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ROMANTICISMO
Il Romanticismo è un fenomeno straordinariamente complesso e contrastante, tanto che nell’enciclopedia troviamo scritto che il Romanticismo ha affermato tutto e il contrario di tutto; basti pensare che dal suo seno è sbocciata l’arte come soggettività assoluta, ma anche l’arte realistica come rappresentazione generale e oggettiva della realtà. Il Romanticismo ha le sue radici in Germania all’inizio dell’800, come conseguenza del movimento idealista. Il termine “romance” deriva dall’inglese e significa romanzo cavalleresco e pastorale; il termine viene usato con connotazione negativa. In Germania il termine perde ogni connotazione negativa e diventa sinonimo di sentimentale e fantastico.
Il punto di partenza è un romanzo di Shiller del 1795 “Sulla poesia ingenua e sentimentale” in cui Shiller confronta la poesia antica e quella moderna. L’arte classica era ingenua nel senso di poesia spontanea, dal momento che gli antichi avevano un rapporto armonioso con la Natura, in cui vivevano immersi. L’uomo moderno, invece, ha perduto questo rapporto di armonia; la Natura è qualcosa che esiste al di fuori di lui, ma egli aspira a ritrovare l’antico rapporto di armonia con essa. L’anima moderna avverte di essere in una sorta di esilio, che vuole superare facendo sua la Natura. La filosofia idealistica di Fichte fornisce un’importante risposta a questo desiderio, affermando che la Natura (cioè il “non-Io”, tutto ciò che non è l’individuo ed è al di fuori di esso) non è qualcosa di estraneo al soggetto, bensì è parte di esso. E’ il soggetto, insomma, che pone la realtà, che esiste in quanto il soggetto la pensa, come affermerà poi Hegel “tutto il reale è razionale”, tutta la realtà esiste in quanto è lo Spirito (cioè l’uomo) a porla.
Queste premesse stanno alla base del Titanismo romantico ovvero l’ansia dell’individuo di realizzarsi all’infinito per dimostrare la sua onnipotenza. La letteratura tedesca ha creato con Goethe il mito di Faust, lo scienziato animato da una inesauribile voglia di conoscenza e di possesso dell’infinito. C’è però nella letteratura tedesca romantica il termine “streben” a indicare la perpetua insoddisfazione dell’anima che aspira a possedere il tutto. La letteratura romantica tedesca ed europea in genere predilesse di conseguenza quei temi che potevano suggerire all’anima questa idea di onnipotenza e al centro di molte opere sta la figura del ribelle, cioè l’eroe che ripudia le regole, le convenzioni sociali, perché aspira a fini altissimi.
Uno dei temi di maggior successo nella letteratura romantica è quello dell’evasione sentimentale nello spazio o nel tempo, in cui si concretizza l’aspirazione dell’Io a superare il grigiore della quotidianità presente, a superare insomma l’ “hic et nunc” per tentare una vita libera da vincoli, in luoghi remoti o in tempi lontani.
L’evasione dallo spazio predilige luoghi esotici, sconosciuti ai più (come il Madagascar), luoghi in cui il romantico si libera da tutti i vincoli della vita quotidiana e tenta di superare quella “noia” che opprime gli spiriti grandi. Questo tema dell’evasione verrà poi recuperato dagli artisti decadenti; sono molti, infatti, i temi romantici che il Decadentismo farà propri, né mancano i critici che sostengono che in realtà Romanticismo e Decadentismo costituiscono un unico grande variegato filone culturale. (Mario Pratz “La morte, la carne e il diavolo nella letteratura romantica”).
L’evasione temporale si spinge anch’essa verso le epoche lontane, in particolare verso il Medioevo, che i romantici riabilitano dalla condanna illuministica. Per l’illuminista, infatti, il Medioevo era stato il tempo della superstizione, del buio razionale; i romantici, invece, esaltano la spontaneità dell’atre medievale, non ancora costretta a sottostare agli schemi dell’imitazione dei classici, imposti dalla cultura umanistico-rinascimentale. (L’arte di Giotto, insomma, viene preferita alla perfezione studiata di Raffaello). Per l’Italia il recupero del Medioevo assume anche un preciso valore civile: il Medioevo fu l’età dei Comuni e delle Repubbliche marinare, l’età, cioè, in cui si manifestarono pienamente quelle virtù di coraggio e di dedizione alla “patria” (la città) che gli intellettuali romantici vogliono riproporre agli italiani del tempo. Dopo la Restaurazione (Congresso di Vienna, 1814-15), infatti, germogliano in Italia idee di libertà e di indipendenza, ha inizio il nostro Risorgimento. La letteratura deve quindi servire anche ad avvicinare gli animi dei lettori agli ideali risorgimentali. E’ significativa a questo proposito l’affermazione di Giovanni Berchet secondo cui il poeta deve privilegiare i suoi doveri di cittadino e dunque porsi al servizio dell’idea nazionale. E’ proprio il Romanticismo che consegna alla civiltà moderna il concetto di “nazione”, che è ben diverso da quello di “stato”. Mentre lo stato è un concetto giuridico, la nazione allude ad un popolo accumunato dalla stessa lingua, dalle stesse tradizioni, dalla stessa religione, arte,… Se la nazione non coincide con lo stato, i cittadini hanno il dovere di lottare per conseguire la loro unità nazionale: non c’è dubbio che questa idea di nazione sta alla base delle rivoluzioni nazionali di metà secolo. In sostanza l’evasione nel tempo e nello spazio è un processo puramente sentimentale (ideale) che serve a liberare l’artista dai ceppi di un presente che lo imprigiona con la sua mediocrità.
Un altro grande tema prediletto dai romantici è quello della Natura, che non è più l’amabile sfondo di tanta poesia classicheggiante, ma che si anima, si riempie di vita, cessando, altresì, di essere l’orologio freddo e indifferente della cultura illuministica (meccanicistica). Anche nel Romanticismo, per la verità, non mancano esempi di natura indifferente o ostile: si pensi alla natura matrigna di Leopardi o al francese De Vigny, il quale mette in bocca alla Natura una battuta illuminante: “Tutti mi chiamano madre e invece io sono una tomba”. La rappresentazione veramente caratteristica della Natura romantica è tuttavia quella consolatrice e partecipe dei drammi dell’uomo, dei dolori umani, che già abbiamo incontrato nell’opera foscoliana. I Romantici, inoltre, amano rappresentare la Natura come qualcosa di potente, di tempestoso, di pauroso ed è questo aspetto della Natura che costituisce il cosiddetto “sublime-romantico”: la Natura che mostra la sua potenza, la sua violenza, e incute terrore all’uomo (ne troviamo numerosi esempi nella pittura inglese del Turner). Il poeta romantico può anche aspirare a fondersi con la Natura per assorbire qualche scintilla della sua potenza; leggendo l’ode “Al vento occidentale” di Shelley rileviamo come il poeta aspiri a divenire una foglia appassita, una rapida nuvola, o un’onda palpitante alla forza del vento: si pone, con questa Ode, quel tema della fusione totale uomo-Natura che avrà poi ampio spazio nel Decadentismo e in particolare nella poesia di D’Annunzio.
La terza strada, e la più importante per raggiungere il pieno dominio di sé, è, per il romantico, quella dell’arte, e proprio all’arte Schelling ha dedicato parte della sua speculazione: l’arte, infatti, sembra dare all’artista una convinzione di onnipotenza; addirittura il tedesco Novalis parla di “poeta-sacerdote”, nel senso che il poeta è una creatura dotata di qualità superiori che gli consentono, andando oltre l’aspetto fenomenico delle cose, di conoscere la trama dei legami misteriosi che uniscono cose lontane. Già i romantici, dunque, intuiscono quel concetto di rapporti analogici fra le cose, che sarà uno dei motivi dominanti del Decadentismo; Novalis è, in fondo, un precursore del “poeta-veggente” di Rimbaud. L’attribuzione al poeta di un alone mistico-sacerdotale sembra conferirgli un potere infinito sulle cose che, secondo Novalis, egli ha dentro di sé.
Ma la realtà non è questa: la realtà è che il poeta, quando crea, non trae le cose da se stesso ma dal mondo che è al di fuori di lui, la sua ispirazione parte dalla Natura, che egli si illude di poter dominare. Ne deriva che la strada verso l’infinito dell’anima romantica si risolve in uno scacco; l’artista deve conoscere la sua finitezza e attraverso l’arma dell’ironia può sorridere alla sua pretesa di assoluto. L’ironia diviene, dunque, un tono assai diffuso nella letteratura tedesca (Hegel nell’”Estetica” tratta l’ironia nell’opera d’arte) e possiamo trovarne qualche traccia anche nella letteratura italiana (nei “Promessi Sposi”, Manzoni entra nel racconto per far sorridere il lettore sulla singolarità di tanti comportamenti umani e della storia).
CARATTERI DELLA POETICA ROMANTICA.
Soggettività.
Il Romanticismo è prima di tutto un’arte fondata sulla soggettività, sul sentimento, sulla fantasia, sulla capacità visionaria del singolo. L’individuo è, dunque, il principio e il fine dell’opera d’arte: a questo proposito c’è una celebre frase di un romanzo di Novalis “Enrico di Ofterdinger”, in cui lo scrittore, alla domanda “E adesso dove andiamo?” fa rispondere ad Enrico “Si torna sempre a casa, però in nessun luogo come dentro di noi c’è l’infinità dei mondi, con tutto il passato, il presente, il futuro”: il cuore dell’uomo, del singolo, è il centro dell’universo. Si conferma ciò che già si era detto nello Sturm und Drag: l’opera d’arte è frutto del genio del singolo, che ha in se stesso le sue norme. Di qui il rifiuto dell’imitazione dei classici, il rifiuto delle regole. Il bello artistico è stato raggiunto una volta e per sempre, il bello artistico è un concetto mutevole a seconda dei tempi. Il trionfo della soggettività fa sì che vengano coltivati quei generi come la lirica, il romanzo psicologico, o le confessioni (scritte sul presupposto che la propria anima è qualcosa di unico e irripetibile).
Modernità.
Un secondo principio fondamentale è dato dalla modernità dell’opera d’arte. Come scrisse Madame De Staël, l’opera d’arte è figlia della società in cui nasce e tale concetto è ribadito nella sua opera più famosa “De l’Alemagne” (la Germania), un’opera che, insieme al “Corso di letteratura drammatica” dei fratelli Schlegel ha influenzato tutto il Romanticismo latino. La De Staël sostiene che la letteratura moderna deve farsi interprete della sensibilità dell’uomo contemporaneo e non continuare a razzolare fra le ceneri di secoli ormai defunti. Secondo la De Staël (che era laica), c’è poi uno spartiacque incolmabile fra antichi e moderni, dato dal cristianesimo, il quale ha insinuato nell’uomo il senso del peccato, determinando una visione drammatica dell’esistenza. I fratelli Schelegel accentuano il tema del cristianesimo e scrivono che l’animo dell’uomo moderno è estraneo al presente ed è connotato dalla malinconia; essa nasce dalla consapevolezza di aver perduto un remoto passato di felicità, tanto che l’uomo si sente estraneo ad un presente mediocre e denso di noia (insoddisfazione) e vive nell’attesa di un’armonia futura. L’anima romantica vive in bilico tra la “sensucht” di un eden di antica armonia e l’attesa messianica di un futuro di felicità e armonia, mentre il presente è visto come un esilio. Il discorso della modernità dell’opera d’arte implica il rifiuto della mitologia che è espressione di una sensibilità ormai defunta e che, come scriverà poi Manzoni, è figlia di un mondo pagano ed è priva di ogni connotato di veridicità.
Popolarità.
Un terzo carattere rilevante dell’opera d’arte romantica è data dalla popolarità della stessa, nel senso che i romantici vogliono cogliere l’anima del popolo, come dicono i tedeschi “volksgeist” (l’anima del popolo). Per fare questo i romantici prediligono dei generi apparentemente semplici in cui tale anima si rivela con maggiore immediatezza, in primo luogo la favola. Sboccia in questi anni una ricca favolistica; si ricordino le favole dei fratelli Grimm, che andavano per i villaggi chiedendo favole alle più anziane, oppure il celebre “Gatto con gli stivali” di Tieck (ricordiamo per inciso che Tieck, i Grimm e gli Schlegel fondarono nel 1798 la rivista “Atheneum”, in cui si iniziarono a dibattere i nuovi principi romantici). Numerose furono le opere in cui si raccolsero le tradizioni, il folklore e i canti popolari; in Italia, Tommaseo (autore di un celebre dizionario) scrisse ad esempio una raccolta di “Canti popolari toscani, greci, corsi e illirici”.
Oltre alla poetica dell’Io, con cui i romantici esplorarono il loro cuore, il Romanticismo vide la diffusione delle poetiche della realtà, ossia di un’arte realistica, attenta ai problemi del mondo contemporaneo. Non deve stupire l’apparente contraddizione, in quanto è proprio la libertà di cui gode l’artista che gli consente di realizzarsi in quella dimensione artistica che egli ritiene più opportuna. Come scrisse Victor Hugo nella prefazione del suo dramma storico “Cromwell”, che costituisce un documento fondamentale per il Romanticismo francese, il letterato deve puntare non ad una realtà tipica (colta nei suoi aspetti più pittoreschi ed esteriori), bensì ad una realtà caratteristica che sia in grado di restituire al lettore il senso profondo di una età storica. E’ quello che Hugo fece nel suo dramma storico appena citato, è quello che fece il Manzoni nel suo romanzo “I promessi sposi”, che è anche lo specchio fedele di una parte dell’Italia nel XVII° secolo. Il Romanticismo anticipava in questo modo la futura poetica del Verismo, che andò oltre nell’indagine spregiudicata della realtà (senza rifiutare ciò che era crudo e repellente). In Italia, seppure con la vistosa eccezione di Leopardi, prevalsero nettamente le poetiche della realtà e ciò è sicuramente dovuto alla situazione politica dell’Italia del tempo. Infatti questi sono gli anni in cui si prepara il nostro Risorgimento, la nostra indipendenza, per cui il ceto intellettuale avverte acuta l’urgenza di educare il popolo alle nuove idee di nazione e di libertà; scrive apertamente G. Berchet che “bisogna passare dai doveri del poeta a quelli del cittadino”. Berchet intendeva dire che il letterato deve contribuire a diffondere tra i concittadini i valori civili e deve educare una nuova classe dirigente che possa assumere le redini di un’Italia libera, risorta.
Nel nostro Paese ebbe notevole importanza la pubblicistica, in particolare la rivista “Il Conciliatore” (pubblicato a Milano) che visse una breve stagione (1818-19) prima di essere soppresso dalla censura austriaca, che temeva il diffondersi delle idee romantiche (cioè patriottiche), in quanto da noi il termine “romantico” divenne sinonimo di “patriota”, e in effetti molti dei collaboratori del “Conciliatore” (Pellico, Maroncelli) furono anche gli ospiti delle carceri austriache (dal carcere dello Spielberg Pellico scrisse “Le mie prigioni”). Il “Conciliatore” svolse, dunque, una funzione di educazione dei lettori, prediligendo affrontare tematiche concrete in una lingua colloquiale e lontana dagli eccessi dei cruscanti. Nella sua “Introduzione al Conciliatore”, Pietro Borsieri sostiene che la rivista dovrà occuparsi non solo di letteratura, bensì anche di tutti quegli argomenti che possono interessare a un pubblico borghese (che ormai era il destinatario principale delle opere letterarie), non esclusa l’agricoltura, che aveva tanta importanza nell’economia lombarda.
Nel campo della prosa, ebbero poi ampia diffusione anche generi letterari come la memorialistica (“Le mie prigioni” di Pellico, “I miei ricordi” di D’Azeglio) e il romanzo storico, che sulle orme di Walter Scott (“Ivanhoe”) univa l’invenzione a fatti storici realmente accaduti (“I promessi sposi” di Manzoni, “Ettore Fieramosca” di D’Azeglio, “L’assedio di Firenze”, “Marco Visconti”, “Beatrice Cenci” …).
Nel campo della poesia, ampio successo ebbe la lirica patriottica, con cui il poeta faceva vibrare i cuori dei lettori dinanzi alle prospettive di riscatto della patria. Tra le opere più famose, ricordiamo “Il giuramento di Pontida” di Berchet, “La spigolatrice di Sapri” di Mercantini (che parla dell’impresa fallita di Pisacane), “La caduta di Venezia” di A. Fucinato (che riguarda le vicende di Venezia, ultima città ad arrendersi agli austriaci nel 1849, solo a causa della fame e del colera)
Citazione particolare merita poi la poesia dialettale del milanese Carlo Porta e del romano Gioacchino Belli, nella quale i ceti subalterni acquistano finalmente piena dignità poetica. Si tratta di una poesia fortemente realistica che costituisce anche una sorta di denuncia sociale nei confronti di un potere spesso insensibile ai drammi del quarto stato (i poveri).
Alla nostra letteratura fu invece pressoché estranea la lirica di ambientazione medievale, carica di immagini cupe e funeree, che ebbe largo spazio nella poesia tedesca. Fu proprio questo gusto dei romantici tedeschi per le leggende lugubri del passato a spingere intellettuali come Leopardi verso il rifiuto del Romanticismo, in quanto estraneo alla so,are tradizione classica.
Infine merita una citazione anche il melodramma (gia ampiamente trattato con Metastasio), che fu l’unico genere musicale veramente popolare in Italia. Il melodramma è il “luogo” delle grandi passioni, delle gesta eroiche, del gusto per l’avventura, e a tali componimenti si aggiunse nell’Italia risorgimentale il sentimento della Nazione. Il primo grande successo in questo campo fu un’opera di Verdi, “Il Nabucco”, rappresentato nel 1827, in cui gli ebrei, esuli a Babilonia, intonano il celebre “Va pensiero”, mentre gli spettatori avvertono istintivamente quelle parole come rivolte alla loro povera Italia perduta.