dall’Italia nella seconda guerra mondiale, nel quale, per l’unica volta, compare, nella figura di Michele ripresa in parte da quella omonima degli indifferenti, il personaggio positivo, che professa una nobile fede per la quale sacrifica anche la vita. In questo romanzo, il mito della naturale sanità del popolo si incrina: Cesira, diviene disonesta per avidità, Rosetta (la figlia), dopo aver subito uno stupro, diviene una prostituta. Pur influenzato dal populismo, Moravia non smette di scrivere romanzi con tema la borghesia come nel “Conformista” (1951) e nel “Disprezzo” (1954). I temi precedentemente trattati negli “Indifferenti”, vengono ripresi ed aggiornati nella “Noia” (1960), attraverso l’utilizzo di strumenti culturali quali la filosofia esistenzialista ed il marxismo. Esso è un romanzo sull’impossibilità di stabilire rapporti naturali con la realtà sociale. La storia è incentrata sulla figura di Dino, che, nonostante appartenga alla ricca borghesia, per vincere il disgusto, si stacca da essa, pur sfruttandone il denaro che gli passa la ricca madre, e vive solo e malvestito in studio di Via Margutta. Ma né l’attività di pittore né l’amore per una ragazza, Cecilia, già amante del suo collega pittore, Balestrieri, ed ora divisa con l’attore Luciani, libera Dino dalla sua apatia. Fallito il tentativo di suicidio quando tenta di schiantarsi contro un albero con la propria auto, decide di accettare passivamente la realtà. Per Moravia il sesso è un mezzo conoscitivo. Dopo la “Noia” si dedica ad un altro romanzo “L’attenzione” mette in questione la forma stessa del romanzo. Le ultime opere sono un monotono ritorno a temi già trattati, anche se fervida fu la sua produzione saggistica.
Per ciò che riguarda Pasolini, sappiamo che nacque a Bologna nel 1922 da famiglia borghese. Si laureò in lettere con una tesi su Pascoli. Negli anni ’40, trasferitosi dalla madre, visse in stretto contatto con l’arcaico mondo contadino che costituì un momento essenziale della sua esperienza. Trasferitosi a Roma, cominciò ad affermarsi come scrittore grazie soprattutto ai due romanzi: “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”. Agli inizi degli anni ’60 si dedicò alla regia cinematografica, con una serie di film che suscitarono scalpore ad anche scandalo (“Accattone”, “Il Vangelo secondo Matteo”, “Uccellacci e uccellini”, “Decameron”). Pasolini è stato un protagonista della vita culturale italiana, alla ribalta sia per la sua omosessualità e sia per le sue posizioni polemiche nei confronti della società contemporanea, che suscitarono reazioni violente e astiose. La formazione giovanile di Pasolini è inserita nel clima dell’Ermetismo ed è incentrata sulla “venerazione della poesia” vista come valore assoluto e sacro. A questa fase corrispondono varie opere in dialetto friulano (poesie “A Casarsa”, “La meglio gioventù”) ma anche in lingua italiana (“l’usignolo della chiesa cattolica”). Il poeta vide l’arcaico Friuli contadino come un mondo incontaminato trasformato nella sua contemplazione in un Eden mitico, identificandolo con la sua stessa giovinezza; siamo quindi nell’ambito di una sensibilità ancora romantico-decadente. Nonostante la mentalità giovanile nei versi delle prima opere, tuttavia si può notare come in esse si vela qualcosa di torbido e di sofferto: l’ombra del peccato e della morte. Pasolini, infatti, non è mai riuscito a vivere il suo slancio sensuale con immediata innocenza e spontaneità: il suo vitalismo è sempre stato turbato dal senso di colpa che ha le radici nella formazione cattolica. Dal punto di vista ideologico il poeta bolognese, come molti altri scrittori del dopoguerra, sentì il fascino dell’ideologia di sinistra. Per lui però il marxismo fu fondamentalmente, non ideologia vissuta in modo totale, ma uno stimolo all’impegno civile.Elemento fondamentale dell’ideologia di Pasolini è la contraddizione di fondo tra slancio irrazionalistico e senso di colpa presente in se, ma fu sempre consapevole di ciò, dell’inconciliabile opposizione tra le due tendenze; frutto di questo rapporto conflittuale sono le sue poesie migliori (“Le ceneri di Gramsci” e “La religione del mio tempo”). Tale inconciliabilità è evidente anche nelle prove narrative più importanti del letterato (“Ragazzi di vita” e “La vita violenta”). Elemento che accomuna Pasolini alla narrativa di questi anni è il populismo, con la differenza che il sottoproletariato per lui non è portatore di valore sociali positivi nei valori della borghesia ma è qualcosa di irrimediabilmente “altro” rispetto ad essa, una negazione totale e oggettiva dei suoi valori. Anche l’uso insistito del dialetto romanesco non risponde alle esigenze realistiche e documentarie del naturalismo ottocentesco o neorealismo contemporaneo; infatti, se da un lato è una squisita operazione letteraria basata su una ricerca filologica dall’altro corrisponde a un bisogno di immersione totale in quella materia così vitale e torbida al tempo stesso, di regressione in quella pura fisicità al di qua di ogni coscienza. Durante gli anni 60’ la posizione di Pasolini nei confronti della società muta radicalmente. Egli si rende conto dolorosamente che con il boom economico e l’affermarsi della civiltà dei consumi il sottoproletariato è venuto ad appiattirsi nella società, perciò Pasolini decide di condurre una lotta più accanita contro il “nuovo fascismo” consumistico che punta all’omogazione totalitaria del mondo cancellando ogni differenza individuale, sociale e negando la libertà.
Dal punto di vista filosofico, proprio in questi anni, trova maggior espressione l’atmosfera esistenzialista.
Questo è un indirizzo filosofico contemporaneo, che trova le sue premesse nelle concezioni di E.Kant e di S.Kierkegaard, in quanto da essi deriva che l’esistenza non è essere ma solo possibilità di essere e quindi, talvolta, anche non essere. Di qui la conclusione della problematicità della realtà umana, che pone l’esistenzialismo in stretto contatto con altri movimenti filosofici moderni, col pragmatismo inglese in special modo col positivismo logico. L’esistenzialismo si esprime però attraverso vari indirizzi. Quello di M.Heidgger, che sostiene non essere possibile divenire più di nulla; quello di Jassen, ad esso assai simile, che nega la possibilità di essere, quello di N. Abbagnano, che sostiene la possibilità di scelta dell’essere a patto che si sappia garantire e consolidare tale scelta senza essere portati al suo annullamento; ed infine quello di J.Paule Sartre che, riconoscendo l’equivalenza delle possibilità esistenziali, giustifica qualunque scelta come frutto di una libertà di indifferenza. Ne deriva che, mentre i due primi indirizzi riducono la libertà umana alla necessità, l’Abbagnano sostiene la possibilità dell’esistenza della struttura del mondo umano, mentre Sartre, riduce tutto esclusivamente a libertà di indifferenza. Quest’ultimo esistenzialismo è pertanto più diffuso, sia per la sua facilità di interpretazione e per il terreno nel quale ha potuto germogliare, nella gioventù, cioè, priva di senso di misura dei valori morali, cresciuta tra gli orrori della guerra sia, in modo particolare, per la fama letteraria di Sartre. Egli infatti non si è limitato a diffondere la propria teoria attraverso testi specifici quali “L’etre et néant” (l’essere e il nulla) e “L’existentialisme est un humanisme” ( L’esistenzialismo è un umanismo) ma ha contribuito a farla praticamente conoscere per mezzo di opere assolutamente letterarie, accanto ad altri insigni artisti come Simon de Beauvair, Reymond Aron e Maurice Merleu-Panty, che collaborarono anche alla rivista esistenzialista “Les temps modernes”. L’esistenzialismo è stato interpretato come filosofia della crisi, e certo esso si è sviluppato nel secolo scorso, anzitutto, nell’opera di alcuni autori come Kirkegard, proprio per rispondere alla lancinante delusione provocata dal crollo dei sistemi filosofici o al sentimento di una colpa originale, acutizzato dalla coscienza che l’uomo è in quanto è legato, figlio di tale colpa. E’ una corrente ideologica a sfondo irrazionale. L’esistenza, per l’esistenzialismo, è spesso un qualche cosa negativamente determinato, irriducibile alla ragione. Da questo concetto è facile passare alla confusione romantica, al lirismo esistenzialista o ad altre forme peggiori di degenerazione. Se all’inizio l’esistenzialismo poteva essere un antidoto giusto e utile contro l’universalismo filosofico è poi divenuto un attacco contro la realtà, una esaltazione dell’irrazionalismo: per questo è divenuto un fatto relativo. su
LETTERATURA INGLESE- JACK KEROUAC
Jack Kerouac was born in Lowell , Massachusetts, in 1922,the son of french canadian immigrants. He received a stern catholic upbringing and was educated at local schools and then he went to Columbia University. At the end of the war he started to travel back and forth across the states, and in New York he started lasting friendships with the poet Allen Ginsberg, the novelist William Burroughs and the intellectual Neal Cassady. Kerouac was influenced a lot from Cassady; his total lack of inhibitions, his enthusiasms, a sort of permanent wild excitement, his love of adventure make Kerouac idolize him. With Cassady, Kerouac began his first hitch- hiking crossing of America, which inspired his best-known novel “On the road”. After travelling for four months, in October 1947 Kerouac came back to New York and there completed “the town and the city”. This novel was autobiographical. In his works Kerouac introduced slang and colloquial words, abolished punctuation and syntactical words and followed free mental associations. In the meantime he continued to work on “On the road”, narrating all that had happened during the journey with Cassady. When the novel was published in 1957 it had a great success; the book became a best seller and represented the “bible” of beat generation. The popularity frightened the writer who started to lead a solitary and crumbled life because of the abuse of alcohol and drug. After “On the road” followed “The Dharma Bums” and “The Subterraneous”, “Big Sur” which contains an account of the disintegration of all hopes and “Desolation Angels”. He died in 1969 for the excessive abuse of alcohol and drug, which caused a haemorrhage. Kerouac was the first to coin the expression “Beat Generation”. The word “Beat “had different meanings; it meant “tired”, “dissatisfied”, “defeated”, and it also suggested the idea of living to the “quick” rhythm of jazz music. The “Beatniks “ were a group of people who reacted against the way they saw society developing. They felt controlled, restricted, by the spread of capitalism and puritanical standard middle- class values, which they described as “square “. They acted on first impulse, did whatever they felt like doing, explored nudity, sexuality and pushed their senses to the limits of understanding; when they reached these limits, they used to take hallucinogenic drugs and alcohol to expand their world and to became familiar with new landscapes. They often attracted attention because of their being different; in a period, in which there was the cult of “masculine” virtues in America, the Beatniks used to wear their hair long, grow beards, and wear worn-out jeans; old t-shirts and sandals were their almost standard uniform. They advocated escapism and created a so-called “underground culture”, which included jazz, poetry and the oriental philosophy Zen Buddhism. The literary innovation represented by Beats, can be seen a reaction to the academic school of T.S. Eliot and Ezra Pound. Both Kerouac and Ginsberg, the most important writers of the beat generation, used a so-called “hip language”, which was vital, alive, authentic and individual, as opposed to conventional language, which was too dull, conservative, boring, and inadequate to express their new intense experience of reality.
“On the road” ’s text analysis
“On the road” represents the “sacre text” of the beat generation. It was a great best seller and it is a diary – like account of Kerouac’s wanderings across North America with Neal Cassidy. The novel lacks a central plot, since its structure is episodic. However, three structural elements give it cohesion:
· The theme of journey, symbol of the escape from the city;
· The narrator Sal Paradise, who stands for Kerouac himself;
· The same group of friends who don’t always have a destination and find nothing at the end of their journey.
The hero of the book is Dean Moriarty, a fictionalised Neal Cassidy. Kerouac’s prose in this novel is spontaneous. His language was vital, alive, authentic and individual, as opposed to conventional language, which was too dull, conservative, boring, and inadequate to express his new experience of reality. In this tales, drawn from “On the road”, the protagonists are a group of friends who are travelling in a car across the U. S. A. (Texas), driving from one city to another. In the car, which is not reliable, because it was old there are three youths: Sal Paradise (Kerouac) who has already visited Texas, Dean Moriarty (Neal Cassidy) and Stean. They cross a lot of towns: Dalhart, Amarillo, Childress, Paducah, Guthrie, Abilene, Coleman, Brady and Fredericksburg, but they are without destination. About the narrative tecnique, the narrator is Sal Paradise. The main narrative mode is description, which conveys a contrast between the urban and country setting. In the text there are expressions referring both to nature and town.
Nature: the land by moonlight was all mesquite and wastes (line 4), on the horizon was the moon (line 4), from Fredericksburg we descended the great western high plains (line 47).
Town: Across the immense plain of night lay the first Texas town, Dalhart (line 1), empty cracker box town (referring to Dalhart: line 7). su
LATINO LETTERATURA
Anche nell’antichità si è avuto il fenomeno della contestazione, il De Bellum Catilinae di Sallustio ne è un esempio poiché tratta la figura di un personaggio, Catilina, in conflitto con la società; lui cerca di cambiarla radicalmente con una congiura. Questo è grosso modo il suo contenuto, ma è d’obbligo fare una panoramica su tutta l’opera. Il BELLUM CATILINAE è una delle due monografie scritte da Sallustio tra il 43 ed il 40. Alle sue due monografie Sallustio antepone un proemio di una certa estensione, nel quale egli vuole giustificare la sua decisione di aver abbandonato la vita politica per dedicarsi alla stesura di opere storiche. I proemi sallustiani rispondo all’esigenza profonda, di dare conto della propria attività di intellettuale di fronte ad un pubblico come quello romano. Egli attribuisce alla storiografia, un valore minore rispetto alla politica: per lo scrittore la storiografia è strettamente legata alla prassi Politica. Nei proemi delle monografie vi sono pochi cenni autobiografici, che per la maggior parte spiegano l’abbandono della vita politica con la crisi, che ha irrimediabilmente corrotto le istanze e la società. In essi, Sallustio denuncia l’avidità di ricchezza e di potere come i mali che avvelenano la vita politica romana. La nostra attenzione si focalizza sul “Bellum Catilinae” che illumina il punto più acuto della crisi, il delinearsi di un pericolo sovversivo di qualità finora ignota allo stato romano. L’opera di Sallustio ci fornisce molte informazioni sulla lotta delle partes degli ultimi anni della Repubblica. Questa è in breve il riassunto dell’opera: dopo il proemio, Sallustio traccia il ritratto di Catilina, un personaggio contraddittorio, di animo energico, ma irrimediabilmente degenere (è un aristocratico di antica famiglia, favorito dal regime sillano, ma poi rovinato dai debiti). I facinorosi che Catilina ha raccolto attorno a sé, cercano un mezzo per sfuggire alla miseria o ai tribunali, e sono aristocratici corrotti dal nuovo costume decaduto, conseguenza del dilagare del lusso e delle ricchezze. Catilina organizza la congiura ma viene tradito, scoperto, condannato e costretto a sfuggire. In Senato, intanto, si dibatte sulla sorte di quei congiurati che, meno fortunati di Catilina, sono stati arrestati. Spiccano, messi a confronto, i discorsi di Cesare e Catone; il primo chiede una condanna mite, il secondo insiste per la condanna a morte.(Il ruolo d Cicerone è poco più quello dell’onesto magistrato, capace di fare il proprio dovere). I complici di Catilina vengono giustiziati. Lo stesso tenta di rifugiarsi in Gallia, ma viene intercettato da un esercito al comando del nuovo console, Manlio; costretto ad accettare battaglia presso Pistoia, muore combattendo valorosamente. Dai discorsi che Catilina pronuncia nella monografia sallustiana, affiorano più di una volta i motivi profondi della crisi che da qualche tempo travaglia lo stato romano: da una parte pochi potenti che monopolizzano cariche politiche e ricchezze, dall’altra una massa senza potere, coperta di debiti e priva di vere prospettive future. L’immagine, che lo storico ci da di Catilina, è dominata dall’esigenza moralistica; mentre descrive l’operato del suo personaggio, Sallustio lo giudica. Il tentativo di Catilina, serve a Sallustio per condurre un’appassionata analisi della decadenza repubblicana, del degenerare delle lotte, della corruzione diffusa, questo è il primo excursus. Un secondo excursus, collocato al centro dell’opera, denuncia la degenerazione della vita politica romana nel periodo, che va dalla dominazione di Silla alla guerra civile fra Cesare e Pompeo. Proprio da Cesare, Sallustio auspicava l’attuazione di una politica autoritaria che sapesse porre fine alla crisi dello stato, ristabilendo l’ordine della res pubblica, rinsaldano la concordia fra i ceti possidenti, restituendo prestigio e dignità al senato. Nel “Bellum Catilinae” vi è una parziale deformazione del personaggio di Cesare, purificandolo da ogni contatto e legame con i catilinari ed evitando la condanna esplicita della sua politica come capo dei populares. Significativa, per capire la posizione di Sallustio, è anche la contrapposizione dei ritratti di Cesare e Catone, che egli delinea subito dopo il loro intervento in senato, a proposito della sorte da riservare ai catilinari. Sallustio, sembra essere stato il primo a tentare una riflessione serena sui due personaggi, che erano stati fieramente avversi, e arriva ad una sorta di conciliazione fra i due. Differenziando i mores dei due personaggi, Sallustio voleva affermare che entrambi erano positivi per lo stato romano, anzi nelle loro virtù individua virtù complementari. I capitoli del “De Coniuratione Catilinae” che più, a nostro avviso, riguardano il disagio giovanile sono il III, 3-5; IV, 1-5. Se mettiamo a confronto uno dei capitoli del proemio del “De Coniuratione Catilinae” con l’introduzione alla rivolta vera e propria: c’è un legame politico tra la generazione di Sallustio e quella di Catilina; a Sallustio appartengono, infatti, le stesse aspirazioni alla trasformazione dello Stato e del senato, fino a un certo punto anche lo stile e i metodi di Catilina, finché non si riveleranno soltanto un pericolo, perché incapaci di produrre un nuovo ordine. Nei capitoli introduttivi (I-IV), Sallustio giustifica il suo otium collegandolo al suo passato di studioso e di filosofo. Il giovane provinciale sabino, infatti, aveva in un primo tempo aderito al cenacolo pitagorico di Nicola Figulo, filosofo dagli accesi ideali repubblicani e convinto sostenitore della assoluta autonomia dell’intellettuale. Più tardi, la vita politica aveva attirato Sallustio (III, tre), che si era trovato nel pieno della trasformazione del costume politico di quei tempi, condizionato da ambitio…invidia… (III, 4-5), tutte malattie che il giovane condividerà con gli altri ambiziosi della sua generazione. In questa chiave, lo studio della congiura di Catilina, assume subito il carattere dell’exemplum : tratta di un delitto senza precedenti, novitate periculi (IV, quattro), segno di un mutamento di costume morale e politico. La partecipazione di Sallustio a quello stesso clima, al sua contiguità con gli ambienti descritti, da cui lo storico dice di aver ormai preso le distanze, è testimoniata dal riferimento ad altri. Il capitolo III del “De Coniuratione Catilinae” è il seguente: Ma io giovane, dapprima come i più fui trascinato dall’ambizione alla vita pubblica e qui molte avversità incontrai. Infatti la temerarietà, la prodigalità, l’avarizia dominavano al posto della virtù, del perdere, della moderazione. I quali mali, sebbene l’animo non esperto delle arti malvagie disprezzasse tuttavia l’età acerba corrotta era dominata dall’ambizione e, benché vi scostassi dai cattivi costumi degli altri, il desiderio di onore non meno tormentava me con la stessa cattiva reputazione e la stessa maldicenza con cui gli altri. Il contenuto del Capitolo IV che è il proemio dell’opera è: Dunque, quando l’animo ebbe pace dalle molte difficoltà e dai pericoli ed io decisi di tenere la restante vita lontano dalla cosa pubblica, non ebbi l’idea di consumare il buon tempo libero in pigrizia, né, in vero, ebbi l’intenzione di passare la vita coltivando un campo o cacciando, (che sono) occupazioni da schiavi; ma, essendo ritornato a quella stessa impresa e passione dalla quale mi aveva allontanato la cattiva ambizione, decisi di scrivere, per sommi capi, le imprese del popolo Romano, come cose che sembravano degne di memoria, tanto più perché il mio animo era libero dalle speranze, dai timori e dai divisamenti della repubblica. A dunque, esporrò brevemente della congiura di Catilina, quanto più veracemente potrò; infatti io ritengo soprattutto memorabile quel misfatto per la inusitatezza del crimine del pericolo. Prima di dare inizio alla narrazione devo esporre poche cose nei confronti del costume di quell’uomo.
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Sono una studentessa del liceo socio psico pedagogico sto cercando gli argomenti delle varie materie da collegare al percorso per gli esami di maturità :DISAGIO GIOVANILE. il prof di storia mi ha suggerito il fascismo , di metodologia la devianza, ma mi servirebbe un consiglio su pedagogia, diritto, italiano, arte, filosofia, letteratura latina,inglese ...mi sareste davvero di grande aiuto....grazie....