Rimbaud

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Testo

Arthur Rimbaud
Rimbaud in Francia
(Charleville, 1854 - Marsiglia 1891)
Rimbaud nasce nelle Ardenne (regione di confine, non lontana dal Belgio e dalla Germania), secondogenito dei cinque figli di una famiglia borghese Il padre, capitano di fanteria di stanza a Lione, trascura la famiglia e poi l'abbandona del tutto, a causa di dissapori con la moglie.
Arthur viene così allevato dalla madre, che gli impartisce un'educazione piuttosto rigida e bigottamente religiosa. Il futuro poeta soffre la sua infanzia deserta di affetti.
Frequenta il liceo di Charleville e vi fa incetta di premi scolastici. Questo ragazzino ammodo si fa notare per la precocità dell'intelligenza e la predisposizione poetica.
Fondamentale è il rapporto col professore supplente di retorica Georges Izambard, suo maestro e amico, che gli fa conoscere e amare la nuova poesia dei simbolisti.
Apparentemente il giovane accetta l'orientamento educativo della famiglia, ma l'interesse per la poesia e il suo spirito inquieto e insofferente lo portano a tentare ripetutamente la fuga da casa.
Nell'agosto del 1870, va verso Parigi per assistere alla caduta del II impero, che riassume per lui tutta la mediocrità borghese. Nella Capitale vuole fraternizzare con gli operai della Comune: ma la convivenza con i rivoluzionari gli fa passare il gusto della rivoluzione. Del Rimbaud comunardo è espressione L'orgia parigina, ovvero Parigi si ripopola.
Ancora una volta deve tornarsene a Charleville. Da qui nel maggio 1871 scrive due lettere programmatiche sull'avvenire della poesia. La prima è rivolta a Georges Izambard; la seconda, inviata il 15 maggio 1871 all'amico Démeny è quella conosciuta come la Lettera del veggente.
Nello stesso 1871 inizia una corrispondenza con Verlaine, che invita Rimbaud a Parigi. E' l'inizio di un rapporto esistenzialmente sconvolgente e poeticamente fecondissimo. Il poeta delle Feste galanti lo introduce nei circoli dell'avanguardia poetica parigina. Qui il ragazzo prodigio dalla pubertà perversa e superba" (Mallarmé) diviene subito un protagonista ammirato, ma anche un personaggio scomodo per le sue intemperanze. Distrugge ad esempio il gabinetto fotografico di Charles Cros che lo ospitava e ferisce il fotografo Carjat, autore di una delle sue fotografie più famose (Rimbaud fotografato da Carjat nel 1871).

Verlaine e Rimbaud
Il provinciale Rimbaud invia i versi de Il battello ebbro al poeta che ammirava. Verlaine lo legge e si accorge di essere di fronte a qualcosa di veramente nuovo, ad una poesia che sintetizza genialmente tutto il cammino della lirica francese da Baudelaire ai simbolisti con una nuova disposizione visionaria e onirica. Di qui l'invito a Parigi che rivolge a Rimbaud: "Venga, cara grande anima, la chiamano, l’aspettano!".
Per Rimbaud il dissoluto Verlaine è uno strumento di liberazione dalle convenienze sociali per raggiungere lo sregolamentoe la chiaroveggenza. "Provinciale senza un soldo nella metropoli, uomo di genio in un'età in cui la maggior parte degli adolescenti indulge ai primi dubbi e arrischia le prime frasi originali." (Edmund Wilson, Il castello di Axel, SE, 1988 (1931), p. 190)
Da Verlaine Rimbaud inizia a superare le tradizionali regole metriche e retoriche. In particolare - rileva Ruchon - comincia a usare i metri dispari celebrati in Ars poetica.
Il rapporto iniziale tra i due è quello che si stabilisce fra un maestro e un discepolo, che viene introdotto nei circoli poetici della città; ma presto l'incontenibile esuberanza e la sregolatezza del diciassettenne Rimbaud contagiano Verlaine. Questi, ventisettenne, sposato, con la moglie incinta, subisce il fascino della personalità dell'adolescente, a tal punto che abbandona la moglie e si reca con l'amico prima in Belgio, poi in Inghilterra, e quindi di nuovo in Belgio. Durante questi avventurosi vagabondaggi i due vivono di lavori occasionali e si danno senza riserve all'alcool e alle droghe. Dal punto di vista poetico, il viaggio porta alla composizione di Una stagione all'Inferno e di Illuminazioni.
Rimbaud consapevolmente distrugge i riferimenti di Verlaine e lo contagia: "Infatti mi ero assunto l'impegno, in piena sincerità di spirito, di restituirlo al suo primitivo stato di figlio del Sole, - e andavamo errando, nutriti del vino delle caverne e del biscotto della strada, io nell'ansia di trovare il luogo e la formula." (Vagabondi)
Ma il loro legame è destinato a degenerare. Da una parte c'è la gelosia di Verlaine per l'amante; dall'altro l'irrequieto e trasgressivo vagabondaggio di Rimbaud, insofferente di qualsiasi legame, di qualsiasi ostacolo alla sua interminabile "fuga" da un mondo pieno di equilibrio. Infine, Mathilde, la moglie di Verlaine non tollera Rimbaud, minaccia il marito di separazione, gli taglia le entrate.
Dopo numerose liti, la rottura definitiva è dovuta a due episodi. Dopo che Rimbaud gli aveva manifestato chiaramente la volontà di chiudere il rapporto, Verlaine spara alcuni colpi di rivoltella contro Rimbaud (Bruxelles, 10 luglio 1873), ferendolo a un polso, ed è condannato a due anni di carcere. Il racconto dell’episodio può essere letto nella Dichiarazione di Rimbaud al Commissario di Polizia.
Nel frattempo Rimbaud, prostrato, torna in famiglia, nella fattoria di Roche, presso Vouziers. Qui finisce Una stagione all'Inferno.
A Stoccarda si rincontrano Rimbaud e Verlaine. Questi è appena uscito dal carcere, si è pentito dei passati errori ed è ritornato nel seno della Chiesa. Arthur lo induce a bere e a bestemmiare la sua fede, poi durante una passeggiata nella Selva Nera, lo colpisce con un bastone durante una lite e lo lascia per terra, tramortito.
Per entrambi, questo rapporto sarà decisivo, unico e insostituibile; non riducibile nemmeno alla scandalosa normalità di un rapporto omosessuale ("Lo si intenda come si vuole, era diverso", scrive Verlaine ne Il poeta e la musa della raccolta Un tempo e Poco fa). Presto Rimbaud rinuncerà alla scrittura. Per Verlaine l’amico rappresenterà la rottura di ogni desiderio di normalità e un termine di perenne nostalgia.

L’uomo dalle suole di vento
A 19 anni (settembre 1873) scrive gli ultimi versi. A questa giovane età ha già percorso l'intero itinerario del pensiero moderno: dall'educazione religiosa all'ateismo e al paganesimo romantico, poi agli ideali socialrivoluzionari e infine all'evoluzionismo. Con l'esito di maturare una radicale insoddisfazione. Ormai non crede più che la poesia possa cambiare il mondo; piuttosto, il poeta deve essere un rivoluzionario in azione.
Comincia così la sua vita da avventuriero e incessante viaggiatore. "L’uomo dalle suole di vento", lo definì Verlaine. E l’amico Delahaye intitolò Il nuovo ebreo errante una delle numerose caricature che fece a "Coso".
Thibaudet, nel saggio Mallarmé et Rimbaud del 1922 rileva l’importanza poetica della dromomania del nostro. "E’ precisamente nel genere di folli proprio di Rimbaud che si troverebbe, credo, la chiave delle Illuminazioni. Rimbaud era un chemineau, un vagabondo, per cui la vita per gran tempo consistette nell’andare indefinitamente a piedi per le vie maestre. E’ in questo modo che percorse una parte dell’Europa e dell’Africa. [...] Il Voyage di Baudelaire è il viaggio di un sedentario, Il battello ebbro il viaggio di un viaggiatore, di un maniaco dello spostamento che [...] porta nel sangue le potenze vagabonde del movimento per il movimento. [...] E’ letteratura scentrata, esasperata dall’ottica della marcia e da una testa surriscaldata di vagabondo... Quasi tutti i frammenti delle Illuminazioni sembrano redatti su un ciglione, su un campo, su un margine di strada, da un uomo in cui la marcia, l’aria aperta, hanno sviluppato furiosamente le potenze del sogno. [...] La sensazione di stranezze, di freschezza, di colori riaccesi, di mondo nuovo, che ci sorprende allora, è ben conosciuta da chi ama le passeggiate in montagna."
Nel 1874 è con l’amico Nouveau in Inghilterra, dove vive di espedienti e insegna francese. Nel 1875 lavora come precettore a Stoccarda. Ne fugge e arriva a piedi fino a Milano, dove è accolto ed assistito da una "vedova molto civile" che viveva al terzo piano del n. 39 di piazza Duomo.
Ritornato a Charleville si prepara alla fuga dall'ambiente gretto e ipocrita della sua città, e dall'Europa nel suo complesso, studiando l'inglese, il tedesco, lo spagnolo, l'italiano, il russo, l'arabo e il greco.
Tenta ripetutamente di raggiungere l'Oriente. Si arruola nell'esercito olandese, ma a Giava diserta e torna come marinaio su un veliero inglese.
È quindi in Germania, in Austria. Viaggia in Scandinavia come interprete e animatore di un circo equestre.
A Cipro lavora come caposquadra in una cava. Nemmeno questa esperienza dura a lungo: sia perché uccide un operaio durante una lite, sia perché si ammala di tifo.
"Scriverai ancora?" gli chiede un amico. "Non ci penso più". E in un'altra conversazione "Tutto denaro sprecato. È assolutamente idiota comprare libri, e specialmente libri di tal genere [poesie]. Quando disponete i libri negli scaffali della vostra biblioteca, raggiungete un unico scopo: quello di nascondere le magagne della parete."

Rimbaud in Africa
Finalmente l'occasione tanto desiderata gli porge l'Africa. Vivrà quasi tutto il resto della sua vita nei paesi adiacenti al Mar Rosso. Abbiamo poche notizie di questo periodo della sua vita, e questo fa sì che possano essere avanzate le interpretazioni più disparate.
Trova impiego ad Aden presso la ditta Bardey, che importa caffè, pelli, avorio. Poi si trasferisce ad Harar, dove fonda una sua impresa per il traffico di cotone, zucchero, riso, armi e, secondo alcune dicerie, anche schiavi; trama intrighi con i sovrani locali; tiene un harem di donne indigene delle diverse regioni, perché gli possano insegnare i diversi linguaggi.
Diviene maomettano e tiene conferenze sul Corano. Le sue lettere si chiudono con l’iscrizione "Abdoh Rinbo", "Rimbaud, servitore di Dio".
Nel frattempo Verlaine lo pubblica a sua insaputa ne I poeti maledetti. Ma lui non scrive più; al massimo, invia qualche articolo alla Société de Géographie. Quando nel 1886 gli scrivono che la stampa delle sue opere stava facendo di lui un mito e un modello, parla della sua poesia come cosa "assurda" e "disgustosa"
La sua sola ambizione - affermano le sue lettere - è diventare abbastanza ricco da sposare una ragazza francese da cui avere un figlio e ritirarsi dagli affari. Tenta di farlo vendendo armi a Menelik, re dello Scià che sta tentando di unificare l’Etiopia; ma le disavventure seguite alla morte del socio provocano il fallimento dell’affare.
Non tutti i critici credono senza riserve a queste affermazioni. Bardey testimonia che Rimbaud continuava a leggere e a scrivere, e a preparare il suo rientro nel mondo delle lettere.
Dopo 12 anni di Africa, avverte disturbi a una gamba, ma li trascura. Si tratta - scopriranno poi - di un tumore al ginocchio destro. Quando il dolore è intollerabile, viene portato per 350 km in barella fino ad Aden, e poi in Francia. A Marsiglia gli viene amputata la gamba.
Ma non serve a nulla. La metastasi è ormai diffusa in tutto il corpo e, dopo alcuni mesi di sofferenza, muore il 10 novembre 1891 a Marsiglia, assistito solo dalla sorella. Fino all'ultimo, è ossessionato dall'idea dell'Oriente, e persino nell’ultimo giorno di vita progetta di ritornarvi.
La sua fine avviene nel distacco più assoluto dalle cose del mondo e invocando "Allah Kerim!", sia fatta la volontà di Dio. Secondo la testimonianza della sorella Isabelle, questa a fatica riuscì a farlo incontrare con il cappellano dell’ospedale e poi a farlo confessare.
La carriera poetica di questo "passante considerevole" - scrive Mallarmé - fu come il bagliore di una meteora, accesa senz'altro motivo che la sua presenza, nata e spentasi da sola."

L'anticristiano e il mistico
Sul rapporto tra Rimbaud e il Cristianesimo è stato scritto tutto e il contrario di tutto. Il cristianesimo gli era stato fatto odiare dal pietismo e dal moralismo del suo ambiente, dalla rigida devozione della madre. Questa blasfema rivolta è visibile soprattutto nelle prime poesie, come le Prime comunioni o ne I poveri in chiesa. Il positivismo che largamente circolava nella sua epoca gli offre abbondanti argomenti polemici.
Tuttavia la persona di Gesù, amata e avversata insieme, non ha mai cessato di inquietare Rimbaud" (S. Solmi, Saggio su Rimbaud, Einaudi, 1974, p. 45). Appena prima dell’opera Una stagione all'Inferno scrive le Prose evangeliche, un commento interpretativo alla vita di Gesù sulla base del Vangelo di Giovanni. E Genio, l’ultima delle Illuminazioni, è un trasparente inno alla figura di Gesù, che si è caricato i dolori e le colpe dell’uomo.
Il marcato anticlericalismo di Rimbaud non ha impedito che si desse della sua opera una interpretazione mistico-religiosa, particolarmente espressa nel volume Rimbaud (1930) di Jacques Rivière.
Il significato autentico dell'opera del poeta è mistico: Rimbaud è una sorta di Giacobbe che nella notte lotta con l'angelo e i suoi versi disegnano la rivolta dell'uomo che assieme combatte e cerca Dio. Rimbaud non sarebbe un cristiano, quanto piuttosto un introduttore al Cristianesimo. Questo "mostro di purezza" sarebbe una sorta di angelo piovuto sulla terra per testimoniare del caos e del disordine in cui viviamo.
Si è voluto vedere nell'ammissione di una propria completa disfatta una testimonianza di fede religiosa.
Il grande scrittore Paul Claudel è in un certo senso l’esito di questa interpretazione: egli sostenne di aver ritrovato la fede a 16 anni nel 1886, in seguito alla lettura delle poesie di Rimbaud. Ci sembra felice una sua definizione del poeta ardennese come un "mistico allo stato selvaggio".
Già, ma di che natura è questa mistica? Quando il poeta esprime l’anelito straziante a "possedere la verità in un'anima e un corpo" (Addio), di quale verità parla? La barca del Il battello ebbro va letta come una allegoria della trascendenza religiosa, secondo quanto ci invita a fare la storia del simbolo, oppure allude laicamente a una mistica scientifica e poetica?
Solmi sostiene che quella di Rimbaud sia una mistica poetica, più che religiosa, di cui Una stagione all’Inferno registra lo scacco. "Il fondamentale senso di inaccettazione della realtà [...] finisce col postulare al suo limite un’altra realtà, che non è detto abbia a coincidere - anzi in principio se ne differenzia - con la realtà trascendente ipostatizzata dalle religioni, ma in qualche modo le è affine. Dapprincipio è la stanchezza, la discesa degli aspetti del mondo al loro punto più basso di indifferenza e di interscambiabilità, la noia di Leopardi e Musset, lo spleen di Baudelaire. Poi la vertigine, la dissolvenza e l’organizzazione di un mondo fatto di pura esteticità, fuori dalla storia." (Saggio su Rimbaud, Einaudi, 1974, p. 37). Per i Parnassiani e consimili luogo sono i paradisi tropicali o i remoti paesaggi della classicità, per Rimbaud questo Oltre è un luogo realmente raggiungibile, di cui occorre scoprire "il luogo e la formula". Nei termini di Daumal, Rimbaud mira a una metafisica sperimentale, alla ricerca di un metodo mistico per arrivare alla percezione immediata di un altro universo, incommensurabile ai suoi occhi e irriducibile ai suoi concetti.
Ma non si tratta di domande che consentano una risposta ultimativa
In questo senso Baudelaire scrive "La Poésie est ce qu’il y a de plus réel, c’est ce qui n’est complètement vrai que dans un autre monde."
"Rimbaud, già nauseato di letteratura, ha sentito come nessuno prima di lui (così egli pensava e credeva) la tragica condizione del poeta, assetato di verità eterne su una terra e dentro una realtà instabili, transitorie e indecifrabili secondo lo spirito. Il pensiero che ogni poeta, in ogni tempo, avesse provato questa stessa sofferenza, non poteva neppure sfiorarlo. Egli era ormai impegnato nella grande ricerca "del luogo e della formula"; primo e solo. Primo e solo doveva sforzarsi di "cambiare la vita" e per sé e per tutti; di restituire alla vita il suo valore primitivo, attraverso la rivolta, attraverso l'amore, attraverso il martirio. Lo sregolamento di tutti i sensi ci libererà, intanto, dalle fiacche consuetudini del sentimento e dalle false certezze della ragione; vedremo, un giorno, apparire il volto della vita viva da dietro gli schemi di una vita "assente" . Il poeta veggente sarà il demiurgo, il messia, il testimonio crocifisso; e perché non Dio?" (Diego Valeri)

L'odio antiborghese
Rimbaud si reca a Parigi nel 1870 per partecipare alla difesa della Comune. Quando questa cade e, dopo una durissima repressione, si ristabilisce il governo della borghesia, il poeta chiama i borghesi "torma di cagne in foia".
Sintomatica di questa denuncia è la poesia L'orgia parigina, ovvero Parigi si ripopola: "Ecco, banditi! / Società, tutto è in ordine: - le antiche gozzoviglie / rantolano di nuovo nei vecchi lupanari / ed i gas in delirio, contro i muri arrossati, / fiammeggiano sinistri verso quel cielo squallido!"
Dietro questa rivolta non c'è un chiaro ideale politico, ad esempio di tipo anarchico o socialista, ma un ancora più radicale conflitto di mentalità. Rimbaud respinge la cultura della borghesia, le norme sociali, le sue mode, la visione della famiglia e dello stato.
Questa rivolta non si gioca in una azione in comune e nella costruzione di un mondo futuro. "Egli non sarà un operaio dell’avvenire, perché il suo slancio distruttivo non ha nulla da sostituire al vecchio ordinamento, perché la sua rivoluzione non compatisce traduzioni sul piano storico, non rappresentando che una delle immagini della sua folle rivolta infantile, della sua negazione del mondo, insieme fisiologica e metafisica." Più che a una rivoluzione, Rimbaud pensa a un’Apocalisse, a un nuovo diluvio (cfr. Dopo il diluvio) che spazzi via la civiltà dalla terra. (S. Solmi, Saggio su Rimbaud, Einaudi, 1974, p. 11)
La diversità è marcata anche a livello sessuale. Particolarmente fitta di allusioni all’omosessualità è il poemetto I deserti dell’amore, con l’affermazione esplicita "non avendo mai amato donne".
Il senso della rivolta resta in lui fondamentale fino alla fine e chiarisce come la sua più che una protesta sociale sia una radicale "ribellione metafisica". Mallarmé intuì questa natura di ribelle allo stato puro, e lo definì "anarchico di spirito".
Alla radice della vita - e della poesia - di Rimbaud, c'è qualcosa che può definirsi una crisi di adattamento, e ne costituisce, insieme, il segreto e la chiave. (Solmi: una crisi adolescenziale mai superata)
La ribellione all'Europa
E’ fondamentale in Rimbaud come in altri poeti decadenti la denuncia di una alienazione: "La vera vita è assente." La realtà è "sempre lo stesso deserto, la stessa notte". (Mattino, da Una stagione all’Inferno)
Domina il desiderio di "evadere dalla realtà [...] cambiare la vita". (Vergine folle, da Una stagione all’Inferno).
Cosa fare? La risposta di Rimbaud lo costituisce come un "caso a parte". L'alternativa alla fuga dal mondo, emblematizzata dal personaggio di Axel del romanzo di ..\HTML/villier0.htmVilliers de l'Isle-Adam o alla evasione in un mondo artificiale di bellezza alla Huysmans è cercare la felicità in qualche paese dove l'industria, la democrazia, la borghesia, la civiltà europea non dominino ancora.
L’intenzione è anticipata in Sangue cattivo (in Una stagione all'Inferno): "Preti, professori, maestri [...] Non sono mai stato di questo popolo, mai cristiano; son della razza che cantava nel supplizio; non capisco le leggi; non ho senso morale, sono un bruto; vi sbagliate... Sì, ho gli occhi chiusi alla vostra luce. Sono una bestia, un negro. [...] La migliore astuzia è lasciare questo continente, dove la folla s'aggira per provvedete d'ostaggi questi miserabili. Entro nel vero reame dei figli di Cam.
Conosco ancora la natura? mi conosco? Non più parole. Seppellisco i morti nel mio ventre. Grida, tamburo, danza, danza, danza! Non vedo neanche l'ora in cui, allo sbarcar dei bianchi, cadrò nel nulla.
Fame e sete, grida, danza, danza, danza, danza!"
Dopo Una stagione all'Inferno del 1873, il suo "libro pagano, libro negro", Rimbaud, non riconciliato con il mondo borghese, disgustato anche dalla propria incoerenza e dalle sue opere, progetta una fuga dall'Europa, alla ricerca della vita brutale e innocente del mondo non cristiano. Dopo alcune puntate verso l’Oriente, la meta della sua via diventerà l'Africa.
Lo sregolamento dei sensi
La ricerca è effettuata con la serietà carica di pathos, con la violenza vergine di un adolescente. Il suo è il desiderio potentissimo di un animo che cerca con rabbia e disperazione un mondo diverso, che dei sentimenti comuni e del mondo di tutti non si appaga più.
Il metodo di questa ricerca poetica è lo "scardinamento di tutti i sensi" alla ricerca di visioni e segnali analogici. Rimbaud parla di una coltivazione dell’anima che, però tenda a scardinare ogni ordine piuttosto che a crearne. Una bella metafora di questo si ha col battello ebbro che rompe gli ormeggi e si abbandona alla deriva nell’oceano.
Senza questa partecipazione totale dell’anima e dei sensi non si dà l’autentica poesia e soprattutto la suprema sapienza.
Questi suoi dérégléments devono sostituire gli esercizi spirituali dei santi, ai quali sono analoghi: si tratta in entrambi i casi di una sorta di pratiche ascetiche finalizzate alla intuizione dell'Oltre. Alle pratiche dei Figli di Dio, dunque, si sostituiscono le tecniche per ridiventare "Figli del Sole" (Vagabondi).
In entrambi i casi lo sregolamento produce un’estasi, una uscita da sé, una liberazione dai limiti dell’individualità. "Io è un altro", recita la Lettera del veggente; "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me, proclama Paolo di Tarso. .
Sergio Solmi cerca di esprimere la natura di questo sregolamento. "La tecnica del voyant consiste appunto in una disarticolazione. Ma questa non può essere che momentanea, sotto specie di allucinazione. Chinarsi verso terra e guardare tra le proprie gambe un panorama capovolto, con la sua gamma inedita di tonalità rovesciate, può dare la prima elementarissima idea del "metodo" impiegato dall’autore delle Illuminations. Il delirio di stanchezza sopraggiungente verso la fine di una lunga marcia è già più vicino a questa sorta di "trasfigurazione". Un albero immerso nel chiaro di luna può allora apparire un castello con tutte le sue finestre illuminate, e il fruscio della brezza tra le frasche trasformarsi in musica o in parole di conversazione. Chi ha fatto personalmente questa esperienza sa del notevolissimo sforzo per ricostruire, distruggendo la tenace evidenza del sogno, i lineamenti della realtà ordinaria." (Saggio su Rimbaud, Einaudi, 1974, p.33)
Una questione molto frequentata riguarda il posto che l’uso delle droghe aveva in questo sregolamento. Probabilmente Rimbaud fece uso di hashish, anche se il suo alto costo paragonato alle scarse finanze del giovane spinge a dar loro un posto troppo ampio.
Il poeta come veggente
1. La visione
Rimbaud vuole esplorare nuovi territori dell'io. La poesia è concepita come attività visionaria, che ha il compito di dar voce all'ineffabile. Dice suggestivamente: "Scrivevo dei silenzi, delle notti, notavo l'inesprimibile, fissavo delle vertigini".
La poesia scaturisce, come in Mallarmé, da una allucinazione. Essa è una intuizione istantanea, un lampeggiamento di immagini sconvolgenti che conducono chi vi si abbandona verso una dimensione ulteriore; "è un pugno, da cui si ha la vista per un istante abbagliata."
Descrive in seguito questi stati: "Mi abituai alla pura allucinazione: sinceramente vedevo una moschea in luogo di una fabbrica, una schiera di tamburini composta d'angeli, calessi per le vie del cielo, un salotto sul fondo d'un lago: mostri, misteri; il manifesto di una commedia musicale evocava orrori ai miei occhi. Allora spiegavo le mie magiche sofisticherie in parole allucinate! Finii col trovar sacro il disordine della mia intelligenza!" (Alchimia del verbo)
2. L’uscita da sé
"Io è un altro", recita la Lettera del veggente. "L’Io che deve esprimersi nella poesia non è quello individuale, con i suoi accidenti personali e le sue particolarità irripetibili; non è il soggetto pensante e agente e che riproduce, più o meno filtrate, le sue proprie impressioni. E’ qualcosa che ci trascende e ci coinvolge in una realtà più vasta, nel senso che senza escludere noi stessi si pone come entità diversa e onnicomprensiva, o è noi astessi negli altri, io e non-io, partecipando così del più possente respiro della vita universale." (M. Colesanti, in La letteratura francese dal Romanticismo al Simbolismo, Einaudi, p. 267).
3. La parola del veggente
Si devono forzare perciò sregolare i mezzi percettivi. I sensi sono forzati a oltrepassare i loro limiti per scoprire "cose inaudite e innominabili", forme di vita aberranti e fascinosi.
Si scopre "veggente" nell'esercizio di poetare, in quanto ciò conduce alla liberazione di forze primigenie dell'animo umano, purché si abbandonino i preconcetti scolastici e le vanità mondane e accademiche.
Quella del veggente è una "lingua dell'anima per l'anima". Essa "riassumerà tutto: profumi, colori, suoni, pensiero che uncina il pensiero e che tira". La base da cui parte la poetica di Rimbaud è fornita dal Baudelaire ("il primo veggente, re dei poeti, un vero Dio", afferma nella Lettera del veggente) delle Corrispondenze, che concepisce la realtà come una ineffabile foresta di simboli e pratica la sinestesia come espressione poetica dell’unità cui i simboli rimandano. Un capolavoro della veggenza è il sonetto , un esercizio di invenzione che lascia scaturire sorprendenti oggetti dal segno - suono delle vocali, liberate dalla costrizione di ogni significato.
"Ma lo sforzo tipico del simbolismo baudeleriano, di arrivare per mezzo delle immagini a disegnare la forma vera delle cose e l'essenza più pura e misteriosa dei nostri sentimenti in corrispondenza con esse, [...] viene da lui rivolto subito a un altro scopo: dissolvere, sia con quadri atrocemente caricaturali che con feroci epigrammi diretti, tutto l'ammasso dei nostri sentimenti tradizionali, come se fossero tutti non veri, soltanto prodotto di sentimentalismo e conformismo. E' il Rimbaud anarchico anche come idee sociali, il quale attraverso questa distruzione di tutte le espressioni letterarie tradizionalistiche, che hanno perpetuato la menzogna, vuole valersi dell'intuizione poetica pura per arrivare a una nuova forma di conoscenza e quindi di padronanza del mondo." (M. Bonfantini, Storia della letteratura francese, Mondadori, 1965, p. 321)
4. Verso la parola originaria
Un aspetto caratteristico di Rimbaud è che la nuova realtà sovvertitrice delle nostre povere visioni logiche, cui il poeta arriva coi mezzi dello sregolamento non è puramente soggettiva e inventata dal poeta, ma esiste oggettivamente. Solo, nessuno è finora riuscito a scoprirla. Questa nuova conoscenza intuitiva del mondo può essere ritradotta in termini logici e comprensibili.
Ma per farlo occorre compiere un tentativo estremo di riconquistare l'assoluta verginità della parola. Il mondo sensibile viene smontato e ricomposto in un ordine totalmente fantastico. In esso le visioni si presentano, si intersecano, dileguano secondo un ordine che sembra sfuggire al controllo logico del poeta. Ogni significato logico è tolto, al fine di restituire alla parola tutta la sua potenza creatrice. Una poesia siffatta è veramente ardua da interpretare. "Solo io ho la chiave di questa parata selvaggia", dichiara in Parata, una prosa di Illuminazioni.
Una stagione all'Inferno
(Une saison en enfer)
E’ l'unica opera pubblicata dal poeta stesso in 400 esemplari nel 1873. L'editore belga, non pagato, non ne tentò nemmeno la distribuzione. Il testo fu ripubblicato postumo nel 1898.
È in prosa poetica e si collega alle Illuminazioni. Una frequentatissima questione critica riguarda proprio la sequenza di composizione delle due opere.
Con l’opera si apre, a parere di Bertozzi, una nuova fase della poesia e dell’esperienza di Rimbaud, ben distinta da quella della veggenza. Si veda Alchimia del verbo, in cui definisce follia il precedente progetto e prende un chiaro congedo dai sogni della veggenza. "Ho provato a inventare nuovi fiori, nuovi astri, nuove carni, nuove lingue. Ho creduto di poter acquisire poteri sovrannaturali." Questi tentativi vanno superati: "Ebbene! Devo seppellire la mia immaginazione e i miei ricordi!" Ma questo abbandono è l’inizio di un nuovo ciclo, di cui l’aurora è l’emblema e nel quale si entra "armati di pazienza ardente" (Addio).
In uno slancio di reazione alla letteratura francese nella sua totalità Rimbaud va alla ricerca di nuove sensazioni.
Dagli abissi infernali nei quali si sprofonda nel tentativo di "possedere la verità in un’anima e un corpo" (Addio) il Veggente riporta allucinazioni e figure surreali. Queste prose "di diamante" (Verlaine) si profilano in una maniera che presuppone l'influsso di Poe e di Coleridge, piuttosto che di Baudelaire, con una fantasia e una libertà poetica di nuove aperture.
La sua disperata ricerca dell'assoluto incontra uno scacco. Il poeta, sconfitto di fronte alla vita, va fino in fondo al vortice tormentoso della sua disperazione e la descrive con colori violenti.
La sua completa contestazione della società presto giungerà fino al rifiuto della poesia e della letteratura come cose inutili e condurrà l’infaticabile ribelle all’avventurosa scelta africana. Questa è già chiaramente prefigurata in Sangue cattivo.

Illuminazioni
Le Illuminazioni sono un'opera in prosa poetica e versi liberi, scritta secondo Paul Verlaine tra il luglio 1873 e il febbraio 1875 e pubblicata dallo stesso all'insaputa dell'autore a Parigi nel 1886, mentre Rimbaud si trovava in Abissinia.
L'opera è affine a Una stagione all'Inferno. I critici hanno a lungo disputato sull'ordine di composizione delle composizioni, entrambe create quando Rimbaud era ritornato in famiglia dopo il ferimento di Bruxelles.
Seguendo le indicazioni di Rimbaud, che le definì "painted plates", e rifacendosi al significato inglese e francese di illumination, possiamo attribuire al titolo il solo significato di stampe colorate. Del resto le descrizioni, i colori, l’ambito sensoriale del visivo, hanno un gran posto in quest’opera. Le illuminazioni non sono folgorazioni illuminanti ma quadretti, disegni costruiti dalla fantasia associativa più che dall'immaginazione sfrenata. Questo mondo poetico si pone a un livello più accessibile di quello de Il battello ebbro o di Una stagione all'Inferno.
L'opera ha la natura di una indagine mistica rivolta al mistero delle cose, del quale si vuole trovare "il luogo e la formula" (Vagabondi). Il poeta sente l'insufficienza di ogni creazione letteraria e il fallimento della ricerca della veggenza (Partenza); ma assieme tende al massimo le possibilità della sua fantasia creatrice e crea una fantasmagoria di immagini che esprimono le angosce del vivere, la ricerca dell'estasi (come in Alba) e, soprattutto, il desiderio di superare ogni realtà e di decifrare l'ignoto. Si toccano vertici di esaltazione e abissi disperati, "voragini d’azzurro" e "pozzi di fuoco" (Infanzia), ma il clima predominante è quello di una calma superiore e misteriosa. Non di rado l'ispirazione viene accesa dalla droga.
L'esito è una negazione del mondo e della civiltà (vedi Operai), sulla quale si invoca un nuovo diluvio.
Ma questo cantore superbo di una realtà intuita, toccata, non conquistata per sempre si acquieta e si rassegna. Lui che aveva bestemmiato Dio, oltraggiato la società, rinnegato Cristo, conclude la sua opera letteraria con una invocazione. "Tutti noi, ci ha conosciuti e amati. Sappiamo dunque, in questa notte invernale, da un capo all’altro, dal polo tumultuoso al castello, dalla moltitudine alla spiaggia, di sguardo in sguardo, con forze e sentimenti affievoliti, invocarlo e vederlo, e allontanarlo, e sotto le maree e al sommo dei deserti di neve, seguire il suo sguardo, il suo alito, il suo corpo, la sua luce." (Genio)
Dopo le illuminazioni, all'avventura della parola si sostituì totalmente l'avventura della vita.

Il mito di Rimbaud
"Il Rimbaud che appassionò i giovani e rinnovò la poesia europea non è quello della storia ma quello del mito" (Papini, Centenario di Rimbaud, in "Corriere della Sera", 03.10.54.)
La ovvia conseguenza è il gonfiarsi a dismisura della bibliografia su Rimbaud. Esplosione quantitativa, e anche qualitativa.
"Troviamo tra i miti letterari quello simbolista seguito da quello surrealista (cabala, magia, etc.); tra quelli politici, prima quello cattolico [...] poi quello totalitario in cui troviamo un Rimbaud per tutte le ideologie (non posso dire "per tutti i gusti"), quella comunarda, fascista, nazista, comunista, disfattista, patriottica; poi i miti morali; dell’onesto borghese, dell’ardennese, dell’uomo d’azione, del controborgese (avventuriero, voyou); infine dall’umano al divino: Shakespeare bambino, l’unico, il profeta, l’angelo, il Cristo, per citarne alcuni, ma da non dimenticare [...] altri due: l’omosessuale e il viaggiatore o il nomade". (G. A. Bertozzi, Prefazione a Illuminazioni, Newton, 1994, p. 10)
Questo anche perché Rimbaud era "assolutamente inadatto a una riflessione astratta" (Rivière) che permettesse di annullare le contraddizioni che i suoi testi presentano. Né certo era una sua preoccupazione segnare chiaramente la strada ai suoi lettori: a sua madre, che l’interrogava sul significato di Una stagione all'Inferno, risponde: "ho voluto dire quello che ho detto, letteralmente e in tutti i sensi."

Solmi: una crisi adolescenziale mai superata
Alla radice della vita - e della poesia - di Rimbaud, c'è qualcosa che può definirsi una crisi di adattamento, e ne costituisce, insieme, il segreto e la chiave. Sulle soglie dell'adolescenza, al momento della separazione dell'io dal mondo e della loro immancabile opposizione, in luogo dei faticosi ma salutari compromessi, dev'essersi compiuta, per lui, una frattura insanabile. A un certo momento la realtà, in cui originariamente l'anima penetra e nuota come in una sua propria emanazione e trasparenza, e in cui trapassano e sfumano insensibilmente i cari aspetti e coloriti del beato puerile abbandono, comincia a farsi impenetrabile e opaca, diviene "l'altro". E, come si sa, dalla più o meno rapida e felice accettazione di questo "altro" dipenderà in gran parte il nostro destino. Il confine col mondo riduce a poco a poco il suo alone di sogno, la zona degli "ameni inganni", fino a coincidere col profilo della nostra stessa persona. Se riusciamo a distaccarci, senza restarne troppo feriti, dall'indivisione originaria, potremo dirci relativamente salvi.
Ma nei primi anni di Rimbaud, forse in coincidenza con l'inizio della pubertà, avviene una sorta di arresto in questo lento e faticoso processo di adattamento. Forse, egli finge di accettare i nuovi oggetti opachi ed irti che la "rugosa realtà" gli offre, con una segreta malafede, con un fondo pensiero ritorto. Forse, egli si volge ai chiusi cancelli del Giardino con un sentimento misto di rimpianto, e di rancore e vergogna per quella che doveva confusamente sentire come una debolezza. La storia della vita e della poesia di Rimbaud sarà la storia di questo rimpianto, di questo rancore, e del tentativo dell'impossibile riconquista.
Certo, per qualche tempo continueranno a coesistere, in lui, il rispettoso figlio di famiglia, l'ottimo scolaro ambizioso di riconoscimenti e di premi, il fanciullo benpensante che invia, "nel più grande segreto", una epistola in versi latini al principe imperiale in occasione della sua prima comunione, e il ragazzo insofferente che di lì a poco esploderà in espressioni e in atti di incoercibile violenza. Come più tardi, nella stessa persona, continueranno a coesistere per qualche tempo, da una parte il letterato in erba, ansioso di vedersi stampato, instancabile nell'inviare manoscritti alle redazioni dei giornali e ai poeti saliti in fama come Banville e Verlaine, con accompagnatorie fiorite di ben rigirati complimenti, l'animo proteso verso la Parigi dispensatrice di gloria - e, dall'altra parte, il "fumiste" sarcastico e altezzoso che non risparmierà dileggi e villanie ai confratelli della capitale, offrirà quanto meno una potente occasione di traviamento per Verlaine, e finirà per rinnegare con modi di sprezzante orgoglio la stessa letteratura. In queste contraddizioni alcuni biografi, insistendo a misurare Rimbaud coi metri dell'adulto, hanno voluto riconoscere doppiezza e ipocrisia, una sorta di mostruosità morale, laddove erano soprattutto da mettere in luce i loro aspetti atrocemente infantili.

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