Ugo foscolo. Vita ed opere

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Testo

Ugo Foscolo

La vita

Niccolò Foscolo nacque nell’isola greca di Zante, l’antica Zacinto, nel febbraio del 1778. I suoi genitori si chiamavano Andrea Foscolo e Diamantina Spathis. Il padre, medico, morì il 24 ottobre 1788 e la madre si trasferì a Venezia, lasciando il figlio Niccolò con una zia a Zante. Il giovane Foscolo nell’isola natia proseguì gli studi iniziati nel 1784 a Spalato e nel 1792 raggiunse la madre a Venezia, da lui eletta “patria ideale”. A Venezia fu introdotto nei salotti più ricercati (nonostante le sue precarie condizioni economiche), dove conobbe Melchiorre Cesarotti e Ippolito Pindemonte ed ebbe la sua prima esperienza amorosa con Isabella Teotochi (poi Albrizzi).
Nel 1794 cambiò il proprio nome da Niccolò a Ugo e cominciò ad interessarsi ai classici ed ai filosofi (grande influenza nella sua vita ebbero le idee illuministiche di Russeau). Dopo la rappresentazione teatrale della sua prima tragedia, sottoposta a severi controlli da parte della polizia, fu costretto a rifugiarsi a Bologna, dove si arruolò nel corpo dei “Cacciatori a Cavallo” e pubblicò un’ode. Alla caduta del governo oligarchico della Repubblica, Ugo tornò a Venezia, dove il trattato di Campoformio deluse le sue nitide speranze giacobine.
Nella metà del novembre 1797 tornò a Milano, dove conobbe Giuseppe Parini e Vincenzo Monti (innamorandosi della moglie di quest’ultimo Teresa Pickler), collaborò al “Monitore Italiano”, prese posizione contro il progetto di abolizione dell’insegnamento della lingua latina.
Nel novembre 1798 tornò a Bologna. In seguito all’invasione Austro-russa si arruolò come volontario nella “Guardia Nazionale”. Quando a Cento rimase ferito, prese parte con gli ussari cisalpini alle battaglie di Trebbia e di Novi e rimase assediato a Genova, riportando un’altra ferita. Tornato a Milano con i gradi di capitano, riprese un’intensa attività letteraria ed ebbe la sua relazione più intensa e tumultuosa con Antonietta Fagnani.
Tra il 1804 e il 1806, Ugo fu impegnato come ufficiale nella Francia del Nord, quando Napoleone cercava di invadere la Gran Bretagna; in questi anni, Foscolo ebbe una relazione con una giovane inglese, Sofia Emerytt, dalla quale ebbe una figlia, Floriana. Il 22 gennaio 1809 fu nominato professore di eloquenza presso l’Università di Pavia, ma solo per poche lezioni, perché nello stesso anno il corso venne soppresso.
Di nuovo a Milano, dovette affrontare (specie dopo la rottura con Monti) l’ostilità dell’ambiente letterario milanese. Disgustato ed amareggiato, si rifugiò a Firenze, dove, tra il 1813 e il 1814, visse confortato dall’amicizia della contessa d’Albany e dall’affetto di Quirina Mocenni. Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Foscolo tornò a Milano per vestire nuovamente la divisa di ufficiale, ma rimase estraneo al gioco politico delle varie fazioni, intimamente sempre più stanco e disilluso, ma, quando gli fu chiesto il giuramento di fedeltà all’Austria, la sera del 30 marzo 1815 Ugo lasciò la patria dando, come scrisse Carlo Cattaneo, “alla nuova Italia una nuova istituzione: l’esilio”.
Rifugiatosi in Svizzera, fu ancora perseguitato dalla polizia, cercò rifugio in Inghilterra, dove alle prime entusiastiche accoglienze subentrò intorno a lui un clima di freddezza, a causa soprattutto della prodigalità del poeta e della sua irruenza di temperamento, male accolta nei riservati club londinesi.
Ugo reagì dedicandosi all’attività letteraria. Ridotto in miseria, assistito fino all’ultimo dalla figlia Floriana, Foscolo si stabilì nel villaggio di Turham Green, dove si spense il 10 settembre 1827. Nel 1871 le sue spoglie furono trasportate a Firenze, nella chiesa di Santa Croce.

Le opere, il pensiero, la poetica

Le contraddizioni dell’era Napoleonica, tra rivoluzione e restaurazione e tra illuminismo e romanticismo, si rispecchiano nella suggestiva personalità del Foscolo; intimamente scissa dal conflitto tra una romantica malinconia e un illuministico rigore razionale. La sua vocazione rivoluzionaria è particolarmente evidente nel dramma “Tieste” (1797), che gli diede una certa notorietà, e nell’ode “A Bonaparte Liberatore”.
Fu proprio la caduta delle speranze in un rinnovamento politico da parte di Napoleone ad ispirargli le “Ultime Lettere di Jacopo Ortis” (la prima edizione completa è del 1802, quella definitiva del 1817), il primo grande romanzo italiano. Il protagonista Lorenzo Alderani pubblica le lettere che l’amico Jacopo, morto suicida ancora molto giovane, gli aveva inviato: lo scopo è non lasciare cadere nel nulla un esempio di grandezza tragica ed eroica. Il gesto di Jacopo si spiega sia con la delusione politica provata per la perdita di Venezia (“…il sacrificio della patria nostra è consumato…” è il celebre inizio del libro), sia con la disperazione per il fatto che la donna amata, Teresa, sposi un altro uomo. Le “Ultime Lettere di Jacopo Ortis” è un romanzo epistolare autobiografico. Nel protagonista, Foscolo esprime i proprio sentimenti, le proprie amarezze, i propri ideali e le delusioni. In realtà, Jacopo Ortis è la reincarnazione borghese dell’eroe alfierano proteso verso la “corrispondenza d’amorosi sensi” tra i vivi e i morti, da realizzarsi mediante la compassione. Nonostante gli squilibri tra i diversi piani narrativi e una certa enfasi, emergono dall’Ortis i motivi essenziali dell’arte foscoliana, dal tema dell’esilio al tema della bellezza serenatrice, dal senso cosmico della morte all’immagine del sepolcro onorato e del pianto dei vivi.
Dello stesso anno sono “Al Sole” e “A Bonaparte Liberatore”, con i quali si conclude il noviziato poetico del Foscolo.
Al 1800 risale la prima copia dell’ode “A Luigia Pallavicini Caduta da Cavallo”, mentre Ugo ristampava l’ode “A Bonaparte Liberatore”, premettendovi un’audace lettera dedicatoria. Tra il 1801 e il 1802 scrisse i frammenti di un romanzo rimasto incompiuto, “Il Sesto Tomo dell’Io”, e la traduzione della “Chioma di Berenice” di Callimaco. Nel 1803 ristampò l’ode “A Luigia Pallavicini Caduta da Cavallo” , in cui il motivo settecentesco dell’elogio galante si anima di una più sottile vibrazione umana, anche se la sovrabbondanza delle immagini mitologiche finisce con il raffreddare in una marmorea olimpicità il vigore dell’ispirazione. Nello stesso anno, pubblicò il meglio della sua produzione poetica: dodici sonetti, tra i quali “Alla Sera”, “A Zacinto”, “Alla Musa” e “In Morte del Fratello Giovanni” e due odi, “All’Amica Risanata”, composta per la Fargnani, in seguito meritatamente famose. Se le odi corrispondono in modo abbastanza evidente al gusto neoclassico, i sonetti raggiungono un’eleganza stilizzata non riconducibile alla componente classicistica che li caratterizza comunque. La disperata volontà di morte dell’Ortis si placa nel sonetto “Alla Sera”, in una dolente aspirazione alla “fatal quiete” vista come una soluzione al dissidio interiore. Nel sonetto “A Zacinto” la passione di trasfigura in miti sereni, in modo da creare una suggestione romantica e gentile: la patria lontana ed il ricordo dell’infanzia.
Il capolavoro poetico del Foscolo è però il carme “Dei Sepolcri” (1807). Si tratta di una lunga poesia di 295 versi sciolti dedicata al tema della morte e della commemorazione degli scomparsi, intesa come fatto di civiltà. È comunque anche un inno ai grandi valori dell’uomo (la libertà, l’amore per la patria, il culto dell’arte e soprattutto della poesia, il rispetto del passato, il primato del genio scientifico) cantati attraverso numerosissime figure antiche e moderne (da Omero a Vittorio Alfieri, da Dante a Machiavelli, da Isaac Newton a Horatio Nelson) e tramite la difesa della sepoltura come monumento che racchiude in sé passato e futuro. L’argomento era legato ad un fatto occasionale: con l’editto di Saint-Cloud, infatti, per ragioni d’igiene, ma anche in base a motivazioni ideologiche, Napoleone aveva imposto la sepoltura dei cadaveri al di fuori delle mura cittadine, sotto lapidi che non permettessero l’identificazione dei defunti. Un fatto, questo, che diede avvio a parecchie discussioni: con i “Sepolcri” il Foscolo rispondeva a Pindemonte, che aveva una visione più tradizionalmente religiosa della morte. Pur accettando la concezione materialistica dell’esistenza, propria della filosofia illuministica, i “Sepolcri” riconoscono il valore delle illusioni che rendono la vita degna di essere vissuta. Pessimismo attivo e religiosità laica sono le formule suggerite dalla critica per definire questo atteggiamento, la cui importanza consiste soprattutto nella concezione immanente, antimetafisica, dello sviluppo storico, risolta nella fede assoluta nella poesia, che celebra imparzialmente le imprese gloriose degli eroi, ma anche le virtù sfortunate dei vinti.
Dal 1804 al 1806, In Francia, nell’ozio della vita militare Ugo Foscolo attese alla traduzione del “Viaggio Sentimentale” di Luigi Sterne, premettendovi la “Notizia intorno a Didimo Chierico”: nasceva così un nuovo personaggio autobiografico, la cui matura saggezza, scettica ed ironica, costituiva un antidoto alla giovanile irruenza dell’Ortis.
Negli scritti politici posteriori al 1809 (“Sulla origine e i limiti della Giustizia”, “Discorsi sulle servitù d’Italia”, “Lettera apologetica”), Foscolo rinnega ormai apertamente l’ideologia giacobina degli anni giovanili, considerando utopistica la rivoluzione democratica e rivolgendo un duro atto di accusa contro le forze politiche liberali, considerate responsabili della nuova schiavitù italiana.
Tale pessimismo pervade anche la tragedia “Aiace” (1811), che fu proibita perché vi si vollero vedere allusioni antinapoleoniche, ma che in realtà, nel gesto del protagonista che si uccide per sottrarsi ad un mondo iniquo, esprimeva una stanchezza rinunciataria.
Trasferitosi a Firenze, si dedicò ad altre opere: “Ricciarda” (1813), una cupa tragedia, ambientata in un medioevo convenzionale; e “Le Grazie”. Culmine di quel processo che porta il Foscolo dalla passione divorante alla pacata meditazione, le “Grazie” sono divenute lo sbocco della crisi di coscienza del Foscolo. Nelle onde dell’arcana musica delle “Grazie” si spengono gli echi drammatici di un’epoca tumultuosa che si appresta al ritorno della restaurazione.
La carriera poetica del Foscolo si conclude con quest’ultima opera rimasta incompiuta.

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